mercoledì 24 aprile 2019

Festa d'Aprile, festa di liberazione e impegno di lotta per renderci completamente liberi.

Luciano Granieri




25 aprile  festa di liberazione. Liberazione dal nazifascismo, liberazione dal giogo tedesco. Dopo una lotta crudele e cruenta che ha coinvolto  presone normali, quelle che mai avrebbero immaginato di impugnare un fucile, si è  arrivati a quel giorno di primavera del 1945. Da li è partito il lungo percorso che, attraverso la Costituzione ci ha donato la consapevolezza di essere cittadini,  ispirati dai principi di solidarietà  iscritte nella stessa Carta. 

Ma ad oggi possiamo definirci completamente liberi, pienamente in grado di disporre  della nostra dignità umana?  Evidentemente no perché quelle lotte  ci hanno liberato solo in parte dal complesso coercitivo che il nazifascismo portava con se.  Nelle analisi e negli scritti dei maggiori esponenti del partito comunista italiano  del tempo, dal 1929 in poi,  emerge come  il fascismo fosse  considerato la “serra artificiale del capitalismo”. Con la lotta di liberazione ci siamo disfatti della serra, ma il suo contenuto è ancora pienamente in vita, è diventato  sempre più coercitivo costituendo a sua volta una dittatura globale spesso più crudele di quella da cui ci siamo liberati. 

Se la lotta al nazifascismo ha avuto un esito vittorioso, quella al capitalismo è naufragata .  Questa parte di conflitto  proprio dalla resistenza aveva tratto nuova linfa, fluido vitale, ma  con il passare del tempo, anche con  il concorso di forze cosiddette democratiche nate dopo la liberazione, si è essiccato.

 La voracità predatoria capitalistica  era ben viva nel ventennio.   Il 4 novembre del 1931  il regime fascista salvò, con denaro pubblico,   la Banca Commerciale italiana dal fallimento  assorbendone i debiti attraverso   Banca d’Italia e Cassa depositi e prestiti. La Banca Commerciale Italiana deteneva  quote azionarie della più grandi imprese italiane dell’epoca, dall’industria chimica, a quella idroelettrica, tanto da concentrare nel suo capitale la proprietà di tutto il panorama industriale che, ovviamente, veniva gestito in regime di monopolio. La crisi della Comit  fu determinata  dalla mancata affluenza di capitali americani (7 miliardi) prosciugati dalla grande crisi del ’29. Dopo poco meno di un secolo le dinamiche non sono cambiate.  Come non trovare analogie con i recenti salvataggi delle banche in dissesto costati 20 miliardi di euro. Allora come oggi il drenaggio di denaro pubblico verso le banche costò molto caro alla popolazione e ai lavoratori in particolare. 

La stessa finanzianziarizzazione da parte della Banca Commerciale di tutte le più importanti imprese fu ordita in combutta con il regime fascista attraverso la rivalutazione della lire messa in atto da Mussolini. La maggior parte delle attività produttive  basate sull’esportazione rischiarono il tracollo se la Banca Commerciale Italiana non ne avesse acquisito le azioni di fatto assumendone il controllo . Così come per mantenere la competitività delle imprese, a fronte di una lira più forte, furono compressi pesantemente i salari elargendo agli operai stipendi da fame. Non si rileva qualche affinità a quanto capita  oggi ai lavoratori italiani dopo l’adozione dell’euro?  

Ma veniamo ai  grandi trusts  che oggi definiremmo multi nazionali .  La  più importante, senza ombra di dubbio,  fu  la Montecatini. Durante il ventennio ha controllato la quasi totalità della produzione   siderurgica, estrattiva, energetica, chimica e  bellica . La battaglia del grano voluta da Mussolini nel 1925 fu una manna per la Montecatini, unica produttrice di concimi chimici necessari ad implementare i raccolti di cerali . Ma il boom avvenne con l’avvio delle politiche di guerra e dell’autarchia. Lo  studio per la produzione di “ersatz”(carburanti, gomme, e altri elementi da ottenersi, in mancanza di materia prima,  con sostitutivi chimici), la produzione di zinco e coke metallurgico   sancirono il decollo finanziario dell’impresa  . Nel 1938 la Montecatini chiuse il bilancio con un ricavo netto di 180 milioni di lire, in tre anni assicurò 260 milioni di dividendi agli  azionisti i quali si arricchirono a dismisura proprio  grazie a Mussolini con l’autarchia e le  politiche di guerra che nel contempo, per i prezzi elevati di beni e merci, stavano  affamando la popolazione. 

Come non trovare analogie con gli  attuali player privati  dell’energia e dell’erogazione idrica che, grazie allo shock dell’economia a debito, piegano i governi ai loro desiderata favorendo leggi e provvedimenti  utili ad assicurare  dividendi milionari ai propri azionisti, espropriando i cittadini  dei beni fondamentali alla vita come l’acqua.  Anch’essi realizzano  profitti tali da impoverire gran parte della popolazione. 

In un comunicato del maggio 1941, scritto  della federazione giovanile  comunista d’Italia si legge: “Il fascismo aveva promesso di liberare il popolo dalla schiavitù del regime capitalistico; ma oggi tutte le ricchezze del paese sono nelle mani dei grandi capitalisti, sono monopolizzate dai trusts e dai consorzi. Alcune centinaia di pescecani, affaristi e di speculatori le amministrano nel loro interesse esclusivo, schiacciando i produttori piccoli e medi”

Oggi come allora dunque il mondo finanziario-speculativo guida  i governi totalitari e non. Oggi come allora  la ricchezza smisurata di pochi  è la causa dell’estrema precarietà di molti . La classe subalterna durante il ventennio  vedeva nella propaganda fascista un’effimera promessa di riscatto, lasciando guidare  la propria  rabbia dal regime verso l’intolleranza razziale, verso la discriminazione spinta nei confronti di chi non corrispondesse all’archetipo del  maschio italico   e della donna incubatrice di prole.  

Anche oggi la frustrazione di che si sente solo, titolare del proprio  misero “capitale umano”  la     rabbia sorda, guidata dalla propaganda populista,  si scaglia contro gli altri ultimi, i migranti, i discriminati di ogni genere. Oggi come allora non ci siamo liberati dalla dittatura del capitale, reso ancora più vorace dall’ideologia liberista. Un regime liquido, etereo che  opprime e umilia, disseminando la vita di quegli ostacoli che la Repubblica dovrebbe rimuovere per consentire il pieno sviluppo della persona umana. 

Ma fra le tante cose importanti che la resistenza ha insegnato c’è  la necessità di unire  forze, pur culturalmente diverse  fra loro,  contro l’oppressore. Facendo tesoro di questo insegnamento, gli oppressi delle periferie, gli esclusi dal triturante ciclo economico, i precari della vita dovrebbero unirsi a chi soffre come loro ma arriva dall’altra parte del mediterraneo. Dovrebbero considerare queste persone non come usurpatori di miseria ma come compagni di lotta. Buon  25 aprile  a tutti.

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Informazioni  tratte da: 

"Il dissesto della Commerciale" articolo comparso nella pubblicazione bimestrale  "Lo stato Operaio"(ottobre-novembre 1931)

"I grandi lineamenti dell'economia italiana visti attraverso la Montecatini" articolo di Paolo Tedeschi, pseudonimo di Velio Spano, pubblicato il 7 maggio 1938 su "La Corrispondence internationale"





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