venerdì 13 settembre 2019

Contro il logorio della vita post-moderna sentitevi "City Night" dei Savoy Brown

Luciano Granieri




Avete presente quando non ne potete più di mettervi in competizione con gli altri per spuntare uno spicchio di vita decente, quando non vi  va nemmeno di litigare perché uno vi è passato avanti al banco alimentari di un super mercato, o vi sopravanza al bancomat fingendo di non avervi visto?

Ecco l’unica cosa che desiderereste , per sfuggire al “logorio della vita moderna”, come diceva la reclame, è rifugiarsi nelle solide certezze delle  proprie piccole passioni. Sono cose  apparentemente senza una grande importanza ma spesso rigeneratrici . Una di queste potrebbe essere ascoltare un disco capace di costruirti intorno  un nido  emozionale stimolante e rassicurante al tempo stesso .  

In particolare  per chi è appassionato di blues,  “City Night”, l’ultimo CD di Savoy Brown, pubblicato  dalla Quarto Valley Record, potrebbe essere il toccasana dopo una giornata  cosiddetta....  di  melma. Riff mozzafiato, smisurate corse di slide guitar, arpeggi da saltare sulla sedia, tutto ciò si trova nella quarantesima fatica della premiata ditta del chitarrista Kim Simmonds and Savoy Brown

Già quarantesima, perché il musicista  inglese  è  on the stage dal 1965  percorrendo in lungo ed in largo l’Inghilterra, gli  States  dove risiede dal 1980,   ed ogni angolo del globo. Ci troviamo di fronte alla più  longeva band di Rock Blues mai esistita.  Dopo oltre 50 anni e quaranta  album, la carica emotiva di questo corroborante pugno di navigati bluesman è rimasta intatta. 

Dal 65’ ad oggi,  a  fianco di Kid Simmonds, nei   Savoy Brown, si sono alternati tanti  musicisti,. Alcuni di loro qui  si sono fatti  le ossa per poi intraprendere   importanti carriere  come ad esempio Dave Walker dei  Fleetwood Mac. Molti gruppi famosi della scena blues hanno condiviso il palco con la band, ZZ Top e Doobie Brothers fra gli altri. Si può tranquillamente affermare che Simmonds sia stato un vero e proprio ambasciatore del blues in Inghilterra insieme ai Cream,   Fleetwood  Mac  e Jimi Hendrix. 

In City Night, oltre al cantante  chitarrista inglese, trapiantato in California,  si ascoltano  Pat DeSalvo al basso e Garnet Grimm alla batteria. Una line up che,  contrariamente alla tradizione di Savoy Brown,  in cui la turnazione di musicisti è  stata continua resiste   da 10 anni.  Sul fatto che non ci sia nulla da eccepire in merito alla tecnica  di Simmonds   basti dire che un suo brano è entrato nella colonna sonora del film  “Jimi Hendrix : All Is By My Side” girato nel 2013 e dedicato alla travagliata vita di Jimi. Ma anche DeSalvo e Grimm non sono da meno .  

Però  non è la tecnica, né la sperimentazione, che vanno  ricercata in “City Night”. Semplicemente ci si trova davanti ad un disco di  blues senza se e senza ma. Dentro c’è tutto. Vi piacciono le scintillanti svisate slide? Le trovate in   Walking On Hot Stones, Red Light Mama, ma anche in  Don’t Hang Me Out To DryConjure Rhythm   Simmonds va come un treno . Preferite un blues più classico? Neighborhood Blues è il pezzo . Oppure vi va di ascoltare rarefatte atmosfere del profondo sud? Niente di meglio che deliziarsi alle note di Superstitious Woman. Ma se il vostro  "crac" è  la miscela  esplosiva blues-rock  “sparatevi”  a tutto volume Hang In Tough, e Ain’t Gonna Worry. E se volete dimenarvi sotto i colpi di un potente  blues  dal martellante riff il brano è  “City Night” che da il titolo all’album. 

Insomma mettetevi davanti allo stereo, o al computer o a qualsiasi altro aggeggio e “fatevi di blue note!!!... 

