Il Consiglio dei Ministri ha
scelto il prossimo 29 Marzo quale data per il referendum confermativo sulla
legge relativa al taglio dei parlamentari, si attende ora la conferma della
stessa da parte del Presidente della Repubblica attraverso uno specifico
decreto.
La nostra posizione in merito
ad un provvedimento demagogico, voluto dal M5S e sostenuto, per ragioni
diverse, dalle principali forze politiche, è nota: noi siamo per il no!
La nostra contrarietà deriva
dal fatto che tale legge non riforma i poteri della Camera dei Deputati e del
Senato della Repubblica, riduce gli spazi di rappresentanza, al punto che in
diverse regioni sarà impossibile eleggere parlamentari di minoranza. In altre
parole, per operare un risparmio di risorse insignificante, si rende la
democrazia ancora più debole.
I sostenitori di tale legge,
consapevoli di ciò, prospettano una concomitante riforma della legge
elettorale, e le proposte al riguardo sono molteplici. Diversi soggetti
politici sostengono la necessità di un impianto più o meno maggioritario, altri
di una legge proporzionale con soglia di sbarramento.
Noi continuiamo ad essere per
un sistema proporzionale puro, senza sbarramenti, l’unico in grado di garantire
il principio di “una testa un voto” ed un Parlamento espressione
dell’articolazione della società. Non siamo disponibili a barattare ancora una
volta la rappresentanza con la governabilità, quest’ultima deve e può trovare
adeguate risposte dopo l’affermazione di un Parlamento espressione della
volontà popolare.
La battaglia per il
proporzionale integrale è la nostra battaglia!
E' una valutazione (in inglese) del
sistema politico di tutti i paesi del mondo, cui viene assegnato un punteggio
da 1 (nessuna democrazia: la Corea del Nord è ultima con 1,08) a 10 (Norvegia
prima con 9,87).
Tra 8 e 10 è democrazia "full", sono 22 stati e
comprendono il 5,7% della popolazione mondiale. L'Italia è 35a, con 7,52. SI
colloca nella flawed (imperfetta, difettosa) democracy, insieme con USA
Giappone e altri 50 Stati . Nel 2018 era 33a, nel 2017 era 21a (quando la
"full democracy" comprendeva solo 19 stati). E' scesa parecchio. Dal
2006 al 2017 il suo punteggio ha oscillato tra 7.73 e 7.98, restando quindi
sempre nella seconda fascia.
Sottolineo il seguente passo: "Una
ricerca del Pew Research Center ha rivelato in anni recenti un contrasto tra il
livello ancora alto di sostegno popolare alla democrazia e una profonda
delusione nei confronti del funzionamento della democrazia e delle
rappresentanze politiche" (p. 5). All'arretramento della democrazia
farebbe riscontro un aumento della partecipazione, che la EIU identifica con
l'affluenza alle elezioni, la presenza/assenza di discriminazioni religiose,
etniche, di genere, la presenza femminile in Parlamento, gli iscritti ai
partiti, la partecipazione a manifestazioni politiche, l'istruzione
degli adulti, un serio sforzo delle istituzioni per promuovere la
partecipazione politica.
La regressione della democrazia si
manifesta con:
·un crescente peso nella governance di élite/tecnici piuttosto che della
partecipazione popolare;
·una crescente influenza di istituzioni non elette e non sottoposte al
giudizio popolare, e di organismi di esperti;
·la rimozione dall'arena politica di importanti temi di rilevanza
nazionale che vengono decisi da politici, esperti o organismi sovranazionali a
porte chiuse
·la crescente frattura tra le élite politiche e i partiti, da una parte, e
gli elettorati dall'altra
·un declino delle libertà civli, inclusa l'indipendenza dei media e la
libertà di parola. (p. 6).
Vale la pena d dare almeno una scorsa
alle 49 pagine di testo.
Il punteggio di ogni stato nasce dalla
media di 5 "modalità" ("model"), che sono: 1)
Processo elettorale e pluralismo; 2) Funzionamento del governo; 3)
Partecipazione politica; 4) Cultura politica democratica; 5) Libertà civili
(pag. 55-64, vi si trova l'elenco di tutti i 60 indicatori). Quella frase
significa che l'unico "model" in miglioramento è (mediamente) il
terzo.
