mercoledì 3 ottobre 2012

S.Anna di Stazzema, l'armadio segreto distrutto

A cura di Luciano Granieri con il contributo di Giovanni Morsillo

La Procura di Stoccarda, dopo un’inchiesta di 10 anni, ha deciso che non saranno processati gli otto ex membri delle SS sospettati di aver preso parte al massacro di Sant’Anna di Stazzema dove il 12 agosto 1944 morirono 560 persone, 116 dei quali ragazzi e bambini: il più piccolo aveva 20 giorni. Secondo la magistratura tedesca non ci sono prove che ciascun imputato abbia partecipato alla strage, tra le pagine più infami dell’occupazione nazista in Italia.

Dall’archivio di Repubblica 25/04/2003
Mia madre fece da scudo e mi salvò dalle mitragliate

PIETRASANTA - Le rughe della sua faccia, dietro il banco del negozio di giornali, nella piazza di Pietrasanta, dicono che è passato davvero tanto tempo da quel giorno in cui Mario Marsili era soltanto un bambino di sei anni. Svegliato all' alba dagli scarponi e dalle voci dei soldati tedeschi. Un impaurito bambino in braccio alla mamma mentre i nazisti urlavano, mitra alla mano, a loro due e ai nonni che dormivano nella stessa stanza, di scendere in fretta, giù per la strada e di raggiungere gli altri del paese, ammassati nella stalla. Sant' Anna di Stazzema è un paese arroccato sopra le montagne dell' Alta Versilia, provincia di Lucca. Erano sfollati in molti nell' estate del 1944, in quel borgo povero e isolato che proprio per questo pareva sicuro. «Quante volte ho ripensato a quella mattina, lei non può nemmeno immaginarlo - racconta oggi Marsili che ha 65 anni, sposato, due figli e un nipotino di sette - . Quante volte ho rivisto la mamma che mi prendeva in braccio sollevandomi dal letto, mi stringeva forte mentre scendevamo di corsa le scale, entravamo nella stalla e mi diceva: mettiti lì dietro». Dietro la porta, nascosto fra due lastre di roccia. Accovacciato in mezzo. Facendosi piccolo piccolo, per salvarsi. L' unico fra i quindici finiti là dentro a poter raccontare qualcosa. Sant' Anna di Stazzema, l' alba tragica del 12 agosto 1944: in 560 (ma neppure sui numeri ci sono ancora certezze) vengono trucidati dalle squadre delle Ss tedesche. Una pagina terribile e ancora piena di ombre, un eccidio contro la popolazione civile: a morire sono soprattutto donne, vecchi e bambini. L' uomo che sta dietro il banco dei giornali, fra gli scaffali della cartolibreria di Pietrasanta, oggi sarà al Quirinale per ricevere dal presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi la medaglia d' oro alla memoria assegnata a sua madre, Genny Bibolotti Marsili, la donna che quella mattina del 12 agosto, scagliò il suo zoccolo contro un soldato tedesco che si stava avvicinando. «Aveva paura che scoprisse che io ero lì dietro la porta» racconta il figlio. In risposta a quello zoccolo lanciato e andato a segno, una mitragliata dritta al petto: Genny muore all' istante. Mario, il figlio, è a pochi metri, ma sta zitto, come le aveva raccomandato lei. E' ferito perché alla stalla hanno già appiccato il fuoco, ma si salverà da quel lunghissimo giorno di sangue. L' ha raccontata mille volte Marsili quell' alba, senza mai riuscire ad essere padrone della voce che all' improvviso si abbassa e trema: «Ero terrorizzato. Nella stalla i tedeschi avevano buttato sul fondo la gente, c' erano anche due bambini più piccoli di me. Poi col lanciafiamme avevano appiccato il fuoco alla paglia. Tutti gridavano disperati, si agitavano cercavano inutilmente un riparo». Il fotogramma di quegli istanti è nitido, inciso nei ricordi: «E' successo tutto in fretta: il soldato tedesco si stava avvicinando, rivedo mia madre che si toglie lo zoccolo, allora era estate e in montagna portavamo gli zoccoli, lo lancia contro di lui, lo colpisce». Una pausa, si ferma. Riprende: «Per tanto ho creduto di risentire la raffica della mitraglietta, la mamma che cade a terra, soffocata dal sangue, i tedeschi che si allontanavano con quelle voci secche, altri colpi di mitraglia». Mario resta ustionato al petto e a un braccio, guai che si porterà appresso per il resto dei giorni. «Ho passato un anno e mezzo in cura negli ospedali: ho addosso i segni delle ustioni, non vanno via, come non se n' è mai andato via quel senso di mancanza, quella sottrazione improvvisa dell' affetto di mia madre. Ero solo, mio padre era prigioniero in Russia, non avevo fratelli. Così sono andato ad abitare da una sorella di mia madre, la zia Lola che è ancora in vita. Quando è tornato mio padre, dopo un po' di anni si è risposato e io ho capito che bisognava in qualche modo andare avanti». Però negli anni è rimasto qualcosa in sospeso, un desiderio più volte espresso: «Volevo che sul gesto eroico di mia madre che si è fatta uccidere per salvarmi la vita - prosegue oggi Mario Marsili - ci fosse almeno una medaglia, un riconoscimento». Arriva, quasi sessant' anni dopo, ma arriva. «Va bene lo stesso. Avrei un altro desiderio, non vedere più guerre, né bambini straziati dalle bombe. Invece accendo la televisione e mi sembra di sentire ancora le grida della stalla a Stazzema».





