sabato 23 marzo 2013

Cambia tutto per non cambiare nulla

Luciano Granieri


Sono molti i casi in cui capita di stupirmi per chi si  stupisce.  Qui vorrei dire la mia su chi se la prende con Grillo e con il suo atteggiamento ostile e intransigente verso la possibilità di collaborare alla nascita di un governo con i morti che camminano. Beppe Grillo sta semplicemente portando avanti con coerenza ciò che ha sempre sostenuto, dal suo blog e dalle piazze dello tsunami tour. Ovvero che  certi personaggi attori pluridecennali della scena politica italiana sono finiti.  Dunque nessun accordo con i cadaveri, indipendentemente dalle proposte anche condivisibili che questi pongono. Di qui la ritorsione, poi edulcorata,  verso i senatori del movimento che hanno rilevato differenze  fra Grasso e Schifani   e lo hanno esplicitato contribuendo con il loro voto a far eleggere il procuratore nazionale antimafia che Berlusconi, già proprio lui, preferì a Giancarlo Caselli . Dal che se ne deduce che  forse le differenze, nella sostanza, non siano così profonde fra il candidato del Pd e quello del PD meno elle, e questo probabilmente è sfuggito ai grillini pro Grasso . Ma torniamo a bomba  Lo scenario di rottura e di scardinamento da dentro del sistema, fra l’altro,  è stato  l’obbiettivo che si sono posti la maggioranza di coloro che hanno votato il Movimento 5 Stelle. Mi resta difficile ipotizzare che i quasi dieci milioni di elettori grillini abbiano basato la loro preferenza  sui programmi. Credo anzi che la stragrande maggioranza abbia espresso un voto di protesta e di rifiuto della casta, ritenuta responsabile della grave crisi economica e sociale che attanaglia il Paese. Dunque le aspettative non possono altro che tradursi in una azione di sabotaggio, tutt’altro che propositiva.  E’   questo  ciò che sta accadendo, anche se le questioni di coscienza di qualche parlamentare a 5 stelle hanno contribuito ha edulcorare certi atteggiamenti e ad eleggere membri di quei partiti giudicati morti e finiti come  presidenti di Camera e Senato.  A mio giudizio il voto grillino ha pescato  in gran parte nel mare magnum dell’astensionismo.  Ha  riunito l’insofferenza di chi genericamente vede nel politico, parlamentare o titolare di cariche amministrative il male assoluto,  e di chi è convinto  che il rigore economico e l’austerity imposta dal capitale finanziario attraverso le istituzioni europee,   siano i principali colpevoli del disastro economico e finanziario che attanaglia i paesi meridionali della zona euro. A dire il vero l’espressione dell’indignazione  anti austerity  di chi non voleva delegare la sua protesta a nessuna forza che si candidasse al parlamento si è risolta nell’astensionismo attivo, ma la sua incidenza, pur se degna di menzione è stata totalmente ignorata dai mezzi d’informazione. Inoltre molti nella dinamica partecipativa a mezzo web dei grillini hanno intravisto, erroneamente a mio parere, una nuova forma di partecipazione alle decisioni della politica. In realtà la partecipazione dal basso degli utenti della rete è limitata al consenso:  il “MI PIACE” cliccato sotto i post di Grillo. Altro è il processo relativo alla partecipazione democratica dei cittadini che utilizza la rete, ma solo come motore organizzativo  di incontri, assemblee, confronti e scontri, cioè  di tutte quelle forme aggregative che servono realmente per cercare di costruire con  un’azione concreta, nelle piazze, nelle scuole, nei luoghi di lavoro e sognare  una ipotesi di società condivisa. Non è un caso che la partecipazione reale in piazza alle lotte dei militanti grillini sia numericamente poco rilevante e limitata a situazione locali come la lotta No Tav. C’è un enorme differenza fra il consenso partecipato di Grillo e la democrazia partecipata dei movimenti alter mondisti  e no global. Comunque il dato politico immediato non può che essere positivo. Il movimento 5stelle ha il merito di essersi costituito come puntello in grado di bloccare le ruote del carrozzone. Dall’alto dei banchi dell’opposizione  ad un governo ormai inesorabilmente targato Pd e Pd meno elle, e all’interno di organismi quale il Copasir e la commissione di Vigilanza Rai i grillini possono creare danni notevoli. L’unico rischio è che nel caso di nuove elezioni a breve termine  inevitabili a seguito del prevedibile ennesimo rovesciamento del tavolo da pare del Pdl , il loro pressapochismo nel costruire una linea programmatica  convincente,  li condanni ad un mesto ritorno nel mondo degli strilloni da  blog.  Con un Pd ancora una volta logorato e risucchiato da un’improvvida e letale alleanza con gli “ZERI” belusconiani, e  il M5S  destabilizzato da intransigenze del leader e da carenze programmatiche tipiche di un movimento che nasce dalla rabbia più che dal progetto di prospettive nuove ,   c’è il rischio concreto di morire berlusconiani. Ecco perché diventa a questo punto vitale rendere inoffensivi quegli sciagurati settemilioni di elettori che ancora si fanno imbrogliare dalle sirene berlusconiane. L’unico modo è votare l’ineleggibilità di Berlusconi. Speriamo che grillini e senatori del Pd possano finalmente esercitare  nella giunta senatoriale per le elezioni la prerogativa di rendere possibile l’applicazione di una legge sacrosanta.  

DIMISSIONI DEI COMPAGNI GIUSEPPE ANTONELLI E MADDE’ GUGLIELMO


..

 Ai/lle Compagni/e del Comitato Politico Federale di Frosinone
Ai/lle Compagni/e del Collegio Provinciale di Garanzia di Frosinone
Alla Segretaria Provinciale del PRC di Frosinone – Ornella Carnevale
Ai/lle Compagni/e del Comitato Politico Regionale del Lazio
Ai/lle Compagni/e del Collegio Regionale di Garanzia del Lazio
Alla Segretaria Regionale del PRC del Lazio – Loredana Fraleone
Ai/lle Compagni/e del Comitato Politico Nazionale del PRC
Ai/lle Compagni/e del Collegio Nazionale di Garanzia del PRC
Ai/lle Compagni/e della Segreteria Nazionale del PRC
Al Segretario Nazionale del PRC – Paolo Ferrero
Alla Direzione Nazionale del PRC di Roma

OGGETTO: DIMISSIONI DEI COMPAGNI GIUSEPPE ANTONELLI E MADDE’ GUGLIELMO DAL “C.P.F.” DEL P.R.C. DELLA FEDERAZIONE DI FROSINONE.

