mercoledì 18 agosto 2010

E' MORTO KOSSIGA, Chi lo piange e chi no

di Francesco Ricci,    Lega Internazionale dei Lavoratori - Lit



Il mondo politico borghese piange ufficialmente la morte di Francesco Cossiga. Ma sotto i panni neri del lutto trapelano ampi sospiri di sollievo. La demenza senile dell'ex presidente, combinata con la nota passione per il whisky (e altre sostanze di conforto) ha fatto tremare in questi anni gli ambienti politici borghesi. Temevano che potesse raccontare esplicitamente - e non solo a mezze frasi - i tanti "misteri italiani" cui ha partecipato per decenni. I decenni della storia della Repubblica fondata sullo sfruttamento del lavoro salariato: una lunga catena di complotti e trame, minacce di golpe, repressioni e stragi per fermare le lotte operaie e studentesche.
Da tempo Cossiga si divertiva a ironizzare sulla finzione che normalmente circonda lo Stato borghese, organismo di oppressione dei padroni sugli operai che l'ideologia dominante presenta invece come strumento neutro, al di sopra di tutto, al servizio dei "cittadini". Facendosi beffe di questa finzione, Cossiga si vantava di aver utilizzato, da ministro e da presidente, gli apparati del loro Stato per fermare in ogni modo la crescita delle lotte e il comunismo. Con questo scopo i governi borghesi dagli anni Quaranta in poi hanno impiegato sempre tutte le "bande armate a difesa del capitale" di cui dispongono: sia le polizie in divisa, sia i corpi speciali in abiti civili mandati a sparare nelle piazze, sia i corpi segreti e clandestini, come Gladio e le altre strutture utilizzate per mettere le bombe nelle stazioni, sui treni, nelle piazze. Le vittime di questa guerra di classe sono state centinaia.
 
Al cordoglio del mondo politico borghese si aggiunge anche la sinistra con rinnovate ambizioni governiste. Paolo Ferrero, segretario del Prc, in una nota definisce Cossiga "un avversario" ma gli riconosce anche di aver combattuto "a viso aperto" (strana espressione per l'uomo politico borghese più legato a trame oscure e servizi segreti!). Certo Ferrero deve ammettere che Cossiga combatteva "non per la democrazia ma per il sistema capitalistico" ma comunque gli rende onore e lo "saluta" augurandogli "che dopo una vita di battaglie che lo hanno profondamente segnato possa riposare in pace".
Il comunicato di Ferrero è un vero esempio di ambiguità che cerca di tenere insieme due esigenze: primo, inchinarsi con "senso dello Stato" di fronte a una figura importante delle istituzioni borghesi (di cui Ferrero è stato ministro), secondo, non destare indignazione tra i tanti militanti che hanno conosciuto negli anni la feroce repressione dello Stato capitalista e hanno scritto sui muri Kossiga, con K e ss runiche. Per questo, dopo i riconoscimenti e i  tributi, Ferrero conclude impegnandosi a continuare "quella battaglia per la trasformazione sociale e il socialismo che Cossiga ha avversato tenacemente".
Ora, se la prima parte del necrologio di Ferrero è quantomeno fastidiosa, questa chiusa è proprio sbagliata. Si sbaglia Ferrero perché Cossiga ha sempre avversato (e certo non solo "a viso aperto") una alternativa di potere dei lavoratori, ma proprio per questo non è mai stato ostile ad assumere dirigenti del movimento operaio come valletti in un governo borghese, ben sapendo che anche questo è un modo (come la repressione) per fermare le lotte e il comunismo. Insomma, Cossiga sicuramente non avrebbe "avversato tenacemente" la proposta avanzata pochi giorni fa da Ferrero (a Bersani, Casini, ecc.) per un "patto delle opposizioni" che conduca a una nuova maggioranza di governo includente quello che resta di Rifondazione Comunista per una terza esperienza in un governo anti-operaio, un governo da contrapporre (insieme alle "bande armate" della repressione) alle lotte operaie dei prossimi mesi.
Per questo lasciamo a Ferrero di salutare in Cossiga un leale avversario. Per i comunisti è morto invece Kossiga, un nemico colpevole di innumerevoli trame repressive contro le lotte dei lavoratori. Trame e complotti su cui si farà completa luce solo il giorno in cui i comunisti entreranno per davvero a Palazzo Ghigi: non per indossare la grisaglia ministeriale ma per costruire una società diversa, sulle rovine di quella democrazia delle casseforti di cui Kossiga è stato il mastino da guardia.




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