E’ stata una domenica surreale per la città di Frosinone
quella del 22 settembre scorso. La
sonnolenta consuetudine del tran tran domenicale è stata scossa dall’evento
“L’arte contro il femmnicidio” tenutosi per tutta la giornata all’interno della
Villa Comunale.
Un passante distratto o un abituale frequentatore della Villa
doveva misurarsi con un fiume di scarpe rosse
il cui corso era interrotto qua e là da fotografie. Isole drammatiche
raffiguranti donne violate, violentate. Più in là all’ignaro, quanto sorpreso, frequentatore
del parco veniva richiesto di scrivere su un quadernetto un suo pensiero in
relazione alla piaga della violenza sulle donne .
C’è stato
chi ha riportato il suo pensiero sul foglietto e chi invece, titubante, l’ha
tenuto serrato fra le proprie meningi. In ogni caso, ne sono sicuro, la
riflessione è scaturita. E questo era il
primo obbiettivo dell’evento organizzato dalla Rete La Fenice di
Giuseppina Bonaviri e dall’associazione
Collettivo cinque, che ha visto la
partecipazione di altre associazioni fra cui la nostra : l’Osservatorio Peppino
Impastato.
Dopo che si era indotto il passante domenicale ad una
prima riflessione, lo si invitava ad
entrare in un mondo nuovo. Drammatico sicuramente, dove dibattiti e
testimonianze snocciolavano freddamente
e tristemente numeri, circostanze, cause
dell’accanimento del genere maschile verso quello femminile, ma anche
sorprendente.
Un universo di persone,
artisti, pittori, scrittori, che attraverso la denuncia , il rifiuto e la
voglia di ribellarsi alla violenza verso le donne auspicavano
l’esistenza di un modello sociale diverso, fondato sul rispetto
reciproco fra diversi, per generi, e attitudini sessuali. E lo
esplicavano attraverso la loro arte e predisposizione culturale.
Il nostro
visitatore si trovava catapultato in un ambiente popolato di figure, suoni, suggestioni, che raccontava altri modelli di vita. Si
poteva incontrare ad esempio la professoressa
Eleonora Pusceddu, docente dell’accademia di Belle Arti di Frosinone,
titolare del corso post laurea di
“Pittura per l’arte pubblica”.
In una
sala allestita nella villa, la professoressa, assieme ad alcune sue
collaboratrici, illustrava le istallazioni delle sue allieve. E spiegava come
l’arte debba essere pubblica perché
libera espressione di soggetti la cui originalità comunicativa non può
diventare merce prodotta in serie da vendere al migliore offerente.
L’arte
pubblica si integra con il territorio, ha bisogno della particolarità di una
piazza, di un fiume, come scenario complementare, e restituisce alla comunità pezzi di città
altrimenti fagocitati dalla speculazione edilizia e dall’inquinamento. “Prendersi il tempo di perdere tempo” questa era il titolo di un’installazione
incentrata sul valore della panchina come luogo di riflessione e
socializzazione.
Poter pensare una simile opera, dà la dimostrazione di come
sia possibile ipotizzare una diversa qualità delle relazioni sociali. Una connessione
di rapporti basata sul rispetto
reciproco, senza prevaricazione sull’altro, donna o uomo che sia, con una scala di valori basata su ciò che si è e non
su ciò che si possiede, dove mai e poi mai un soggetto- essere umano, come la
donna potrebbe diventare oggetto della smania di possesso di un altro soggetto-essere
umano, come il maschio.
Uno scenario del tutto diverso dal brodo di
cultura dove cresce e si nutre la violenza sulle donne.
Tutto questo si poteva incontrare domenica
mattina alla Villa Comunale e sono certo
che lo stupito passeggiatore, dopo una simile esperienza, avrà potuto percepire, anche solo
marginalmente, il dramma che subisce una
donna violata, e la necessità di proiettarsi in un mondo diverso per porre fine
a questo dramma.
Di visitatori, donne,uomini,
giovani,bambini, nell’arco della giornata ne abbiamo visti molti. Ne abbiamo
visti di interessati, arrabbiati, disincantati, nessuno indifferente e questo è
stato il successo dell’evento. Il
messaggio è andato oltre gli steccati di
un mondo consapevole, cosciente, militante,
ma troppo chiuso su se stesso, quale quello delle associazioni.
Ciò, al
di là dei distinguo, delle discussioni, provocate dalle diverse sensibilità culturali
e sociali dei movimenti che hanno partecipato, ha determinato la vera novità positiva. Vedere
bambine e bambini riflettere e scrivere
sul quadernetto dei pensieri sulla violenza sulle donne può essere un piccolo
ma significativo indizio, una piccola luce in fondo al tunnel, ma bisogna
continuare.
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