La Fiom svolta decisamente a destra e lo fa votando a maggioranza al proprio Comitato Centrale, del 5-6 settembre scorsi, un documento presentato dal segretario generale Maurizio Landini. Nel documento Landini sostiene che, per risolvere la sempre più aspra crisi economica in cui versa il Paese, sia necessario spegnere o smorzare il conflitto in atto, logica conseguenza della lotta di classe in corso, e tornare invece al tavolo della trattativa con i padroni, quindi fare accordi unitari e presentare una piattaforma comune per il rinnovo del Ccnl dei metalmeccanici. Tende quindi la mano a quelle stesse organizzazioni, Cisl e Uil, che avevano fatto di tutto per far fuori la Fiom, compreso firmare accordi improponibili e contratti da schiavitù come nel caso della Fiat. Tende la mano anche a quella stessa Federmeccanica che solo due mesi fa non aveva nemmeno preso in considerazione la Fiom, non convocandola alla prima sessione di trattative per il rinnovo del contratto di categoria.
E' chiaro che Landini, resosi conto dell' impossibilità di far valere le ragioni per cui la Fiom ha sempre predicato ma mai seriamente lottato, cerca ora uno spiraglio anche minimo per rientrare al tavolo delle trattative coi padroni e il loro governo: lo fa rivendicando gli accordi interconfederali del 28 giugno (sottoscritti da Cgil, Cisl e Uil con Confindustria, accordi che hanno decretato la fine della contrattazione nazionale) sulla rappresentatività e rinnegando la propria piattaforma contrattuale votata peraltro dalla maggioranza dei lavoratori. Ovviamente Cisl e Uil, desiderose di estromettere dalle fabbriche definitivamente la Fiom (che è ancora il primo sindacato tra i metalmeccanici) hanno già risposto picche, mentre Federmeccanica si è detta disponibile ad un confronto tra segreterie ma senza intravedere le condizioni per l'interruzione di una trattativa sul rinnovo del contratto già avviata proficuamente due mesi fa con le altre due sigle sindacali.
La Fiom si trova così ora a pagare il conto della politica di Landini e del suo gruppo dirigente degli ultimi anni, una politica in cui mentre si presentavano i metalmeccanici come la frangia più critica e combattiva all'interno della Cgil, criticando giustamente la non convocazione dello sciopero generale e gli accordi, ora rivendicati, del 28 giugno sulla rappresentatività sindacale e le deroghe ai contratti; nei fatti però non ci si discostava troppo dalle linee guida della casa madre e si rinunciava a mettere in campo serie azioni di lotta, convocando scioperi in ritardo e di facciata, manifestazioni frammentate o insufficienti. Una politica che nel concreto si è tramutato in sconfitte colossali quali l'estromissione della Fiom dalla Fiat.
Cacciata dalla segreteria la (debole) opposizione interna
La nuova ulteriore svolta a destra è chiaramente il prodotto delle elezioni del 2013 che si avvicinano. E' infatti altamente probabile che le forze politiche di riferimento del gruppo dirigente Fiom (l'Idv ma soprattutto la Sel di Vendola) si ritrovino al governo l'anno prossimo, insieme al Pd e alle stesse forze sociali, industriali e banchieri, che oggi sostengono Monti. Il ruolo che in quel progetto sarà assegnato alla Cgil ma anche alla Fiom sarà di salvaguardare l'attacco padronale gestito dal centrosinistra dalle lotte operaie (così come già fecero con i due governi Prodi). Ecco allora che la svolta a destra si combina con un giro di vite interno alla Fiom.
Landini rivendica, soprattutto in relazione alla vicenda Fiat, la democrazia sindacale nei luoghi di lavoro, ma poi non garantisce la medesima all'interno del suo sindacato. Al termine del sopra citato Comitato Centrale della Fiom, due componenti della segreteria nazionale (Airaudo e Spezia) hanno presentato le dimissioni, addebitandole a una incompatibilità politica con Bellavita (membro della segreteria in quota alla Rete 28 aprile, minoranza interna alla Cgil, l'area di Cremaschi) che aveva presentato un documento alternativo a quello di Landini. Nulla di particolarmente rivoluzionario, un testo in cui si critica la nuova giravolta a destra e si sostiene il fatto che in questa fase storica bisognerebbe perlomeno... essere un po' più conflittuali. Con questa mossa Landini ha voluto azzerare di proposito la segreteria (con due dimissionari su quattro la segreteria decade) per estromettere dal principale organismo dirigente del sindacato il rappresentante del (peraltro timido) dissenso.
Per quanto ci riguarda, come Alternativa comunista critichiamo aspramente questa ulteriore dimostrazione di mancanza di democrazia all'interno di un’organizzazione che dovrebbe rappresentare ben altri valori. Tuttavia ci pare evidente che la cacciata di Bellavita costituisca anche l'ennesima riprova di quanto andiamo dicendo da tempo: oggi si raccoglie quello che si è seminato ieri. Questi sono i frutti di anni di una morbida e inefficace opposizione della Rete 28 aprile nella Cgil, che non a caso risorge oggi dopo che, al Congresso Cgil del 2010, era stata sciolta per confluire insieme a tutta la Fiom nell'area congressuale "La Cgil che vogliamo", annacquando ulteriormente la critica agli apparati burocratici.
Una linea che, specie nella Fiom, si reggeva sullo spargere illusioni sul gruppo dirigente, criticando alcuni passaggi della linea politica e sindacale, ma senza mai arrivare a indicare una linea realmente alternativa, conflittuale, di classe. Un atteggiamento condiviso anche dai riformisti e dai vari gruppi centristi (a partire da Sinistra Critica e Pcl): come si è visto in occasione della contestazione a Bergamo di Landini da parte degli operai (contrestazione che si è ripetuta a Taranto): c'è chi l'ha condannata, c'è chi l'ha criticata, c'è chi non ha detto una parola. L'unica organizzazione politica che ha difeso apertamente gli operai e la loro giusta rabbia contro la burocrazia che si rifiuta di organizzare un vero sciopero è stato il Pdac.
Ora ci auguriamo e ci batteremo perché si arrivi a mettere in piedi una vera opposizione all'interno della Cgil e della stessa Fiom, un’opposizione che ha per primo compito quello di richiamare l'esigenza di unire le lotte e di svilupparle contro l'attuale governo e contro il prossimo governo borghese che (di centrodestra o di centrosinistra, sia guidato da Bersani, da Vendola o da altri) ne raccoglierà l'eredità. Per farlo bisogna però muoversi subito, rompendo tatticismi e cautele finora esibiti dalla Rete 28 aprile (che appaiono non estranei ai progetti politici neo-riformisti di Cremaschi). Si tratta di raccogliere in un'area democraticamente organizzata il malcontento verso le burocrazie sindacali che è destinato a crescere tra i lavoratori; relazionarsi ai settori più combattivi del sindacalismo di base; costruire insomma un vero autunno caldo di lotte.
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