martedì 10 aprile 2018

Sull'arresto di Lula e le polemiche a sinistra

Francesco Ricci: lega internazionale dei lavoratori, quarta internazionale (Pdac)



Lula è stato arrestato. Sui siti di tutta la sinistra riformista e centrista (cioè rivoluzionaria a parole e riformista nei fatti) c'è grande agitazione.
In Italia, Rifondazione Comunista definisce Lula "prigioniero politico" e, come fa da tempo, parla di "un golpe giudiziario" che avrebbe colpito la delfina di Lula, Dilma, e il Pt, cioè il partito che ha governato il Brasile dal 2002 fino all'agosto 2016. I comunicati di Rifondazione naturalmente dimenticano di precisare che Lula è stato arrestato per una condanna in seconda istanza per corruzione e riciclaggio di denaro sporco e che questo è solo uno dei nove processi per corruzione in cui è coinvolto.
Al di là delle centinaia di episodi di corruzione di cui è protagonista tutto il gruppo dirigente del Pt, ciò che i sostenitori di Lula fingono di ignorare è che a questa situazione si è arrivati perché per quindici anni, mentre il riformismo mondiale indicava in Lula un modello di un "diverso" governo nel capitalismo, basato su una presuntamente progressiva collaborazione con presunti settori progressivi della borghesia, Lula, Dilma e il Pt governavano per le grandi imprese e per le banche.
Cosa questo governo "progressista" abbia prodotto per le masse proletarie è sotto gli occhi di tutti. Se anche Lula fosse vittima, come pretendono i suoi paladini riformisti, di una manovra giudiziaria e non si fosse arricchito personalmente invischiandosi in tangenti e corruzione (cosa che invece ha fatto, come tutto il gruppo dirigente del Pt), sarebbe in ogni caso responsabile per aver governato per conto della borghesia brasiliana e delle multinazionali imperialiste. Mentre Lula vive in ville miliardarie (benefit concessi dalle aziende favorite negli appalti), milioni di brasiliani muoiono di fame, sono disoccupati o vivono con salari di 1000 reais (circa 230 euro), soffrono la perdita di diritti lavorativi e pensionistici per le cosiddette "riforme" iniziate da Lula, proseguite da Dilma e poi da Temer, e decine di giovani vengono uccisi ogni giorno dalla polizia nelle periferie delle città e nelle favelas.
La lista delle banche e grandi imprese che è riconoscente a Lula per i profitti fatti in questi anni è lunga: Odebrecht, Itaù, General Motors, Santander, ecc. E' lo stesso Lula che più volte ha pubblicamente dichiarato che "gli impresari non hanno mai guadagnato tanto denaro come durante il mio governo e i governi del Pt". Questa alleanza di ferro con la grande borghesia peraltro si incarnava negli stessi principali ministeri dei governi del Pt, occupati da industriali, latifondisti e banchieri. Quegli stessi che hanno fatto affari miliardari con l'intensa opera di privatizzazioni mascherate da concessioni di aeroporti, porti, aree petrolifere. Al contempo, la Cut, il sindacato diretto dal Pt, ha garantito per anni la pace sociale nelle fabbriche, imponendo accordi per mantenere bassi salari in cambio di investimenti. La Fiat, la General Motors, la Volkswagen, ecc. hanno beneficiato di sgravi e incentivi fiscali. Una politica più volte pubblicamente elogiata da Marchionne, grande amico del "presidente operaio".
La verità è che Rifondazione e tutta la sinistra riformista hanno mentito per anni sulla realtà del Brasile. Così come hanno fatto con il più recente modello Syriza in Grecia. E lo hanno fatto non per un abbaglio ottico ma perché hanno bisogno periodicamente di inventare modelli per giustificare la loro identica politica di collaborazione di classe e di governo, che hanno fatto ieri, che oggi non sono in condizione di fare perché ridotti al lumicino dagli effetti delle loro politiche disastrose, e che sperano domani di poter riprendere a fare.
 
