Esiste una schema di collegamento fra notizia e propaganda
che da anni si ripete, sempre uguale, e che si è intensificato durante la
recente campagna elettorale. Il paradigma è il seguente: ogni evento criminoso,
o anche semplicemente di piccola delinquenza, commesso da un immigrato apre le
edizioni di tutti i telegiornali, con ampi servizi e analisi sulla presunta
invasione di irregolari. Alla fine dei Tg, i successivi talk show politici presentano
come ospiti, i vari Salvini, Meloni, pronti a farneticare su espulsioni
epurazioni e respingimenti. Negli stessi talk show il controcanto alla canea
razzista e fascista è affidato a gente tipo Minniti o Di Maio, i quali dicono
le stesse cose dei loro interlocutori, ma le ammantano di perifrasi un po’ meno
crude. Il concetto è lo stesso: fuori gli immigrati dall’Italia perché delinquono
di default.
In occasione di fatti particolarmente efferati, come l’uccisione
di Pamela Mastropietro, per la quale sono stati accusati due
Nigeriani, il tam tam mediatico è stato assordante. Tralasciando tutta la storia del decerebrato
Luca Traini - che credeva di giustiziare la razza bianca facendo tiro al
bersaglio su gente di colore , il cui gesto ha suscitato reazioni antifasciste e
antirazziste bollate per lo più come
vecchia ferraglia ideologica e
represse dalla polizia - abbiamo assistito, proprio negli ultimi giorni
di campagna elettorale, alle ospitate della Meloni accompagnata in studio dalla
mamma di Pamela Mastropietro, la ragazza barbaramente uccisa a Macerata. Come se
la vittoria alle elezioni del fascio-leghismo potesse far ritornare in vita
Pamela.
Non sappiamo cosa abbia mosso una madre presumibilmente distrutta dal
dolore per la perdita così violenta della figlia ad essere co-protagonista di
un episodio di squallida campagna elettorale, ma è un fatto che lo schema di
collegamento fra notizia e propaganda ha funzionato benissimo, visti i successi elettorali di forze come la Lega e
il M5S abili a cavalcare, l’una per tradizione, l’altra per convenienza il “dalli
al nero”.
Eppure esistono fenomeni drammatici la cui portata di lutti e tragedie
è molto più grave degli immigrati che delinquono. Le stragi consumate nei luoghi di lavoro,ad
esempio, con 617 vittime accertate nel 2017 e le 148, anzi 149 decedute dal
gennaio 2018, non meriterebbero uguale attenzione?
Perché non si usa lo stesso paradigma? Cioè apertura dei Tg su tragiche
notizie di fatti come quello accaduto
ieri al porto di Livorno -dove hanno
perso la vita due operai, Nunzio Viola di 52 anni e Lorenzo Mazzoni di soli 25, o oggi dove a morire è stato un elettricista
56enne folgorato da una scossa mentre lavorava
alla manutenzione della linea ferroviaria - approfondimenti
sulle cause di queste stragi e, a
seguire, nei talk show proteste, analisi
e proposte per mitigare questa piaga.
Non si tratta di fare campagna elettorale, ma
di ricordare a tutti i cittadini che la piaga delle morti sul lavoro esiste, è più che mai purulenta e meriterebbe da parte
dei politici, un impegno infinitamente superiore a quello profuso per dare addosso agli immigrati. C’è però un problema enorme. Se a discutere di
immigrazione ci vanno Salvini, Meloni, Minniti e Di Maio, a condannare le morti
sul lavoro chi ci mandiamo? Renzi,
Poletti, Bersani, che hanno distrutto ciò che rimaneva
di un programma di diritti già devastato da predecessori di centro sinistra? Oppure ci mandiamo i dirigenti sindacali della
triplice, che hanno firmato contratti capestro
completamente sbilanciati a favore dei padroni come mai s’era visto nella
storia sindacale?
Questo è il punto, ed
è anche la ragione per cui il mondo del lavoro ha definitivamente voltato le
spalle ad una sinistra ormai composta da soli imbroglioni. Ma la piaga delle morti sul
lavoro resta e bisogna affrontarla. Forse mettendosi in mente che è ora di
finirla con le grandi regalie a chi un’occupazione te la elargisce e te la toglie a proprio piacimento, come fosse un premio o
un elemosina e cominciare a pretendere che, il lavoro torni
ad essere l’elemento su cui è basata la nostra Repubblica, così come sancisce l’articolo
uno della Costituzione. Se i
rappresentanti del popolo non ci sentono è ora che il popolo capisca e si
mobiliti.
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