Nel documentario del 2005, We Feed the World, l'allora
amministratore delegato di Nestlé, la più grande azienda alimentare del mondo,
Peter Brabeck, condivise alcuni dei suoi punti di vista e 'perle di saggezza'
sul mondo e l'umanità.
Brabeck ritiene che la natura non sia
"buona", che non ci sia nulla di cui preoccuparsi riguardo ai cibi
OGM, che i profitti importino più di ogni altra cosa, che la gente dovrebbe
lavorare di più e che gli esseri umani non abbiano diritto all'acqua.
Oggi, ha spiegato, "che la gente crede che
tutto ciò che viene dalla natura sia buono", marcando una grande
differenza rispetto a ciò che è percepito, come già [aveva detto ndt] in
precedenza, "abbiamo sempre imparato che la natura può essere spietata."
L'umanità, ha affermato Brabeck: "è ora nella
posizione di riuscire a garantire un certo equilibrio con la natura, ma
nonostante questo abbiamo qualcosa che si avvicina a un detto che tutto ciò che
viene dalla natura sarebbe buono."
Ha quindi fatto riferimento al "movimento
biologico", come un esempio di questo modo di pensare, che presuppone che
"organico sia meglio." Ma rimane certo, ha precisato, che "il
biologico non è migliore." In 15 anni di consumo di cibo OGM negli Stati Uniti,
"non un singolo caso di malattia si è verificato." Nonostante questo,
ho notato, "siamo tutti così a disagio in Europa, che qualcosa che possa
accaderci." Questo punto di vista, secondo Brabeck, è "ipocrita più
di ogni altro."
L'acqua, ha giustamente sottolineato Brabeck,
"è, certamente, la più importante delle materie prime che abbiamo oggi nel
mondo", ma ha aggiunto:
"La questione è se dovremmo privatizzare la
fornitura dell'acqua comune per la popolazione. E ci sono due opinioni diverse
in merito. Un'opinione, che ritengo sia estremistica, è rappresentata dalle
ONG, che fanno rumore allo scopo di dichiarare l'acqua un diritto pubblico."
Brabeck ha giudicato questo punto di vista
"estremistico": "Questo significa che come esseri umani dovremmo
avere diritto all'acqua. Questa è una soluzione estremistica."
L'altro punto di vista, e perciò, l'opinione
"meno estremista", ha spiegato, "sostiene che l'acqua sia un
prodotto alimentare come tutti gli altri, e come ogni altro alimento dovrebbe
avere un valore di mercato. Personalmente credo che sia meglio dare ad un
prodotto alimentare un valore, in modo che si sia tutti consapevoli del fatto
che essa ha il suo prezzo, e allora si dovrebbero adottare misure per la parte
specifica della popolazione che non ha accesso a quest'acqua, e ci sono molte
diverse possibilità in questo senso."
La più grande responsabilità sociale di ogni
amministratore delegato, ha spiegato Brabeck: "è quella di mantenere e
garantire un futuro di successo e di profitto alla sua impresa. Solo se siamo
in grado di garantire la nostra continua esistenza a lungo termine, saremo in
grado di partecipare attivamente alla soluzione dei problemi che esistono nel
mondo. Siamo nella posizione di poter creare posti di lavoro ... Se volete
creare lavoro, dovete lavorare voi stessi, non come è stato in passato, quando
il lavoro esistente veniva distribuito. Se ricordate, l'argomento principale a
favore della settimana di 35 ore fu il fatto che c'era una certa quantità di
lavoro e che sarebbe stato meglio lavorare meno e distribuire il lavoro tra più
persone. Cosa che si è dimostrata essere, piuttosto chiaramente, sbagliata. Se
desideri creare più lavoro, devi tu stesso lavorare di più. E con ciò dobbiamo
creare un'immagine positiva del mondo per la gente, e non vedo assolutamente
alcuna ragione per cui non dovremmo essere positivi per il futuro.
Non siamo mai stati così bene, non abbiamo mai
avuto così tanti soldi, non siamo mai stati così sani, non abbiamo mai vissuto
a lungo come facciamo oggi. Abbiamo tutto quello che vogliamo e andiamo ancora
in giro come se fossimo in lutto per qualcosa."
