mercoledì 28 agosto 2019

Urgente: difendere l'Amazzonia da Bolsonaro

Pstu
(sezione brasiliana della Lit-Quarta Internazionale)



Il 19 agosto la popolazione della città di San Paolo, capoluogo della regione più popolosa del Paese e dell'intero continente, ha visto il pomeriggio trasformarsi in notte, in uno strano fenomeno che ha causato paura e apprensione. Una densa nuvola nera si è abbattuta sulla regione e, in alcuni punti, è caduta una pioggia scura. Poco dopo, istituti come il National Institute of Meteorology (Inmet) hanno confermato che il fumo è nato dalla combustione in varie parti del Sud America, come il triplo confine tra Bolivia, Paraguay e Brasile, che fa parte del Pantanal, oltre che dell'Amazzonia. L'incendio, insieme a un fronte di aria fredda, avrebbe causato l'improvvisa oscurità. In altre città all'interno dello Stato, il cielo è apparso arancione.
Il caso ha attirato l'attenzione sullo scenario infernale che si sta verificando nella regione amazzonica dove bruciano da mesi le giungle dell'Amazzonia, dell’Acri e della Rondônia. Se è vero che questo periodo è da sempre epoca di roghi, è un dato di fatto che gli incendi sono i più grandi dal 2013 e che si stanno moltiplicando in un momento in cui di solito erano finiti.
La verità è che stiamo vivendo una vera catastrofe ambientale. Proprietari terrieri e taglialegna rimuovono e bruciano foreste per fare pascoli; i"Garimpeiros" [cercatori di minerali preziosi, ndt] e le miniere invadono le riserve indigene.
Il governo Bolsonaro non solo chiude gli occhi su questa tragedia. In precedenza, è stata la politica del governo a promuovere letteralmente la devastazione della terra e dell'ambiente per favorire le industrie agricole, quelle minerarie e i garimpos. Fin dalle elezioni, Bolsonaro promise di porre fine a qualsiasi tipo di protezione ambientale, di eliminare le riserve indigene e le quilombolas [piccoli nuclei i cui abitanti sono discendenti diretti di comunità di schiavi di origine africana fuggiti o liberatisi con la fine della schiavitù – ndt].
Una volta al governo, sta attuando quel progetto senza vie di mezzo.
Bolsonaro e il suo ministro dell'Ambiente, Ricardo Salles, smantellano l'Ibama (Istituto brasiliano per l'ambiente e le risorse naturali rinnovabili), l'organismo responsabile dell'esecuzione delle politiche ambientali.Viene modificato il consiglio direttivo dell'Icmbio, un istituto che sovrintende alle unità di conservazione, imponendo un colonnello della polizia militare di San Paolo alla presidenza; il culmine della persecuzione degli organismi ambientali e di ricerca sono state le dimissioni del presidente dell'Inpe (National Institute of Space Research), Ricardo Galvão. Bolsonaro ha contestato i dati del riconosciuto organismo di ricerca sulla progressione allarmante del disboscamento in Brasile e ha accusato i suoi scienziati di essere collegati alle Ong.
Bolsonaro ha negato di aver disboscato e poi ha contestato i dati degli istituti di ricerca. Ora, non potendo più nascondere i fatti, in modo intimidatorio accusa le Ong di aver bruciato l'Amazzonia.
Il ministro Salles, da parte sua, ritiene responsabile degli incendi la popolazione residente, povera gente che soffre più di tutti di questo inferno, causato da aziende di legname e industrie agricole. Ricardo Salles, per di più, era già stato condannato per aver favorito le compagnie minerarie quando faceva parte del governo di Geraldo Alckmin (Psdb).
La barbarie ambientale cui stiamo assistendo fa parte di quella politica del governo di Bolsonaro che incoraggia il progressivo disboscamento, i garimpos e gli incendi: e lo fa con il suo intervento politico, con la persecuzione di scienziati e organismi ambientali e con lo smantellamento di tutto il servizio pubblico nella zona, che gli è ostile. Per questo, perseguita gli indigeni e le quilombolas e, di recente, ha approvato una legge che autorizza il trasporto di armi nelle proprietà rurali.
È una politica di sterminio della foresta e delle persone che dipendono da essa. Questa politica è collegata al suo progetto di consegna del patrimonio nazionale al capitale straniero, compresa l'Amazzonia e le sue risorse, a grandi compagnie minerarie internazionali.
È necessario scendere in piazza e difendere la foresta pluviale contro questo governo criminale.
Difendiamo l'ambiente e le popolazioni indigene, quelle fluviali e le quilombolas da questo massacro.
Via Salles subito!
L'Amazzonia resta, Bolsonaro va!
(traduzione di Giacomo Biancofiore e Mario Avossa dal sito www.litci.org )

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