Il puneggio dell'Italia nel 2019
risulta, per ogni "model" (ciascuno basato su 12 indicatori): 1)
9,58; 2) 6,07; 3) 7,78; 4) 6,25; 5) 7,94, che danno un valora complessivo di
7,52. Come si vede il voto più basso lo prende il governo, seguito dalla
cultura politica. Il voto più alto per partecipazione se lo prende la NorvegIa,
con un bel 10. Il più basso Turchia e Belgio, con 5 a pari (de)merito (pag.
47).
Non credo ci sia bisogno di insistere
troppo sull'opinabilità di queste quantificazioni. Il lavoro di EIU offre un
contributo, trasparente e serio, non significa che ciascuno non debba fare le
proprie riflessioni e conclusioni, anche divergenti o addirittura opposte
Dal 1956 al 1965 il festival di Sanremo fu la prima
manifestazione del genere con carattere continuativo mai organizzata in Europa.
Ovviamente parliamo del festivaldi
jazz. Infatti in queidieci anni, grazie
alla dedizione di Arrigo Polillo , Pino Maffeiinsieme ad altri appassionati, poco prima della rassegna canora italiana,
nello stesso teatro, il salone delle
feste del Casinò di Sanremo, andavain scena il festival jazz di Sanremo.
Dalla
città dei fiori passògente del calibro
di Duke Ellington, Ella Fitzgerald,Oscar
Peterson, Sidney Bechet,Modern Jazz Quartet, i Jazz Messanger di Art
Blakey, Bud Powell, “Cannonball Adderley”, Max Roach, Earl Hines, Chet Baker e molti
altri ancora. A riempire i cartelloni
del programma anche il meglio del jazz italiano ed europeo.Quando Polillo eMaffeimisero in piedi la kermesse non avevanograndi speranze sulla sua riuscita.
La prima edizionedel 1956 partì con un modesto finanziamento
da parte del Comune un milione e mezzo di lire. Con essi furono pagati ben
13 gruppi, ovviamente "pagati" è una parola grossa, è più corretto parlare di un
semplice rimborso spese. I concerti iniziati il 28 gennaio di quell’anno ebberocome protagonisti quasi del tutto jazzisti italiani ma non per quello lo
spettacolo ne risentì.Del resto Franco Cerri,Gil Cuppini,il quintetto di Oscar ValdambriniBerto Pisano
erano musicisti favolosi. A spiccare il quartetto di Barney Wilen.
L’anno dopo ,il 1957, vide il decollo della
manifestazione con l’ingaggio di Sidney Bechet , forse il jazzista più popolare
in Europa, accompagnato dall’orchestra di Andrè
Rewelliotty. Di rilevo anche la performance di un allora sconosciuto Joe Zawinul, futuro tastierista dei Weather Report. A riempire il programma
ancora il meglio del jazz italiano di
allora. Si passò molto disinvoltamente dal jazz d’avanguradia , presentato da
un ottetto sperimentale guidato dal pianista Giorgio Gaslini, alla cantante Wilma
De Angelis, la presenza di quest’ultima fu ovviamente censurata dai puristi jazzofili molto
critici con l’organizzazione.
Niente paura. Nel 1959 il Modern Jazz Quartet ammaliò gli
appassionati.Fu quella una grande
edizione con Il trio di Sonny Rollins, e il quintetto di Horace Silver. A far da contorno altri
jazzisti di fama comeTete Montoliu , il sassofonista baritono
Lars Gullin.Sonny Rollins ancora non aveva preso la
decisione di ritirarsi sul ponte di Williamsburg , era in splendida formae suonò magnificamente . Ecco cosa
scrisseGiancarlo Testoni su “Musica Jazz” di quei concerti: “Siamo tornati dal festivalsoprattutto con due immagini nella mente:
quella di Silver, ingobbito, rattrappito e concentrato sulla sua tastiera, con
la faccia sorridente e mite di un piccolo impiegato,e l’altra di un Rollins, alto e
membruto,con l’aspetto malizioso di un
diavolo dantesco, di quelli burloni che tutti ricordano”.