Se sa, è materia nota e sviscerata. Ma non dobbiamo mai fa
l’erore de considerallo un capitolo chiuso, na lista compiuta, na pratica da
archivià.
Perchè a sto giro abbiamo scoperto che solo noi semo capaci de
facce rode er culo quando vincemo 4-0.
Dopo du anni a core appresso ar modello Barcellona se semo
sincronizzati live cor modello Borussia Dortmund, namo fatti subito 4 come
l’archetipo teutonico, eppure.
Eppure c’è qualcosa, un rumore de fondo, un disturbo, na nuvola
antipatica che nte fa gode fino in fondo de sta giornata de sole.
C’hai come un mezzo nodo. Che a strillà strilli, ma poi te senti
na cosa strana in gola.
Ma te n’accorgi dopo eh, alla fine, durante è sempre bello.
Specie quando cominci bene, che se capisce subito che oggi sei
venuto all’Olimpico pe giocà a pallone e non pe mette in scene la fortunata
pièce teatrale “Le figure demmerda co le squadre che so praticamente già
retrocesse”, opera dal titolo forse enigamatico ma che lascia appena indovinare
il significato che vuole comunicare.
E invece oggi no: oggi hai deciso che se gioca bene, che se fa
quelli forti contro quelli pippe, che il sulla carta corrisponde al sull’erba,
che i centovoltetanto de stipendi se palesa in tutta la sua differenza tra le
due squadre. Oggi hai deciso che asfalto. Ma asfalto bello, fresco, paro paro,
liscio, steso bene, e allora asfaltamoli.
E che ce se fa co l’asfalto? L’autostrada, bravi, nve se po
nasconne niente a voi, e manco ar Coco che decide de installasse er telepass
sulla cresta, spigne er pedale della minicar (si, vabbè, pe quanto la poi
spigne) e tirà dritto verso la porta altrui.
“Guarda er Capitano! Ce sta Ercapitano libero! Dio non voglia
che me ignori Ercapitano pronto alla suatta! Dozzine di malanni si abbatteranno
sul tuo corpo gracile! Pensa ar futuro! Pensa ai fii, ai Cochetti del domani!”
Ma lui, che ancora è immerso nell’età dello studio dell’obbligo
(più o meno, vabbè dai nfate i precisi), e che conosce appieno le dinamiche
dell’emarginazione e del bullismo ai danni der compagnuccio che pure se l’è
cercata, decide co un gesto de rivoluzionaria emancipazione de servì
l’accorente Osvardone che accore just in time, scucchiaia just er giust, e se
ricorda che a fa gol spesso è just do it, e più a dillo che a fallo.
Unoazzero pallarcentro.
E uno è bello se non è litigarello, enfatti loro s’abbracciano e
ridono e scherzano e non litigano, ma noi mmmmm, noi eeeehhh, noi fffffff come
i gatti che je rode, noi ormai uno è come se hai pareggiato er meno uno da cui
parti pe sorte e disastro naturale intrinseco, a noi nce freghi più co uno, tii
devi merità sti strilli.
E lui, er purcino, ancora na volta, sa. Lui o sa che vordì portà
a casa na sufficienza quando è dall’inizio dell’anno che alterni 6- e
insufficienze, vordì che mamma te dice “hai solo fatto na parte der dovere tuo,
mo sistemate lo schifo che c’hai in camera e forse pe oggi te salvi”. Vordì che
te devi presentà co un voto bello bello, e l’unica è fasse suggerì dar più
bravo che c’hai intorno.
Ercapitano della classe procede palla ar piede e cancelletto
alla mano, scruta con occhio secchione er disporsi de banchi, sedie e compagni
in movimento e quando vede er più piccolo, quello che ha fatto la primina in
Argentina, avanzà ar cospetto della lavagna, je lancia un suggerimento de
quelli che praticamente c’hai già la risposta, Ladolescente lo recepisce al volo
e non la mette sotto al sette perchè a sto giro sotto er sette non basta, vole
l’otto pieno, e allora la piazza para para rasotera e lascia Pegolo de gesso a
interogasse da solo su da dove sia arivato er gò.
Dueazzero in dueminuti, mo se ragiona.
