martedì 10 dicembre 2013

Le ambiguità della mobilitazione dei "forconi"

Mauro Buccheri

Senza un'egemonia proletaria sulla piccola-borghesia
guadagnano terreno i fascisti


E' ripresa in Sicilia e in altre regioni italiane la mobilitazione dei forconi. Una mobilitazione che, in combinazione con quella degli autotrasportatori, due anni fa aveva letteralmente paralizzato la Sicilia per diversi giorni, diffondendosi poi anche in altre regioni. Nella serata di domenica i forconi hanno ripreso a mobilitarsi, avviando un percorso di iniziative di protesta che, a giudicare da quanto da loro stessi preannunciato, dovrebbe concludersi il 13 dicembre. I riscontri delle prime ore suggeriscono che la mobilitazione dei forconi, almeno per quanto riguarda la Sicilia, risulta  depotenziata rispetto a due anni fa. Difatti, la protesta si è per lo più limitata a presidi e volantinaggi e i blocchi sono stati pochi. In altre città della penisola le mobilitazioni hanno assunto delle forme più ampie e radicali, come ad esempio a Torino, dove si sono registrati blocchi in centro e nelle stazioni ferroviarie, e scontri fra i manifestanti e polizia nei pressi della sede di Equitalia e del palazzo della Regione. Nelle diverse regioni si sono visti episodi anche di segno diverso: in Puglia e in Sicilia si segnalano azioni di squadracce (sottoproletari, ultras, fascisti) che hanno dato vita ad azioni teppistiche ma anche ad aggressioni agli immigrati e cori omofobi. Più o meno in tutte le piazze ha sventolato soprattutto la bandiera italiana.
Causa principale dello smorzamento della protesta in Sicilia è da ricercare principalmente nel dietrofront con cui, all'immediata vigilia della protesta, le associazioni degli autotrasportatori siciliani A.i.a.s. e Forza d'Urto hanno ritirato l'adesione alla protesta (1) in seguito a un accordo ai tavoli istituzionali, rinunciando alla tanto sbandierata “rivoluzione”. Una “rivoluzione” che da mesi veniva propagandata sul web, e che – come tutte le sedicenti “rivoluzioni” piccolo borghesi - si è arenata sui tavoli della concertazione (2). A questa pesante defezione degli autotrasportatori, si è aggiunta la minaccia di pugno duro da parte delle istituzioni. Su ordine dall'alto, le prefetture di diverse città siciliane hanno firmato un paio di giorni fa delle ordinanze che vietano presidi e blocchi nelle zone nevralgiche delle città e delle reti stradali urbane ed extraurbane. Anche questo elemento, nonostante l'ostentata sicurezza di Mariano Ferro (“non ci faremo intimidire”), uno dei leder dei forconi, ha contribuito probabilmente a trasformare la prevista ondata di blocchi selvaggi, salvo poche eccezioni, in una serie di iniziative “pacifiche”. Un po' diverso, come detto, il quadro in altre regioni.
Le ragioni delle proteste
La mobilitazione dei forconi (cui si uniscono, formando composizioni diverse a seconda delle aree geografiche, anche autotrasportatori, ambulanti, tassisti, pastori, negozianti) esprime principalmente il malessere della piccola borghesia impoverita dalla crisi del sistema capitalista, una crisi che il padronato scarica sulle spalle delle classi subalterne e che ogni giorno che passa fa sentire sempre più forte il proprio peso.
Tanto più in Sicilia, regione economicamente depressa e ulteriormente stritolata in queste anni dalle politiche di rapina sociale portate avanti dai governi nazionali di tutti i colori, con la complicità delle classi dirigenti locali, sempre più strette in un abbraccio mortale con ambienti del malaffare e di mafia (eclatanti le vicende che hanno riguardato gli ultimi presidenti della regione), nel quadro di dinamiche sociali dove il clientelismo e il familismo costituiscono la norma. Ogni settore dell'economia siciliana, dall'agricoltura alla pesca e alla piccola impresa, è stato colpito pesantemente sull'altare dei grandi interessi padronali, mentre si allarga la fascia dei disoccupati e delle persone che vivono oltre la soglia della povertà, e si estende il malessere dei commercianti, dei precari del settore privato come del pubblico (si pensi ad esempio agli effetti devastanti delle controriforme della scuola sul precariato siciliano), degli operai (la Fiat e i Cantieri navali di Palermo sono solo due fra le situazioni più note), e degli studenti, che negli ultimi mesi si sono dimostrati il settore più combattivo nelle piazze siciliane, dove non sono mancati gli scontri, anche pesanti, con le forze dell'ordine. Senza trascurare la situazione di grave sofferenza vissuta dai migranti, spesso additati come capri espiatori dalle forze populiste e xenofobe (sostenute più o meno direttamente dalla stampa di sistema), che in diverse parti della regione, a partire da Caltanissetta e Mineo, hanno fatto esplodere ripetutamente la loro legittima protesta contro l'ipocrisia istituzionale. Non è un caso insomma se la mobilitazione dei Forconi ha nella Sicilia la sua culla.
Le mobilitazioni – di due anni fa come di oggi - di settori popolari proletarizzati e di fasce sottoproletarie a rimorchio dei padroncini dell'autotrasporto e dei forconi sono il risultato della diffusa esasperazione rispetto alle politiche neoliberiste. Questa esasperazione si traduce in una reazione confusa nei confronti di quelli che vengono percepiti come i responsabili dell'impoverimento delle masse popolari, in primis la “casta” politica.