Contro il logorio della vita post-moderna ascoltate City Night di Savoy Brown. Non vi piace il blues? Mi dispiace non posso farci nulla, io il consiglio ve l’ho dato. Vorrà dire che resterete perennemente incazzati come Salvini. Del resto il blues non è roba da neri?


mercoledì 11 settembre 2019

20-27 settembre: settimana globale di lotta contro il cambiamento climatico

Dichiarazione della Lit - Quarta Internazionale



La crisi climatica e ambientale non è il prodotto di un disastro naturale. La sete di profitto del capitalismo imperialista è responsabile di questa distruzione. Ciò che sta accadendo oggi in Amazzonia ne è la prova tragica. La foresta pluviale amazzonica è in fiamme, gli animali muoiono bruciati, la flora viene distrutta, il clima viene contaminato non solo nella regione, ma a migliaia di chilometri di distanza, conseguenza del folle disboscamento promosso dai proprietari delle terre, delle aziende minerarie e del legname.
L'aggressione all'Amazzonia è in atto da molto tempo e sono stati i popoli indigeni e i lavoratori siringueros ad averla subita storicamente. Questa lotta è costata la vita a Chico Mendes e ad un gran numero di attivisti e dirigenti. Questa aggressione, in difesa degli interessi delle imprese, ha sempre avuto il sostegno diretto o subdolo dei diversi governi, e oggi subisce un’impennata grazie alla politica del governo Bolsonaro che sta conducendo a questa barbarie ambientale, che, a sua volta, sta provocando una forte risposta con le mobilitazioni in Brasile e nel mondo.
Il disastro dell’Amazzonia è oggi l'esempio più evidente della distruzione ambientale, ma non costituisce una eccezione. Questa distruzione provocata dal capitalismo è un fenomeno mondiale, che si intensifica nei Paesi coloniali e semicoloniali oppressi e sfruttati dall'imperialismo. Una testimonianza di questa realtà può essere data dai popoli che hanno dovuto scontrarsi con le multinazionali minerarie, o quelle del petrolio, del'idroelettricità, dell'agroalimentare, in Ecuador, in Perù, in Bolivia, in Cile,  in Argentina... che distruggono il loro ambiente e i loro mezzi di sostentamento, così come causano le massicce migrazioni dal continente africano. Ma questa distruzione è causa di sofferenze quotidiane anche per le popolazioni delle grandi città dei Paesi imperialisti.
Il cambiamento climatico è già una realtà palpabile
La concentrazione di diossido di carbonio (anidride carbonica) nell'atmosfera prima dell'era industriale era di 280 parti per milione (ppm), e oggi ha già raggiunto 415 ppm. La temperatura globale è aumentata di circa 1 °C, avvicinandosi al limite di sicurezza di + 1,5 °C stabilito dall'accordo di Parigi, un valore che raggiungeremo tra pochi anni. E questo è solo uno dei problemi ambientali che il capitalismo causa, che si aggiunge alla depredazione e alla distruzione di grandi territori da parte di aziende energetiche, minerarie e del legname, al massiccio inquinamento di fiumi e mari e alla selvaggia urbanizzazione di intere aree.
Al momento della stesura di questo manifesto, i dati indicavano che lo scorso mese di luglio (l'ultimo in cui è stata eseguita la misura) è stato il più caldo mai registrato. Anno dopo anno, i record vengono infranti. Le conseguenze sono ben note: eventi meteorologici estremi, siccità, colture perse, ondate di calore sempre maggiori, desertificazione e distruzione di terreni, incendi sempre più intensi.
Questa crisi ecologica globale ha portato a un'estinzione di massa delle biodiversità, con un tasso di estinzione 10.000 volte superiore a quello naturale, e circa un milione di specie minacciate. Numerose popolazioni in Africa o in America Centrale sono costrette ad abbandonare le loro terre per unirsi alle ondate migratorie. L'umanità è davvero sull'orlo di un collasso ecologico di conseguenze difficilmente prevedibili. Non a caso, molti scienziati hanno adottato il concetto di «antropocene», ovvero la definizione di una nuova era geologica che enfatizza il ruolo dell'essere umano nella trasformazione del mondo biofisico e nell'origine dei problemi ambientali globali. Tuttavia, questo concetto appare riduttivo, poiché ignora il ruolo centrale che hanno le relazioni di potere, lo sfruttamento e le disuguaglianze sociali prodotte dal sistema capitalista, come vedremo in seguito.