Fra le tante questioni aperte dai Risultati Elettorali per le Elezioni Politiche (Camera e Senato) e Regionali del Lazio del 24 e 25 Febbraio 2013, la disfatta della Lista di “Rivoluzione Civile” ci riguarda direttamente, anche se non siamo stati noi, né i promotori, né i sostenitori e nemmeno abbiamo incoraggiato la “missione suicida” (costruita in fretta e in furia) attorno al candidato Premier Antonino Ingroia, con cui i Partiti della “Sinistra Radicale” (PRC e PdCI) hanno bissato il fallimento (e senza dubbio con risultati ben più brucianti) Elettorale delle Elezioni Politiche. La sconfitta di “Rivoluzione Civile” e di “Rifondazione Comunista”, che ne è stata parte fondante, ha dimensioni senza appello. Non basta quindi un sussulto d’orgoglio o uno sforzo volontaristico per mettersela alle spalle e tracciare una prospettiva credibile, ma è necessario invece andare alla sua radice originaria e rileggere (alla luce dei dati reali) una realtà che con ogni evidenza, il gruppo dirigente del nostro partito, da tempo, non era più in grado di vedere. È necessario rimettere in discussione l’intera strategia politica, che ha guidato le scelte del gruppo dirigente in questi anni. La conferma della “scomparsa elettorale” ci riguarda direttamente, come ci riguardano direttamente i sommovimenti, gli sviluppi e le evoluzioni nel campo della sinistra, nel movimento operaio e nel movimento Comunista. Nessun Comunista (degno di questo nome) può sottovalutare l’impegno, la dedizione e lo sforzo che centinaia (e forse migliaia) di Compagni e Compagne di base del Partito della Rifondazione Comunista hanno profuso nella campagna elettorale con banchetti, volantinaggi, attacchinaggi, assemblee e riunioni. Il loro impegno e il loro sforzo, è la manifestazione sana e positiva di quanto (nonostante il gruppo dirigente del Partito della Rifondazione Comunista e il progetto di “Rivoluzione Civile”, ne fossero per certi versi “indegni”) la prospettiva di usare le elezioni per rafforzare il movimento popolare contro la crisi e i suoi effetti, sia presente, viva, e vivace in un’ambizione condivisa. In secondo luogo, nessun Comunista (degno di questo nome) può permettersi di ironizzare sul fatto che, tanto impegno e tanti sforzi, fossero finalizzati a realizzare un progetto che non aveva gambe per marciare. La cosa ci compete e ci riguarda, perché oltre al fallimento elettorale, sarebbe acconsentire, che la demoralizzazione, la sfiducia, il senso di essere  “fuori dalla storia” avesse il sopravvento su tanti Compagni e le tante Compagne. Le loro energie e intelligenze, il loro contributo invece, sono necessari come l’aria che respiriamo per condurre la lotta per il Comunismo (un compito storico di primaria importanza in Italia) in un paese imperialista. Anche adesso, dopo l’ennesima catastrofe elettorale che ha travolto le ambizioni di una “Rivoluzione Civile” in questo Paese, lascia esterrefatti la totale mancanza di senso di responsabilità. Le dimissioni “doverose e necessarie” di un gruppo dirigente, non sono per noi un semplice passaggio consolatorio o l’occasione per rielencare la lunga (e quasi interminabile) lista di errori che hanno condotto a questo esito. Il punto è che da tempo ormai, era venuta meno una pietra angolare essenziale alla vita di qualsiasi organizzazione, ossia il senso di responsabilità che dovrebbe legare un gruppo dirigente al corpo del suo partito. Questo senso di responsabilità è stato buttato a mare e sostituito con illusioni, improvvisazioni, fughe dalla realtà, desideri scambiati per analisi, piccoli e grandi opportunismi. In primis è bene mettere alcune cose al proprio posto. Il gruppo dirigente del Partito della Rifondazione Comunista, racchiude e sintetizza le varie “tendenze anticomuniste” che animano la sinistra borghese. La linea che ha elaborato (se così si può dire) è una linea di compatibilità con l’esistente. La prospettiva che ha elaborato si racchiude in una serie di riforme del capitalismo (che all’atto pratico, diventano il meno peggio, che apre la porta al peggio: “do you remember” il precedente Governo Prodi). Concepisce il Partito e lo ha plasmato (non da oggi, a dire il vero è la “deriva” della sinistra borghese iniziata decenni fa) come un’entità che dipende dagli spazi che la borghesia gli concede e dal ruolo che la borghesia gli assegna (ecco spiegata in sintesi estrema l’ossessione di rientrare in Parlamento, che in un Partito come quello della Rifondazione Comunista di Paolo Ferrero, fuori dal Parlamento non ha più senso di esistere). Ha prolungato, dalla “crisi mortale” del 2008 a oggi, la situazione di un “partito” scisso tra i militanti che fanno attività di base e i dirigenti che aspirano essenzialmente a rientrare in Parlamento a qualunque costo. In questa smania disperata di rientrare in Parlamento, si sono amplificate tutte le “magagne” dei dirigenti del Partito della Rifondazione Comunista; analisi della realtà pari a zero, cosa che ha prodotto e alimentato la guerra contro il Movimento 5 Stelle; strategia pari a zero, cosa che ha indotto molti a credere e a ragionare, che una volta “rientrati” gli eletti di “Rivoluzione Civile”, avrebbero cercato ognuno una sistemazione a propria convenienza e secondo le proprie inclinazioni all’ombra del Partito Democratico. Rimane da chiarire il motivo per cui, tanti Compagni e tante Compagne di base del Partito della Rifondazione Comunista, si sono comunque accodati a una linea generale e particolare fallimentare. Alla base di questo “adattamento”, ci sta probabilmente la convinzione che il fattore determinante è essere tanti. Alla prova dei fatti questa convinzione si è rivelata, o meglio si è confermata sbagliata: è vero che il numero fa la forza, ma solamente se il numero è guidato da una concezione, da una strategia, da una linea giusta, avanzata e di prospettiva. Si può essere in tanti, ma se la concezione, l’analisi e la linea sono sbagliate si fallisce. Si diventa pochi, ci si disgrega, anziché accumularle si disperdono le forze, seminando disfattismo e rassegnazione. La concezione sbagliata è evidente, e sta nel fatto di non concepire come possibile quello che è necessario anche se difficile, ovvero, costruire la Rivoluzione Socialista in un Paese Imperialista come l’Italia. Ma, citando Seneca «”certe imprese, non è perché sono difficili che non le affrontiamo, al contrario, è perché non osiamo affrontarle che ci sembrano difficili”». Castrando il necessario in favore di ciò che è difficile, la loro azione diventa nel migliore dei casi testimonianza dogmatica di un’idea. Ma quell’idea non viene usata per guidare l’azione e la pratica. Altro pilastro di quella concezione, è probabilmente la convinzione che la politica è una cosa solo o principalmente pratica. Cioè la convinzione (i gruppi dirigenti del Partito della Rifondazione Comunista hanno assecondato e incoraggiato i tanti compagni militanti in questo grande errore) che la “teoria rivoluzionaria” non serve. Compagni e Compagne, la teoria rivoluzionaria non è lo studio accademico dei libri sacri. La teoria rivoluzionaria: è fare nostri gli insegnamenti del movimento comunista, è l’analisi concreta della situazione concreta, è la pianificazione della propria azione, è la definizione degli obiettivi, la definizione di metodi e strumenti, è il bilancio dell’esperienza. Si moltiplicano gli aperitivi resistenti e si diradano lo studio individuale e le discussioni collettive, si moltiplicano le iniziative “per stare a contatto con le masse, sul territorio” e spariscono lo studio delle contraddizioni del territorio, l’analisi delle condizioni, la definizione di obiettivi. Il terzo pilatro della concezione dei dirigenti Nazionali del Partito della Rifondazione Comunista (educati e formati apposta per quello) è la convinzione che “le masse non capiscono”, “sono arretrate”, “danno retta al populismo”. Questa concezione, si traduce nel fatto che, la loro azione rincorre culturalmente e politicamente i settori più arretrati delle masse (quelli che davvero danno retta solo al populismo e comprendono più facilmente ragionamenti superficiali e obiettivi “facili”) e tralasciano gli elementi più avanzati. Ci opponiamo fermamente a questo tipo di posizioni, perché siamo sicuri che il movimento operaio e la sinistra, non sono affatto finiti e non lo saranno. Il conflitto sociale si riproporrà e sarà sempre più all’ordine del giorno. Compagni e Compagne, i Comunisti hanno il compito di elevare la coscienza delle masse, non quello di inseguirla. Utile elemento di riflessione, è anche il fatto che nessun Comunista (degno di questo nome) dà la responsabilità dei propri fallimenti alle masse popolari. La storia insegna (dall’affermazione del Nazi-Fascismo in avanti) che dipingere di brutto quello che è già brutto (senza indicare una via concreta e praticabile per contrastarlo e vincere), produce i risultati opposti. Chi si lamenta non indica una prospettiva alternativa, e chi non la indica non ha nulla da dare alle masse popolari. In definitiva, da qui nasce la concezione (e la cultura) dell’ANTI, che tralascia e mortifica il PER. Noi siamo Comunisti, per il Comunismo, siamo semplicemente antifascisti, anticapitalisti e antimperialisti. Il Comitato Politico Nazionale (CPN), considera chiusa l’esperienza di “Rivoluzione Civile”. È necessario lasciarci alle spalle una discussione stantia sui “contenitori” che si è mostrata fallimentare e potenzialmente liquidatoria del partito, per affrontare il tema del rilancio della “Rifondazione Comunista” attraverso un confronto sui “contenuti”. La discussione del congresso, deve ripartire dalla definizione di un programma anticapitalista, che metta al centro: il tema dell’estinzione del debito, delle nazionalizzazioni, del controllo pubblico dell’economia, al fine di impedire che le masse popolari vengano stritolate dalla crisi. Avevamo detto in tempi non sospetti, che si sarebbero dovuti fare serenamente i conti con i fallimenti di cui i nostri