martedì 10 dicembre 2013

La rivolta degli Ascari

Luciano Granieri



Il neoliberismo non fa prigionieri. Le vittime più recenti  in ordine di tempo sono gli eredi dei lavoratori autonomi  che prosperarono a seguito della crisi del fordismo, fra la fine degli anni ’70   e per tutto il decennio successivo. In quel periodo le grandi fabbriche, che all’epoca del boom economico  avevano invaso il territorio, distruggendo e  sottraendo  terreno all’agricoltura grazie anche a imponenti contributi statali, cominciarono in nome  della domanda  just in time a terzializzare  le produzioni presso  altre strutture autonome molto più  snelle . Realtà formate da piccoli imprenditori , spesso di carattere familiare, le cosiddette imprese famiglia , che assicuravano  alle grandi fabbriche una produzione maggiore con costi inferiori rispetto a quanto prodotto  dagli operai assunti direttamente. 

Tutto ciò grazie al fatto che questi piccoli imprenditori, sulla spinta delle teorie neoliberiste  alla considerazione del soggetto homo aeconomicus come   ente autonomo capace di produrre autonomamente  e individualmente plusvalore, avevano creduto che ogni persona, solo sulla base delle proprie capacità, potesse ambire a ricchezze illimitate .  E non vi è dubbio che queste entità, usate come baluardo contro le antagoniste teorie solidaristiche socialiste emerse dai profondi conflitti della fine anni ’60, prosperarono.  

Le piccole imprese satelliti delle grandi fabbriche contribuirono ad alleggerire  i  loro committenti di mano d’opera socialmente tutelata. Gli operai che dovevano svolgere  il lavoro commissionato all’esterno  furono inesorabilmente licenziati, e alcuni di loro riassunti a nero da quelle stesse piccole imprese causa del loro licenziamento dalla fabbrica. Un processo devastante per  il mondo del lavoro.  Fra l’altro questo nuovo modo di produrre consentì, la progressiva disgregazione della classe lavoratrice.  

Si sgretolavano i granitici legami solidaristici fra lavoratore e lavoratore. Ognuno si abituava a pensare se stesso come impresa in se e a rinunciare attraverso l’apertura di una partita Iva a  tutele sociali indispensabili.  Al conflitto di classe si sostituiva l’idea di concorrenza individuale fra “persona impresa” e “persona impresa”. Un narrazione fallace ma efficace per disgregare le ultime dighe di contenimento dell’inondazione  neoliberista.  

La prima generazione di procacciatori individuali di plusvalore ebbe successo,  grazie anche al foraggiamento delle èlite neoliberiste veicolato attraverso la tolleranza dello Stato sull’enorme evasione  tributaria, neppure tanto nascosta,   prodotta da questi soggetti e le notevoli agevolazioni fiscali di cui godevano. Era consentito scaricare anche lo yacht dalla dichiarazione dei redditi.  Questa nuova classe parcellizzata di uomini impresa, senza alcuna prospettiva o ideale che non fosse l’ottenimento del proprio successo, assicurò la diffusione sociale di pulsioni individualistiche necessarie all’imposizione dei precetti neoliberisti.  

Ma durante il passaggio dalla prima alla seconda generazione di homo aeconomicus,  la globalizzazione a la mondializzazione del neoliberismo modificò notevolmente gli scenari.  La libera circolazione dei capitali e delle merci,   la generazione del profitto basata esclusivamente sulle speculazione finanziaria, concorsero alla rapida deindustrializzazione dei siti produttivi. Con le grandi aziende pronte a de localizzare in paesi con una manodopera a basso costo  schiavizzata,  anche la piccola impresa, motore dell’economia, emblema del successo del’uomo impresa di se stesso, perse competitività , scivolò fuori dal mercato e  dalla possibilità di ottenere credito dalle banche in altre faccende affaccendate.  

La crisi travolse anche  ciò che era rimasto del  comparto agroalimentare vessato dalla libera circolazione di prodotti agricoli a basso costo.  Il neoliberismo non fa prigionieri e sull’altare di una crisi autoprodotta si sono sacrificati coloro  ai quali era stato promesso l’eldorado di un mondo in cui bastasse essere imprenditori di e stessi per arricchirsi. 

Oggi questi ascari del neoliberismo, sono rimasti drammaticamente sedotti e abbandonati.  Sono soli di  fronte alla loro drammatico fallimento economico. Senza un progetto di società, di ideale, non rimane altro che prendere atto del fallimento  di se come uomo impresa. E’ questo il corpo sociale che anima le feroci proteste di piazza che sono in corso lungo tutta la penisola.  

I camionisti riuniti sotto le insegne dei Forconi, i piccoli imprenditori della LIFE, gli agricoltori del C.R.A.   e molti altri soggetti  della rampante borghesia delle partite IVA ,ormai ridotta alla fame della spietatezza neoliberista , manifestano la loro rabbia contro il governo,  la casta dei politici, le istituzioni europee, l’euro. 

Sono una massa urlante schierata contro tutto e tutti, ma senza un  obbiettivo preciso da raggiungere.  Ed è inevitabile che manchino finalità precise nella rivolta di un popolo orfano di un’ideale collettivo di società. Si invoca lo stato di Polizia,  l’esercito al potere per sostituire l’attuale inetta classe dirigente.  Si innesca una pericolosa deriva fascista che i movimenti di estrema destra immediatamente cercano di cavalcare  per ritrovare legittimazione politica. 

Si aggiungono schegge impazzite di popolo che non ce la fa più straziato dalla povertà  pronto ad agganciare qualsiasi movimento  di rivolta. Ci stanno dentro gli ultras da stadio e perfino alcuni centri sociali. Il pericolo sta nel nichilismo ideologico di queste persone.  Il  neoliberismo non fa prigionieri, ma se gli zombie vittime della povertà che il sistema neoliberista produce, si risvegliano. Se si  sollevano anche le truppe degli ascari morti viventi,  il pericolo di derive autoritarie , fasciste  sta dietro l’angolo.  

Forse una riposta di classe  da parte  di movimenti anticapitalisti  ai disastri combinati dal neoliberismo avrebbe potuto cambiare il corso degli eventi, ma purtroppo  le organizzazioni politiche e sindacali deputate alla rappresentanza delle classi subalterne hanno abdicato al loro compito    sedotte dalla chimera di un liberismo governabile dalla politica. E allora l’ultima speranza è riposta in piccole aggregazione di persone che hanno ben presente qual sia il nemico da battere: Il capitalismo finanziario.




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