"Non siamo col Pt. Però..."
Qualche centimetro più a sinistra della posizione dei riformisti incontriamo la posizione di varie forze che si definiscono "rivoluzionarie", che sostengono di non essere schierate con Lula e il Pt, e che pure da tempo gridano al "golpe" in Brasile e, con questa scusa, rivendicano la necessità di porsi di fatto nel "campo" di Lula contro l'attacco "golpista" o "delle destre" o financo "fascista".
In realtà in Brasile, come abbiamo documentato sul nostro sito, anche traducendo articoli dei nostri compagni brasiliani del Pstu, non c'è stato nessun "golpe", non c'è stato nessun cambio con la forza del regime per volontà della borghesia o dell'imperialismo. E perché mai avrebbero voluto rovesciare chi ha garantito i loro affari per anni? La stessa grande stampa imperialista internazionale (col Financial Times in testa) guarda con preoccupazione all'arresto di Lula proprio perché, nonostante la crisi di consenso del Pt, continuavano a vedere in Lula l'unica possibile carta di salvezza, nelle elezioni di quest'anno, per evitare quello che definiscono "caos politico".
C'è stata e c'è una disputa tra blocchi politici borghesi per aggiudicarsi il ruolo di gestore degli interessi padronali, ma il vero dato eclatante (che incredibilmente certi "rivoluzionari" non vedono) è che da quattro anni è in corso in Brasile una ascesa delle lotte che non ha precedenti.
Alla testa di queste lotte il Pstu e la Conlutas si sono spesso trovati soli: mentre tutto il resto della sinistra correva alle manifestazioni in difesa del Pt e "contro il golpe".
Esemplari, se così si può dire, tra le posizioni più ambigue, ricordiamo quelle di organizzazioni che per qualche malinteso si definiscono "trotskiste", come il Pts argentino (le cui posizioni sono diffuse in Italia dal gruppo napoletano che anima il blog "La Voce delle Lotte"). Pur prendendo le distanze da Lula e dalle politiche del Pt, queste organizzazioni affermano che in questo momento bisognerebbe stare nello stesso "campo" di Lula, difendendolo dato che il suo arresto sarebbe "un duro colpo per le classi popolari". D'altra parte queste organizzazioni "rivoluzionarie", che vedono nelle elezioni il momento centrale (il Pts argentino da quando ha guadagnato qualche deputato vive di questo), si accodano al Psol che a sua volta (con il candidato Boulos) organizza manifestazioni insieme al Pt e si prepara a sostenere il Pt al secondo turno delle imminenti elezioni, nella speranza di partecipare in qualche modo al dividendo elettorale.
 
"Il Brasile necessita di una rivoluzione"
Al momento dell'arresto, confermando la sua fiducia nello Stato borghese, Lula ha dichiarato: "Se non avessi fiducia nella Giustizia, proporrei una rivoluzione nel Paese."
Appunto di quella rivoluzione che Lula non ha mai proposto - perché sarà contro la borghesia di cui Lula è stato maggiordomo - ha bisogno il Brasile.
Questo è lo slogan che sta diffondendo il nostro partito fratello in Brasile, il Pstu, sezione della Lit-Quarta Internazionale, il partito che, forte anche di un radicamento e un ruolo di direzione sindacale di massa (la Csp Conlutas), è fin dall'inizio della fase di ascesa delle lotte, iniziata nell'estate 2013, alla testa delle mobilitazioni contro le politiche dei governi Dilma e Temer, mentre tutto il resto della sinistra (con il Psol in testa) si accoda al Pt in attesa delle elezioni. E tutto questo proprio quando le masse brasiliane sono all'offensiva, smentendo clamorosamente la presunta "onda reazionaria" che secondo alcuni raffinati analisti investirebbe l'America Latina e centrale (basti vedere le gigantesche manifestazioni contro Macri in Argentina, le mobilitazioni insurrezionali in Honduras, eccetera).
Se nell'aprile scorso c'è stato "il più grande sciopero generale della storia del Brasile" è perché la Conlutas e il Pstu hanno costretto, con la mobilitazione dal basso, le grandi burocrazie sindacali ad aderire, seppure in modo recalcitrante. Sempre il Pstu era poche settimane dopo alla testa della "occupazione" a Brasilia e dell'"assedio" ai palazzi del governo, dove solo il servizio d'ordine del nostro partito fratello ha consentito a migliaia di militanti di resistere alle cariche a cavallo della polizia, mentre le burocrazie della Cut invitavano i manifestanti a desistere.
"Il Brasile ha bisogno di una ribellione che rovesci tutto quanto, perché quelli che sono in basso governino e costruiscano una società socialista", sostengono i compagni del Pstu. E aggiungono che la classe operaia non può stare dalla parte di Lula perché il posto di Lula è nella difesa dei profitti di quelle 500 aziende che controllano il 60% di quanto è prodotto nel Paese.
Bisogna costruire una alternativa basata sull'indipendenza di classe dalla borghesia e dai suoi governi, perché solo un governo dei lavoratori può ridare una prospettiva alle masse proletarie del Brasile. L'unica via per fare questo è continuare a costruire e rafforzare le mobilitazioni operaie contro l'attuale governo Temer, nella piena indipendenza da tutti gli schieramenti borghesi, e continuare la costruzione di una direzione politica marxista e rivoluzionaria. E' appunto quanto fanno i nostri compagni del Pstu nelle piazze e nelle fabbriche, col sostegno della Lit-Quarta Internazionale.

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