giovedì 20 maggio 2021

"Bird" sbarca in Europa......e i francesi che s'incazzano

 Luciano Granieri




La seconda settimana di maggio del 1949 fu mitica per i jazzisti e gli appassionati europei. In quei giorni ebbe luogo la prima storica partecipazione ad un festival del jazz in Europa di Charlie Parker, insieme ai migliori musicisti Be Bop di quel momento. La kermesse si tenne alla Salle Pleyel di Parigi. Fu organizzata dal critico, impresario Charles Delaunay. In quella settimana si sarebbero alternati sul palco, per due concerti al giorno, oltre a Parker, musicisti del calibro di Max Roach, che suonava con Bird, Kenny Clarke, inserito in un gruppo con Tadd Dameron e Miles Davis. Ai boppers si accompagnavano altri artisti di grosso calibro come Sidhey Bechet, e “Hot Lips” Page. 

Per rendere il festival di Parigi un grande evento internazionale Delunay, invitò jazzisti da tutta Europa, fra cui, oltre ai francesi e gli svedesi, i migliori del vecchio continente, i belgi del trio di Toots Thielman, con Francis Coppeters al pianoforte e Jean Warland al contrabbasso il gruppo, belga anch’esso, Les Bob Shots, nel quale suonavano musicisti che sarebbero diventati, in seguito, protagonisti assoluti del jazz europeo e mondiale,quali il sassofono tenore Bobby Jaspar, l’altosassofinista Jaques Pelzer, il vibrafonista Fats Sadi e il pianista Francy Boland. Fu invitato anche il sestetto svizzero del vibrafonista trombonista Hazy Osterwald, nelle cui fila militava l’altosassofonista ticinese Flavio Ambrosetti. 

A loro, solo dal 5 maggio del 49,’ossia tre giorni prima dell’inizio del festival, si unì il nostro Gilberto Cuppini, a detta di tutti i critici, il primo batterista italiano a suonare secondo il nuovo stile Be Bop. Per rappresentare l’Italia (Cuppini era in una band svizzera) Delaunay chiese all’amico Arrigo Polillo, critico e direttore della rivista “Musica Jazz”, di indicare un musicista (uno solo) che secondo il suo giudizio potesse brillare in quel cast stellare. Polillo, scelse Armando Trovajoli, un pianista, animatore dei jazz club romani di allora, diventato in seguito, come è noto un grande autore di colonne sonore. Lo stesso Polillo fu inviato dall’amico francese, fondatore della rivista “Jazz Hot” a recensire il festival.

Facciamo un passo indietro

Per inquadrare lo scenario in cui la notizia del festival francese irruppe nel mondo jazzistico europeo, bisogna dire che del Be Bop, soprattutto in Italia non se ne sapeva molto. In America L’American Federation of Musician, il sindacato dei musicisti degli Stati Uniti e del Canada, indisse un lungo sciopero dal 1942 al 1944, interrotto momentaneamente, e poi proseguito anche per tutto il 1948. Per questo motivo a tutti i musicisti fu proibito di registrare in sala d’incisione. Ora non è chiaro se per lo sciopero o per il fatto che il Be Bop non era propriamente commerciale, ma la realtà fu che in Italia arrivò un materiale sonoro scarsissimo. 

Uno dei primi dischi di Gillespie, con la sua orchestra, fu pubblicato nel 1946 dalla Musicraft. Poi si dovrà attendere il 1948 quando il discografico svizzero Walter Guttler iniziò a stampare, per il suo nuovo marchio Celson, matrici della case discografiche Dial, Keynote, Vox e Manor. Etichette nei cui cataloghi erano presenti le poche incisioni di Parker e compagni. Fu da quei dischi, importati anche in Italia, in poche copie da Messaggerie Musicali, oltre a qualche registrazione di Gillespie, per la Parlophone, che i nostri jazzisti cominciarono ad apprezzare e a misurarsi con il nuovo stile. Fu proprio Gilberto Cuppini, (futuro protagonista del festival jazz di Parigi) - che aveva accantonato il manuale per batteria di Gene Krupa per sposare appieno lo stile di Kenny Clarke -ad incidere il 10 giugno 1948 due classici del Bop “A night in Tunisia”, e “Salt Penauts”, in un gruppo che comprendeva Marcello Boschi al sax alto, Nino Impallomeni alla Tromba e Giorgio Gaslini al pianoforte. 