Nel 1960 il
produttore e critico Norman Granz omaggiò gli organizzatori con tutta la sua
squadra dei migliori jazzisti di “Jazz at
the Philarmonic”.Ella Fitzegrald,
il sestetto di Max Roach con i
fratelli Turrentine e un trio
strepitoso composto dagli inventori della ritmica Be Bop: Bud Powell al pianoforte, Oscar
Pettiford al contrabbasso, Kenny
Clarke alla batteria. Suonarono magnificamente il che non era scontato perché
spesso in quel periodo Bud Powell non
era granchè lucido. Non mancò uno strabiliante Chet Baker la sua esibizione fu perfetta
Quella sera invece fu magico grazie anche al suo
managerfrancese Marcel Romano ,che lo marcò stretto, come un arcigno
difensore, per le ore precedenti il
concerto, impedendogli praticamente di
bere. Era prevista l’esibizione anche di Ornette
Coleman che però diede forfait all’ultimo momento, un appuntamento rinviato
di qualche anno.
Da allora in poi il festival andò a gonfie vele. Nel 1963 fra
un’esibizione diElla Fitzgerald, Oscar Peterson eRoy Eldridge andò in scena la sfida a colpi di Hard Bop fra il
sestetto di “Cannonbal” Adderley -conNat Adderley alla cornetta, YusefLateef al sassofono tenore, un imperioso Joe Zawinul al piano,Sam Jones al contrabbasso , Louis Hyes alla batteria - contro iJazz Messanger di Art Blakey allora in
una formazione stellare: Freddie Hubbard
alla tromba, Wayne Shorter al sax
tenore, Curtis Fuller al trombone, Cedar
Walton al pianoforte, Reggie Workman
al contrabbasso, oltre a Blakey alla battera.I ragazzi di Blakey vinsero la
sfida e ne furono orgogliosi tanto che Wayne Shorter ricordò quel contest per
gli anni a venire. Comunque il sestetto di Adderley, pur sconfitto, sfoderò una
performance maiuscola con Joe Zawinul sugli scudi.
Nel 1964 Polillo e Maffei
fecero di necessità virtù. Dal momento che
i soldi per ingaggiare l’intera orchestra di Duke Ellington non erano
sufficienti, il Duca venne invitato ad esibirsi in ottetto. In questa
formazione ridotta i vari Jonny Hodges,
Harry Carney , Lawrence Brown, Paul Gonsalves, veri pilastri dell’orchestra, ebbero modo,
sollecitati da Ellington, di sfoggiare le loro doti solistiche. Ne uscì un concerto stimolante. Fra l’altro la
band ellingtoniana si esibì al Teatro Ariston,
luogo che decenni dopo sarebbe diventata la casa del festival canoro.
Purtroppo la manifestazione jazzistica
sanremese fu sempre considerata dalle
autorità cittadine una versione bastarda del festival di Sanremo vero e
proprio. Non sopportavano che nella kermesse jazzistica non ci fossero né vincitori
né vinti, che non ci fossero interessi economici da tutelare, era tutto alla
luce del sole senza manovre sottobanco per favorire uno piuttosto che un altro.
Fatto sta che iniziò un vero e proprio boicottaggio contro la creatura di
Maffei e Polillo.
Il giorno prima dell’ultima edizione svoltasi nel 1965 fu
comunicato che il teatro era stato dichiarato inagibile perché non aveva un
numero di uscita di sicurezza sufficiente. Uscite di sicurezza che magicamente
tornarono conformi , senza che venisse effettuato alcun lavoro, poche settimane
dopo per il festival della canzone. Inoltre gli organizzatori dovettero anticipare
il cachet ai musicisti perché i fondi non arrivarono in tempo . Fortunatamente ad
artisti già presenti, si rese disponibile un teatro attiguo più piccolo per cui
Oscar Peterson e il trio di Ornette Coleman con Dave Izenzon e Charlie
Moffet oltre agli altri musicisti
ingaggiati, poterono esibirsi
ugualmente.
Fu la goccia che fece
traboccare il vaso della pazienza Arrigo
Polillo e Pino Maffei i quali decisero di affondare la splendida macchina
jazzistica che avevano creato. Da allora il festival del jazz di Sanremo smise
le sue trasmissioni. L’immagine di quell’ultima
edizione rimanda ad un Ornette Coleman, alla prime sortite in Europa, che girava per il red carpet di Sanremo
ostentando un vistoso cappello a cilindro verde, suscitando lo stupore degli astanti e
l’interesse dei fotografi. Ma ai giornalisti che gli chiedevano un’intervista
Ornette chiedeva regolarmente dei
quattrini in cambio.