dirigenti, si sono resi protagonisti e dimettersi. Non lo hanno fatto, né allora né oggi, e perciò lo facciamo noi per loro, da semplice iscritti però, dato che agli incarichi dirigenziali ne siamo stati sempre poco affezionati. È veramente triste fare i conti con il mesto epilogo di un “progetto nato” con l’ambizione di “rifondare” una “teoria e prassi” Comunista nel Paese, dopo lo scioglimento traumatico del Partito Comunista Italiano. Di sconfitta in sconfitta, l’organizzazione (incaricatasi di rappresentare la palingenesi del marxismo) militante, si è progressivamente ridimensionata, fino a divenire inutile, residuale, insignificante. Altro che l’erede del più grande Partito Comunista dell’Occidente, al massimo ci siamo ridotti a scimmiottare una delle tante organizzazioni della vecchia sinistra extraparlamentare, con una non trascurabile differenza: allora c’era anche il PCI, oggi no. Negli ultimi anni siamo stati impegnati, più che a costruire il nostro progetto politico e dargli credibilità, a ragionare in termini di posizionamento rispetto agli altri: PD “Sì”, PD “No”; Governo “Sì”, Governo “No”. In questo caso potremmo evocare la famosa “Sindrome di Stoccolma”, per spiegare l’attuale stato d’animo del PRC e del PdCI, perché la sconfitta e la profonda crisi del Partito Democratico, ha anzitutto spiazzato chi in questi anni ha incessantemente incentrato la propria azione politica sulla critica feroce o l’appiattimento verso questo partito. Se non esistesse più il PD, un buon 70% degli argomenti al centro delle nostre discussioni, negli ultimi anni verrebbe meno. Panico: chi siamo, dove andiamo, come fare e soprattutto “Che fare”? (diceva il Compagno Lenin nel 1929). Fondare o affondare il proprio progetto sulla politica delle alleanze (alleati sempre e comunque, oppure mai) è indice di subalternità politica: in entrambi i casi il soggetto non sono io, bensì l’altro, in ragione del quale, in un senso o nell’altro, configuro tutte le mie scelte di tattica e strategia. Come in più di un’occasione mi è capitato di dire, l’idea della Rifondazione Comunista è stata sconfitta non dalla borghesia, dai poteri forti, dall’ipoteca moderata nel Paese del Vaticano. Il Partito della Rifondazione Comunista ha fatto tutto o quasi tutto da solo: anzitutto perseguendo una linea a zig zag (eclettica, per non dire schizofrenica) dove abbiamo detto tutto e il contrario di tutto; quindi anteponendo sempre il momento elettorale a tutto il resto. Prima vengono i progetti politici e poi le urne. Noi abbiamo preteso di invertire questi due termini, andando avanti con campagne estemporanee, tirando ogni volta “fuori dal cilindro”, “conigli” pronti a essere sacrificati nelle urne. Siamo finiti nel “girone dantesco” dei “Comitati Elettorali”, anziché impegnarci con continuità e coraggio su un progetto politico di lungo periodo in grado di seminare, sedimentare e poi, magari, ottenere risultati. La fretta per le esigenze della scheda elettorale, rispetto alle quali non ci siamo mai sentiti pronti e adeguati, tanto da dover ogni volta inventare un simbolo e contenitore nuovo (o privo di contenuti), la fregola di eleggere, o meglio di essere eletti, ci ha puntualmente fregato. Ogni volta, a pochi mesi dal voto, abbiamo tentato la “mossa del cavallo vincente”, inventandoci il cartello elettorale di turno, per poi abbandonarlo successivamente subito dopo. È accaduto alle Elezioni Politiche del 2008, con la “Sinistra Arcobaleno”, alle Elezioni Europee, con la Lista “Comunista e Anticapitalista” ed infine, in questa ultimissima tornata elettorale dove (nel breve volgere di pochi mesi) abbiamo bruciato ben due soggetti politici inventati all’occorrenza, ovvero, “Cambiare #Si Può e Rivoluzione Civile”, dopo aver archiviato una proposta di cui nessuno ha più nemmeno memoria, il “Fronte democratico”. All’interno di questa autentica “Via Crucis” l’unico tentativo dotato di un minimo di prospettiva (se così possiamo definirlo) era la “Federazione della Sinistra”, su cui però non abbiamo mai investito seriamente, azzoppandola sin da subito con assurde “competizioni interne”, sgambetti reciproci, rivalità e insensati personalismi tra i nostri “piccoli leader” (vedi Ferrero, Diliberto, Salvi e Patta), l’esigenza di tutelare i rispettivi “orticelli di sovranità” anche a discapito del “Progetto Comune”. Eppure, proprio la sua nascita, all’indomani delle Elezioni Europee, qualche segnale di speranza e un minimo di entusiasmo l’aveva suscitata, perché finalmente si tentava di invertire la tendenza decompositiva delle “scissioni a sinistra” e perché, finalmente, almeno PRC e PdCI sembravano decisi a costruire una fraterna “casa comune”. Come tanti altri, anche noi ci abbiamo creduto, dedicando parte (non trascurabile) del nostro tempo (e delle nostre risorse) a tale prospettiva, salvo poi scoprire (a pochi mesi dalle elezioni) che ci eravamo di nuovo sbagliati e che non era più il “tempo” di Federarsi a Sinistra. Da una parte e dall’altra, la politica delle alleanze è stata posta al di sopra di tutto, compresa l’esistenza stessa del soggetto politico. In entrambi i casi (sia per chi bramava gli accordi con il PD, sia per chi li rifiutava a priori), la malattia era la medesima: istituzionalismo e smania di protagonismo. In entrambi i casi, è stato un fallimento politico occultato dallo “stato di necessità” della fase. Per 4 anni, da Roma, i nostri dirigenti ci hanno martellato (con riunioni, assemblee, chilometri in auto, treno aereo, ore al telefono, soldi buttati, giornate sottratte a lavoro e a vita privata) per fare avanzare il “nuovo contenitore federale” della Sinistra di Classe, spingendoci di girare i paesi per convincere compagni e compagne, litigando con chi non ne condivideva la prospettiva. Poi, di punto in bianco (ovviamente a cose fatte e senza alcun mandato congressuale) quel contenitore è stato svuotato e gettato nel cestino, senza neanche tentare di spiegarci come sono andate le cose o dirci: «scusate, ci eravamo sbagliati». Pensiamo, che ci sia stata poca onestà verso quei dirigenti e quei militanti che nei territori (mentre si dava loro l’indicazione di costruire la “Federazione della Sinistra”) i vertici dei due partiti maggiori (PRC e PdCI) facevano tutt’altro, evitando risolutamente di trasformare un cartello elettorale in soggetto politico. In realtà, abbiamo come l’impressione che nessuno di loro volesse realmente o credesse sinceramente in quel progetto. Ovviamente non subito, perché tanto di tempo ne abbiamo molto, e magari nel mentre ci scappa pure qualche altra tornata elettorale. Macché, rinviamo tutto a Dicembre, con la speranza di trovare sotto il prossimo “Albero di Natale”, le masse popolari allineate e pronte per essere guidate dall’ennesimo “rilancio” della Rifondazione Comunista. Questo gruppo dirigente ha avuto 5 anni per tentare sia questa strada, sia quella della più ampia aggregazione a sinistra, raccogliendo soltanto sconfitte. I Compagni Giuseppe Antonelli e Maddè Guglielmo, ringraziano tutti i Compagni e tutte le Compagne della Federazione Provinciale del Partito della Rifondazione Comunista di Frosinone per l’impegno mostrato, sottolineando, come il risultato pesantemente negativo, non può essere in alcun modo relazionato allo sforzo profuso in campagna elettorale, notevole e generoso come sempre. I 1.668 voti di preferenza del candidato operaio dell’indotto Fiat Guglielmo Maddè, ed i 6.932 voti (2,39%) della Lista Provinciale di “Rivoluzione Civile” della Federazione di Frosinone ed i 71.219 voti (2,38%) della Lista a livello Regionale, di fatto sono tre dati che vanno in netta controtendenza rispetto al risultato raggiunto a livello Nazionale. La percentuale conseguita in Provincia di Frosinone da “Rivoluzione Civile” alle Elezioni Regionali del Lazio (nonostante le tante difficoltà incontrate) è un risultato di tutto rispetto. A differenza del dato Nazionale di 765.188 (2,25%) della Lista “Rivoluzione Civile”, che non da modo al movimento (del magistrato Antonino Ingroia) di entrare in Parlamento (perché non raggiunge la soglia di sbarramento del 4%, provocata da leggi elettorali truffaldine come la “Porcellum/Calderoli”) aprendo scenari politico-italiani estremamente rilevanti. Le cause della sconfitta sono puramente politiche. I Compagni Giuseppe Antonelli e Maddè Guglielmo accettano pertanto le dimissioni della Segreteria Nazionale, che si riconvoca da qui a un mese per avviare il percorso del Congresso straordinario da tenersi entro il mese di Dicembre del 2013. Dopo diversi anni (chi più e chi meno) passati dentro il Partito della Rifondazione Comunista, i Compagni Giuseppe Antonelli e Maddè Guglielmo (non certo a cuor leggero) hanno deciso di dimettersi dal Comitato Politico Federale (entrambi entrati nel CPF nel 2004) e nella fattispecie dalla Segreteria Provinciale del PRC della Federazione di Frosinone, come il Compagno Giuseppe Antonelli, perché mai avevamo pensato (neanche nei momenti più duri di distanza, quando prevalevano gli elementi di dissenso a quelli di condivisione) di fare un simile passo. Lo facciamo ora, con grande travaglio personale, per non renderci ulteriormente complici di una conduzione tanto scellerata e, soprattutto, continuando (come abbiamo sempre fatto) ad esser presenti nelle migliaia di manifestazioni, vertenze, lotte politiche e sindacali, in un territorio economicamente, culturalmente e industrialmente, massacrato da una “classe dirigente” sorda, incapace e fallimentare. Bisogna finirla di pensare che abbiamo perso, non perché abbiamo sbagliato, ma perché gli elettori non ci hanno capito. Forse Compagni e Compagne, al contrario, abbiamo perso sonoramente perché invece loro, hanno capito benissimo, mentre noi ancora no.
Cassino, lì 20 Marzo 2013
Saluti Comunisti
Giuseppe Antonelli
Segreteria Provinciale del P.R.C. – Federazione di Frosinone
Responsabile dell’Organizzazione
Maddè Guglielmo
CPF - PRC Frosinone
Candidato Operaio alle Elezioni
Regionali 2013 del Lazio