La crisi ecologica: una questione di classe
Dire che la colpa della situazione attuale è genericamente del «comportamento umano» o fondamentalmente del modello basato sui consumi individuali, significa mascherare la realtà. Il cambiamento climatico ha dei responsabili che hanno un nome e cognome. Solo 100 grandi aziende sono responsabili del 70% delle emissioni globali. Sono grandi compagnie petrolifere, energetiche e estrattive di carbone e gas.
Queste imprese accumulano fortune gigantesche nel portafoglio di pochi individui, incuranti di distruggere il pianeta. Guardando al rovescio della medaglia, la classe lavoratrice e i settori popolari, specialmente nei Paesi semi-coloniali (che hanno meno responsabilità), sono quelli che pagano le conseguenze più devastanti, sotto forma di inondazioni, cicloni, insicurezza alimentare o vedendosi costretti a migrare. Pertanto, anche la crisi climatica ed ecologica è una questione della lotta di classe.
L'imperialismo e i governi nazionali sono responsabili
Dal vertice di Rio de Janeiro del 1992, quando è stata adottata la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici, sono trascorsi 27 anni e altre 24 conferenze internazionali. Invece di aver avuto qualche utilità, la situazione è andata peggiorando. Senza andare indietro nel tempo, tra il 2017 e il 2018, le emissioni globali sono aumentate del 2,7%.
Governi come quello di Trump e di Bolsonaro assumono apertamente la difesa dei grandi interessi capitalisti, rifiutando esplicitamente seppur minime misure di controllo. Ma la verità è che tutti i governi, da quelli di Merkel e Macron sino a quello di Evo Morales (che al servizio delle imprese dell'agroalimentare ha esteso la frontiera agricola a scapito delle aree di preservazione ambientale), fanno semplicemente una messa in scena teatrale per fingere che stanno cercando di risolvere qualcosa, cercando di placare la preoccupazione per questo problema. L'ipocrisia dei leader della Germania e della Francia è insopportabile: cercano di apparire come campioni della difesa dell'Amazzonia, mentre sono due dei Paesi che hanno il più grande impatto sull’ecologia. Al di là delle chiacchiere, non hanno mai intrapreso un’azione veramente efficace. Questo perché sono essi stessi al servizio degli stessi capitalisti che si arricchiscono producendo le emissioni e provocando il degrado ambientale.
In tal senso, vogliamo denunciare e prendere le distanze dai cosiddetti «partiti verdi», o dai partiti neo-riformisti che stanno cercando di apparire come «ecologisti», come ad esempio Syriza o Podemos. E che in realtà, hanno rinunciato a qualsiasi cambiamento radicale e hanno svolto istituzionalmente la funzione di «stampelle» a sostegno dei governi della vecchia socialdemocrazia (oggi più correttamente social-liberalista), e delle borghesie imperialiste e ugualmente predatrici dell'ambiente. Anche dove questi partiti hanno governato, come in Grecia, l'equilibrio sociale ed ecologico difficilmente avrebbe potuto essere peggiore.
Può esserci un capitalismo verde?
Le istituzioni ufficiali stanno elaborando una narrazione finalizzata a promuovere la cosiddetta «economia verde», una politica ambientale caratterizzata dalla mercificazione delle risorse naturali e che esalta le soluzioni di mercato, apparentemente mirata a salvare l'ambiente. Esempi di questa politica sono le concessioni di spazi forestali pubblici al settore privato, la certificazione «sostenibile» di prodotti come il legname tropicale e l'implementazione del programma di Riduzione delle Emissioni per la Deforestazione e la Degradazione delle foreste, che serve solo gli interessi del capitale finanziario.
Essa consisterebbe nel promuovere un nuovo modello economico, che renda le «aziende sostenibili» più redditizie di quelle «inquinanti» in modo da rimpiazzarle, ad esempio, cambiando i combustibili fossili con le energie rinnovabili. Il problema di fondo di questo approccio è semplice; ed è che il capitalismo è assolutamente insostenibile dal punto di vista ambientale. Il ciclo di riproduzione ampliato del capitale dipende da una crescente appropriazione delle risorse naturali, ad un ritmo molto maggiore rispetto al tempo necessario alla rigenerazione della natura. I sistemi naturali si sviluppano nel corso dei secoli e il loro ciclo di recupero è incompatibile con il ciclo della riproduzione del capitale, che impone un forte e intenso sfruttamento delle risorse naturali, portando alla rottura della sua dinamica naturale.
