domenica 2 settembre 2012

Ilva di Taranto I due lati della barricata di classe

Michele Rizzi coord. Pdac Puglia

La vicenda dell'Ilva di Taranto ha assunto ormai contorni grotteschi tra divisioni interne alla magistratura, attori della politica borghese compromessi con la proprietà e sindacati concertativi che tentano di salvare la loro esistenza in fabbrica.
Infatti, l'Ilva, la più grande acciaieria di Europa, regalata con pochi miliardi di lire dal governo Dini nel 1995 al gruppo Riva, è ormai da mesi agli onori della cronaca politica per la battaglia che si sta sviluppando tra chi vuole porre un limite deciso alla forza inquinante del centro siderurgico e chi continua a sostenere fortemente gli interessi di Riva e del suo entourage.

Si accorgono adesso dell'inquinamento...
Che la situazione ambientale della città di Taranto e del quartiere più prossimo all'Ilva, il Tamburi (ormai famoso quartiere operaio), fosse insostenibile, lo si sapeva da anni. Non occorrevano le rilevazioni dell'Arpa Puglia per dimostrare che il livello della diossina sprigionata dalle ciminiere fossero arrivate ad un livello di insostenibilità, che il livello dei tumori fosse aumentato in maniera impressionante, che il numero di operai (e non solo) morti di malattie tumorali fosse aumentato negli anni in maniera esponenziale.
Il giudice Todisco, con la sua sentenza, ha semplicemente confermato quello che già si sapeva da anni e che solo un'avanguardia di lavoratori “irriducibili” aveva sempre sostenuto.
D'altronde, era anche risaputo che Riva, a cui era stata regalata dal centrosinistra la più grande acciaieria d'Europa, mobbizzasse i lavoratori più combattivi (sono tante le cause ancora in corso di lavoratori contro l'azienda), li isolasse, li rinchiudesse in palazzine lager, li rendesse succubi della sua ricerca spasmodica del profitto.

Il libro paga del padrone
Siamo stati, come Pdac, in inverno sul ponte dell'Ilva a sostenere la lotta degli ex somministrati che chiedono di esssere reintegrati in azienda dopo aver lavorato per svariati mesi e abbiamo incontrato delegati aziendali e altri rappresentanti delle realtà più combattive in fabbrica (tra l'altro molti di loro avevano da qualche mese abbandonato la Fiom, ritenendola accondiscendente nei confronti della proprietà). Sono cose che si sanno da tempo, anche se tutti facevano finta di niente. Oggi sono costretti a parlare di questa situazione perché non è più possibile nasconderla.
Così pure non servono le intercettazioni telefoniche per scoprire che i partiti borghesi più grandi, da Forza Italia al Pd, fossero finanziati direttamente da Riva, come persino ministri in carica del governo Monti siano stati soci d'affari dello stesso, come molti sindacati confederali siano suoi alleati, come molti giornalisti siano sul suo libro paga.
La magistratura, la stessa magistratura che denuncia i manifestanti che hanno protestato contro i burocrati qualche settimana fa, interrompendo i comizi dei tre segretari sindacali, ha solo scoperto l'acqua calda.
Detto che i principali partiti borghesi di entrambi gli schieramenti sono finanziati direttamente da Riva, il governatore Vendola, invece, si è sempre premurato di assicurare leggi e leggine pro-Riva che non hanno mai ridotto drasticamente le emissioni di polveri ma solo assicurato la continuità dei suoi lauti profitti.

I veri colpevoli
Il disastro ambientale di Taranto è proprio frutto dell'accondiscendenza della politica borghese, tanto di centrodestra che di centrosinistra, nei confronti della proprietà. Un'accondiscendenza che ha significato negli anni licenziamenti, esternalizzazioni, lauti finanziamenti pubblici, leggi “ambientali” ridicole. Il tutto sempre senza mai infastidire Riva e senza ostacolarne l'accumulazione di profitti.
Tra l'altro, rispetto all'insostenibilità della situazione ambientale (a Taranto è presente un livello di diossina superiore a quella del disastro di Seveso), le soluzioni della politica borghese sono state volte a tentare disperatamente di mettere la polvere sotto il tappeto, a favorire soluzioni che garantissero il padrone, la pace sociale e ricchi bacini elettorali, validi per tutte le stagioni.

Solo la lotta paga
Ma come la storia ci insegna, l'avanzamento della coscienza di classe rende insostenibile il capitalismo e le sue leggi. E così dagli inizi di agosto, in occasione della manifestazione dei sindacati confederali intenta a garantire l'ennesimo appoggio indiretto a Riva, un gruppo di lavoratori dell'Ilva, unito a varie realtà di movimento e di lotta tarantini, decidono di essere protagonisti e rompere la “dittatura” di Riva e dei suoi accoliti politicanti borghesi.
Un'apecar operaia irrompe nella piazza e se la prende, interrompendo i comizi di Camusso, Angeletti e Bonanni e li contesta duramente.
Nasce una nuova realtà combattiva di lotta operaia, anticoncertativa ed antipadronale che si organizza in maniera indipendente dalla politica borghese e dai sindacati concertativi.
Per questo riteniamo ancor più che questa volta il campo borghese vada indebolito in tutte le sue forme, che sia necessario sviluppare questa lotta, sostenere i lavoratori che hanno deciso di non piegare la testa, unire questa lotta alle altre, spesso invisibili, che animano la Puglia. E' necessario, noi proponiamo come Pdac, far nascere un coordinamento regionale di tutte le lotte, in grado di dialogare poi con le tante altre lotte isolate che si stanno sviluppando nel Paese.

I due lati della barricata di classe
Dalla vicenda Ilva molti lavoratori tarantini e pugliesi hanno capito che c'è un fronte borghese di partiti, sindacati, giornalisti che hanno fatto per anni gli interessi del padrone delle ferriere di turno, Emilio Riva, a scapito di ambiente e diritti dei lavoratori, con leggi truffa regionali e nazionali, con finanziamenti diretti alle tesorerie di molti di questi partiti, con promozioni sindacali e quieto vivere per molti esponenti della triade sindacale.
400 milioni di euro, tra finanziamenti pubblici nazionali e regionali, per un maquillage dei disastri ambientali di Riva e del suo entourage per fare in modo di tenere a galla la proprietà. Il teatrino politico che vede protagonisti Vendola, Ferrante, Riva, Clini e i burocrati sindacali.
Questo è il fronte della borghesia. Si tratta ora di rafforzare l'altro lato della barricata, quello della classe lavoratrice.
Alternativa comunista ritiene che il tempo dello scempio ai danni di ambiente e diritti dei lavoratori sia giunto al termine. Noi poniamo in discussione direttamente la proprietà e tutto quello che ruota attorno ad essa. Riteniamo che l'Ilva vada espropriata (senza indennizzo per Riva) e posta sotto il controllo di un comitato di lavoratori che avvii anche un piano di bonifica di fabbrica e ambiente circostante.
Un solo indennizzo deve esserci, ma quello che Riva deve agli abitanti del rione Tamburi di Taranto e a tutti coloro che hanno subito negli anni sfruttamento lavorativo e ambientale: un indennizzo che passa attraverso l'esproprio delle altre aziende del gruppo Riva e dei suoi beni.
Loro hanno depredato ambiente e diritti dei lavoratori, loro devono pagare tutto!

Nessun commento:

Posta un commento