Dolorose necessità

Mario Saverio Morsillo



    Ci siamo, alla fine. Per un mese hanno fatto finta di non gradire il risultato elettorale, poi hanno fatto una serie di mosse adatte a spianarsi la strada, infine sta emergendo una 'dolorosa' necessità:
il Governissimo.
Mi spiego. Indipendentemente dalla persona di Berlusconi, il berlusconismo, figlio della politica massonico-mafiosa della P2, ha vinto; esso consiste in uno svuotamento della democrazia liberale per arrivare ad una democrazia sovrastrutturale.
Il popolo ha votato, ha votato in maniera tale da premiare tutti, ovvero da non premiare nessuno, rendendo il parlamento ingovernabile. Esiste un macigno: il Movimento 5 stelle, per meri interessi privatizzatori, non vuole e non può allearsi con nessuno. Il Pd non può, alla luce dei risultati, tornare a nuove elezioni : le perderebbe miseramente. Il Pdl  non ha interesse a governare,il suo unico interesse è garantire l'immunità a Berlusconi, e la soddisfazione del suo represso complesso di
inferiorità.
Il pd, per accordarsi con un pdl che ha interessi compatibili con i suoi, ha messo nelle mani di Berlusconi un'arma efficacissima: dopo aver eletto la Boldrini e Grasso coi voti di grillini dissidenti (siamo sicuri che
siano stati tutti grillini?), ha offerto al vittimismo berluskino la possibilità di rivendicare la Presidenza della Repubblica per un 'moderato ( sè stesso)'. In cambio , il pdl garantirà ai sederi bersaniani di accomodarsi su poltrone ministeriali.
Stanno quindi realizzando, prendendo in giro i loro idioti elettori, quello che affermavo già allo spoglio del 25 febbraio: Bersani al governo e Berlusconi al Quirinale, con Pd e Pdl alleati. Grillo contento, che
questo scenario gli impedirà di perdere i consensi avuti.
                           Fantapolitica?

I predatori del voto negato

Ferruccio Gambino. Fonte http://sbilanciamoci.gag.it


Gli immigrati non possono votare alle elezioni politiche. Ma "contano" come popolazione residente, gonfiando la torta dei seggi da spartire. Soprattutto al Nord-Ovest, dove vive più di un terzo degli stranieri. Lampante il caso della "Ohio d'Italia", la Lombardia