E qui va annotato che tra i "solo noi" ce ne stanno
pure de belli, che solo noi dopo un bel gol parlamo pe un quarto d’ora de
quanto era bello l’assist, perchè solo noi c’avemo Ercapitano che li fa.
E solo noi c’avemo uno che vive Percapitano che sta a soffrì in
panca, e sta a soffrì talmente tanto, e sta a fa talmente tanto na testa così
(ove “così” è sempre e comunque meno della sua) a tutti che a na certa Capitan
Barba je dice “oh, senti, noi c’avemo provato a fatte ragionà ma te sei peggio
dee Beliebers, fa na cosa, entra, te lascio er posto mio così stai vicino alla
luce dell’occhi tua, va va, vacce vicino, magari fai la fine de Icaro”.
Fori De Rossi dentro Pjanic. Retroscena delle sostituzioni: solo
su cansassitimillenovecentoventisette.
Ma pe quanto l’omo che sussurava “ti amo” Arcapitano possa
voleje bene, oggi anche lui deve ammette che er protagonista in campo è nantro,
ed è na creatura mitologica cor corpo umano e la testa a vorte mpo de cazzo,
spesso sveja quanto problematica, mai banale ner bene e ner male, sempre e
comunque sormontata da na cipolla.
Oggi è l’Osvardone Day, e se capisce quando Sturmentruppen
Florenzi mozzica cosce tibie porpacci ginocchia malleoli e ogni artro arto
mozzicabile de difensore senese fino a quando quello, ner terore che je se
attacchi pure ar cervello co na cannuccia, je lascia la palla sulla linea de
fondo e sordatino la mette in mezzo.
E’ un de quelle palle che nse ponno sbajà, e anche se lui se
meritò sur campo de Genova i gradi de Pablo Daniel Osbajo, a sto giro ce sta co
la testa e co la gamba e non sbaja.
Pegolo rimpiange quando era nano ordinario e ar massimo je
toccava andà in miniera o sentisse quell’accollo de Brontolo, er Siena capisce
che oggi non è ciao ma proprio ciaone, noi, addirittura, se rilassamo,
soridemo, e annamo a riposo assaporando er vero significato de sta parola:
interruzione, pausa, sosta, cessazione della fatica, quiete, pace. Dice “perchè
de solito che è”, de solito è: delusione, depressione, stress, agitazione,
insoddisfazione, sospetto, panico, complottismo, sigarette mai spente sulle
radio che parlano.
Stavolta invece i regazzi tornano in campo e noi magari se semo
pure attardati cor secondo caffè o a chiacchierà co l’amico che “aoooo ma pure
te stai qua? Maddai! Malimortè...ma come va? A casa tuttapposto? Ah, mannaggia
me dispiace, ma o sai come so le donne...dai che chiusa na porta s’apre
mportone no? Senti ma invece lavori sempre alla ditta co papà? Ah...oddio noo
sapevo, eh quindi mo la porti avanti tu, vabbè dai è pure na cosa bella,
sarebbe orgoglioso er sor Mario...ah...eh lo so...ma guarda che co la crisi
hanno chiuso in tanti eh, non è colpa tua... evabbè.... ensomma... vvvvvabbbè
seeeenti... sarà er caso che torno ar posto mio che mo ricomincia e ar primo
tempo ha portato fortuna eheheeh ce sentiamo allora? Vediamoce un giorno de
questi, ciao eh, ciao”.
Se ricomincia e ce vonno tre minuti a capì che a sto giro nce
saranno sorprese, noi semo noi, er Siena è er Siena, e se dopo un quarto d’ora
l’avvenimento più significativo da segnalà è il cambio Valiani-Agra, capisci da
te che de agro non vedrai nient’altro pe il resto der pomeriggio, anzi ancora
ce stanno dolcetti da scartà, e a offritte il dessert so pure camerieri
inaspettati: tipo Lobont.