Ma secondo la procura tedesca non è possibile stabilire chi commise quelle atrocità. Forse che non si sappia chi componeva il reparto inviato sulle colline fra Massa e Lucca a sfogare la rabbia bestiale delle prestigiose truppe del Reich e del suo immondo Fuehrer, da mesi messe in scacco da brigate di straccioni che si chiamavano Partigiani o Banditi, a seconda dei punti di vista? Forse che quei criminali agissero in proprio, senza ordini precisi, senza che i comandi sapessero chi avevano mandato lassù? Curioso, poi, un passaggio della sentenza, in cui si afferma che non è nemmeno possibile stabilire con esattezza il numero delle vittime, in quanto, pensate iun po', in zona erano confluiti moltissimi sfollati! Quindi, se questo ha un senso, le vittime potrebbero essere semmai di più, non di meno, e comunque questa macabra contabilità cosa cambierebbe se i numeri fossero poco più piccoli o molto più grandi? Forse che il fatto potrebbe essere derubricato in qualche modo e perdere il suo carattere di strage gratuita quanto feroce e criminale? Chissà cosa davvero si aggirava nelle aule della Procura di quel grande Paese che è la Germania? Quel Paese che, secondo un modo di dire assai frequentato e condiviso, avrebbe ormai da tempo "fatto i conti" col suo vergognoso passato?
A Sant'Anna l'anno scorso si è svolta una commovente quanto importante manifestazione con il contributo dell'On. Schultz, che tutti conoscono anche per essere stato insultato da Berlusconi. Il Presidente Schultz ha caricato su di sé e sul suo Paese la responsabilità delle efferate vigliaccheria compiute dai suoi soldati durante l'occupazione, e questo gli rende grande merito. Molte sono le voci autorevoli che in Germania stanno commentando criticamente la sentenza, che rovescia le condanne inflitte ai gerarchi dal Tribunale di La Spezia e per le quali la Germania, contariamente a quanto fa di solito, non ha concesso l'estradizione. Ma resta il fatto che le Autorità di quel Paese continuano ad usare una prudenza non comprensibile quando si tratta di rendere giustizia alle vittime del nazismo, che si tratti di sentenze anche non più eseguibili, di riconoscimento del lavoro coatto (cioè della riduzione in schiavitù) dei prigionieri, o delle innumerevoli e incommensurabili violazioni della dignità umana, dell'uso metodico e continuato della tortura, dello sterminio pianificato di intere etnie o categorie sociali.
Nascondersi dietro pretesti e sofismi senza base non solo non cambia la storia, ma non rende neppure un servizio ad un Paese civile e serio quale la Germania è.
Intanto, i sopravvissuti aggiungono una ferita fresca alle cicatrici lasciate dai proiettili e dal fuoco delle gloriose divisioni di Hitler.

Un saluto, ed un pensiero fraterno alle vittime di tutte le stragi.

Giovanni Morsillo

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