giovedì 27 giugno 2019

Espropriamo la Mecoris senza indennizzo.

Luciano Granieri

foto, ciociaria oggi



La vicenda dell’incendio divampato presso la ditta di smaltimento rifiuti  Mecoris di Frosinone, ha aperto l’ennesimo fronte di indignazione, protesta  e rabbia presso i cittadini del capoluogo e della Provincia. Da cinque giorni miasmi attanagliano le vie respiratorie della popolazione, le informazioni rassicuranti da parte degli organi istituzionali suonano stonate di fronte a ciò  che si vede e si respira in città. 

Risulta peraltro inquietante come le stessi istituzioni, velatamente, mostrino di non sapere con precisione cosa contenesse il sito andato a fuoco, quando, in base alla documentazione per la quale la Mecoris ha ottenuto il permesso di operare, il materiale stipato nel capannone in fiamme dovrebbe avere una  specifica connotazione a termine di legge. Ciò alimenta il dubbio sulla reale natura dei rifiuti che stanno bruciando e sulle procedure di controllo atte a monitorare la corretta attività dell’azienda. 

Le associazioni  e i cittadini si stanno mobilitando organizzando flash-mob, e altre forme di protesta per  invocare rigorosità nei controlli e trasparenza nelle informazioni. Una riposta forte, molto forte è in atto , oggi per la prima volta il sindaco del capoluogo ha subito una pesante contestazione da parte di un buon numero di cittadini presenti in consiglio comunale. 

Temo però che,  passato l’impatto emotivo,  il malcontento sia destinato  a sciogliersi come neve al sole  fino alla prossima comparsa della schiuma nei fiume Sacco, al prossimo incendio di siti pericolosi per l’ambiente.  Che i cittadini si indignino e si sollevino con forza  ogni volta che si ripresenta un’emergenza è indubbiamente positivo, ma è possibile alzare il tiro? Mobilitarsi affinchè non vi siano più   emergenze anziché corre dietro ogni volta all’ennesimo  incendio all’ennesimo episodio d’inquinamento del fiume Sacco? 

Certamente, ma sarebbe necessario un salto qualitativo dell’azione, di protesta prima, e di proposta poi. Ad un’analisi più approfondita tali disastri sono accomunati per lo più dalla stessa causa. Ovvero l’ottenimento del massimo profitto a discapito di tutto e  tutti. Per queste finalità  la produzione è massimizzata  a tal punto da pregiudicare la sicurezza delle attività.  Gli investimenti per gli impianti di depurazione, per le procedure di controllo atte a  scongiurare disastri ambientali e salvaguardare la salute    dei lavoratori sono esigue o nulle. Comunque insufficienti  a scongiurare danni all’ambiente  con pesanti  ricadute economiche e sociali  sull’intera  popolazione. Tutto ciò si svolge sotto lo sguardo indulgente e accondiscendete degli organi esecutivi  e legislativi che da tempo hanno ceduto le proprie prerogative di governo ai potentati economici.  

Se non si pianifica  una seria azione di contrasto per rimettere al primo posto l’interesse della collettività a scapito del profitto , gli incendi come quelli della Mecoris si ripeteranno a ciclo continuo, così come periodicamente  comparirà la schiuma nel Sacco. 

Non si tratta di pianificare  pericolose azioni rivoluzionarie ma molto semplicemente di attuare la Costituzione che se al primo comma  dell’art. 41 recita: “L’iniziativa economica privata è libera” nel secondo comma, raramente citato , è scritto che essa : “Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. Una prescrizione del tutto inattuata da attività come la  Mecoris, dalle fabbriche della Valle del Sacco che non pre-depurano le acque e le scaricano  direttamente verso il fiume, da Acea che distribuisce ricchi dividendi ai suoi azionisti dimenticandosi di ammodernare un’obsoleta rete idrica. 

A dire il vero quasi nessuna delle suddette  "iniziative economiche   private" si svolge nel rispetto del secondo comma dell’art.41. Che fare allora? E’ ancora la Costituzione a suggerirlo nell’art. 43 in cui si afferma che: A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale. 

Questo dovrebbe essere il nuovo orizzonte di lotta. Costringere le attività private a rispettare la dignità umana attraverso ritmi di lavoro sostenibili, produzioni controllate e non inquinanti. Se ciò non si realizza entra in gioco l’espropriazione, magari senza indennizzo, da trattenere a risarcimenti dei danni. 

E’ questo il solo modo per risolvere definitivamente il problema di una terra che periodicamente viene deturpata da attività incontrollate causa della devastazione ambientale dell’aria dell’acqua e del suolo. Mi rendo conto che è un’operazione difficile, ma non ci sono alternative. Pensiamoci prima di correre dietro alla prossima schiuma.

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