Altri jazzisti furono attratti dal Be Bop, meglio noto allora come Re Bop, fra gli altri Il clarinettista sassofonista Glauco Masetti, il trombettista Giulio Libano, il teonrsassofonista Eraldo Volontè. Manco a dirlo la critica Italiana non fu subito tenera con il nuovo stile. Arrigo Polillo così scriveva nell’articolo “Delirio del “Re Bop” : “Come i lettori di Musica Jazz sanno il vocabolo re-bop, che ha sostituito nel cuore dei tifosi americani il boogie woogie, dopo aver designato, in un primo tempo lo stile ultradinamico e acrobatico del trombettista Dizzy Gillespie e dal suo emulo l’altosassofonista Cherlie “Bird” Parker (re o be bop è appunto il suono onomatopeico che vuole imitare gli scoppiettamenti di Dizzy), designa oggi tutto un genere musicale. Si tratta di lunghe e indiavolate sarabande, dal vago sapore cannibalesco, che giungono ad un vero parossismo attraverso una serie di riffs incalzanti, quasi sempre inarticolatamente vocalizzati”

Sia come sia, qualche anno dopo, il Be Bop fu riconosciuto come musica rivoluzionaria in tutto il mondo e Charlie Parker, il suo profeta come nuovo fenomeno. Da qui si spiega l’entusiasmo di jazzisti e appassionati che si misero sulla strada per Parigi in quel maggio del 1949 per non mancare all’appuntamento con il nuovo “vate”.



In viaggio verso l’eldorado

Per raggiungere Parigi Arrigo Polillo trovò un volenteroso quanto entusiasta autista in Gorni Kramer, mentre invece il viaggio di Trovajoli, fu un po’ più travagliato. Ad accompagnarlo, sulla sua Topolino B, la sua ragazza Silvana e, rannicchiato sul sedile posteriore, fra le valige e un’enorme cappelliera, Carlo Loffredo contrabbassista e jazzista di lungo corso, che patì volentieri la scomodità di quella posizione nella speranza di calcare anch’egli il palco della Salle Pleyel insieme a quei mostri sacri. Ad un certo punto l’ipotesi di esibirsi in trio con lo stesso Trovajoli e Cuppini non si mostrò così campata in aria. Prima tappa Rapallo, poi Aix en Provence, ed infine Parigi. Girovagarono un po’ intorno, tirando tardi, tanto che quando arrivarono alla Salle Pleyelle il concerto era iniziato da un pezzo.  

Ad un Polillo che ormai aveva perso la speranza di vedere la carovana romana fu spiegato che ci si era fermati ad omaggiare la tomba di Chopin. Quanto ci fosse di vero in questa affermazione non è dato sapere. Fatto sta che, dopo il concerto in piano solo di Trovajoli in contest con altri pianisti, come auspicato da Loffredo e forse previsto, l’estemporaneo trio dei jazzisti italiani ebbe il permesso per esibirsi. Gilberto Cuppini, Armando Trovajoli e un entusiasta Carlo Loffredo salirono sul palco. Ma mentre quest’ultimo stava accordando il contrabbasso Gorni Kramer con la sia tipica erre moscia ordinò: “Cavletto fai suonare me” Loffredo, deluso, lasciò lo strumento al musicista milanese, chissà forse l’indicazione di far esibire Kramer era venuta proprio da Cuppini. 

