sabato 27 ottobre 2018

Quando le scale smetteranno "de gonfiacce de botte"

Luciano Granieri





Si è svolto venerdì  scorso 26 ottobre, a Sora presso la sala bistrò del  "Deliri" l’evento  “Storie di Tortura”. L’incontro ,organizzato dall’Associazione Stefano Cucchi Onlus, e dal circolo Antonio Gramsci di Rifondazione Comunista di Sora,  era focalizzato su due drammatici casi giudiziari, relativi  alla  morte di Stefano Cucchi e Serena Mollicone.  Per entrambi il coinvolgimento di militari dell’arma dei Carabinieri sembra acclarato, come sono del tutto evidenti i supplizi e le torture che i due giovani hanno dovuto subire prima di morire. 

Il programma prevedeva la proiezione del film di Alessio Cremonini “Sulla mia Pelle”, dedicato proprio alla vicenda Cucchi. La visione della pellicola è stata   preceduta da un dibattito a cui hanno partecipato Ilaria Cucchi , attraverso un collegamento in diretta, Guglielmo Mollicone, padre di Serena, Maria Tuzi, figlia del brigadiere Sandro Tuzi, il cui suicidio inerente alla vicenda di Arce è talmente sospetto da essere ancora oggetto d’indagini. 

Hanno presentato l’evento Luigi Pede, segretario della sezione Antonio Gramsci del Prc di Sora, Paolo Ceccano, segretario Provinciale del Prc. E’ intervenuto, inoltre, Maurizio Acerbo, segretario nazionale di Rifondazione Comunista. Il professore Pasquale Beneduce, docente presso l’Università di Cassino, ha introdotto il film di Cremonini.  Per un’analisi degli aspetti politici, sociali e   emersi  nel corso del dibattito, rimando ad un altro  post   contenente  le  conclusioni espresse dal segretario nazionale del Prc Maurizio Acero  

Personalmente vorrei condividere qualche riflessione  sulle emozioni profonde che il film ha suscitato. Partirei da quanto ha fatto notare il Professor  Beneduce sull’attuale legge che introduce  il reato di tortura. Un provvedimento talmente all’acqua di rose per cui gli aguzzini di Cucchi non potrebbero esserne accusati, infatti, secondo la norma, questo  si determina solo a seguito di sevizie plurime e ripetute. Cioè  se si picchia e si sevizia  una volta sola, anche provocando    la morte, come accaduto a Cucchi non si commette reato di tortura. 

 Ma veniamo al film. Si capisce subito che la pellicola racconta di un depistaggio, più che di un pestaggio, sin dalle prime scene dopo l’arresto. Quando Cucchi, interpretato dallo straordinario Alessio Borghi, si presenta in preda ai dolori delle percosse     davanti al carabiniere  della caserma di Tor Sapienza incaricato di  redigere il verbale, questi rimane basito guardando il  corpo martoriato di Cucchi, ma il suo superiore, lo invita a scrivere senza annotare alcuna lesione, in fondo il tizio non lo hanno arrestato loro, dunque è meglio evitare rogne. Sintomatico in tal senso è come Cucchi si rivolge, in un'altra scena  al carabiniere che lo accoglie al policlinico chiedendogli cosa gli fosse successo. “Sono caduto dalle scale” è la prima risposta di Stefano. “Sempre co’ stè scale, quando la smetterete di mettere avanti le scale?”, aggiunge il militare: “Quando le scale la smetteranno di riempirci di botte” ribatte Cucchi. 

Allucinante è l’asettica descrizione del processo di convalida del fermo. La giudice sembra non accorgersi minimamente dello stato di salute dell’indiziato. Chiede  nome, cognome, stato civile, se  si dichiara colpevole o innocente, queste le fredde battute del magistrato immune ad ogni tipo di compassione ed umanità, e così per tutto il film, gli episodi di depistaggio si susseguono fino alla morte di Stefano. 

Un altro aspetto lo ha suggerito il professor Beneduce nella sua introduzione : il film di Cremonini si basa sui luoghi. Infatti sono proprio i luoghi a rimandare tutta la drammaticità delle situazioni. Il corridoio che Cucchi  percorre scortato dai  carabinieri  , due in borghese ed un in divisa, per arrivare alla sala di foto segnalazione - luogo dove si capisce avverrà il pestaggio - è lunghissimo. La sequenza sembra non finire mai e getta lo spettatore in un profondo stato d’angoscia.  L’ambulanza che trasferisce Cucchi al Pertini diventa  un ulteriore strumento di tortura. La scena è straziante con il mezzo che salta sulle buche provocando lancinanti dolori al paziente il quale invoca una guida meno brusca e veloce. 

Ancora un altro corridoio, quello che conduce Stefano in barella presso la camera   di reclusione. Viene inquadrato dalla prospettiva di Cucchi. I neon asettici    si susseguono inframezzati da pezzi di soffitto   scrostato e  rendono con drammatica esattezza lo stato di prostrazione di Stefano. Le varie celle e la camera dove Stefano muore, nel loro scarno squallore, scandiscono il progressivo avvicinarsi della morte. Toccante è lo strazio dei genitori e di Ilaria    che immaginano lo stato di abbandono in cui si sente  il ragazzo, essendo  all’oscuro dei veti che impediscono ai sui congiunti di andare a confortarlo . 

Ed infine una domanda. Perché Stefano è stato pestato fino alla morte? Perché proprio lui? Il film non lo rende esplicito ma lo fa intuire molto bene. Stefano Cucchi è sembrata la vittima perfetta per sfogare una vile e barbara frustrazione. Non era un delinquente. Un malavitoso non si sarebbe preoccupato  di scongiurare  la perquisizione nell’appartamento dei genitori per evitare un loro choc, non solo, Stefano era malato, epilettico, un stato di debolezza perfetto per  la  squallida vigliaccheria di chi si fa forte contro i deboli. Quella stessa mitezza, per cui il papà di Serena Mollicone non ha subito ritorsioni.

 Il contesto è diverso, ovviamente, ma  i torturatori  di Serena, e i loro complici, hanno sottovalutato la caparbietà di Guglielmo ritenuto un tranquillo insegnante incapace di opporsi così assiduamente, per amore di Serena, della verità e della giustizia, al perverso disegno ordito dagli assassini . La  bontà d’animo profonda che, da un lato ha condannato a morte, dall’altro sta portando alla verità è l’unica grande differenza  che contraddistingue i due casi.


Nessun commento:

Posta un commento