Lui si che aveva capito tutto.
Informazioni tratte dal libro "Stasera Jazz" di Arrigo Polillo (ed. Mondadori)
Giuseppe Palatrasio, via SANITA' TAVOLO NAZIONALE POTERE AL POPOLO
Qualche materiale utile per tentare di capire e decifrare anche questo evento alla luce di una lettura autonoma. A Napoli si è organizzato anche un presidio di solidarietà al popolo cinese.
Riprendo da qualche materiale raccolto da una compagna di Napoli.
Negli ultimi 16 anni ben 5 nuovi virus sono riusciti ad attaccare l'uomo. In pratica se arrivano nuovi virus è anche perchè cambia l'ambiente che viene degradato perchè sottoposto a mercificazione totale, si stravolge l'ecosistema e i conseguenti rapporti tra animali e tra animali e uomo.
"Tre coronavirus in meno di 20 anni un forte campanello di allarme. Sono fenomeni legati anche a cambiamenti dell'ecosistema: se l'ambiente viene stravolto, il virus si trova di fronte a ospiti nuovi", ha detto all'ANSA la virologa Ilaria Capua, che nell'Universita' della Florida dirige il Centro di eccellenza dedicato alla 'One Health', che unifica i temi della salute umana, animale e ambientale.
Ancora meglio lo spiega Tim Benton, direttore del progetto su Energia, Ambiente, Risorse del centro studi Chatham House uno dei più importanti think thank a livello mondiale
"Gli esseri umani hanno sempre preso malattie dagli animali. Infatti, la maggior parte delle nuove malattie infettive provengono dalla fauna selvatica.
Ma il cambiamento ambientale sta accelerando questo processo, mentre l'aumento della vita in città e dei viaggi internazionali significa che quando queste malattie emergono, possono diffondersi più rapidamente. [...]
I cambiamenti ambientali e climatici stanno rimuovendo e alterando l'habitat degli animali, cambiando il modo in cui vivono, dove vivono e chi mangia chi.
Anche il modo di vivere degli esseri umani è cambiato - il 55% della popolazione mondiale vive ora nelle città, rispetto al 35% di 50 anni fa.
E queste grandi città forniscono nuove case per la fauna selvatica - ratti, topi, procioni, scoiattoli, volpi, uccelli, sciacalli, scimmie - che possono vivere negli spazi verdi come parchi e giardini, vicino ai rifiuti che l'uomo lascia dietro di sé.
Spesso, le specie di animali selvatici hanno più successo nelle città che in natura a causa dell'abbondante offerta di cibo, rendendo gli spazi urbani un crogiolo di malattie in evoluzione. [...]
Le società e i governi tendono a trattare ogni nuova malattia infettiva come una crisi indipendente, piuttosto che riconoscere che essa è un sintomo di come il mondo sta cambiando. Quanto più cambiamo l'ambiente, tanto più è probabile che si verifichi uno sconvolgimento degli ecosistemi e che si creino opportunità per l'insorgenza di malattie.
Solo il 10% circa degli agenti patogeni del mondo è stato documentato, quindi sono necessarie più risorse per identificare il resto - e quali animali li trasportano. Migliorare l'igiene, lo smaltimento dei rifiuti e il controllo dei parassiti sono modi per contribuire a fermare l'insorgenza e la diffusione di queste epidemie. Più in generale, si tratta di cambiare il modo in cui i nostri ambienti vengono gestiti e il modo in cui le persone interagiscono con essi."
E ancora, per entrare più nello specifico delle possibili cause del nuovo focolaio di coronavirus
"Ma qualunque sia la fonte specifica del 2019-noV, sembra che ci sia una soggiacente causa strutturale: la pressione che viene esercitata dalla legge del valore per mezzo dell'agricoltura industriale e della mercificazione delle risorse naturali. La mercificazione della foresta potrebbe avere abbassato la soglia ecosistemica ad un punto tale che nessun intervento di emergenza può riuscire ad abbassare un focolaio fino a spegnerlo. Per esempio, relativamente all'epidemia di Ebola in Congo (cosa che sta accadendo nuovamente), «La deforestazione e l'agricoltura intensiva possono eliminare l'attrito stocastico dovuto all'agricoltura tradizionale, che in genere impedisce al virus di innescare abbastanza contagio.»
