giovedì 7 novembre 2013

Partecipazione democratica o guerra fra clan?

Luciano Graneri

Che peccato! L’unico partito in Parlamento che ancora usa  pratiche democratiche interne ,come i congressi locali e le primarie, per scegliere il proprio segretario vede inficiare un tale mirabile  esercizio di partecipazione dallo sporco affare del tesseramento. Questo è il lamento che si leva alto da osservatori e stampa riformista.  Ci credono veramente?  

E’ possibile che ancora non risulti chiaro quale sia la natura del Pd dopo la sua metamorfosi di dissolvenza iniziata dalla Bolognina, ma forse anche prima? Nel percorrere le infauste tappe che dal Pci, attraverso i Ds il Pds hanno condotto alla situazione odierna, gli ex comunisti si sono allontanati inesorabilmente dall’ideologia leninista, senza però approdare ad una prospettiva  alternativa. 

Dietro un riformismo europeista di facciata,  oltre ad  una deriva ultraliberista acquisita quasi per default,  c’era e c’è il nulla. Insieme con  l’identità ideologica è svaporata l’essenza stessa non solo del partito di massa, ma del semplice movimento rappresentativo di un determinato blocco sociale. In questo strano contenitore vuoto hanno trovato rifugio schegge di classi politiche vittime della diaspora democristiana e socialista determinata da tangentopoli,  gente che non si è  fidata  della nuova sirena berlusconiana e ha valutato  come  approdo più sicuro la  casa degli ex comunisti, ex diessini, ex piddiessini.   L’unica ragione sociale di questo strano ogm politico era l’antiberlusconismo. 

Ecco perché   Berlusconi, sempre osteggiato e combattuto a parole, nei fatti non è stato mai contrastato veramente. Non solo, ma quando sono maturate le circostanze per rovesciare il cavaliere, i neo riformisti hanno trovato il modo di rimetterlo in sella. Infatti caduto Berlusconi sarebbe venuto meno anche l’antiberlusconismo, l’unico collante a tenere insieme le diverse anime dannate all’interno del Pd.  

Così del partito inesorabilmente inaridito in luogo di  principi, ideali,  rappresentatività, è rimasta un elefantiaca  organizzazione  da comitato elettorale,  dal quale i militanti si sono progressivamente allontanati.  Questa situazione si è riverberata a livello locale. Favorita anche dalla legge elettorale per le consultazioni amministrative, in cui si vota la persona, il sindaco e i consiglieri, i circoli si sono trasformati da luogo di condivisione, confronto, in piccoli feudi del notabile aspirante sindaco o consigliere di turno,  pronto a tutto pur di non cedere in millimetro delle sue prerogative di potere.  

Leggendolo   con questa lente di ingrandimento il pasticcio delle tessere  si spiega chiaramente.  E’ una lotta interna fra piccoli clan che pur di  imporsi, non esitano a ricorrere al mercimonio delle tessere.  Disgraziatamente all’interno di questi clan esistono ancora i militanti, quelli che ci credono veramente, i giovani di Occupy Pd ad esempio .  

E nei congressi locali si ripete più o meno lo stesso scenario, mentre  dentro le sedi pochi militanti discutono del  partito che vorrebbero, fuori, nel gazebo posto davanti la sede, sfilano le truppe cammellate a far strame di tessere. Una legione spesso straniera visto che al suo interno militano albanesi e rumeni.  Ecco perché  è improprio  lamentarsi del  fatto che nel partito il sistema democratico e partecipativo  deputato all’elezioni del segretario, ma anche degli apparati locali, sia guastato dallo compravendita di tessere. Intanto perché non esiste il partito, ma soprattutto perché alla partecipazione democratica si sostituisce la guerra per bande     ramificata nelle diverse realtà locali.


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