1. Una rendita elettorale che non fa notizia
L’esclusione di tutti i migranti residenti in Italia dal voto nelle elezioni politiche del 24 febbraio 2013 è uno dei tanti atti di discriminazione contro gli stranieri che si consumano nel mondo e che di solito passano inosservati. Ne sono autori molti governi e organi legislativi di paesi d’immigrazione, che negano il voto ai migranti e allo stesso tempo li contano come parte della popolazione nazionale, gonfiando così la torta dei seggi elettorali da spartire, una vera e propria rendita elettorale a favore dei sistemi politici vigenti.[1]
Nel caso italiano, ormai da più un ventennio perdura l’ostilità endemica al voto dei migranti nelle elezioni politiche, nelle quali possono votare solo i cittadini.[2] La legge per il difficile ottenimento della cittadinanza risale al 1992. Il ceto politico che allora non prendeva sul serio la questione del voto dei migranti ha finito poi per non prendere sul serio neppure il voto dei cittadini e per presentare liste bloccate di nominati dalle segreterie dei partiti (legge elettorale cosiddetta Porcellum del 2005).[3] A loro volta molti dei cittadini ricambiano o rifiutandosi di votare o acconciandosi passivamente a mettere una croce su quello che passa il convento.
Dunque, in sovrimpressione sul crescente numero dei non votanti, delle schede bianche e nulle nelle elezioni di febbraio andrebbe stampata la quindicennale parabola ascendente del numero dei migranti in età di voto, che non compaiono sui radar elettorali ma – in modo intermittente – sui radar della Guardia costiera e della Nato. Non sorprende poi che il maggiore partito nelle elezioni di febbraio è risultato quello dei non-votanti.[4] Si aggiungano inoltre le schede bianche e nulle.[5] In totale coloro che non se la sono sentita di mettere una croce sulla scheda sono 13 milioni e 841mila alla Camera (27, 28%) e 12 milioni 617 mila al Senato (27,15%).[6] A loro va premesso il numero dei migranti residenti in Italia, ossia 3 milioni e 104mila in età di voto per la Camera, due milioni e 737mila in età di voto per il Senato[7] Addizionando i migranti esclusi dalle urne, gli assenteisti e le schede bianche e nulle i non votanti sono un terzo della popolazione in età di voto.[8]
Ma procediamo con ordine. Secondo il Censimento del 2011, sul quale si basa la distribuzione dei seggi delle recenti elezioni politiche, il totale della popolazione residente in Italia è di 59 milioni 433mila e 744 unità, un dato che comprende 4 milioni 29mila e 145 residenti stranieri di tutte le età (il 6,7% del totale della popolazione).[9] Ovviamente questa è una conta per difetto, poiché i migranti privi di documenti legali – variamente stimati nell’ordine di meno di un milione di individui – si sono tenuti alla larga dai rilevatori durante i mesi del Censimento.Come sempre, la ripartizione dei seggi è avvenuta sulla base del totale della popolazione residente che risulta dal Censimento medesimo.[10] Mentre gli aventi diritto al voto sono soltanto gli italiani, l’assegnazione del numero dei seggi alle 27 circoscrizioni della Camera e alle 20 circoscrizioni del Senato nel territorio nazionale è data dal totale della popolazione residente – italiana e straniera – nelle singole circoscrizioni.
Tutto si può dire tranne che tale popolazione sia percentualmente omogenea sul territorio italiano. Nel Nord-ovest risiede il 35,4% degli stranieri, nel Nord-est il 27,1 %, nel Centro il 24 %, nel Mezzogiorno il 9,6% e nelle Isole il 3,9%. Si va dall’Emilia Romagna con il suo 10,41% e dalla Lombardia con il suo 9,76% di residenti stranieri giù fino al 2,0% della Puglia e all’1,87% della Sardegna. [11] La sperequazione è evidente ma fa parte del non detto nell’arena politica.
2. Una stortura dentro l'altra
Le circoscrizioni che vantano una popolazione ingente di migranti sono anche le circoscrizioni che si appropriano di un corrispettivo numero addizionale di seggi. I residenti stranieri vengono espropriati del loro potenziale di rappresentanza e l’espropriazione è proporzionale alla loro numerosità nei singoli territori. In altri termini le circoscrizioni con le più alte percentuali di residenti stranieri esercitano un peso territoriale iniquo per eccesso di seggi ottenuti rispetto a quelle circoscrizioni dove la presenza straniera è minore.[12] Lampante è il caso della Lombardia, dove vive quasi un quarto di tutti i migranti che risiedono in Italia (947mila e 288 ossia il 23,5% del totale dei 4 milioni 29 mila e 145 stranieri in Italia).[13] Si può sostenere che la Lombardia, grazie ai suoi 102 seggi alla Camera e 49 seggi al Senato, è oggi una regione politicamente tanto cruciale in Italia quanto lo stato dell’Ohio nelle presidenziali degli Stati uniti; lo è non solo grazie alla sua popolazione di cittadini (8 milioni e 757mila) ma anche grazie alla rendita elettorale costituita da quasi un milione di migranti che aumentano il numero dei seggi lombardi e che al contempo non dispongono del diritto di voto. I residenti stranieri in Lombardia dilatano notevolmente il potere elettorale altrui, come mostrano di saper bene i Lancillotti della croce celtica che all’occorrenza vestono i panni dei Catoni della Costituzione, pur di sbarrare l’accesso dei migranti al voto. [14] In Italia la sperequazione territoriale alle elezioni politiche è venuta aumentando notevolmente con la triplicazione della popolazione immigrata nel corso del decennio intercorso tra i Censimenti del 2001 e del 2011. [15] Come nelle scatole cinesi, la stortura della sperequazione territoriale ne contiene un’altra. La depredazione non va soltanto a danno degli italiani aventi diritto al voto nelle circoscrizioni con numeri minori di migranti ma anche e soprattutto a danno dei migranti stessi e della loro presenza nell’arena pubblica italiana. Al momento delle elezioni politiche una massa di più di quattro milioni di migranti residenti in Italia, in gran parte giovani di classe operaia, diventa il fantasma della politica corrente.[16]
A conti fatti, la popolazione straniera conferirebbe potenzialmente almeno 41 seggi alla Camera.[17] Per il Senato si può fare un calcolo sommario ma significativo, sulla base della popolazione straniera residente rispetto al numero dei seggi disponibili in ciascuna regione. Ne risulterebbero 23 seggi senatoriali attribuibili alla presenza della popolazione straniera. Sia alla Camera sia al Senato questi seggi vengono letteralmente sottratti a coloro che non hanno diritto di voto, a tutto vantaggio del potere elettorale dei partiti che si spartiscono le spoglie.
Tutte le volte che esce un nuovo film sulla Guerra civile (1861-65) negli Stati uniti, ci viene giustamente rammentato dallo schermo che ai fini della ripartizione dei seggi elettorali ogni schiavo contava per tre quinti di un uomo. La Costituzione conferiva così un peso elettorale abnorme ai piantatori del Sud e alle loro clientele razziste. Andrebbe allora sommessamente aggiunto che nelle elezioni politiche l’Italia odierna è in una posizione elettorale per certi versi analoga a quella degli Stati uniti del periodo schiavistico. Secondo la clausola dei “tre quinti” di un uomo, la percentuale dei voti sottratti agli schiavi nel 1860 era del 7,54%, non lontano da quel 6,78% che è la percentuale dei migranti sul totale della popolazione residente in Italia nel 2011.[18] Qui lo straniero residente conta nelle elezioni politiche non per tre quinti bensì per un individuo intero, ma viene depredato della sua potenziale particella di sovranità a favore di chi si sente passivamente soddisfatto del diritto di votare per lo scanno di un nominato da una segreteria di partito. In tale notte dei numeri lo scanno giusto è difficile da mettere a fuoco.[19]
L’esclusione dal voto nelle elezioni politiche di questo quasi 7% della popolazione residente è un obbrobrio le cui conseguenze sono destinate a farsi sentire nel corso delle prossime generazioni. Tutte le forze politiche che hanno governato l’Italia nello scorso ventennio ne sono in varia misura responsabili. Gli immigrati sono la parte della classe operaia più sfruttata, oppressa, colpita dalla crisi economica e incarcerata in Italia – in una parola, la più povera – ma anche quella che esprime le forme di lotte più incisive, come mostrano, ad esempio, alcuni lunghi scioperi nella logistica e nell’agricoltura. Secondo i dati del 2010, il 42,2% delle famiglie straniere vive al di sotto della soglia di povertà, contro il 12,6% delle famiglie italiane.[20] La percentuale degli stranieri detenuti nelle carceri italiane, notoriamente tra le più disumane e sovraffollate dell’Unione europea, oscilla attorno a un esorbitante 35%.[21] Gli abbandoni scolastici degli adolescenti figli di immigrati – la cosiddetta seconda generazione – è del 44%, quasi tre volte di più di quanto tocca in sorte ai coetanei italiani, la risultante di una società escludente che produce un disagio destinato a ripercuotersi in modo drammatico per molti anni avvenire.[22] Dei quattro maggiori paesi dell’Unione europea nessuno ha lesinato il riconoscimento della cittadinanza ai residenti stranieri tanto quanto l’Italia. Al ritmo delle circa 65mila nuove cittadinanze concesse dai governi italiani nel 2010, occorrerebbero più di sessant’anni per fare degli attuali migranti dei cittadini dotati di diritto di voto alle elezioni politiche.
Le regole della cittadinanza agli stranieri hanno posto l’arena pubblica italiana su di una piattaforma di discriminazione mobile che rimane tuttora orientata verso la via italiana all’apartheid.