Si suppone che la causa dell'epidemia di 2019-nCoV siano i mercati di animali esotici di Wuhan, ma potrebbe essere dovuto anche all'allevamento industriale di maiali in tutta la Cina. E ad ogni modo, «perfino le specie più selvagge vengono introdotte nella catena del valore agricolo: tra cui struzzi, istrici, coccodrilli, pipistrelli, lo zibetto delle palme, le cui bacche parzialmente digerite oggi forniscono il chicco di caffè più costoso del mondo. Alcune specie selvagge stanno arrivando sulle forchette ancor prima di essere identificate scientificamente, incluso il nuovo pesce-palla dal naso corto trovato in un mercato di Taiwan.»
Vengono tutti trattati come se fossero prodotti alimentari."
Sulla Cina, chiaramente il gigante adesso si sta muovendo in maniera incredibile, l'ospedale in 10 giorni ecc, ma...la notizia del virus in realtà si aveva dal 1 dicembre, ma solo dal 23 gennaio è scattato l'allarme e sono state prese misure serie, perchè il governo cinese aveva completamente sottovalutato la cosa (come già avvenne per la Sars). Addirittura 8 medici di Wuhan che avevano per primi denunciato la situazione, erano stati arrestati e le misure di contenimento sono state applicate con grande ritardo, tant'è che 5 milioni di persone erano andate già a spasso per le altre regioni della Cina... oltre al fatto che non essendoci una rete sanitaria territoriale strutturata, le persone in preda al panico sono andate tutte al pronto soccorso, aumentando così le occasioni di contagio e ritardando le diagnosi.
Lo scorso 20 gennaio il segretario generale della Cgil, Landini, rilasciava un’intervista a La Stampa in cui indicava la linea strategica del proprio sindacato in relazione a temi importanti quali la riduzione delle tasse, la legge Fornero, la lotta all’evasione fiscale, l’ambiente e l’occupazione. Ma analizziamo con ordine i temi trattati, e le parole del segretario perché rendono bene l’idea della strada che si ha intenzione di perseguire.
La riduzione delle tasse «Dopo anni di lotte, otteniamo un primo taglio delle imposte […] Mi sento di dire che la lotta paga e, sopratutto paga quando è unitaria». Effettivamente ci saranno da luglio, tramite il taglio dell’Irpef (il declamato «cuneo fiscale») aumenti in busta paga: 240 euro l’anno per i redditi da 24.000 a 28.000 euro, da unirsi agli 860 del «bonus Renzi»; 1100 euro annui da 28.000 a 35.000 euro. Ovviamente, quando si concedono soldi in più, anche se pochi a nostro avviso, ai lavoratori, ne siamo felici, ma non è sempre tutto oro quello che luccica. Prima cosa, non ci sembra corretto parlare di diminuzione delle tasse ai lavoratori, quando le risorse recuperate per il taglio del cuneo fiscale arrivano ancora una volta da tagli a scuola, sanità e servizi essenziali, i cui costi aumentati e la qualità peggiorata, ricadranno ancora una volta sulle tasche e sulla pelle dei lavoratori e delle lavoratrici. Inoltre dalla riforma sono esclusi i redditi sotto gli 8.000 euro e i pensionati. In secondo luogo, non accettiamo che Landini, il segretario della Cgil, affermi che questi aumenti siano il frutto della mobilitazione messa in piedi dal suo sindacato, che avrebbe organizzato la lotta assieme a Cisl e Uil, lotta a cui fa spesso riferimento nell’intervista con richiami all’unità sindacale. Se la memoria non ci inganna, se escludiamo lo sciopero di giugno dello scorso anno e i più recenti “presidi” dei funzionari davanti ai palazzi romani di dicembre, non ci sembra che negli ultimi anni la Cgil abbia messo in piedi reali mobilitazioni. Tanto per fare un esempio, si è lasciata passare la legge Fornero, la più brutale legge sulle pensioni dal dopoguerra, con soltanto tre ore di sciopero. E la stessa cosa quando Renzi abolì l’art. 18 varando il Job Act. In realtà, questa concessione fatta ai lavoratori da un governo, che a differenza di Landini («Al governo Conte va riconosciuto di aver riaperto un confronto e una trattativa vera con le organizzazioni sindacali») non riteniamo diverso dai precedenti, appare più come lo zuccherino per indorare la pillola (disoccupazione, crisi aziendali e tagli a welfare pubblico e ai diritti) che i lavoratori fanno sempre più fatica a digerire. Una manovra anche dal sapore elettorale, nel tentativo di recuperare consenso da parte di Pd e M5s nei confronti della Lega.