Le rivendicazioni e le forze in campo
Le rivendicazioni delle forze mobilitate sono evidentemente rivendicazioni di natura piccolo borghese. Non si mette in discussione il sistema, anzi, a scanso di equivoci Ferro dichiara alla stampa di essere “rispettoso delle istituzioni”, ma ci si limita a lamentarsi dei  – naturali – effetti perversi del sistema stesso (carovita, aumento dei prezzi della benzina e della pressione fiscale, crollo dei commerci, restringimento dell'erogazione del credito da parte delle banche), chiedendo a coloro che lo gestiscono, cioè i politicanti dei vari schieramenti, di trovare una "soluzione" oppure di “dimettersi” (per poi fare cosa?)! Il tutto a partire da logiche chiaramente corporative, prive di una dimensione di classe, che spiegano come mai i forconi e le altre forze in agitazione non abbiano mai supportato gli altri settori popolari (dagli studenti agli operai) che negli ultimi anni si sono mobilitati in difesa del lavoro e dei diritti, o nell'ottica di una critica radicale al sistema.
Si chiede “la difesa della Costituzione democratica”, che legalizza lo sfruttamento capitalista e il lavoro salariato, si riconoscono le ragioni del Viminale, e si fa affidamento sulle forze dell'ordine per reprimere eventuali “infiltrati” (3).
La vaghezza delle rivendicazioni, e il fatto che queste non mettono realmente in discussione il sistema (si rivendica ad esempio un più facile accesso al credito, non certo la nazionalizzazione delle banche senza indennizzo e sotto controllo dei lavoratori), ha reso l'appello dei forconi appetibile ad altre forze qualunquiste e anche a gruppi neofascisti, come ad esempio Forza nuova e Casa pound, che sui loro siti web si sono premurati a dichiarare la propria adesione alle mobilitazioni invitando la gente che si definisce orgogliosamente "italiana" a scendere in piazza coi forconi e a "sventolare la bandiera della Rivoluzione" lasciando a casa "i simboli di partito" (4).
I fascisti alla testa dei forconi?
Ovviamente non si può sostenere che piccoli gruppi di estrema destra possano essere oggi alla testa di mobilitazioni di simili proporzioni, e in tal senso risultano strumentali i proclami sdegnati di alcuni settori della borghesia pseudoprogressista che – preoccupati da ogni mobilitazione popolare che in un modo o in un altro metta in discussione, anche solo nel loro immaginario, il loro progetto di “pacificazione” sociale – hanno applicato semplicisticamente ai forconi l'etichetta di “fascisti”, demonizzando conseguentemente tutti i soggetti che aderiscono alle mobilitazioni in atto. Accusa tanto più ridicola se si considera che la borghesia apparentemente “antifascista” è la stessa che, come storia insegna, quotidianamente chiude un occhio o addirittura cerca sponda sul fascismo stesso, arrivando persino a sostenersi su di esso nei momenti di maggiore difficoltà.
E' vero tuttavia che, come detto in precedenza, le forze che dirigono al momento questa mobilitazione sono forze conservatrici e reazionarie, e che i gruppi dell'estrema destra neofascista – attraverso parole d'ordine populiste, contro l'Ue, contro le banche, contro i migranti – provano a capitalizzare a proprio vantaggio le manifestazioni di malcontento popolare, tanto più all'interno di grandi mobilitazioni come può essere quella dei forconi, tentando – anche se nell'immediato sembrano non averne la forza – di guadagnarne la direzione.