[1] Per una discussione del diritto di voto agli stranieri residenti in una prospettiva globale v. Stephen Castle e Mark J. Miller, L’era delle migrazioni, Bologna, Odoya 2012, con introduzione di Sandro Mezzadra, in particolare pp. 123-152 e 300-332, e sull’Italia pp. 326-327. Circa 65 dei quasi 200 stati del mondo prevedono una qualche forma di voto ai residenti stranieri. Nell’Unione europea a partire dal 1992 è stato progressivamente esteso il diritto di voto sia nelle elezioni municipali sia in quelle per il parlamento europeo ai cittadini in possesso della cittadinanza di un paese dell’Ue, generalmente sulla base della reciprocità e a condizione che si tratti di residenti. In Italia il diritto di voto dei cittadini non-italiani dell’Unione europea alle elezioni comunali ed europee è regolato dalla legge n. 197 del 12.4.1996, durante il governo Dini, mentre l’ottenimento della cittadinanza da parte degli stranieri è regolato dalla legge 91 del 5.2.1992, durante il sesto governo Andreotti. Per un aggiornamento sul diritto di voto degli immigrati sul piano internazionale, fr.wikipedia.org/wiki/Droit_de_vote_des _étrangers, consultato nel marzo 2013.
[2] Nella XVI legislatura (2008-2013) nessuno dei ben 48 disegni di legge di modifica della legge 91 del 5.2.1992 è stato preso in esame dalla Camera dei deputati.
[3] Ovvero legge 270 del 21.12.2005, durante il terzo governo Berlusconi.
[4] Alla Camera non hanno votato 12 milioni e 581mila su 50 milioni e 731mila aventi diritto (il 24,80%), al Senato non hanno votato 11 milioni e 517mila su 46 milioni e 459 mila (il 24,79%) aventi diritto. Si tratta della più alta percentuale di disaffezione nelle elezioni politiche dell’Italia repubblicana.
[5]Quot.Net 24-25.2.2013. Nelle elezioni del 24 febbraio 2013, alla Camera le schede bianche erano 396 mila (1,12%), al Senato 369 mila (2,40%), mentre le nulle erano rispettivamente 872 mila (2,4%) e 763mila (2,40%).
[6]Diretta News.it. Secondo il ministero dell’interno, l’affluenza per la Camera è stata al 75,17%, mentre per il Senato del 75,11%. Affluenza alle urne Camera. URL 25.02.2013;Affluenza alle Urne Senato URL, 25.02.2013.
[7] http://dati.istat.it/?lang=it “Censimento popolazione e abitazioni 2011. Popolazione residente. Dati definitivi. Popolazione residente per sesso, singole età e cittadinanza”.
[8] In totale coloro che non hanno messo una croce sulla scheda sono 13 milioni e 841mila alla Camera (27, 28%) e 12 milioni 617 mila al Senato (27,15%). A loro vanno aggiunti i migranti residenti in Italia in età di voto, 3 milioni e 104mila alla Camera, due milioni e 737mila al Senato.
[9] http://dati.istat.it/?lang=it “Censimento popolazione e abitazioni 2011. Popolazione residente. Dati definitivi. Popolazione residente per sesso, singole età e cittadinanza”, cit.
[10] Gazzetta Ufficiale, n. 294 del 18.12.2012, decreto del presidente della Repubblica 6 novembre 2012 per la popolazione dei residenti per i singoli comuni italiani; Gazzetta Ufficialen. 299 del 24.12.2012 per l’assegnazione alle circoscrizioni elettorali del territorio nazionale del numero dei seggi spettanti per l’elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica (Tabella A e B). Va poi aggiunto che in virtù della vigente legge 157 del 3.6.1999, approvata durante il primo governo D’Alema, l’ammontare del cosiddetto rimborso elettorale ai partiti viene stabilito non sulla base del numero dei voti ottenuti dai singoli partiti bensì sulla base del costo unitario nominale del singolo voto per il numero totale degli aventi diritto al voto.
[11] V. n. 9 e http://dati.istat.it/?lang=it, “Prospetto 11 – Popolazione straniera residente per sesso, ripartizione geografica, regione e classe di ampiezza demografica dei comuni”.
[12] Per la Camera a norma dell’art. 56, comma quarto della Costituzione il quoziente intero è ottenuto dividendo il totale della popolazione residente per 618, corrispondente al numero dei deputati da eleggere all’interno del Paese, mentre per il Senato, a norma dell’art. 57, quarto comma della Costituzione, il quoziente è ottenuto dividendo il totale dei residenti delle singole regioni per 309, corrispondente al numero dei senatori da eleggere all’interno del Paese.
[13] Per la popolazione in Lombardia, v. riferimento alla nota 11, “Prospetto 11” cit. eGazzetta Ufficiale n. 299 del 24.12.2012, Tabella A e B, cit.
[14] Riassuntivamente, nel 2009 l’allora ministro degli interni Maroni, esponente della Lega Nord, reagendo a nome di molti alle risoluzioni votate da numerosi consigli comunali a favore del voto agli immigrati extracomunitari nelle elezioni municipali e provinciali, si appellava addirittura alla Costituzione italiana in tema di diritto di voto ma si guardava bene dall’accennare al provvedimento specifico, ossia alla legge 91 del 5.2.1992 che per più di un ventennio ha concorso a escludere tutti i migranti dalle elezioni politiche e gli extracomunitari da tutte le elezioni. V.www.adnkronos.com/IGN/Politica/??id=3.02969959971) Adnkronos, 30.1.2009.
[15] Al Censimento del 2001 la popolazione straniera residente contava 1.334mila e 899 persone; al Censimento del 2011 era di 4 milioni 29mila e 145.
[16] Al Censimento del 2001 gli stranieri erano più giovani degli italiani mediamente di 10,7 anni, mente al Censimento del 2011 questo divario è aumentato a 13,1 anni. V.http://dati.istat.it/?lang=it “Censimento popolazione e abitazioni 2011. Popolazione residente. Dati definitivi. Popolazione residente per sesso, singole età e cittadinanza”, cit.; Istat.censimento 2011, “Il censimento della popolazione straniera”, comunicato stampa del 27.4.2012.
[17] Pari a 3.943.011 residenti stranieri, con un resto di 86.134, che porta agevolmente il numero dei seggi a 42.
[18] Secondo U.S. Historical Statistics, U.S.G.P.O., Washington, D.C., nel 1860, ossia alla vigilia della Guerra civile, gli schiavi africano-americani erano il 12,57% della popolazione totale degli Stati Uniti, ma pesavano elettoralmente per il 7,54%, in forza della clausola dei “tre quinti” di un uomo.
[19] Quanto poi alla fiscalità, lo straniero residente è in una posizione più svantaggiata di quanto non fosse lo schiavo statunitense poiché il primo paga le tasse a parte intera e non per tre quinti di un uomo.
[20] In sintesi, v. Comunicato stampa dell’8 marzo 2013 della Fondazione Leone Moressa di Venezia.
[22] Si veda ad es. l’articolo di Christopher Emsden, “Immigrant Candidate Seeks to Ease Citizenship”, Wall Street Journal Europe, 22-24 febbraio, 2013, p. 3.

venerdì 22 marzo 2013

Bersani sta lavorando al suo nuovo governo

Luciano Granieri


Ricevuto l'incarico esplorativo dal Presidente della Repubblica il presidente del consiglio in pectore, Pierluigi Bersani, è alla disperata ricerca dei numeri necessari a sostenere il suo governo. Il capo dello Stato lo indirizza verso suoi fidati amici esperti. Ma l'impresa è ardua. E' cchiu' facile truà nu' bersagliere a cavallo che fà o governo.


L'audio è tatto dal film "Così parlò Bellavista".

News da Muyeye

Maria Grazia Fanfarillo a nome di ITAKE  http://www.itaken.org/


Gentili soci ed amici siamo contenti di inviarvi  le ultimissime foto scattate dalla nostra presidentessa Isa Giudice tornata da poco dal suo recente viaggio in Kenya e che ci mostrano
-         la avvenuta costruzione delle ulteriori due aule per la Karima School,
-          le attività del Politecnico e la direttrice Gladys
-         il comitato che si occuperà di far ultimare la recinzione dell’area su cui è posizionata la Karima School.

Grazie al contributo di ciascuno di voi

Come è noto  Aut segue l'evoluzione del progetto portato avanti dalle nostre amiche di Itake. E' bello assistere al progredire di un impegno così prezioso. Oltre alla clip redatta con le ultime foto, pubblichiamo il video ricavato con le  immagini di due anni fa, ottobre 2011. Così da poter apprezzare l'evoluzione del politecnico.

Luciano Granieri



Così nel 2011

Dissesto-predissesto, Frosinone scivola via

Oltre l'Occidente



Lunedì 25 marzo alle 18.30 la giunta presenterà al Consiglio Comunale di Frosinone un piano di riequilibrio finanziario decennale chiamato che, a detta della maggioranza, tenterà di evitare il dissesto con relativo commissariamento.
In merito a queste clamorose scelte, si potrebbero prevedere pesantissime conseguenze per i cittadini di Frosinone per i prossimi 10 anni:
- ALIQUOTE E TARIFFE DEI TRIBUTI LOCALI NELLA MISURA MASSIMA CONSENTITA;
- IL TAGLIO DEL PERSONALE CHE LAVORA NEI SERVIZI IN ESSERE (MULTISERVIZI E SERVIZI SOCIALI);
- RIDUZIONE DELLE SPESE DEL PERSONALE DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE;
- RIDUZIONE DELLE SPESE PER PRESTAZIONI DI SERVIZI E INEVITABILE DIMINUZIONE DEGLI STESSI;
- VENDITA DEI BENI PATRIMONIALI DISPONIBILI;
- SERVIZI A DOMANDA INDIVIDUALE CON TARIFFE A COPERTURA TOTALE DEI RELATIVI COSTI

Tale piano sarà votato in un successivo consiglio comunale probabilmente già il 27 marzo.
Si sollecitano TUTTI i cittadini che vedono in questa manovra una ulteriore pericolosa deriva sociale ed economica di questa città , con forti tagli nei servizi e nel lavoro, a partecipare e alzare la protesta.
Si invitano tutti a presenziare il consiglio comunale e a partecipare alla manifestazione di protesta che i lavoratori della Frosinone Multiservizi, oggetti del taglio di circa la metà salario (da 800 a 500 euro), con l’appoggio delle ooss CGIL, CISL, UIL, COnfail, CIsal, UGL, USB Conf. Cobas, stanno organizzando per il pomeriggio del 25 marzo con concentramento alle ore 16 dalla Villa Comunale.

