giovedì 21 novembre 2019

Con il Mes il rischio di passare dalla padella alla brace

Alfonso Gianni (il manifesto 21 novembre 2019)



Le fibrillazioni interne al governo non vengono solo dalla legge di bilancio su cui piovono migliaia di emendamenti, buona parte dei quali dall’interno delle stesse forze di maggioranza. Ma anche da una vicenda tenuta fin qui come la polvere sotto il tappeto, che non poteva non riemergere con un certo fragore. Alcuni commentatori, che come al solito leggono le questioni europee dal buco della serratura degli scenari politici del nostro paese, hanno parlato del risorgere di una tenaglia pentaleghista che assedia il Conte due. Mettendo insieme cose tra loro diversissime, come lo ius culturae e la revisione dei decreti “sicurezza” con la “riforma” in itinere del Mes, il meccanismo europeo di stabilità, ovvero il Fondo Salva-Stati. Se la prima questione riporta in superficie la vena xenofoba e securitaria che attraversa in particolare il M5S, a cominciare dal suo “capo politico”, la seconda merita tutt’altra valutazione. Delle modifiche al funzionamento del Mes avevano cominciato a parlare la Merkel e Macron nel vertice franco-tedesco, tenutosi a Mesemberg il 19 giugno dell’anno scorso. Da lì era cominciato un cammino che passando attraverso diverse riunioni europee, dal vertice euro del dicembre 2018 all’Eurogruppo dello scorso 7 novembre, ha infine portato  il presidente Centeno ad affermare che i lavori tecnici e legali erano stati concordati e chiusi. Quindi il pacchetto è pronto per giungere nei parlamenti europei, dai quali come al solito si pretende una semplice ratifica.  Ma non si tratta di bruscolini, tanto che anche da parte dell’ex capoeconomista della Confindustria, Giampaolo Galli, nonché dallo stesso Governatore di Bankitalia, sono emerse preoccupazioni e aperte critiche. Queste, sommate alle proteste della Lega e degli stessi grillini che si sono sentiti tagliati fuori, hanno prima costretto Palazzo Chigi a negare che vi fosse già stato un accordo formale in sede Ue da parte del governo italiano e quindi a convocare un vertice di maggioranza per il primo mattino di domani. Nel frattempo Gualtieri, che difende le linee di riforma, si è dichiarato disponibile a essere sentito dalla commissione finanze  del Senato e dal Pd si fa velenosamente notare che la trattativa sulla materia era stata condotta dal ministro Tria. La modifica delle regole del Mes corrisponde in realtà ad un ulteriore giro di vite nella governance del tutto a-democratica della Ue. Infatti il potere decisionale passa dalla Commissione al Mes, che è un organismo intergovernativo formato da  tecnocrati. Questo dovrebbe valutare la sostenibilità del debito pubblico di un paese dell’eurozona ai fini della concessione di aiuti finanziari. Né la Commissione né la Bce potrebbero agire senza la decisione del Mes che potrebbe disporre di due linee di credito, una a paesi ritenuti solidi sulla base di una semplice lettera di intenti, l’altra a paesi che non soddisfano tutti i requisiti, in questo caso sottoponendoli a un preciso Memorandum. In sostanza il Mes agirebbe come una sorta di Fondo monetario europeo, sostituendo il Fmi in una rinnovata Troika, dotato del potere di costringere un paese a ristrutturare il proprio debito in modo preventivo rispetto alla richiesta di aiuti. La vicenda greca si ripropone sotto altre vesti. L’invasività del Mes nelle politiche di bilancio degli stati membri diventerebbe clamorosa, tale da porre seri aspetti di incostituzionalità alla luce della nostra Carta fondamentale. Sarebbe un’applicazione perversa, ma dal loro punto di vista logica, di quell’austerità espansiva di cui hanno straparlato le elite europee. Anche Visco ha recentemente avvertito che gli eventuali benefici di una ristrutturazione del debito dovrebbero essere messi a confronto col fatto che il solo suo annuncio potrebbe innescare aspettative di default. In attesa del vertice di venerdì la linea del Conte due sembra essere quella del rinvio delle decisioni, dati i tempi strettissimi, visto che incombe l’Eurogruppo del 4 dicembre e il vertice dei capi di Stato e di governo del 13 dello stesso mese, con l’a richiesta di varare un pacchetto che comprenda anche passi avanti in tema di unione bancaria. Ma questa pare arenata sul tema dell’assicurazione comune dei depositi, avendo contro la Germania e i Paesi del Nord Europa, che vorrebbero che gli istituti bancari italiani si alleggerissero del fardello degli Npl (i crediti non o difficilmente esigibili) e che i titoli di stato non siano più risk-free, un guaio per le nostre banche che si sono riempite di Btp. Non sarebbe uno scambio, ma un passaggio dalla padella alla brace.

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