Le pensioni Torniamo alle parole di Landini: «Una vera riforma delle pensioni, perché è evidente a tutti che la legge Fornero ha creato disuguaglianze e non ha risolto i problemi […] ricostruire un sistema pensionistico pubblico […] separazione tra spesa previdenziale e assistenziale […] pensione di garanzia per i giovani […] riconoscere il lavoro di cura delle donne […] proposte praticabili e le risorse si possono trovare […] la piattaforma di Cgil-Cisl-Uil, che rivendica un’uscita flessibile a partire da 62 anni». È vero, la riforma Fornero va abolita, i temi trattati dal segretario sono importanti e le rivendicazioni condivisibili. Va sicuramente ricostruito un sistema pensionistico totalmente pubblico recuperando risorse che tutti sappiamo benissimo esserci. Ma bisogna avere il coraggio di dire dove stanno queste risorse, cioè nelle tasche dei padroni e degli speculatori finanziari, non possiamo pensare di recuperare solo dalla rimodulazione dell’Iva, aumentarla per i beni di lusso e ridurla per i beni di consumo, come propone Landini in un passo della sua intervista, o dalla lotta all’evasione fiscale, dato che sappiamo che chi ha i soldi ha anche il potere e dunque sa proteggere i propri beni. Intanto l’Iva sui beni di consumo andrebbe abolita, perché il lavoratore non deve pagare tre tasse quando fa un acquisto: paga le tasse sullo stipendio percepito per produrre un tal bene, paga le tasse quando lo acquista e paga le tasse quando il bene in questione diventa un rifiuto. La soluzione al problema di rimpinguare le asettiche casse dell’Inps, non è nemmeno la divisione tra spesa previdenziale e assistenziale, il problema sono tutti i soldi prelevati per far fronte alle crisi aziendali tramite gli ammortizzatori sociali, cassa integrazione su tutti, di cui il sindacato tra l’altro è uno dei principali sponsor. Le crisi aziendali, molte volte indotte dal padrone che chiude per delocalizzare verso mercati del lavoro più convenienti o per speculazioni edilizie, devono essere pagate da questi ultimi. La richiesta di uscita a 62 anni, seppur migliorativa rispetto alla Fornero che la pone a 67, va ancora nella direzione di voler far quadrare i conti di un istituto che non è stato certamente prosciugato dalle misere pensioni versate a chi ha già fatto una vita di sacrifici e ora non sa come arrivare alla fine del mese. I padroni devono restituire il maltolto e tutti i lavoratori e le lavoratrici devono poter andare in pensione dopo massimo 35 anni di lavoro, chi fa lavori usuranti anche prima, e con un assegno pensionistico che consenta loro di vivere dignitosamente.
Solo la lotta paga Landini in questa intervista traccia una direzione chiara per la politica del suo sindacato. Da quando Salvini ha abbandonato il governo, la prima preoccupazione di Landini è stata quella di sostenere subito la costituzione di un nuovo governo, elogiando il premier Conte per essere stato l’unico a convocare il sindacato al tavolo di discussione col governo. La linea del segretario della Cgil è quella di fare da costola del governo ormai su ogni tema, dalle pensioni alle tasse: non passa settimana che non si convochi un tavolo a cui partecipano i sindacati confederali. Secondo noi il governo, quale organo politico degli interessi del padronato, deve essere una delle controparti a cui le organizzazioni dei lavoratori si rivolgono quando vogliono vedere accettate le loro richieste, ma questo deve avvenire sulla base di rapporti di forza favorevoli, costruiti con lotte vere, con scioperi prolungati e manifestazioni di massa nelle strade. Le uniche azioni di lotta portate avanti dalla Cgil in questi ultimi anni, sono qualche ricorso in tribunale e qualche raccolta firme per i referendum o per la presentazione di leggi di iniziativa popolare come la «Carta dei diritti» (che, come scrivemmo in un vecchio articolo sul tema, noi riteniamo anche essere peggiorativa rispetto allo Statuto dei lavoratori). Queste iniziative, tra l’altro non sono nemmeno riuscite ad andare in porto, proprio per non aver costruito i rapporti di forza tramite la chiamata alla lotta delle masse lavoratrici, che al contrario sono state ingannate nuovamente e stanno vedendo retrocedere la loro qualità di vita a causa dell’arretramento sul piano dei diritti. Landini ha invece il coraggio di dire che grazie a tutte queste iniziative si è riusciti a costringere il governo ad ascoltare la voce del sindacato, che sedendo al tavolo con i rappresentanti del padronato si riesce finalmente ad ottenere quello che si rivendica. Caro signor Landini, quello che per te è una grande vittoria, per noi ha solo un nome: collaborazione di classe. Il vero esempio da seguire resta quello del mese consecutivo di sciopero dei lavoratori dei trasporti francesi contro la riforma delle pensioni, e quello del popolo cileno in rivolta contro il governo Piñera. Solo con una lotta dura e condotta nel segno dell’indipendenza di classe, solo facendo saltare il tavolo del governo e non sedendoci accanto, potremo ottenere delle prime vittorie, premessa di una vittoria definitiva che si potrà ottenere solo quando le masse saranno in grado di rovesciare questo sistema per sostituirlo con una società non più basata sul profitto e sulla divisione in classi.
