venerdì 21 dicembre 2018

Nubi sempre più scure sull’economia capitalistica

Alberto Madoglio


Certamente nessuno si aspettava che dalla crisi del 2007/2008 si potesse uscire tornando ai livelli di crescita del cosiddetto trentennio d’oro (quello che convenzionalmente inizia con la fine della Seconda guerra mondiale e termina con la prima grande crisi globale agli inizi degli anni 70 del secolo scorso): tanto è vero che una delle descrizioni più in voga negli ultimi tempi circa il futuro dell’economia mondiale segnala il rischio di entrare in una “stagnazione secolare”. Teoria per certi versi semplicistica ma che trova una base di verità nell’accentuazione di tratti essenziali dell’economia capitalistica: riduzione del tasso di profitto, crescita sempre più rallentata della produttività del lavoro, idem per la crescita degli investimenti lordi nel settore manifatturiero. Questi ultimi due indici segnalano un trend di durata pluridecennale, come indicano dati dell’Ocse e della Banca Mondiale, ed esprimono un giudizio definitivo sui vari progetti che diversi soggetti del mondo dell’economia, della politica e del sindacato in Italia avanzano da un po' di tempo, spacciandoli come la panacea di tutti i mali in cui si dibatte l’economia del Belpaese.
Recessione, nient’altro che recessione
Tuttavia alcuni dati hanno sorpreso, e non poco, anche i più ottimisti tra gli analisti delle dinamiche globali dell’economia.
Calo del Pil in Giappone, Germania, Svezia e Svizzera, per citare solo alcuni casi. Rallentamento marcato negli Usa, a causa della fine della spinta propulsiva degli sgravi fiscali varati dall’amministrazione Trump. Prospettive di crescita più vicine al 5 che al 6% per la Cina, come ricordato in una trasmissione del 14 dicembre andata in onda sulla radio del Sole24Ore, organo della Confindustria (nella stessa, sempre per l’Impero di Mezzo, si accennava a un forte rallentamento nella vendita di autovetture: trattandosi del maggior mercato globale, è chiaro che ciò non potrà non avere ripercussioni in tutto il globo): cifre senza dubbio impensabili per le più mature economie imperialiste ma tutt’altro che rassicuranti per la nuova potenza industriale globale.
Anche per economie che presentano tassi di crescita di tutto rispetto, si evidenzia che in molti casi si tratta di sviluppo non omogeneo, dovuto in alcuni casi solo a un settore dell’economia, e che si basa su manodopera poco specializzata e quindi difficilmente reindirizzabile a nuove mansioni nel caso in cui il settore trainante vada in crisi (vedi l’articolo “Ungheria mercato del lavoro troppo tirato: arriva le legge schiavitù”, apparso sul sito phastidio.net).
Questa situazione sta avendo delle ripercussioni anche sul versate politico e sociale. Impasse riguardo il tema della Brexit, col rischio di una uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea in un modo che gli osservatori chiamano “disordinato” e che farebbe cadere il Paese in una pesantissima recessione. Sconfitta alle elezioni regionali dei partiti che formano la Grosse Koalition in Germania (Cdu e Spd) a vantaggio della destra estrema dell’Afd e del centro sinistra moderato dei Verdi. Batosta storica dei socialisti del Psoe nella loro roccaforte in Andalusia, a vantaggio di una formazione xenofoba e nostalgica del franchismo come Vox. Vittoria di Bolsonaro in Brasile.
Ma gli “sconquassi” non si limitano al versante “sovrastrutturale”, né possono essere definiti come il segnale di una tendenza “reazionaria“ a livello dello scontro di classe: tutt’altro. In verità, come la nostra Internazionale sostiene da tempo, siamo in una situazione di forte "polarizzazione" e instabilità. Infatti, nonostante Bolsonaro, continuano in Brasile le lotte e gli scioperi operai. In Albania ci sono imponenti manifestazioni degli studenti universitari. In Ungheria assistiamo a importanti proteste contro la sopra citata legge schiavitù. I casi di Albania e Ungheria provano che anche quando l’economia cresce, lo fa sulle spalle dei lavoratori e dei giovani, che di questa prosperità non vedono che le briciole, quando le vedono.
Il caso più eclatante è quello che sta scuotendo da un mese a questa parte una delle maggiori potenze imperialiste mondiali: la Francia. Come il Brasile del 2013, una decisione del governo Macron che di per sé non era nulla di eclatante (l’aumento delle tasse sulla benzina di qualche centesimo, in Brasile l’aumento del biglietto del bus nella città di San Paolo) è stata la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso di un malcontento che si accumulava da anni. Il movimento dei gilet gialli ha letteralmente infiammato il Paese, costretto Macron a una frettolosa marcia indietro e al varo di alcune misure per cercare di placare gli animi. Non sappiamo se tutto ciò servirà allo scopo. Certo il progetto politico di Macron è definitivamente fallito dopo solo un anno, la crisi di regime potrebbe entrare in un vortice senza uscita, e la Francia ci insegna che solo con forme di lotte radicali si può non solo avanzare verso una diversa prospettiva sociale ma anche ottenere, nell'immediato, risultati parziali.
La specificità italiana e il pozzo senza fondo