Così come ci ricorda del resto l'esperienza storica degli anni Venti in Italia quando, sullo sfondo di una grave crisi del sistema capitalista e, conseguentemente, del sistema politico democratico-borghese, i fascisti riuscirono a egemonizzare la piccola borghesia impoverita e persino vasti settori del movimento operaio, dopo averne smantellato le organizzazioni politiche e sindacali di riferimento, operazione che fu resa possibile dall'assenza di un partito rivoluzionario in Italia e dalle politiche fallimentari della socialdemocrazia e dello stalinismo. In un periodo di grave crisi economica e di diffuso malcontento popolare, le forze neofasciste oggi guadagnano coraggio e provano ad alzare la testa, confortati e stimolati dai risultati che in altri Paesi stanno ottenendo i loro gemelli (ad esempio i neonazisti di Alba dorata in Grecia) .
L'incancrenirsi della crisi di sistema e l'inevitabile acuirsi della sfiducia verso la “politica” (borghese) implica ovviamente il rischio, anche alle nostre latitudini, di uno sviluppo delle forze neofasciste e di un allargamento della loro egemonia sulla masse impoverite e disorientate, sia nell'ambito della piccola borghesia che del sottoproletariato, e persino della classe operaia. E questo rischio è acuito dall'assenza di una direzione rivoluzionaria e dal ruolo nefasto che le burocrazie sindacali (Cgil in primis) e politiche (dal Prc a Sel) continuano a svolgere, contribuendo in maniera determinante al soffocamento del conflitto antisistema  e all'ottenebramento delle coscienze.
A ciò si aggiunge la tendenza settaria e autoreferenziale di alcune delle direzioni della sinistra di classe, sindacale e politica: una tendenza che ostacola l'unificazione delle lotte (e che il coordinamento No Austerity, a cui anche il Pdac aderisce, cerca di contrastare, cercando di far convergere in un fronte unico di lotta le varie esperienze di lotta). Quanto più è assente una risposta a sinistra, tanto è più facile che a capitalizzare il malessere sociale siano le destre.
L'ipocrisia istituzionale e delle forze riformiste
Il movimento dei forconi risulta insomma caratterizzato da profonde contraddizioni, e siamo noi i primi a sottolinearne la natura sostanzialmente conservatrice-reazionaria e la presenza all'interno di esso di componenti neofasciste come di caporioni gravitanti attorno ad ambienti mafiosi (mafiosità che tuttavia la brava borghesia “antimafia” attacca solo quando le fa comodo). Ciò non toglie che la mobilitazione dei forconi, coi suoi enormi limiti, esprime oltre a tutto questo anche l'esasperazione di tanti giovani, precari, disoccupati, e che a questa esasperazione non si può rispondere in maniera semplicistica.
Ci dissociamo pertanto dall'ipocrisia istituzionale, e dal coro dei benpensanti che hanno lamentato, in passato come oggi, il metodo dei blocchi e, in generale, l'uso della forza da parte dei forconi, coi disagi che inevitabilmente ciò ha creato. Laddove noi pensiamo al contrario che l'errore non consista nell'utilizzo della forza come strumento di lotta, quanto negli obiettivi che si intende perseguire attraverso quel mezzo, che nel caso dei forconi sono la subordinazione degli interessi delle masse oppresse a quelle di corporazioni, padroncini, leader trasformisti in cerca di visibilità, obiettivi rispetto ai quali si è pronti al compromesso con governi locali e nazionali.
Ci dissociamo anche dalla critica semplicistica operata dalle forze riformiste e centriste, funzionale unicamente alla loro volontà di continuare nell'inerzia e a ingraziarsi il favore della borghesia. Preoccupate unicamente dal fatto di non essere alla testa delle mobilitazioni, queste forze politiche rimuovono le loro responsabilità in questa situazione di diffuso disorientamento, che rischia di alimentare rigurgiti neofascisti.

