domenica 8 marzo 2020

Il tappeto volante di McCoy Tyner non ci farà volare più

Luciano Granieri





Un altro grande musicista ci ha lasciato. E morto il 6 marzo  scorso McCoy Tyner.  Il pianista, nato a Filadelfia nel 1938, è stato uno fra i più grandi jazzisti che abbiano mai  calcato i palchi di tutto il mondo. Ma la sua capacità di innovatore, insieme al sassofonista  John Coltrane, con cui ha condiviso gran parte della sua vita creativa,  concentrata soprattutto su un nuovo modo di concepire l’armonia, lo annovera a pieno diritto nella categoria dei maestri di tutto  il panorama musicale e non solo del jazz. 

Il protagonista di un vero e proprio collettivo,  formato dal quartetto con Coltrane, Elvin Jones alla batteria e il contrabbassista, Jimmy Garrison, impegnato nella definizione di una nuova concezione armonica  il cui principale obiettivo era   rafforzare quel rapporto fra tensione e relax  sui cui il materiale improvvisativo fluisce libero e  crea correnti emozionali senza pari. Un discorso iniziato da Miles Davis e lo stesso Coltrane con il disco Kind of Blue, ma che con Tyner  ebbe  la massima evoluzione anche quando il sassofonista di Hamlet decise di intraprendere altre strade.  

Un esempio mirabile è il brano “Atlantis”, registrato dal vivo al Keystone Korner di San Francisco nel 1974 e inserito nell’album omonimo registrato per la Milestone, con Juni Booth al contrabbasso Wilby Fletcher alla batteria  Guilherme Franco alle percussioni, Azar Lawrence al sax tenore. Ma al di la dei rilievi più tecnici ciò che impressiona  è  l’arioso tappeto di note che il pianista di Filadelfia riusciva ad intavolare con la mano sinistra, mentre con la destra volava con arpeggi contrappunti mozzafiato. Una tessitura dagli orizzonti infiniti  e nello stesso tempo incalzante e percussiva. Il fatto che fosse mancino avrà potuto influire ma il suo stile era veramente unico, ripreso da molti pianisti. 

Importante anche la sua funzione di stabilizzatore della fruizione ritmica. Ad esempio nel quartetto  con Coltrane,  Jimmy Garrison tendeva a suonare “indietro” come si dice in gergo, cioè a rallentare il fraseggio,  al contrario Elvin Jones, aveva la marcata attitudine a “tirare in avanti” cioè ad anticipare leggermente   rispetto alla pulsione base portandosi dietro Coltrane anch’egli  in sintonia con il suo batterista nell’anticipare il  ritmo.  McCoy Tyner grazie al suo pianismo,  fiammeggiante ma preciso, era l’equilibratore di tutta la struttura. Una manna per tutti i batteristi, ancora più liberi di inventare le più ardite poliritmie. 

Elvin Jones era un maestro in questo, ma anche drummer  del calibro di  Tony Williams e Jack DeJohnnette, hanno avuto la possibilità, suonando con lui, di esprimersi al meglio.  L’album doppio  “Supertrios” uscito nel  1977 per la Milestone,  in cui nel primo vinile suona con Tony Williams   e Ron Carter al contrabbasso, nel secondo è accompagnato dal contrabbassista Eddie Gomez e DeJohnnette, è una splendida testimonianza delle preziose perle  che Tyner è stato in gradi di regalarci con due batteristi straordinari.

Insomma Tyner era un elemento fondamentale per quel tipo d’improvvisazione trasversale. Una forma in cui ogni solista improvvisa dialogando sempre  con il suo compagno.  Così era il quartetto del pianista di Filadelfia con Coltrane. 

Nel 1985 ricordo un concerto a Roma, mi sembra al Teatro OIimpico,  in cui McCoy Tyner si esibì  con Avery Sharp al basso, Babatunde alle percussioni ed un altro grande della batteria, Louis Hayes. Una performance esaltante anche se l’accordatore del pianoforte era seriamente preoccupato per  lo stile percussivo, rutilante, aperto,senza confini , che avrebbe probabilmente “scordato” il piano, ma avrebbe donato agli appassionati  delle emozioni straordinarie.

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