Er pallavolista rumeno, l’omo che parava cor bagher, il ragazzo
che non la bloccava mai, er saponetta transilvano più amato de Trigoria, pe la
seconda volta nella stessa partita se prodiga in quella che a tutti gli effetti
po esse considerata na bella parata. E’ la notizia non è tanto la parata,
perchè lui er suo de solito lo fa quando lo chiamano, e de sicuro l’avrebbe
fatto se ancerto punto della vita nostra non avessimo deciso de impiccacce co
Goicoechea, comunque se diceva, la notizia è che stamo a parlà de una BELLA
parata, fatta da lui che ha detto NO alla bellezza e SI’ alla rudimentale
concretezza.
Er Magara, porello se ne dovrà tornà a casa senza manco la
soddisfazione de un gò. Envece pe la legge che a chi troppo e a chi niente, pe
il principio de quanno a grilli e quanno a tordi, Er Cipolla ha deciso che oggi
se deve mette a paro de un digiuno colpevolmente lungo.
Stavolta er lavoro se lo fa fa tutto Darcapitano, che in
settimana ha appreso na cosa brutta: pare ce sia na statistica che non lo vede
primeggià, un record che ancora non ha battuto. Il cielo s’è fatto scuro, le
nuvole se so ammucchiate, l’erba dei campi de Trigoria s’è fatta nera, l’erba
de quelli sintetici s’è fatta viola, Christian e Chanel se so fatti i cazzi
loro e hanno cambiato aria, Andreazzoli ha gridato allarmato pe interrompe gli
allenamenti, Stekelenburg ha continuato a corre, Pjanic s’è messo in ginocchio
a pregà la madonna de Medjugorje.
“Ercapitano, questa bizzarra statistica presa da un sito di
bizzarre statistiche parla chiaro: non sei primo nella classifica di assist
intervallati da una ribattuta del portiere”.
“Quanti me ne mancano”
“Uno”
“Mh”
Giunto er momento propizio, Ercapitano scorrazza pallarpiede tra
quello che resta der Siena, calcola la corsa de Osvardone, mira preciso sule
mano de Pegolo e je la butta addosso pe adoperallo a mo’ de muretto: er cuoio
obbediente, l’oriundo accorente, er portiere ininfluente, la quaterna
imminente. So tre pe lui che oggi fa pure i gol facili che c’hanno fatto
bestemmià quando se li magnavano lui e prima de lui Vucinic, so quattro pe noi,
manca mezz’ora ma la partita è finita.
Rimane da segnalà il doppio ingresso a distanza de pochi minuti
Perrotta-Lopez, accompagnato dal mistero de che cosa se possano esse detti
durante tutto il riscaldamento, divisi come so da un paio de generazioni e
continenti diversi, ce pensi ma non te capaciti.
Così come quando ariva er triplice applaudi, soridi, canti
Grazie Roma, ma poi, sotto sotto, nte capaciti de come cazzo sia stato
possibile pareggià cor Pescara.
C’è rimasta qua a tutti, stamo tutti orfani de quei du punti,
pure se durante l’anno ne avemo persi a palate in modo altrettanto stronzo, ma
questi so più vicini, era na settimana fa, noi eravamo gli stessi de oggi,
quelli erano spacciati come quelli de oggi, ma come cazzo se fa.
Riuscimo a facce restà sullo stomaco pure la tripletta de
Osvardo, che quando giocà così come fai a non, ma pure quando fa in quell’altro
modo lì come fai a non. Er giudizio rimane sospeso tra i fischi che se pia e i
tre fischioni che fa lui, ancora nsè capito se ce potremo rivolè bene come se
deve, ner mentre se rifamo cor grigio ajetto del tifoso ragioniere: “Vabbè dai,
almeno s’è ripreso e non lo svendemo, in caso”.
Ma se po fa festa così? No, però manco a deprimese. Che è vero
che stamo a pensà tutti a na partita sola, ma intanto prenotasse er posto in
Europa passando dar campionato mica sarebbe male, arivà a quella partita
essendo già sicuri che l’anno prossimo er giovedì nessuno te deve rompe le
palle sarebbe già recuperà na bella tradizione.
Quindi sì, solo a noi ce po rode dopo avè vinto quattro a zero,
ma solo noi semo capaci de facce passà il rodimento pensando a quanto sarebbe
bello ritornà a viaggià pe città sperdute der Vecchio Continente.