In merito all’ iniziativa su pedofiliae violenza sulle donne, nel corso del quale verrà
presentato il libro “Le Marocchinate” , promossa per sabato 8 febbraio a Isola
del Liri da alcune sigle di estrema destra, con il sostegno di persone che
ricoprono importanti responsabilità istituzionali, è impossibile non esprimere sorpresa e
riprovazione per il patrocinio concesso dall’ Amministrazione comunale di Isola
e dalla Provincia di Frosinone.
L’ evidente strumentalità del convegno, che mischia
argomenti completamente diversi, banalizzandoli tutti e aprendo la strada
soltanto ad una campagna propagandistica di bassa cucina razzistoide avrebbe
dovuto far riflettere quei prestigiosi Enti pubblici sulle finalità del
convegno stesso e valutare le conseguenze di una simile concessione sulla
credibilità degli stessi in quanto Istituzioni democratiche e tenute al
rispetto del mandato costituzionale. È fin troppo chiaro che il tema vero è un
altro, ossia criminalizzare la Liberazione e continuare a spianare la strada
alle nuove forme che il vecchio autoritarismo assume.
Non si può contrabbandare per cultura politica un fritto
misto che infila la dolorosa e criminale vicenda delle marocchinate con la
questione altrettanto criminale ma completamente diversa per cause, contesto e
urgenza democratica della pedofilia e della violenza sulle donne.
Sono entrambi argomenti che non sfuggono alla nostra
attenzione e su cui infinite volte abbiamo affrontato giornate di studi e di
riflessione con i cittadini che hanno ritenuto di interessarsene e con il
contributo di storici ed esperti non dediti alla propaganda.
Ma riteniamo che si debbano affrontare per quello che sono,
per capire e trarne conseguenze utili, non per strumentalizzarne l’ impatto
emotivo umiliando così ancora una volta le stesse vittime che si afferma di
voler difendere.
Certo, poiché il fascismo è stato sconfitto e la dittatura
sanguinaria che lo incarnava demolita grazie alla Lotta di Liberazione, ognuno è libero di dire ciò che vuole, anche
di sostenere interpretazioni che nulla hanno a che vedere con la realtà
storica. Resta però molto grave che Istituzioni pubbliche si acconcino a
concedere a quelle interpretazioni il loro sostegno e la loro approvazione.
I cittadini, in questo come in tutti gli altri casi in cui
un deteriore lasseiz-faire sembra prevalere sul rispetto della verità storica e
sulla difesa incondizionata della democrazia così come si è costituita e come
si è evoluta, abbiano la responsabilità di affermare il loro ruolo, quello cui
li chiama la Costituzione, quello della responsabilità civile senza la quale i
famosi valori diventano pura enunciazione retorica.
Valutino le Amministrazioni se ritengano di dover confermare
il patrocinio o se invece possano riflettere in nome della verità storica e
della difesa della Repubblica antifascista che rappresentano . Parlare si può,
si deve; di tutto, di tutti; ma non cadendo nell’ agiografia e nella
mistificazione a servizio di un basso revisionismo ad uso politico della
storia.