Vedendo le conseguenze della Rivoluzione industriale, Karl Marx già poneva in guardia su questo approccio,  accusando la produzione capitalista di «perturbare l'interazione metabolica dell'uomo e della terra», cioè lo scambio di energia e materiali tra l'uomo e il suo ambiente naturale, condizione necessaria per l'esistenza della civiltà. Secondo Marx, «distruggendo le caratteristiche di quel metabolismo, ella [la produzione capitalista] impedisce il suo recupero sistematico come legge regolatrice della produzione sociale, in una forma adeguata al pieno sviluppo della razza umana».
Per alimentare la produzione di merci, il capitalismo ha sviluppato, negli ultimi 200 anni, un «modello fossile». L'industria, i trasporti, l'energia, persino l'agricoltura, funzionano attraverso  un'infrastruttura alimentata da combustibili fossili. Cambiare il modello su una scala sufficiente per affrontare il cambiamento climatico significherebbe necessariamente distruggere tutte le infrastrutture attuali, per ricostruire qualcosa di diverso su scala globale. Nessun fondo di investimento finanziario, nessun trust capitalista multinazionale, è disposto a investire una quantità incommensurabile di capitale per «salvare il clima», sacrificando i benefici che continuerebbe ad otterrebbe semplicemente continuando a produrre come fatto finora.
Neanche i miglioramenti tecnologici in regime capitalistico costituiscono una soluzione. Quando un’impresa capitalista raggiunge una maggiore efficienza, la utilizza per ridurre i costi e produrre quantità maggiori di merci, per massimizzare i suoi profitti. Non rinuncia mai a guadagni maggiori per consumare meno risorse; tra l'altro, se lo facesse, vi sarebbe un'altra impresa che userebbe rapidamente la maggiore efficienza per soppiantarla sul mercato.
In tal senso, il concetto di «capitalocene» è più corretto, come suggeriscono alcuni ricercatori marxisti, che partono dall’osservazione che i comportamenti umani sono determinati sempre dalle relazioni politiche ed economiche nel contesto del capitalismo globale. Pertanto, la difesa dell'ambiente deve essere parte integrante della lotta dei lavoratori contro lo sfruttamento capitalista. L'essere umano supererà l'alienazione rispetto alla natura solo quando sarà libero dallo sfruttamento del lavoro. È una lotta anticapitalista e antimperialista e, essenzialmente, finalizzata  alla costruzione di una società socialista. Una società basata su nuovi rapporti di produzione per superare la separazione tra la campagna e la città e per stabilire un rapporto equilibrato con la natura, «condizione inalienabile per l'esistenza della riproduzione della catena delle generazioni umane», come ha sottolineato Marx.
Ma questo non significa trascurare le lotte attuali. Le lotte in difesa di acqua, suolo e habitat, che oggi hanno un collante mondiale nella difesa dell'Amazzonia, devono essere accompagnate dalla strategia del superamento del sistema capitalista,  per la costruzione di una società in cui la classe operaia detenga il potere politico ed economico. Pertanto, presentiamo alcune misure che costituiscono proposte transitorie.
È necessaria una serie di incisive misure anticapitaliste
L'unico modo per affrontare la sfida dei cambiamenti climatici in modo realistico ed efficace è adottare misure anticapitaliste, rivoluzionarie e socialiste che pianifichino l'economia ponendo al centro la sostenibilità ambientale e la giustizia sociale, in luogo dei benefici privati.
* Le grandi compagnie, in particolare quelle energetiche e petrolifere, le miniere e le banche, devono essere immediatamente nazionalizzate e le loro risorse gigantesche messe sotto il controllo dei lavoratori e della popolazione e al servizio di una promozione totale delle energie rinnovabili. Allo stesso tempo, è necessario applicare un piano incisivo di risparmio energetico.