E allora daje, che quando la Roma ne fa quattro è sempre na
bella giornata, e oggi amo fatto nantro passetto. A ieri c’avemo pensato pure
troppo, a domani ce pensamo domani.
"Stop alle liste fasciste e naziste al Comune di Alagna Lomellina in provincia di Pavia. Il governo faccia rispettare la Costituzione e le leggi vigenti in materia che vietano sotto qualsiasi forma la ricostituzione del partito fascista''.
Diversi parlamentari del Movimento 5 Stelle hanno chiesto con una interrogazione urgente al Ministro dell'Interno, uno stop definitivo e fermo alle liste fasciste e naziste alle comunali.
Il primo firmatario dell'atto parlamentare è stato Luis Alberto Orellana, senatore con il Movimento 5 Stelle nella circoscrizione Lombardia.
Nello spceifico, nell'interrogazione, si fa riferimento alla presenza di due liste alle comunali di Alagna Lomellina, riconducibili all’estrema destra: Movimento Fascismo e Libertà e Movimento Nazionalista e Socialista dei Lavoratori.
Fascisti e mafiosi, un connubio mai sciolto. Dalle connivenze con il regime fascista e con la mafia del prefetto Mori, alla strage di Portella della Ginestra, compiuta dal bandito Giuliano su mandato del partito monarchico e della Democrazia Cristiana, fino ai rapporti fra mafia e regime post fascista berlusconiano tenuti dall'ex senatore Dell'Utri, (il quale è stato finanziatore anche di CasaPound), il filo che lega fascismo e mafia non si è mai interrotto. E oggi il subdolo clima di pacificazione che arruola nello stesso governo, fascisti, mafiosi e democristi, non fa altro che alimentare il disprezzo verso tutti coloro che in nome di una società più giusta e libera hanno lottato e sacrificato la vita. Dai partigiani artefici della liberazione, ai partigiani come Peppino Impastato in lotta negli anni '70 per i diritti sociali negati anche con il concorso del connubio stato-mafia-neofasicsmo.
Lavoratori/trici cassintegrati/e della Direzione Nazionale del Prc
LETTERA APERTA
Ieri è andato in scena l’ultimo penoso atto della vicenda di noi cassintegrati del Partito della Rifondazione Comunista.
Essendo scaduta la cassa integrazione il 30 aprile scorso, non avendo ricevuto ancora le lettere di licenziamento già preannunciate dal Prc con l’avvio della procedura di mobilità per 42 lavoratrici e lavoratori, né nessun’altra comunicazione da parte del Prc, ieri mattina alle h. 9.00 ci siamo presentati, come prescritto dalla legge, sul nostro posto di lavoro presso la Direzione Nazionale a Viale del Policlinico.
Dopo tre anni e sette mesi di cassa integrazione, ci aspettavamo di essere accolti da un qualche dirigente o responsabile che ci dicesse cosa potevamo fare invece abbiamo aspettato nell’atrio per circa tre ore l’arrivo del tesoriere nazionale Mimmo Caporusso il quale, una volta arrivato ci ha fatto leggere una lettera-a noi mai pervenuta-nella quale è scritto che tutti i dipendenti interessati dalla procedura sono “sospesi dal lavoro e dalla retribuzione” a partire dal primo maggio.
Alla richiesta reiterata più volte di registrare la nostra presenza sul posto di lavoro per tutelarci da una possibile accusa di assenteismo ci è stato risposto che nessun documento sarebbe stato firmato e che potevamo andarcene. A quel punto non abbiamo avuto altra scelta che chiamare i Carabinieri i quali, arrivati in Direzione, hanno messo a verbale la presenza di ognuno di noi sul posto di lavoro.
Siamo in cassa integrazione dal settembre 2009. Nessuno di noi aveva incarichi politici, siamo lavoratori come tutti gli altri: centralinisti, tecnici, informatici, segretari di dipartimento, addetti alla vigilanza, giornalisti.