La situazione italiana si inserisce in questo quadro. Come altri, il Paese ha visto contrarsi il Pil nel terzo trimestre del 2018, e ormai quasi tutti prevedono un’altra riduzione per il quarto. Ciò significa che l’economia entrerà nella terza recessione nel giro di un decennio, fatto che non ha precedenti nella storia recente, se teniamo anche in considerazione che nei momenti di crescita di questo periodo l’Italia non è stata in grado di recuperare i livelli raggiunti nel 2008. Non è esagerato affermare che il Paese sia caduto in un pozzo del quale non si vede, né si sa se ci sia, il fondo.
Anche in questo caso le implicazioni sono state immediate.
Le promesse elettorali che hanno consentito a Lega e 5 Stelle di vincere alle elezioni dello scorso 4 marzo e poi di formare il governo, sono state nei fatti molto ridotte, se non azzerate.
La prima versione della manovra, che prevedeva un deficit del 2,4%, non rappresentava certo una svolta rispetto al passato, tanto che i vertici della borghesia tricolore erano molto cauti nel dare giudizi critici. Questo compito era lasciato ai loro mezzi di informazione e ai leader dei partiti che negli ultimi 20 anni sono stati i loro più degni rappresentanti. Le stesse critiche che erano arrivate da Bruxelles erano più legate alla battaglia politica tra “europeisti” e “sovranisti” che altro. Tuttavia quella versione originaria consentiva a Salvini e Di Maio di spacciare come moneta sonante le loro patacche elettorali.
Non appena però, ai primi di dicembre, sono diventati palesi i segnali di rallentamento dell’economia nazionale e mondiale, Confindustria, Quirinale, Banca d’Italia e le varie istituzioni europee hanno suonato la fine dei giochi e riportato governo e partiti della maggioranza all’ordine. Nel nuovo quadro nessuna concessione, seppur minima è ormai consentita.
Cancellazione della legge Fornero sulle pensioni e reddito di cittadinanza per tutti sono stati quasi completamente smontanti. Nel primo caso si tratterà (al netto di revisioni dell’ultimo minuto) di piccole modifiche con tanti e tali paletti che qualcuno l’ha definita una salvaguardia per gli esodati in versione large ma niente di più. Idem per il reddito di cittadinanza che non dovrebbe essere corrisposto, tra le altre cose, a chi ha la “fantastica” somma di 5.000 euro sul conto corrente. Basta poco per essere considerati benestanti.
Tutto questo dovrebbe essere finanziato con nuovi tagli lineari se necessario, l’aumento dell’Iva (tassa regressiva che colpisce i più poveri) nel 2020 (si parla di un aumento al 25% nel 2020 dell'aliquota oggi al 22% e nel 2021 al 26,5%!), blocco del rinnovo contrattuale per tre milioni di dipendenti pubblici, tagli alla scuola, santità, servizi pubblici locali e così via.
La “diversità” del governo sovranista si schianta contro il muro del capitale
È sempre azzardato fare previsioni ma crediamo che il combinato disposto di una nuova recessione e di una legge finanziaria in totale continuità col passato, segnino la fine dell’illusione del cambiamento, illusione rappresentata per alcuni in particolare dal Movimento 5 Stelle.
La realtà si è imposta sulla propaganda. Governare il capitalismo nell’interesse della borghesia e ascoltando le necessità dei lavoratori e delle classi subalterne della società è praticamente impossibile. Che si tratti di dare un reddito a chi ne è privo, consentire di andare in pensione dopo 40 anni di lavoro con un assegno dignitoso, bloccare opere inutili e disastrose per l’ambiente e causa di sfruttamento e corruzione, si scontra con la dura legge del mercato e del capitale.
Certo, al momento non ci sono segnali che la fiducia nel governo stia calando, ma l’esperienza ci insegna che ciò può avvenire rapidamente.
Non bisogna comunque limitarsi ad aspettare che passi il cadavere del nemico, comodamente adagiati sulla riva del fiume. Su una cosa concordiamo con l’ex ministro Bersani: non è detto che chi viene dopo di questi non sia peggio (intendendo un regime più marcatamente reazionario). Ha ragione. Chi crede che il fallimento dell’esperienza di governo gialloverde possa dare nuova linfa a un centrosinistra magari de-renzizzato o anche a un centrodestra classico, moderato e liberale, non ha capito quanto la crisi che ha colpito l’Italia sia stata profonda e quanto quella stagione di alternanza tra due schieramente borghesi classici non possa più ritornare.
Sarà come al solito la lotta di classe che determinerà il corso degli eventi. La Francia ha indicato la strada: non è vero che nelle società “mature” i lavoratori siano bene o male integrati nel sistema e che esplosioni rivoluzionarie siano cose del passato che solo qualche illuso può credere attuali. Né che serva un lungo, paziente e infinito sviluppo della coscienza per far sì che simili avvenimenti accadano.
No. La lotta di classe non è qualcosa del passato, che oggi al massimo può riguardare solo Paesi lontani, né che sia necessario chissà quale graduale accumulo di “coscienza e consapevolezza” per comprendere come la situazione attuale non sia più sostenibile. Siamo in un'epoca di cambi bruschi, di rapide esplosioni del conflitto.
Serve però costruire una direzione politica coerentemente anticapitalista e rivoluzionaria, un partito comunista, in grado di far sì che la prossima e inevitabile esplosione sociale sia quella che metta la parola fine a questo sistema barbaro e disumano. Potremo così correggere la previsione di Bersani: un cambio "in peggio". Ma per i padroni!

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