*  Il sistema dei trasporti va trasformato, sviluppando un'ampia rete pubblica e sostenibile, che sostituisca il modello basato sull' uso di auto private e sia gratuito. Il modello urbanistico, del lavoro e del turismo deve favorire gli spostamenti minimi e fermare immediatamente l'urbanizzazione selvaggia.
* L'industria deve essere sottoposta a una rigorosa limitazione delle emissioni, adattando i suoi processi di produzione alla sostenibilità, invece di far risparmiare costi ai suoi proprietari e deve porre fine allo stratagemma del commercio dei diritti di emissione. Durata, riutilizzo e riciclaggio devono essere criteri obbligatori, eliminando produzioni superflue o distruttive.
* Dobbiamo porre fine a modelli industriali dell'agricoltura e dell’allevamento, nelle mani delle grandi aziende, per adattarli a modelli ecologici e razionali.
* Difesa incondizionata dei popoli delle foreste e di altre comunità tradizionali che guidano i movimenti socio-ambientali contro la distruzione dei loro territori causati dall'azione di grandi aziende. Queste popolazioni (indigene, contadine e quilombole) sono imprescindibili per la difesa dell'ambiente, a causa della loro cultura e del loro stile di vita. Ecco perché sosteniamo ogni lotta per la difesa dei loro territori.
* In difesa dell'Amazzonia, la più grande foresta pluviale del pianeta e delle popolazioni ancestrali che la abitano
* Limitazione radicale dell'uso di transgenici e prodotti agrotossici. I transgenici non sono altro che piante sviluppate per resistere a grandi quantità di pesticidi. Qualsiasi promessa di aumento della produttività e maggiore controllo dei parassiti è fallita rivelandosi una trappola per i piccoli contadini e ha contribuito solo a rafforzare i grandi monopoli capitalistici nella produzione agricola. Questo è il motivo per cui difendiamo la limitazione dell'uso di questi prodotti, per impedirne l'uso.
* È   necessaria un ampia riforestazione, la protezione della biodiversità e il recupero degli spazi naturali.
* Tutte queste misure non devono comportare la perdità di un solo posto di lavoro. Tutti i lavoratori il cui luogo di lavoro è coinvolto in questi piani devono mantenere i loro salari e i loro diritti ed essere ricollocati in nuovi settori di lavoro. I nuovi posti di lavoro necessari verranno utilizzati per combattere la disoccupazione.
Mobilitazione globale dal 20 al 27 settembre. Come affrontiamo questa lotta?
Positivamente, cresce sempre più la consapevolezza dei cambiamenti climatici e dell'ambiente. È da qui che nasce la speranza di poter cambiare le cose. In diversi Paesi, tra il 20 e il 27 settembre, si sta preparando una settimana di lotta globale, che sta guadagnando forza giorno dopo giorno, rafforzata dalla mobilitazione globale in difesa dell'Amazzonia. Come Lit - Quarta Internazionale ci impegniamo a promuoverla in tutti i Paesi in cui siamo presenti. Saremo in tutti i luoghi di lotta, nei quartieri e nelle città, costruendo questa giornata per far si che sia una pietra miliare della lotta ambientale.
Molti attivisti sottolineano il tentativo di educare la popolazione ad adottare consuetudini per il risparmio energetico. Queste abitudini sono necessarie, ma non sono sufficienti e non vanno al nocciolo del problema. Il punto centrale deve essere rappresentato dalla lotta contro l'imperialismo e contro tutti i governi capitalisti e padronali, gemellati e al servizio dei proprietari delle grandi compagnie inquinanti.
Per porre fine all'imperialismo, con i suoi governi, per cambiare il sistema economico, abbiamo bisogno che la classe lavoratrice, mano nella mano con i giovani, prenda il controllo e guidi la lotta in difesa dell'ambiente. Alla fine, i capitalisti danno solo ordini, ma sono i lavoratori che fanno funzionare davvero l'economia, sono le nostre mani che hanno la capacità di trasformarla. Solo se la maggioranza dei lavoratori prende il potere nelle sue mani eviteremo il disastro ambientale e sociale e ricostruiremo il mondo su una base umana e razionale. Pertanto, chiediamo la partecipazione alla mobilitazione, insieme ai movimenti sociali, dei sindacati e dei partiti politici della classe operaia. Chiamiamo a una vasta unità di azione in questi giorni dal 20 al 27 settembre e per tutte le lotte ambientali in corso.
Questa è la lotta in cui è impegnata la Lit - Quarta Internazionale.

