Non per fare i soliti spaccacapelli, ma vorremmo un aiuto nel cercare una risposta ad un quesito che ci arrovella in merito alla cosiddetta riforma del mercato del lavoro, che più umanamente significa demolizione delle pur insufficienti tutele del diritto al lavoro. Diritto, si badi, non possibilità, opportunità, merce, ecc.: dititto.
In base al capolavoro del Ministro fornero, se un giudice dovesse riconoscere l'infondatezza su base economica (e come potrebbe, ci chiediamo, in una situazione in cui ogni mese si erogano milioni di ore di cassa integrazione?) del licenziamento, ossia ne decida l'illegittimità e quindi l'illegalità, il reato verrebbe "punito" con un risarcimento in denaro alla vittima. Ora, se io comemtto un'infrazione, mi elevano giustamente una multa, pago e tanti saluti. Ma se tolgo un diritto a qualcuno, ad esempio se impedisco ad una persona di esprimere liberamente il suo voto, se non mando i miei figli alal scuola dell'obbligo, se ometto il soccorso ad un ferito, se rapisco o vendo o riduco in schiavitù un essere umano, se lo uccido, se insomma conculco un suo diritto, mi arrestano e mi tolgono la libertà per un numero di anni commisurato alla gravità del reato, così come previsto dalle leggi e interpretato dal magistrato.
Come mai, per il diritto al lavoro, che sta scritto nell'art. 1 della Costituzione a suo fondamento, oltre che nelle parti più specifiche dello stesso Testo e nelle leggi ordinarie, basta pagare un risarcimento? E sarà possibile, riteniamo, assicurarsi contro tale eventualità, per cui il licenziamento sarà come tamponare una macchina al semaforo? Va inoltre considerato che mentre nella responsabilità civile per danni a cose e persone il risarcimento è commisurato al valore effettivo del bene danneggiato, nel nostro caso sarà assai difficile che le tabelle dei risarcimenti prevedano la corresponsione di tutto quello che il dipendente avrebbe guadagnato lavorando fino a sopraggiunta età di cessazione dell'attività, per non parlare dei danni morali, assai elevati in questi casi per ragioni che chiunque non sia un ereditiere o un ministro riesce facilmente a comprendere.
Tralasciamo l'ennesima infelice scemenza dello stesso Ministro sulla presunta equità di ampliare tale "riforma" anche al settore pubblico, con ovvia e miope condivisione dell'ampiamente maggioritaria fascia qualunquista della società italiana (anche e soprattutto quella che lavora, dato che è senza guida). Secondo la Prof. Fornero sarebbe una "pari opportunità" quella di essere licenziati in due, cosa che francamente non ci riesce di capire. Certo non siamo intellettuali del calibro di costei, che ha passato una vita a insegnare la rapina sociale ai futuri dirigenti del mercato, ma non comprendiamo davvero come si possa pensare che essere malati in due possa alleviare o rendere "equa" la sofferenza. Ma forse è perché loro parlano da un punto di vista opposto, e stando al di sopra dell'asticella che separa la palude mefitica del bisogno dalle salubri vette dell'alta società, quando parlano di opportunità intendono riferirsi ai padroni ed ai manager. Solo in questo senso, le opportunità sarebbero pari: sia il padrone che il funzionario possono licenziare senza troppe seccature. Resta solo da risolvere, come osserva l'argutissimo Patroni Griffi, Ministro della Amministrazione Pubblica e Semplificazione, chi paga la multa (risarcimento) nel caso in cui la sentenza riguardi un ex pubblico dipendente.
Più che di equità, sarebbe il caso di parlare di equinità, perché propinare queste fantasiose letture della realtà al popolo vuol dire considerarlo non bue, ma asino.
Saluti raglianti
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