La proposta rivoluzionaria
Il compito di una forza rivoluzionaria è di smascherare le direzioni populiste del movimento, così come i tentativi dei fascisti di inserirsi all'interno di quelle contraddizioni, e di avanzare nel contempo la necessità dell'unione delle lotte, a qualsiasi latitudine e longitudine e in contrasto a ogni ipotesi autonomista, contro i governi borghesi di ogni colore. Sulla base di un programma di classe che, attraverso rivendicazioni transitorie, riesca ad avanzare il livello di coscienza dei settori popolari mobilitati per condurli alla consapevolezza della necessità dell'abbattimento del sistema capitalista. Nazionalizzare le autostrade, le banche, le industrie, difendere il lavoro attraverso l'occupazione e la gestione operaia delle fabbriche, per impedire i licenziamenti. Queste sono le parole d'ordine che vanno avanzate, per guadagnare alla lotta di classe anche i settori impoveriti delle “classi medie”, indicando loro in tal modo l'unica via d'uscita dalla crisi. Una via che passa attraverso la realizzazione di un fronte unico di lotta anticapitalista e la costruzione di comitati che promuovano la gestione democratica delle lotte, strappandole alle direzioni opportuniste, attorno a un programma che colleghi le rivendicazioni immediate dei lavoratori e della popolazione povera al progetto di costruzione di un'alternativa di sistema.
Per potere realizzare tutto questo è sempre più urgente la costruzione di un'organizzazione rivoluzionaria internazionale che colleghi le lotte del proletariato di tutti i Paesi intorno all'obiettivo della presa del potere politico e dell'abbattimento del capitalismo. E' il lavoro che la Lit e il Pdac (che della Lit è sezione italiana) stanno svolgendo con grande impegno in ogni parte del mondo e che, nonostante lo sviluppo ancora embrionale e insufficiente rispetto alla portata della guerra sociale in corso, sta conoscendo importanti sviluppi.
Note
(1) http://www.gds.it/gds/sezioni/cronache/dettaglio/articolo/gdsid/306848/
(2) Ancora più risibile il dietrofront di Forza d'Urto, associazione autodefinitasi “apartitica” e “apolitica”, se si considera il comportamento ambiguo da essa tenuto in questi mesi. Sul suo sito si può leggere una lettera dello scorso luglio in cui il presidente del comitato Forza d'Urto Carmelo Lampuri comunica ai ministri dell'interno e dei trasporti l'adesione al fermo dei trasporti proclamato dall'Aias per l'8 dicembre, così come una lettera del 29 novembre in cui attacca le persone che si svendono “per un pugno di dollari”, in evidente polemica con alcune associazioni che in seguito a un incontro istituzionale avvenuto il giorno prima avevano deciso di revocare il fermo in cambio di “poltrone e soldini”. Stessa cosa poi fatta da Forza d'Urto nei giorni scorsi (!), senza che si dia analoga pubblicizzazione sul sito della revoca dell'adesione al fermo dei trasporti! http://www.forzadurto.org/fn/index.php?mod=01_News
(3)   http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/12/09/sciopero-forconi-presidi-in-tutta-italia-fermiamo-il-paese/806612/
  http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/12/07/forconi-blocchi-stradali-in-tutta-italia-siamo-disposti-a-farci-arrestare/804392/
(4) http://www.forzanuova.org/comunicati/fn-aderiremo-alla-rivolta-dell-immacolata ;http://www.casapounditalia.org/2013/12/casapound-italia-su-sciopero-e.html .

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