Un altro grande musicista ci ha lasciato. E morto il 6
marzo scorso McCoy Tyner. Il pianista, nato a Filadelfia nel 1938, è
stato uno fra i più grandi jazzisti che abbiano mai calcato i palchi di tutto il mondo. Ma la sua
capacità di innovatore, insieme al sassofonista John
Coltrane, con cui ha condiviso gran parte della sua vita creativa, concentrata soprattutto su un nuovo modo di
concepire l’armonia, lo annovera a pieno diritto nella categoria dei maestri di
tutto il panorama musicale e non solo
del jazz.
Il protagonista di un vero e proprio collettivo, formato dal quartetto con Coltrane, Elvin Jones alla batteria e il
contrabbassista, Jimmy Garrison, impegnato
nella definizione di una nuova concezione armonica il cui principale obiettivo era rafforzare
quel rapporto fra tensione e relax sui
cui il materiale improvvisativo fluisce libero e crea correnti emozionali senza pari. Un
discorso iniziato da Miles Davis e lo
stesso Coltrane con il disco Kind of Blue, ma che con Tyner ebbe la massima evoluzione anche quando il
sassofonista di Hamlet decise di intraprendere altre strade.
Un esempio mirabile è il brano “Atlantis”, registrato dal vivo al
Keystone Korner di San Francisco nel 1974 e inserito nell’album omonimo
registrato per la Milestone, con Juni
Booth al contrabbasso Wilby Fletcher
alla batteria Guilherme Franco alle percussioni, Azar Lawrence al sax tenore. Ma al di la dei rilievi più tecnici
ciò che impressiona è l’arioso tappeto di note che il pianista di
Filadelfia riusciva ad intavolare con la mano sinistra, mentre con la destra
volava con arpeggi contrappunti mozzafiato. Una tessitura dagli orizzonti
infiniti e nello stesso tempo incalzante
e percussiva. Il fatto che fosse mancino avrà potuto influire ma il suo stile
era veramente unico, ripreso da molti pianisti.
Importante anche la sua
funzione di stabilizzatore della fruizione ritmica. Ad esempio nel
quartetto con Coltrane, Jimmy Garrison tendeva a suonare “indietro”
come si dice in gergo, cioè a rallentare il fraseggio, al contrario Elvin Jones, aveva la marcata
attitudine a “tirare in avanti” cioè
ad anticipare leggermente rispetto alla pulsione base portandosi dietro
Coltrane anch’egli in sintonia con il suo batterista nell’anticipare il ritmo. McCoy Tyner grazie al suo pianismo, fiammeggiante ma preciso, era l’equilibratore
di tutta la struttura. Una manna per tutti i batteristi, ancora più liberi di
inventare le più ardite poliritmie.
Elvin Jones era un maestro in questo, ma
anche drummer del calibro di Tony
Williams e Jack DeJohnnette,
hanno avuto la possibilità, suonando con lui, di esprimersi al meglio. L’album doppio “Supertrios”
uscito nel 1977 per la Milestone, in cui nel primo vinile suona con Tony
Williams e Ron
Carter al contrabbasso, nel secondo è accompagnato dal contrabbassista Eddie Gomez e DeJohnnette, è una
splendida testimonianza delle preziose perle
che Tyner è stato in gradi di regalarci con due batteristi straordinari.
Insomma Tyner era un elemento
fondamentale per quel tipo d’improvvisazione trasversale. Una forma in cui ogni
solista improvvisa dialogando sempre con
il suo compagno. Così era il quartetto del pianista di Filadelfia con Coltrane.
Nel 1985 ricordo un concerto a Roma, mi sembra al Teatro OIimpico, in cui McCoy Tyner si esibì con Avery
Sharp al basso, Babatunde alle
percussioni ed un altro grande della batteria, Louis Hayes. Una performance esaltante anche se l’accordatore del
pianoforte era seriamente preoccupato per
lo stile percussivo, rutilante, aperto,senza confini , che avrebbe
probabilmente “scordato” il piano, ma avrebbe donato agli appassionati delle emozioni straordinarie.
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