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La vicenda dell’incendio divampato presso la ditta di
smaltimento rifiuti Mecoris di
Frosinone, ha aperto l’ennesimo fronte di indignazione, protesta e rabbia presso i cittadini del capoluogo e
della Provincia. Da cinque giorni miasmi attanagliano le vie respiratorie della
popolazione, le informazioni rassicuranti da parte degli organi istituzionali
suonano stonate di fronte a ciò che si
vede e si respira in città.
Risulta peraltro inquietante come le stessi
istituzioni, velatamente, mostrino di non sapere con precisione cosa contenesse
il sito andato a fuoco, quando, in base alla documentazione per la quale la
Mecoris ha ottenuto il permesso di operare, il materiale stipato nel capannone
in fiamme dovrebbe avere una specifica
connotazione a termine di legge. Ciò alimenta il dubbio sulla reale natura dei
rifiuti che stanno bruciando e sulle procedure di controllo atte a monitorare
la corretta attività dell’azienda.
Le associazioni e i cittadini si stanno mobilitando
organizzando flash-mob, e altre forme di protesta per invocare rigorosità nei controlli e
trasparenza nelle informazioni. Una riposta forte, molto forte è in atto , oggi
per la prima volta il sindaco del capoluogo ha subito una pesante contestazione
da parte di un buon numero di cittadini presenti in consiglio comunale.
Temo
però che, passato l’impatto emotivo, il malcontento sia destinato a sciogliersi come neve al sole fino alla prossima comparsa della schiuma nei
fiume Sacco, al prossimo incendio di siti pericolosi per l’ambiente. Che i cittadini si indignino e si sollevino
con forza ogni volta che si ripresenta
un’emergenza è indubbiamente positivo, ma è possibile alzare il tiro?
Mobilitarsi affinchè non vi siano più emergenze anziché corre dietro ogni volta
all’ennesimo incendio all’ennesimo
episodio d’inquinamento del fiume Sacco?
Certamente, ma sarebbe necessario un
salto qualitativo dell’azione, di protesta prima, e di proposta poi. Ad
un’analisi più approfondita tali disastri sono accomunati per lo più dalla
stessa causa. Ovvero l’ottenimento del massimo profitto a discapito di tutto e tutti. Per queste finalità la produzione è massimizzata a tal punto da pregiudicare la sicurezza
delle attività. Gli investimenti per
gli impianti di depurazione, per le procedure di controllo atte a scongiurare disastri ambientali e
salvaguardare la salute dei
lavoratori sono esigue o nulle. Comunque insufficienti a scongiurare danni all’ambiente con pesanti
ricadute economiche e sociali
sull’intera popolazione. Tutto
ciò si svolge sotto lo sguardo indulgente e accondiscendete degli organi
esecutivi e legislativi che da tempo
hanno ceduto le proprie prerogative di governo ai potentati economici.
Se non si pianifica una seria azione di contrasto per rimettere al
primo posto l’interesse della collettività a scapito del profitto , gli incendi
come quelli della Mecoris si ripeteranno a ciclo continuo, così come periodicamente
comparirà la schiuma nel Sacco.
Non si
tratta di pianificare pericolose azioni
rivoluzionarie ma molto semplicemente di attuare la Costituzione che se al primo
comma dell’art. 41 recita: “L’iniziativa economica privata è libera”
nel secondo comma, raramente citato , è scritto che essa : “Non può svolgersi in contrasto con l’utilità
sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità
umana”. Una prescrizione del tutto inattuata da attività come la Mecoris, dalle fabbriche della Valle del Sacco
che non pre-depurano le acque e le scaricano direttamente verso il fiume, da Acea che
distribuisce ricchi dividendi ai suoi azionisti dimenticandosi di ammodernare
un’obsoleta rete idrica.
A dire il vero quasi nessuna delle suddette "iniziative economiche private" si svolge nel rispetto del secondo comma dell’art.41. Che fare allora? E’
ancora la Costituzione a suggerirlo nell’art. 43 in cui si afferma che: A fini di
utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante
espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di
lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si
riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni
di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale.
Questo dovrebbe essere il nuovo orizzonte di
lotta. Costringere le attività private a rispettare la dignità umana attraverso
ritmi di lavoro sostenibili, produzioni controllate e non inquinanti. Se ciò
non si realizza entra in gioco l’espropriazione, magari senza indennizzo, da
trattenere a risarcimenti dei danni.
E’ questo il solo modo per risolvere
definitivamente il problema di una terra che periodicamente viene deturpata da
attività incontrollate causa della devastazione ambientale dell’aria dell’acqua
e del suolo. Mi rendo conto che è un’operazione difficile, ma non ci sono
alternative. Pensiamoci prima di correre dietro alla prossima schiuma.
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