lunedì 9 settembre 2019

Governo giallo-fucsia? Non in mio nome

Luciano Granieri





Il governo “Bisconte” ha ottenuto, come previsto, la fiducia alla Camera . Un’indegna gazzarra ha coinvolto, in una giornata convulsa,  gli astanti dentro e fuori il palazzo. La mattina in Piazza Montecitorio  con la manifestazione contro il nascente esecutivo  e per l’indizione immediata  di elezioni - carnevalata organizzata dai Fratelli di Salò e dall’autogolpista bacia rosari - quindi fra i banchi della Camera  con gli stracci che   volavano, in particolare fra il nuovo-vecchio presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il pollaio avverso , urlante  e livoroso  inzeppato di autogolpisti sovranisti   e di manipoli  Fratelli Italioti.  

Che questo governo sia nato non proprio nell’interesse del popolo italiano, o almeno della stragrande maggioranza di esso , non è una boutade    di chi, invocando pieni poteri,   si è auto disarcionato dalla tolda della nave anti immigrati, o dei fascisti variamente declinati, o dei vecchi  turbo liberali in salsa berlusconiana ,  ma è una triste verità.  A dire il vero è dall’inizio del ventennio  maggioritario  che tutti i governi succedutisi nel corso degli anni hanno operato non tenendo conto degli interessi della collettività , ma in tutela della ristretta cerchia degli  invadenti potentati finanziari. Dunque   siamo nell’alveo dell’assoluta normalità.  

Del resto basta dare un’occhiata ai punti programmatici presentati dal governo giallo-fucsia per capire quanto questi siano  irrealizzabili. Perché l’archibugio dello stato sociale, caricato con i pallettoni delle maggiori risorse per la sanità, dell’aumento degli asili nido, della lotta alla diseguaglianze , del salario minimo garantito,  ed altre mirabilie simili,   non potrà mai sparare. Così come farà cilecca il cannone della politica economica espansiva caricato con i proiettili degli investimenti pubblici a sostegno della crescita .  Infatti a bagnare le polveri di queste macchine da guerra santa c’è quel proposito ben saldo  scritto nel punto uno del programma in cui si afferma che tutto ciò dovrà avvenire “senza mettere a rischio l’equilibrio di finanza pubblica” cioè senza mettere in dubbio il pareggio di bilancio  che pure abbiamo messo in Costituzione. Una codicillo che, alla luce di 2300 miliardi  e passa di debito, per lo più dovuti a speculazione e  ad interessi passivi, non consente di disporre neanche di mezzo copeco per finanziare tutte le fantasticherie  dei  giallo-fucsia. 

Si spera, con la potente infornata di ministri europeisti, capitanata dal titolare del dicastero economico Roberto Gualtieri, di spuntare qualche mezzo punto di flessibilità in più, in una congiuntura per altro favorevole  visto  che anche l’austera Germania  pare abbia bisogno di fare del deficit (almeno 50 miliardi) utile a  far ripartire la sua economia impantanatasi nelle secche da essa stessa create.  Infatti se  per spuntare  guadagni spropositati  impoverisci i tuoi clienti esteri ,tanto da non consentirgli più di acquistare i tuoi prodotti, se  metti sul lastrico i tuoi clienti interni a colpi di decurtazione di diritti e salari, tanto da costringere anch’essi a non comprare più nulla, è normale che, prima o poi,  ti trovi in braghe di tela . 