Nel 2009 ci fu comunicato dal Segretario Paolo Ferrero che il Prc avrebbe fatto tagli orizzontali del 50% su tutte le spese e che quindi il 50% del personale sarebbe stato licenziato da un giorno all’altro. Iniziarono le trattative. Proponemmo contratti di solidarietà e ci furono negati. Proponemmo di mettere a frutto alcune sedi di proprietà del Prc per aprire cooperative o associazioni che fornissero servizi da un lato e reddito dall’altro coinvolgendo anche i territori per iniziare così un processo di trasformazione prima di tutto politica di un partito che ormai era fuori dal parlamento e affrontare con una pratica diversa le contraddizioni aperte dalla gestione che aveva portato a quell’epilogo.
Sordi a quella che tuttora riteniamo essere la sostanza di tutta la vicenda ci risposero che le sedi non si potevano toccare perché servivano “a fare politica” (la stessa vecchia politica che ha portato all’esaltante successo della lista Ingroia!) salvo poi averne già vendute parecchie per un valore di 15 milioni di euro e deliberare la vendita di altre 26 per un valore stimato di quasi 7 milioni di euro. Quando infine arrivammo ad ottenere almeno la cassa integrazione proponemmo ovviamente, come succede in tutti i posti di lavoro, la rotazione e ancora una volta ci fu risposto che era impossibile. Così, senza considerare né le professionalità, né i carichi familiari, né l’anzianità di servizio scelsero le persone da tenere a lavoro basandosi esclusivamente su criteri di fedeltà alle aree politiche interne e gli altri li misero in cassa integrazione a zero ore.
In questi tre anni e sette mesi abbiamo chiesto varie volte di avere un confronto serio con Paolo Ferrero e gli altri dirigenti del Prc. Confronto che abbiamo chiesto di nuovo ieri mattina, e al quale di nuovo Ferrero si è sottratto con l’alibi che la questione è tecnica e non politica. Nonostante ancora dipendenti del partito, non siamo mai stati contattati né invitati alle tante assemblee che sappiamo si sono svolte con gli altri lavoratori. Siamo stati trattati alla stregua di nemici da combattere e ciò che è successo ieri è un epilogo degno dei peggiori padroni.
Faremo valere i nostri diritti con tutti i mezzi che abbiamo a disposizione compreso, se sarà necessario, il ricorso al Tribunale.
Eravamo dipendenti di un partito nato per difendere i diritti dei lavoratori, oggi ci ritroviamo a dover chiamare i Carabinieri per difendere i nostri diritti da quello stesso partito.
Se qualche
tempo fa andava di moda la parola spread, oggi spopola sui media la perifrasi “Larghe
intese” seguito da un altro concetto, questo non originale perché ogni tanto
ricorreva nei palazzi della politica in relazione alla lotta partigiana , e cioè “pacificazione”. Guai a definire il tutto con la parola inciucio è un termine divisivo,
è l’orrenda espressione con cui cattivi
maestri armano la mano di pericolosi disadattati che oggi tirano contro carabinieri
inermi, domani tireranno contro gli augusti statisti che affollano il
Parlamento.
Antifascismo contro fascismo, antiberlusconismo contro
berlusconismo, sono antagonismi superati, procurano solo efferate violenze. Agitare ancora queste sconcezze da prima e
seconda repubblica è da irresponsabili. In nome della riappacificazione e delle
larghe intese ormai è caduto anche il contrasto
fra sindacati e padroni. Sembra impossibile ma è successo.
Infatti è di pochi
giorni la notizia che la triplice in nome dell’emergenza crisi ha venduto ai padroni
il diritto dei lavoratori ad essere rappresentati in azienda se iscritti ad un
sindacato che in quell’azienda è minoritario. Esempio pratico: se in una
fabbrica i movimenti sindacali usciti maggioritari delle consultazioni fra
lavoratori firmano un accordo con i padroni in base al quale, si aumenta l’orario
di lavoro, si toglie il diritto di
sciopero e quello di ammalarsi, le sigle in minoranza non possono ribellarsi per tutelare i lavoratori . Devono stare zitte
e buone, esimersi dal proclamare scioperi o ancora peggio ricorrere in tribunale per difendere i
propri iscritti da eventuali ingiustizie subite dal padronato .
Questa larga intesa si chiama esigibilità dei
sindacati e rientra nell’accordo sulla rappresentanza che Cgil, Cisl e Uil
hanno firmato con confindustria. E’
ancora peggio della larga intesa governativa, infatti in questo caso la forza politica di minoranza può fare opposizione senza il pericolo di essere
sbattuta fuori dal Parlamento. Nel caso dell’accordo sulla rappresentanza il
sindacato in minoranza non può neanche opporsi, pena la sua espulsione dalla
fabbrica .