Per ulteriori informazioni
- Bilanci del Comune di Frosinone, http://www.comune.frosinone.it/index.php?id_sezione=1176
- Manovra simile del comune di Arpino dove si evidenziano le pesantissime conseguenze per i cittadini: http://www.comune.arpino.fr.it/
- Per maggiori approfondimenti Il predissesto Una contraddizione ideologica e in termini di Ettore Jorio Professore di Diritto amministrativo sanitario e di Diritto civile della sanità e del sociale presso l'Università della Calabria, http://www.bilancioecontabilita.it/pf/articolo/18024

giovedì 21 marzo 2013

Tristezza di Ernesto Biondi

Luciano Granieri


 St.Louis Blues è uno dei più celebri blues della storia musicale . Scritto da W.C.Handy nel 1914 fu  reso celebre  nel 1929 dalle esecuzioni dell’orchestra di Louis Armstrong . Nel 1935 il maestro Natalino Otto lo eseguì  in Italia, ma per riuscire a suonarlo senza incorrere negli starli del fascismo che definiva il jazz musica  “negroide e americaneggiante” , dovette rimuovere ogni elemento che richiamava l’America a partire dal titolo, che si trasformò da “St.Louis Blues” in “Tristezza di San Luigi”.  Oggi sembra, così dicono, che il regime fascista sia morto e sepolto , anche se molti segnali mi fanno ritenere il contrario.  Dunque li blues è blues e non tristezza.   Ma se dovessi rappresentare  con un brano musicale la situazione generale della nostra città il titolo dovrebbe comprendere assolutamente la parola tristezza . L’immagine che invece riterrei  più appropriata al quadro generale è quella del viadotto Ernesto Bionde sbriciolato dalla frana.  Per cui  l’associazione scaturisce spontanea: Ernesto Biondi Blues ,  o, ancora meglio ,“Tristezza  di Ernesto Biondi” in omaggio al clima fascistoide  del partito che attualmente esprime il sindaco della città. Non vi è dubbio. A  guardare Frosinone oggi cresce una malinconica tristezza. Un magone  alimentato dal  progressivo degrado che inesorabile, dalla fine degli anni ’50  ad oggi , sta pervadendo  la città.  Decenni   in cui a determinare i destini urbanistici non sono stati i sindaci  ma i potentati edilizi da sempre padroni di Frosinone.  Si è assistito senza battere ciglio al progressivo smantellamento del territorio urbano sempre più occupato e invaso dal cemento. Gli interventi  sulla città hanno sempre e solo riguardato la costruzione di manufatti , case, palazzi e mai la messa in sicurezza di un territorio la cui fragilità è stata da sempre evidenziata dalle analisi di ingegneri e geologi. Oggi la città non ce la fa più, comincia a cedere e non solo negli aspetti geologici. Frosinone sta cedendo anche nella tenuta economica e sociale della sua popolazione.  Umiliata dalle inadempienze contributive dei  grandi padroni e sfruttatori del territorio, annientata dall’insipienza complice e colpevole di tutte le amministrazioni che si sono esclusivamente occupate di rinsaldare il proficuo legame con i suddetti padroni  disinteressandosi dei bisogni dei cittadini , Frosinone  sta per subire forse il  colpo definitivo.  Oberati  dai debiti contratti per servaggio alle famiglie dei grandi muratori e per la criminale rapina messa in atto nei nostri confronti  dalla Regione, guidata dalla feccia fascista e berlusconiana che ci ha regalato personaggi come il divoratore di merendine Fiorito e la distributrice di incarichi milionari ai propri grandi elettori Polverini, i cittadini di Frosinone stanno per subire l’ennesimo  e drammatico smacco. La giunta Ottaviani ha intenzione di accedere al fondo salva comuni per chiedere un prestito di 11 milioni di euro necessari a coprire le prime uscite di cassa. Per far questo il sindaco vuole decretare lo staro di pre-dissesto necessario a  ripianare un debito stimato, a suo,  dire  in 38 – 40 milioni di euro.  Ciò significa che ai cittadini di Frosinone verranno aumentati i tributi comunali, si procederà allo  smembramento  dei servizi pubblici,  e a  un taglio drastico degli addetti alla cura della città e dei suoi abitanti, la faccenda della Multiservizi ne è una dimostrazione  palese.  Ciò produrrà   anche l’aggravarsi inesorabile della crisi economica che coinvolgerà anche  le piccole e medie imprese.  Per non passare dalla tristezza alla disperazione dunque è tempo che cittadini e associazioni si mobilitino. L’attuale opposizione non può nulla schiacciata  dalla  corresponsabilità piena che ha avuto nel saccheggio della città quando esprimeva i suoi sindaci. Dunque tocca a noi. La situazione è grave. E’ necessario reagire per fare in modo che le condizioni di vita della città  non crollino come il viadotto Biondi.

I brani che compongono il commento musicale sono: Crop Blues del James Cotton blues quartet e Need More del grande Bluesman italiano Roberto Ciotti.


martedì 19 marzo 2013

Pre-dissesto, dissesto e carte quarantotto

Luciano Granieri


 Ieri  pomeriggio ho partecipato  ad una riunione convocata dall’associazione  Oltre l’Occidente in cui cittadini,  movimenti e istituzioni erano chiamati a riflettere sulla grave situazione economica che sta investendo il comune di Frosinone.  A causa di un imprecisato accumulo debitorio  da parte dell’’ente che, dopo un balletto di cifre variamente annunciate, sembra attestarsi  fra i 38 e i 40 milioni di euro, la giunta presieduta dal sindaco Ottaviani è decisa a dichiarare il pre-dissesto finanziario per poter accedere al Fondo Salva Comuni  e chiedere  un prestito di 11 milioni di euro. Come già scritto in un altro  post, l’operazione comporterebbe il taglio dei servizi sociali,  degli addetti direttamente assunti dal comune e l’aumento delle tariffe. Insomma una situazione che oltre al licenziamento  dei lavoratori della Multi servizi,  imporrebbe un aumento irreversibile del tasso di povertà alla cittadinanza.  Una crisi economica   gravissima  investirebbe pesantemente  anche i ceti medi , i commercianti e la  piccola e media impresa,  impossibilitata a onorare  il forzoso aumento dei tributi locali con i proventi dei propri  affari  fortemente compromessi dalla poca disponibilità alla spesa dei cittadini gravati, a loro volta,  dal pagamento della spesa sociale.  All’incontro hanno partecipato esponenti di quella che fu la coalizione che all’epoca delle elezioni comunali si era raccolta attorno alla candidata sindaco di Sel Marina Kovari.  In  particolare, il sottoscritto, Andrea Cristoforo, Marisa Cianfrano, dipendente della Mutiservizi -per quella che fu la componente di Rifondazione, (oggi siamo tutti fuoriusciti dal partito) - Lorenzo Rea, Paolo Iafrate  anch’egli dipendente Multiservizi -per la componente di Frosinone bene Comune -e la stessa Marina Kovari  ex candidata a sindaco. Insieme ad altri cittadini, fra cui Francesco Notarcola  portavoce della Consulta delle associazioni di Frosinone,  era presente una nutrita rappresentanza  di amministratori del centro sinistra. Sembrava  di assistere ad una riunione politica del Pd di  alto livello. Fra gli altri  hanno partecipato:  Stefania Martini, Pd  ex assessore al bilancio del comune di Frosinone, Massimo Calicchia consigliere comunale Psi di opposizione ed ex assessore ai servizi sociali,  Mauro Buschini, Pd  neo eletto consigliere alla Regione Lazio e la neo senatrice del Pd  Maria Spilabotte.    Nel corso dell’incontro si è sviscerata   la perversa strategia pianificata dalla giunta di centro destra.  Lo stato di pre-dissesto  concede al sindaco la prerogativa di gestire la fase di rientro del debito,  da realizzarsi in dieci anni, scegliendo autonomamente le misure di austerity.  E’  previsto l’intervento della  Corte dei Conti solo a livello di controllo. Differentemente dalla procedura di dissesto, dove di fatto la giunta viene commissariata e le misure di rientro vengono stabilite dai commissari, nel pre dissesto  è il sindaco che decide .  Ciò significa quindi che Ottaviani avrà pieni poteri nel decretare chi deve immolarsi e chi no. La decisione di non rinnovare i contratti alla Multiservizi,  affidando  la gestione  delle prestazioni erogate  da questa società a  delle cooperative sociali che per loro natura   sono impossibilitate ad aderire,  con la conseguenza inevitabile di  privatizzare tutto il sistema di cura alla città e ai cittadini, dà  l’idea chiara di quali saranno le classi sociali che dovranno sopportare il peso economico di tale operazione.  La cura Ottaviani si fonderà  sui soliti ulteriori tagli ai servizi sociali fino  alla loro scomparsa , sull’aumento delle tariffe e delle tasse, il tutto salvaguardando il proprio bacino elettorale.  In pratica il sindaco Ottaviani acquisirebbe potere di vita o di morte su ognuno dei suoi cittadini. Tutti abbiamo convenuto che una situazione del genere sarebbe insostenibile,  non solo per i lavoratori della Multiservizi , ma per tutta la città. Come al solito ci siamo dovuti sorbire la  litania dei vecchi amministratori sui mancati contributi della Regione guidata  dalla Polverini,   sul  programma di risanamento e di riscossione della TARSU evasa dissoltosi nel nulla della nuova giunta Ottaviani . Insomma la giustificazione, in parte vera,  secondo cui i debiti accumulati dalla ex giunta Marini siano stati per lo più dovuti al mancato trasferimento di fondi dallo stato centrale e dalla Regione.  Ma  consiglieri  e senatori convenuti non avevano ben chiara la questione che le giustificazioni  per quanto accaduto e i rimpalli di responsabilità sullo schieramento di segno opposto, oggi non servono.  Oggi  è urgente evitare  il baratro   in cui una giunta dissennata vuole precipitarci. Per fare questo, come suggerito da Marina Kovari,  occorre partire dalla visione dei bilanci, quelli veri, quelli completi, non il “bignamino” riassuntivo. Occorre verificare se la dimensione del debito  e la sua conformazione possano  giustificare il ricorso alla procedura di pre-dissesto e accesso al fondo salva comuni. Fra l’altro i soldi destinati a quel fondo sono finiti,  dunque Frosinone non li otterrà mai. E’ chiaro quindi  che il pre-dissesto sarebbe utile solo a fornire al sindaco il potere esclusivo di gestire il taglio delle risorse pro domo sua.  Una volta accertato la reale conformazione del quadro economico, si deve  bloccare con ogni mezzo la decisione del consiglio comunale. Ma per fare questo è necessario che l’opposizione faccia veramente l’opposizione. Questi vengono a chiedere a noi di aiutarli a contrastare l’insano progetto. Noi possiamo organizzare manifestazione, mobilitare i cittadini, anche se è difficile considerata l’apatia che attanaglia la cittadinanza, ma sono loro che siedono in consiglio comunale. Votare semplicemente contro non basta.  Bisogna pretendere di vedere le carte e renderne partecipi anche i cittadini.  Mi rendo conto che  in quei documenti  ci sono riportate anche le gravi responsabilità dei signori che ora siedono all’opposizione e che oggi vogliono salvare la città. Ma se la volontà è realmente quella di mettersi finalmente al servizio dei cittadini, bisogna avere il coraggio di ammettere i propri errori e ricominciare secondo pratiche nuove  e trasparenti  come ha suggerito Francesco Notarcola.  Anche io ho fornito il mio contributo chiedendo che alla fermezza di pretendere  la visione del bilancio particolareggiato e di renderlo pubblico, ci si impegni a mettere in pratica ciò che la Corte dei Conti ha suggerito  per ridurre i costi , cioè ripubblicizzare i servizi  ceduti a privati con l’assunzione diretti degli addetti da parte dell’ente. A Genova è già successo con l’azienda dei  TRASPORTI PUBBLICI. E finalmente avere il coraggio di   infrangere il patto di stabilità spendendo ciò che serve per i bisogni dei cittadini anche sforando i limiti imposti da una legge infame che rende i comuni esattori delle tasse imposte dal capitale finanziario.  Piero Fassino, un sindaco moderato riformista, non un indignados, lo ha fatto a Torino.  Noi siamo disposti a fare la nostra parte,  a fare opposizione sociale, andare in comune ad ogni seduta e strillare le nostre ragioni. Se poi l’opposizione istituzionale si sveglierà come pare dalle promesse che oggi sono state fatte tanto meglio. Ma bisogna darsi una mossa oggi è già tardi.

