Il PD è in apprensione per quello che ha combinato il senatore Lusi con i soldi del partito. Possiamo comprendere che Rutelli si dichiari "incazzato", un po' meno che si dica "amareggiato", e allo stesso modo ci pare assai problematico dare fede a tutti i dirigenti e militanti del PD che si mostrano stupiti del fatto.
Naturalmente non cediamo alla tentazione di generalizzare, e sappiamo bene che le persone sono una cosa ed i gruppi sono un'altra, ma non riusciamo a capire come mai gente che affida un patrimonio ad un democristiano e per giunta non ne controlla l'operato, possa aspettarsi che questi lo gestisca in modo cristallino, insomma da persona perbene. Certo, non sono tutti così, e forse nemmeno la maggioranza di loro lo è, ma la percentuale è alta, come hanno dimostrato le vicende della loro storia.
Ci rendiamo conto che queste affermazioni possano essere censurate oggi come provocatorie, settarie e disfattiste. Non ce ne importa molto, francamente, perché noi le diciamo con altro spirito, e soprattutto con altre finalità. Non ci interessa polemizzare con nessuno, solo ci piace chiamare le cose con il loro nome, e non abbiamo mai tollerato i sotterfugi retorici o semantici utilizzati per addolcire calici amarissimi da far ingurgitare alla "ggente" o per fabbricare formule su misura che giustifichino strane operazioni elettorali e di potere spacciandole per chissà quali conquiste della democrazia avanzata (non si sa poi a chi).
Dunque, brevemente: dalla distruzione del sistema dei partiti di massa previsto dalla Costituzione con l'occasione di Tangentopoli, ci si è affannati a montare mediaticamente il rogo per la politica partecipata e poi a far passare con il consenso confuso degli elettori schifati dall'esito delle inchieste giudiziarie in casa democristiana e socialista una serie di controriforme elettorali tendenti con successo alla concentrazione delle decisioni, alla contrazione rapida della base partecipativa della società alla battaglia politica, alla ghettizzazione delle idee nell'ambito di una non meglio definita "società civile" (nella quale, è utile ricordarlo, si nascondono elementi di corruzione e di sperpero probabilmente non minori di quelli tradizionalmente attribuiti alla politica classica), fino alla privazione di ogni possibilità di scelta per l'elettore, salvo quella dell'attribuzione delle quote di partecipazione al CdA ai vari livelli amministrativi e legislativi.
Grazie a questa "semplificazione" del dibattito - in realtà si tratta della sua trasformazione qualitativa, poiché è oggi riservato alle consorterie, e i cittadini in questo senso non sono più tali - si è proceduto speditamente alla modifica dei presupposti stessi del "fare politica", sostituendo il tema della stabilità a quello della rappresentanza, con la naturale conseguenza del ridislocamento delle forze del consenso su basi completamente diverse (qualcuno dice "nuove", ma è un termine pericoloso perché induce a pensare ad un'idea di progresso di cui nella realtà non c'è traccia). E' quindi diventato non solo normale, ma urgente, che forze prima antagoniste perché propugnatrici di sistemi sociali e di governo alternativi, si compattassero in nome del raggiungimento di quorum maggioritari a prescindere dalle scelte concrete. Sappiamo quale ruolo effettivo abbiano i programmi elettorali, per cui non perdiamo tempo a parlarne.
E così, in modo pur caotico ed affannoso, si sono messi insieme pezzi di gruppi dirigenti che non rappresentavano certamente più gruppi sociali in conflitto, ma che ne portavano ancora l'immagine, e con molti mal di pancia, defezioni, scomponimenti e riaggregazioni, si è stabilito che non fosse uno scandalo che tutti insieme appassionatamente si concorresse alla gestione dello Stato. Sebbene questo abbia comportato una sua trasformazione conservatrice, spesso reazionaria (diritto del lavoro, ordine pubblico, servizi, istruzione), ormai i freni erano rotti, e da una parte il pericolo comunista, dall'altra quello fascista e Berlusconi, si agitavano spauracchi propagandistici e intanto si innestavano ibridi degni di un Frankenstein di prim'ordine.
Ora, tutte le operazioni di ingegneria elettorale, anche quelle sulla linea di confine dell'eversione del diritto costituzionale, possono produrre effetti più o meno desiderati sul piano tecnico, possono modificare i processi di acquisizione del consenso e determinare equilibri di potere i più fantasiosi e perfino fantastici; ma non possono ridurre a valore differenze fondate su precise repsonsabilità, ossia su differenti e conflittuali modi di intendere la società, lo Stato, la stessa politica e le attività connesse.
Per chiarire meglio, non solo non ci pare saggio affidare la cassa alla componente dalle tradizioni non esattamente più virtuose, non sarebbe ora di riflettere sui guasti delle unioni forzate dalla promozione di un concetto astruso come il "bipolarismo" (versione volgare del bipartitismo)?
Intendiamoci: non vogliamo dire che si possano escludere atti del genere a carico di chiunque altro, né che si debbano creare cordoni sanitari fra ex-democristiani e la gestione economica. Quello che sarebbe ora di fare, è una valutazione fredda su quanto ha prodotto il tanto osannato sistema bipolare introdotto a forza nel corpo della variegata società italiana e, se del caso, pensare a correggere qualche errore. Se invece i compagni del PD vogliono continuare così, dovrebbero almeno vaccinarsi contro la meraviglia, poiché come dicevano i nostri vecchi, chi dorme con i bambini, la mattina si sveglia bagnato.
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