Si spera nel tesoretto dei soldi risparmiati   da quota 100 e di un nuovo corso europeo teso a modificare le regole del patto di stabilità, da rendere  meno rigido e vincolante per    investimenti  pubblici  necessari  a finanziare politiche espansive . Si confida nella nuova ondata di acquisto di debito pubblico da parte della BCE guidata  dalla neo presidente Christine Lagarde.  Briciole. Se  si arriva a tirare su 10-15 miliardi è grasso che cola. Considerato che solo per scongiurare l’aumento dell’IVA ne  servono 24 le conclusioni arrivano di conseguenza. 

Perché, anziché cianciare di flessibilità e golden rule per gli investimenti sulla green new deal, non s’impone una moratoria sul pagamento degli interessi sul debito per 5 anni,  quello almeno detenuto dalla BCE? Si risparmierebbe una cosuccia come 40 miliardi l’anno, centesimo più centesimo meno, altro che Quantitative Easing!  Ovviamente di tutto ciò non c’è traccia nel piano di governo. 

Come  poco,  della tanto invocata discontinuità, si rileva nel capitolo che riguarda i decreti sicurezza dove si legge  che” è necessaria la definizione di una organica normativa che persegua la lotta al traffico illegale di persone e all'immigrazione clandestina, ma che - nello stesso tempo - affronti i temi dell'integrazione. La disciplina in materia di sicurezza dovrà essere rivisitata, alla luce delle recenti osservazioni formulate dal Presidente della Repubblica”. Cioè campa cavallo!!!! Perché per una legge organica occorre tempo. Intanto  ogni volta che  una nave delle ONG si avvicinerà alle acque territoriali, continuerà lo squallido teatrino dei porti chiusi e dei  tira e molla su dove far sbarcare gli immigrati, provati e prostrati dalla permanenza nei lager libici. Fortunatamente a scrostare la legislazione dalle barbarie dei decreti sicurezza ci penserà la Corte Costituzionale, chiamata ad esprimersi sulla incostituzionalità, per altro conclamata,  delle farneticazioni salviniane,  da due ordinanze:  una emessa  un giudice di Milano, l’altra dal tribunale di Ancona.  

Alla luce di questi rilievi appare evidente che gli obiettivi di questo governo non vertono sul benessere dei cittadini, ma su qualcosa d’altro. Non è il mantenimento delle poltrone, o almeno lo è in minima parte.  Il governo giallo-fucsia, è nato per mantenere gli equilibri delle    correnti interne ai partiti spiazzati dall’improvviso autogolpe salviniano . 

Renzi, evitando le elezioni , ha salvaguardato il suo potere di condizionamento del partito attraverso la pattuglia parlamentare a lui fedele . Zingaretti, invece, avrebbe preferito votare  in modo da candidare  uomini suoi, togliendo il controllo di Deputati e Senatori dem  dalle mani  dello stesso  Renzi.  Alla fine temendo l’ennesima batosta nelle urne il segretario ha salvato capra e cavoli,   cedendo all’ex premier di Rignano , ma proponendosi come grande tessitore e mediatore con gli sprovveduti grillini   a salvaguardia  della tenuta democratica del Paese. 

Nei 5 stelle alla fronda dei parlamentari, non troppo incline a perdere la poltrona in caso di non ricandidatura e dunque contrarie ad elezioni,  si è opposta la fazione Casaleggio  al quale nuove elezioni avrebbero assicurato ulteriori profitti alla piattaforma Rousseau, con Di Maio battitore libero favorevole o contrario alle governo giallo-fucsia a seconda degli umori di giornata, comunque con il fermo proposito di rimanere aggrappato quanto più possibile  alla poltrona. La soluzione del "Bisconte" è stata quella più confacente all’equilibrio delle correnti interne ai partiti. Questa è la ragione sociale del nuovo governo e non altre.  


Infine una notazione su quei deficienti che stavano in piazza ieri mattina  invocando elezioni in nome del rispetto della sovranità popolare che, ricordiamo,  si esprime attraverso  elezioni,  magari svolte con una legge proporzionale, e non seguendo i sondaggi. Le manifestazioni di piazza sono una cosa seria.  Prima di scendere a protestare che si vada a studiare che si rivendichino istanze  vere ! Infatti,  nonostante questo esecutivo sia un obbrobrio, è l’espressione del Parlamento e, fino a prova contraria, la nostra è una Repubblica Parlamentare, dove si vota per i rappresentanti di Camera e Senato, non per i governi. Il dramma è  che questa sguaiata manifestazione, fra saluti fascisti (fuori legge) e crocifissi ostentati a mo’ di talismani esorcisti,  è stata organizzata proprio da rappresentati eletti in Parlamento. Che pena! 