Documento condiviso sul Pronto Soccorso dell’ospedale del Capoluogo



Le associazioni sottoscritte ed i numerosi cittadini intervenuti, dopo un ampio ed approfondito dibattito svoltosi nell'incontro di venerdì 1 marzo sulla drammatica realtà del pronto soccorso dell'ospedale del capoluogo, ritengono urgente ed immediato un confronto istituzionale (Dirigenza Asl, Comune capoluogo, Amministrazione Provinciale, Conferenza locale della sanità e Regione Lazio), per porre fine ad una vergogna che toglie dignità e prestigio al ruolo del capoluogo e dell'intera provincia. La chiusura degli ospedali di Anagni, Pontecorvo e Ceccano, gli accorpamenti dei reparti, il loro ridimensionamento o la loro soppressione in vari ospedali della provincia, come Sora, Alatri e Cassino, non hanno migliorato alcunché, aggravando le situazioni preesistenti in tutta la provincia di Frosinone. Nella sanità ciociara regna il caos e l'improvvisazione, per l'assenza di un atto aziendale e di una programmazione seria rispondente ai bisogni di salute delle nostre popolazioni. La gestione delle risorse umane e finanziarie é dominata dal clientelismo e dagli sprechi come da noi ripetutamente denunciato e dimostrato dai recenti rilievi della Corte dei Conti. Non si può non rilevare che quello che doveva essere un pronto soccorso di un ospedale di Dea di 2° livello, non può definirsi nemmeno Dea di 1° livello. Al fine di ripristinare la legalità e la normalità in un settore importante dei servizi sanitari, quale é l'emergenza, si propone:
1) Di garantire la presenza nel pronto soccorso, di un cardiologo, un radiologo, un pediatra ed un ortopedico, così come prescritto dalla legge; 
2) Di aprire in via sperimentale almeno 4 punti di Pronto soccorso H24 dislocati nelle strutture dismesse di Anagni, Frosinone Umberto I°, Cassino o Pontecorvo e Sora o Isola del Liri o Atina, strutture che potrebbero  essere gestite dai medici di famiglia o assumendo medici giovani senza lavoro a tempo determinato;
3) Di potenziare in modo adeguato l'assistenza domiciliare, realizzando ed estendendo anche l'assistenza socio sanitaria integrata oltre all'istituzione di un'anagrafe assistenziale e del registro dei tumori;
4) Attivare percorsi riservati e programmati per i pazienti affetti da patologie croniche;
5) Costituire un coordinamento tra i pronto soccorso di Frosinone ed Alatri;
6) Istituire degli hospices, presso le strutture dismesse di Anagni, Alatri, Ceccano e Pontecorvo, per i malati terminali, per alleggerire la pressione sui pronto soccorso e nei reparti ospedalieri;
7) E' possibile attivare decine e decine di nuovi posti letto:
    a - trasferendo il reparto di lunga degenza dal "Fabrizio Spaziani" ad Alatri o Ceccano;
    b - recuperando spazi, arredi e posti letto della riabilitazione ortopedica dell'ospedale Fabrizio Spaziani;
    c - utilizzando tutti gli spazi disponibili adiacenti il pronto soccorso;
8) Le associazioni ritengono inoltre opportuno e necessario attivare strumenti di valutazione da parte del cittadino che si rivolge al pronto soccorso. Questa importante attività potrebbe essere gestita con il contributo volontario delle associazioni in un apposito ed attrezzato sportello, messo a disposizione dalla ASL.
Non è da trascurare il fatto che nella ASL di Frosinone vengono impiegati decine di medici per attività burocratico-amministrative. Tali risorse, considerato il periodo eccezionale di emergenza economica, dovrebbero tornare ad essere impiegati nelle attività sanitarie di loro competenza.
 Firmato:
- Consulta delle associazioni della Città di Frosinone – Francesco Notarcola
- Cittadinanzattiva-Tribunale difesa diritti malato - Renato Galluzzi
- Associazione Italiana Pazienti anticoagulati e cardiopatici – Antonio Marino
- Frosinone Bella e Brutta – Luciano Bracaglia
- Associazione Diritto Alla Salute - Sandro Compagno – Anagni
- Legambiente Frosinone – Antonio Setale
- Gruppo Civico Vitaminex – Mauro Meazza –Anagni
- Coordinamento prov.le Legambiente – Francesco Raffa
- Associazione “Alle Venti” – Amedeo Di Salvatore
- Osservatorio Peppino Impastato – Mario Catania
- Coordinamento Frosinone “Salviamo il paesaggio” – Luciano Bacaglia
- Associazione   “Mountain Village” – Fabio Colasanti
- Associazione “Città del sole” – Fabio Colasanti
- Associazione Oltre l'Occidente - Paolo Iafrate
- Comitato Salviamo l'ospedale di Anagni - Piero Ammanniti
- Zerotremilacento - Simona Grossi
- Fondazione Kambo - Marco Campagna
- Ciociaria Report 24 - Carlo Ruggiero
- Associazione Forming Onlus - Riccardo Spaziani