Da sempre Libertà e Giustizia si è impegnata
a difendere la Costituzione nella consapevolezza che essa è un corpo vivente, i
cui mutamenti devono mirare a renderla meglio preparata a rispondere alle sfide
della società che cambia ma senza stravolgerne l’identità. Difendere la
Costituzione non significa necessariamente dire no alle proposte di riforma.
L’attuale proposta di diminuire il numero dei
parlamentari non rappresenta in sé una violazione dei principi democratici e
rappresentativi. Lo prova anche il fatto che, nel corso della storia
repubblicana, sono state numerose e autorevoli le proposte di riforma che andavano
in tale direzione.
Sarebbe però sbagliato non contestualizzare
la proposta attuale, votata in parlamento e oggetto di referendum il 29 marzo
prossimo. Proponiamo soprattutto tre considerazioni che ci sembrano
fondamentali per chiarire la nostra posizione in merito a questo referendum.
La prima considerazione è che un’alterazione
della “quantità” dei seggi parlamentari dovrebbe mirare a un rafforzamento
della “qualità” della rappresentanza, attraverso un insieme di norme - a
partire dai regolamenti parlamentari alla legge elettorale – che mettano in
sicurezza e anzi migliorino il principio rappresentativo nella ragionevole esigenza
di assicurare un buon funzionamento dell’istituto parlamentare.
Al contrario, questa riforma indebolisce il
potere dei rappresentanti delle due camere e la stessa efficacia della
rappresentanza perché non accompagnata da una riforma della legge elettorale in
senso proporzionale e da adeguate forme di composizione delle liste di candidati.
Tale modifica del sistema di voto viene invece evocata più come tattica per
fare accettare questa riforma che come un reale convincimento del fatto che un
parlamento così eletto possa garantire un rapporto coerente tra il suo potere
legislativo e il potere dei cittadini.
La seconda considerazione muove dal fatto che
i tentativi di modificare gli assetti costituzionali cercando di ridimensionare
il più possibile l’organismo rappresentativo in nome di una supposta priorità
del principio della governabilità è stato alla base (del fallimento) della
seconda repubblica. Promuovere una riforma che muova ancora dall’ideologia
della governabilità e dalla presunzione che una maggiore governabilità si possa
ottenere attraverso l’indebolimento del potere legislativo è inattuale, oltre
che il segno di una mancata lucidità nell’interpretazione dei processi
strutturali di trasformazione che sono in atto nelle nostre democrazie e dei
rischi che essi comportano. Ovviamente, non riteniamo che questo referendum
abbia un valore determinante, ma certamente crediamo che esso sia in piena
continuità con questa delegittimazione sostanziale del valore del principio
rappresentativo.
La terza considerazione invita a prendere
seriamente il malessere profondo che ha accompagnato la scelta di una tale
riforma. Ovviamente non stiamo parlando del grottesco movente contabile per cui
la diminuzione del numero di rappresentanti rappresenterebbe un risparmio per
le casse dello Stato, argomento rozzo e smentito dai numeri da non richiedere
troppi commenti. Più profondamente, il vero movente della popolarità di questa riforma
è una sensazione diffusa di ostilità nei confronti delle istituzioni
rappresentative, quelle cioè più direttamente gestite dai partiti e che si
traducono in “poltrone” alle quali i candidati ambiscono per acquisire
privilegi piuttosto che per rispondere alle esigenze espresse dagli elettori.
Vi è in questa riforma il riverbero di una insofferenza da parte dei politici
nei confronti della richiesta dei cittadini di chiedere loro conto dell’operato
e di pretendere che le loro preferenze e i loro problemi siano ascoltati e
rappresentati. Mentre si lamenta la distanza dei “territori” dai luoghi di
decisione, si approda ad una riforma che
decurta con il numero dei parlamentari anche
il potere dei cittadini che in quei territori vivono.
È un criterio fondamentale della democrazia
rappresentativa che le norme e i
comportamenti politici debbano tendere ad
avvicinare “governanti” e “governati”. La crisi della rappresentanza che stiamo
vivendo sembra aver accentuato la loro distanza. Ma credere che per diminuire
la distanza e ripristinare il senso profondo della rappresentanza si debba
ricorrere a un taglio tanto radicale del numero dei parlamentari ha il sapore dell’assurdo.
Se il parlamento non funziona, è necessario immaginare riforme che permettano
che torni ad assolvere degnamente alla sua funzione di mediazione senza “tagliare”
le condizioni della nostra rappresentanza. Con questa riforma, l’Italia diventa
il Paese dell’UE con il minor numero di deputati in rapporto alla popolazione:
con 0,7 “onorevoli” ogni 100.000 abitanti (dall’uno precedente), supera la
Spagna che deteneva il primato con 0,8. Al primo posto, sotto questo profilo,
c’è Malta: 14,4 deputati ogni 100mila abitanti.
Siamo consapevoli che questa campagna
referendaria rappresenti quasi certamente una battaglia persa. Ma le battaglie
perse non sono meno giuste perché perse; né, del resto, chi vince una
competizione referendaria ha per questo ragione. Il nostro compito è di opporsi
alla semplificazione comunicativa richiamando i cittadini alla necessità di
decidere dopo aver ponderato i pro e i contro.
Per questi motivi, invitiamo i Circoli a
portare sui territori dei contributi critici e informati, che consentano ai
cittadini di compiere la loro scelta con ponderazione e cognizione di causa; li
invitiamo anche, nel rispetto dell’autonomia di giudizio degli iscritti, ad
aderire ai Comitati per il No.
Libertà
e Giustizia
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