Personalmente, se dovrò  scendere in piazza, lo farò insieme a chi è convinto che  per assicurare dignità, uguaglianza, benessere sociale ed economico a tutti i cittadini, sia  necessario smantellare totalmente le politiche liberiste che, da trent’anni almeno,  hanno vessato e impoverito la maggioranza della popolazione.  Ciò è oggi ancora più necessario visto che il governo giallo-fucsia ha realizzato la tanto invocata   unità della sinistra (Pd, LeU, quindi Si,  con la possibile confluenza di  Rifondazione come alle europee).

Quella  sinistra che, spacciando il riformismo come  efficace strumento di  controllo della voracità capitalista, ne asseconda le peggiori rapine.  Finalmente nelle piazze a combattere la privatizzazione del profitto e la socializzazione delle perdite, a contrastare il potere delle banche, degli hedge fund,  della  speculazione finanziaria , ci va chi è ben connotato,   fuori da quell’ambiguità di una cosa che oggi definiamo sinistra ma  che agisce non in nostro nome.


domenica 8 settembre 2019

MA CHI PARLA DI ELEZIONI SA QUEL CHE DICE?

di Felice Besostri|



Caro Manifesto, perché per invocare elezioni subito, si dice che bisogna dare voce al popolo?

In una democrazia i cittadini hanno naturalmente il diritto di parlare.
Nessuno deve dare a voce al popolo, ce l’ha per conto suo, senza bisogno di gridare in piana.
Più che voce al popolo bisognerebbe dare capacità di ascolto ai governanti, che si parlano tra loro, a ruoli invertiti di maggioranza e opposizione, intercambiabili.
Se non cambiano i partiti si cambia di partito/gruppo parlamentare, nella scorsa legislatura, 566, ma per soli 347 parlamentari su 945 elettivi, un buon 36,7%.
Voce a popolo?

Da noi gli appartiene addirittura la sovranità, che, però, gli e stata rubata come corpo elettorale.
Il corpo elettorale in alcune Costituzioni è, accanto a legislativo, esecutivo e giudiziario, il quarto potere dello Stato: anzi il primo da cui tutti gli altri derivano.
Persino le sentenze sono rese in suo nome.

In una democrazia rappresentativa il voto è la manifestazione più importante del popolo, che elegge i rappresentanti della Nazione (art. 67 Cost.)
un altro nome del popolo, come comunità.
Ebbene il diritto di voto secondo Costituzione gli è stato rubato nel 2005 mai più restituito.
Gliel’hanno rubato con leggi elettorali incostitiazionli dopo il Porcellum, l’ ltalikum e il Rosatellum.
Le prime due sono state annullate dalla Corte costituzionale, un record europeo.
La terza, la più ipocrita, il Rosatellum, la sarà appena un giudice la monderà in Corte costituzionale, si spera già in ottobre.

Chi non è complice del furto sa che come votare è più importante di quando, o almeno altrettanto. Purtroppo, questa verità non la solleva nessuno perché le leggi elettorali incostituzionali le hanno votate in molti, utilizzate tutti e facilitate anche chi poteva bloccarle nei suoi ruoli istituzionali.
Nessuno contrasta la demagogia dicendo “Cari signori non dovete darci la voce ma ascoltarci tutti i giorni, anche se non Gridiamo” o “Cari signori basta chiamarci a ratificare i vostri rappresentanti, la cui incapacità è evidente se si dovrà votare a poco più di un anno e mezzo dalle ultime elezioni”.

Adesso basta!
Per prima cosa, se credete che al popolo spetti decidere, invece di dargli la voce ridategli il diritto di scegliere i suoi portavoce, come in ogni democrazia che si rispetti.
Pubblicato su Il Manifesto