lunedì 18 giugno 2018

Prima gli sfruttati contro gli ominicchi, i pigliainculo e i quaquaraquà

Luciano Granieri




Lo striscione che apriva il corteo organizzato dall’Usb a Roma sabato scorso 16 giugno,  disegnato da Zerocalcare, sfoggiava la scritta “Prima gli sfruttati”. In questo periodo dove la barbarie diffusa regna sovrana, il messaggio di quello striscione, diventa il vero grido di battaglia. Dall'obiettivo della preminenza degli sfruttati deve ripartire tutto.  In primis la riorganizzazione di una "diasporata" minoranza composta,  non solo dalla platea degli  stessi sfruttati - che aumenta di giorno in giorno -ma anche  da chi si trova a resistere di fronte al nauseabondo impazzimento cinico di persone con cui una volta si  condividevano certi valori. 

"Prima gli sfruttati" diceva lo striscione emblema di una manifestazione che ha chiamato alla resistenza e, si spera un giorno  non lontano alla rivolta, una moltitudine unitaria. Una moltitudine  in cui non esistono divisioni  né etniche  né di genere . Ed è questa la potenza!

 Il corteo -organizzato  in memoria di Soumalia Sacko, ucciso in Calabria mentre in una zona dismessa cercava una lamiera da porre come tetto sulla testa di un suo amico - lanciava   un messaggio forte e chiaro. Non c’è differenza fra uno sfruttato nero ed uno bianco, non c’è differenza fra  chi lavora in un call center,  o si sfianca attraversando in bicicletta la città per portare il cibo a casa di quattro borghesotti , e un immigrato che si spezza la schiena nei campi di pomodori.  

Non c’è differenza fra un disoccupato, un precario, che galleggia sotto la soglia di povertà,  e  un rom con o senza cittadinanza. Non  c’è differenza fra chi muore sotto il sole,   ucciso da un caporale o, dalla camorra,  e chi muore nei cantieri. Qui la pacchia non la fa nessuno tranne che gli sfruttatori.  

Appunto gli sfruttatori. Chi sono costoro? Certamente il grande capitale  formato dai potentati finanziari, dalle multinazionali.    Esiste però  un gruppo di sfruttatori molto meno potenti, ma ugualmente cinici e pericolosi. Volendo rifarmi alle categorie con cui Sciascia fa  definire gli uomini  dal boss  Don Mariano Arena nel romanzo “Il giorno della Civetta”, potremmo individuare  come “ominicchi” i fascio razzisti di Salvini, i quali vogliono  conquistare il potere  cavalcando la paura di chi ormai,   spinto ai margini sociali da una  mortifera diseguaglianza, teme tutto del mondo li fuori, immigrati e “diversi” in genere.  

Poi ci sono i "pigliainculo", ossia i riformisti  sedicenti  difensori del popolo, ma nella realtà   feroci guardiani degli interessi del capitale. Da decenni sono fautori di strategie elettorali  perdenti (pigliainculo appunto)   e di  programmi  sull’immigrazione, sul lavoro, se possibile, ancora più spietati  di quelli  messi in piedi dalla nuova associazione a delinquere penta-leghista. 

Ed infine ecco  i "quaquaraquà", i penta stellati,  intransigenti guardiani della legalità, imperituri fautori della negazione delle ideologie. Poveri personaggi sobillati da una multinazionale  privata  che, dalle pozzanghere melmose della loro ignoranza e pressappochismo, hanno drenato e depistato ogni forma di conflitto sociale, deviandola sul binario morto della lotta alla casta. I quaquaraquà che dalla loro limacciosa fanghiglia  erano disposti a fare danni sia con gli ominicchi che con i pigliainculo. Hanno scelto i primi precipitando il paese in una deriva fascista, razzista, disumana.  Una devastante conseguenza che dal loro status di quaquaraquà non hanno minimamente  valutato come  virus infettante per la democrazia. 

Prima gli sfruttati, dunque, prima degli sfruttatori ominicchi, pigliainculo e quaquaraquà. Questo è il messaggio forte da riversare in una nuova stagione conflittuale. Questo è quanto ci arriva dalle parole illuminate  dal sindacalista Usb,  immigrato dal Mali, Abou  Soumahoro che pone alla base della rivincita degli sfruttati l’abituarsi di nuovo alla solidarietà, la necessità di individuare e lottare per bisogni materiali comuni.  Pratiche necessarie a ricostruire un’identità di classe che non è più o solo proletaria ma è  soprattutto quella degli sfruttati. 

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