Il set fu comunque apprezzato nonostante tutto. Infatti l’atteggiamento dei Francesi, pubblico e critica, non fu benevolo nei confronti degli Italiani ma anche dei Belgi. Gli spettatori cominciavano a a fischiare solo a sentir nominare le nazioni di provenienza dei musicisti “Italie “Belgique” . Forse il vile attacco di Mussolini nel giugno 1940 ad una Francia già prostrata dall’esercito tedesco, non era ancora stato dimenticato dai cittadini transalpini, e l’atavica antipatia verso i belgi, convogliavano la predisposizione del pubblico verso un atteggiamento ostile a prescindere. Ma la forza della musica riuscì a superare anche la più acerrima ostilità. Come avvenne ce lo racconta lo stesso Trovajoli : “ Quando mi trovai sul palco della Salle Pleyel, non fu per me una cosa molto piacevole. Nonostante tutto ebbi un notevole successo personale, in un festival dove suonarono Parker, Tadd Dameron, Miles Davis, quello che c’era di più importante nel Bop. C’era anche Toots Thielemans, che venne subissato di fischi perché belga. Lo stesso toccò a me perché italiano. Allora cominciai a suonare sempre più piano, finché i fischi terminarono. La stampa francese scrisse: Abbiamo ascoltato del jazz suonato con tocco da Mozart. Nel secondo concerto, quando venni accompagnato da Kramer e Cuppini, ci presentammo senza un minimo di prove, malgrado ciò il successo non mancò”. In effetti la brillante esibizione di Trovajoli mise a tacere i molti fischiatori e, alla fine, applaudirono tutti.



I boppers

E’ gli americani, i boppers? Miles Davis, allora ventitreene, fornì una prestazione ammirevole, insieme ai suoi compagni di palco Tadd Dameron e Kenny Clarke. Era un musicista in piena fase creativa, aveva da poco inciso una parte dei suoi straordinari dischi per la Capitol, ed inoltre ancora non aveva introitato quell’arroganza che alcune volte lo avrebbe reso, in futuro, indolente e intrattabile. Quanto a Charlie Parker, la star dell’intero festival, le cronache raccontano di esibizioni altalenanti. Flavio Ambrosetti, che insieme al sestetto di Osterwald e Cuppini condivise il palco con lui nel set del 14 maggio, non usò mezzi termini: “Parker è finito” lo stesso Polillo rimase profondamente deluso. Ma da alcune registrazioni dei concerti successivi realizzate con mezzi di fortuna da qualche appassionato, si ascolta il solito Bird geniale ed immenso. La spiegazione è abbastanza semplice. 

La qualità delle prime esibizioni riferite da Ambrosetti e Polillo, probabilmente seguirono il giro di cantine che qualcuno aveva fatto fare a Parker prima del concerto. Tour in cui Bird pare avesse molto apprezzato i vini francesi. Metteteci su l’effetto di qualche altra sostanza ed ecco spiegata la qualità dell’esibizione del re del Bop. Lo stessi Polillo riferisce di come Parker dopo il set abbracciasse e baciasse un giornalista mai visto prima chiamandolo più volte “my friend” era talmente “fatto” che il critico italiano, a malincuore, rinunciò ad intervistarlo. 

Gilberto Cuppini, probabilmente eccitato dall’aver suonato sullo stesso palco dei suoi idoli Max Roach e Kenny Clarke, sicuramente fu meno colpito da Parker con il quale comunque ebbe un incontro ravvicinato. Il batterista racconta: “Quando Parker finì il suo concerto, uscì barcollando, inciampò e me lo trovai letteralmente fra le braccia. Ho dovuto sostenerlo perché se no sarebbe finito per terra. Dietro di lui veniva Max Roach. Non appena Max arrivò dietro le quinte, tirò fuori una pipa minuscola. Mise dentro una piccolissima pallina scura che accese. Sopra infilò una mezza sigaretta e cominciò a fumare. Fui molto sorpreso, non avevo mai visto nulla di simile. Anni dopo mi resi conto che quella pallina scura era hashish”.

Conclusioni.

Volendo trarre qualche conclusione c’è da rilevare come i francesi operarono una sorta di razzismo alla rovescia, applaudendo chiunque salisse sul palco con la pelle nera e fischiando, a parte gli artisti francesi, tutti gli altri. Non vi è comunque dubbio che per i boppers, bistrattati e poco considerati in patria, l’Europa dove invece erano osannati e venerati, fu per loro un paradiso. La vera “America”.


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