“ L’America ha radici profonde nella
cultura nera: le sue espressioni di gergo, il suo umorismo, la sua musica .
Quale ironia che il nero- che più di ogni altro ha il diritto di rivendicare
come propria la cultura dell’America – sia perseguitato e oppresso; che il nero , che nella sua
stessa esistenza ha dato tanti esempi di umanità, sia ricambiato con un
trattamento inumano”
Ciò è quanto
il sassofonista Sonny Rollins scrisse nelle note di copertina di “Freedom Suite”.
Album che incise nel 1958 per la Riverside insieme con Max Roach ed Oscar
Pettiford. In realtà il testo comparve solo nella prima edizione del disco, fu
poi rimosso nelle successive pubblicazioni.
In effetti se andiamo a considerare
le evoluzioni della musica jazz, dalle forme prejazzistiche, fino al free e
oltre, ogni nuova espressione attinge e si genera dagli stilemi più radicati
nella cultura nera. In ogni nuovo stile echeggia qualcosa di ciò che ha
contraddistinto il linguaggio dei maestri
del passato, al netto delle manipolazioni commerciali operate per lo più
dai bianchi.
Come ogni forma culturale che si rispetti anche quella
afroamericana, che Rollins identifica con la cultura americana tout court,
impone che si debba partire dalle radici del passato per proporre
anche la più ardita delle sperimentazioni.
Gli Art Ensemble of Chicago sono il
più fulgido esempio di questa dinamica. Il gruppo era
fortemente connotato come il profeta
della musica free, ma spesso nei loro concerti partiva un caustico blues, o s’imponeva
all’attenzione degli ascoltatori un pezzo degli echi boogie woogie o addirittura funky.
Non è un caso che tre di
loro, Joseph Jarman ai sax, Malachi Flavors al contrabbasso e Famoudou Don Moye
alla batteria apparivano sul palco con il
viso pesantemente truccato come monaci officianti atavici riti politeisti,
erano avvolti in tuniche colorate e sgargianti per ribadire la
propria origine africana. Gli altri due componenti, invece, vestivano diversamente. Lester Bowie, alla tromba, si esibiva indossando
un camice bianco da dottore e Roscoe
Mitchell l'altro sassofonista, suonava in jeans camicia, o maglietta, secondo il tipico stile freak .
Il look dei cinque, dunque, mostrava la precisa
genesi di quella cultura nera che Rollins
definisce autenticamente americana. Anche l’utilizzo degli strumenti,
comprendente una vasta gamma di percussioni, fischietti, cimbali, è testimonianza di una precisa provenienza e
culturale.
Oggi, a cinquant’anni dalla loro comparsa sulla scena, il gruppo è ancora in
piena attività diffondendo indefesso il suo messaggio. Purtroppo tre di loro
sono scomparsi Lester
Bowie, Malachi Flavors e più recentemente Joseph Jarman . Ma Roscoe Mitchell e Famoudou Don Moye continuano la storia di
un gruppo (insieme a Dudù Kouatè alle
percussioni -senegalese trapiantato da
anni a Bergamo - e alla bassista Silvia Bolognesi ), il cui
nucleo non si è mai disgregato.
Mitchell-Bowie-Don Moye-Flavors-Jarman sono
stati sempre insieme, magari allargando in alcune fasi l’organico ad altri musicisti. Il loro
messaggio politico e sociale passa anche da questa longevità nel condividere la
propria esperienza artistica. Per il
gruppo musica e vita erano un tutt’uno. La collegialità degli AEOC si esprimeva
fin dentro alle loro singole vite.
Condividevano tutto, passione, rabbia, gioia, tristezza, ma anche e soprattutto identità e valori.
Art Ensemble of Chicago era un vero e proprio “Collettivo” nell’accezione
classica del movimentismo sociale radicale nato nel secolo scorso . La
testimonianza di Silvia Bolognesi, bassista attuale del gruppo è illuminante da
questo punto di vista : “Mi raccontavano (Don e Roscoe nda) che ognuno di loro cinque, fin da subito,
insegnava agli altri nuove conoscenze musicali, a partire dai propri strumenti.
Passavano le ore assieme a provare e suonare. La loro vita era la musica e
viceversa. Ancora oggi provano sempre qualcosa di nuovo. Non si fermano. Vanno
avanti. Noi più giovani rimaniamo a bocca aperta di fronte a tanta energia e
creatività”.
Dunque gli AOEC,
non ci danno testimonianza solamente di un grande processo creativo e
culturale, ma indicano inequivocabilmente quale sia la via per praticare intensamente
un’esperienza collettiva efficace ed incisiva nell’attività
politica e sociale, dove deve essere sempre il noi a trionfare sull’io.
Una lezione
da apprendere fin nei minimi dettagli per
molti movimenti sociali che spesso falliscono, o diventano insignificanti, proprio perché c’è
sempre qualcuno che vuole ergersi a protagonista, oppure si agitano fronde e
correnti, tutti contro tutti perdendo di vista le motivazioni vere dell'agire insieme.
Per festeggiare i cinquant’anni di attività i
rinnovati AEOC hanno pubblicato un doppio CD “We Are on The Edge a 50TH Anniversary Celebration” per la “Juno
Record . Un opera corale in cui a Don
Moye, Mitchell, Bolognesi e Kouatè si affiancano altri 13 musicisti. Un cd espressamente
dedicato ai vecchi amici scomparsi Jarman, Flavor e
Bowie, la cui testimonianza di fervore culturale e sociale rimarrà ben radicata
nel tempo ad indicare la strada futura sia nel campo dell’arte che in quello
della politica e della società.
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