Con queste nuove regole, la Fiom non avrebbe potuto trascinare in
tribunale la Fiat di Marchionne per comportamento
anti sindacale in relazione al licenziamento dei propri iscritti e ottenere il
loro reintegro come è accaduto a Pomigliano .
A proposito della Fiom, possibile che i metalmeccanici guidati dal Landini
non si siano ribellati a questo scellerato patto? E’ possibile, anzi l’hanno o proprio
accettato . Infatti senza l’appoggio di
Landini e soci, Susanna Camusso non
avrebbe avuto la legittimazione politica necessaria per firmare la resa assieme a Cisl e Uil.
Dunque il valoroso comandante paladino dei
diritti dei lavoratori e della
democrazia nella rappresentanza sindacale, se l’è largamente intesta con la
sua segretaria Camusso, che se l’è
largamente intesa con Cisl e Uil e tutti quanti se la sono largamente intesa
con i padroni. Fine della tutela dei lavoratori.
Presidente Landini ti ricordi di Giovanni
Barozzino, Antonio La Morte e Marco
Pignatelli, gli operai di Melfi che sono rientrati in fabbrica grazie alla battaglia di giustizia intrapresa dalla Fiom ?
E ti ricordi dei diciannove operai di Pomigliano reintegrati nello stabilimento
G.B.Vico con sentenza giudiziaria grazie
alla lotta del potente esercito metalmeccanico da te guidato?
Te li ricordi? Non te li ricordi?
Comunque il diritto al dissenso l’abbiamo
strappato ai padroni e ora dobbiamo
restituirlo ai padroni, ma allora chi ha vinto gli operai o i padroni?
Il 28 aprile scorso l’associazione 03100 di Frosinone, in collaborazione
con il sito "FROSINONE BELLA E BRUTTA", ha organizzato una passeggiata lungo
il fiume Cosa nel tratto che va da Via
Mola nuova a Maniano. L’incuria degli
enti locali per il corso d’acqua che attraversa Frosinone, il flagello degli scarichi
fognari, per lo più abusivi, che lo infestano in molti punti, hanno fatto sì che le nuove generazioni
pensassero al corso d’acqua più come ad una fogna a cielo aperto che ad un fiume. Eppure nei
contributi filmati che seguono si possono ammirare, al di là dei tratti inquinati dove la sporcizia e l’immondizia la fanno da padroni, gli
stupendi scenari che il fiume è in grado di regalare a chi passeggia lungo le
sue sponde. Ancora una volta amministrazioni miopi , accecate dall’unica
prospettiva dello sviluppo urbanistico dominato dal cemento, non si sono rese conto
della grande risorsa che il fiume Cosa può costituire per la nostra città. La
cura delle sponde, la loro valorizzazione
attraverso parchi e punti di aggregazione, possono trasformare il “Cosa”
in una fonte di attrazione turistica, naturalistica e storico-culturale. Lungo le sponde del fiume sono cresciute molte
generazioni di ciociari, si è
consolidata la tradizione culturale della città. Un luogo che deve essere restituito ai cittadini, non
solo come fonte di aggregazione sociale,
ma anche come risorsa economica. La
valorizzazione del fiume Cosa può
costituire la prima tappa di un più
ampio processo di pianificazione economica alternativa. La crisi si combatta iniziando proprio dallo
stravolgimento del cosa produrre, come produrlo e a quali
finalità destinarlo. La valorizzazione del territorio, in base alle
caratteristiche naturali che lo rendono unico, in luogo della sua distruzione
per cementificazione o sfruttamento agricolo intensivo, può concorrere a
modulare un’offerta economica nuova in
grado di soddisfare una domanda cospicua e dunque generare utili a vantaggio in
primo luogo della cittadinanza . Ci si è mai chiesti se è più conveniente
economicamente omologare territori diversi fra di loro, asfaltandoli per
costruirci sopra il solito centro commerciale polifunzionale e la trita e
ritrita lottizzazione con abitazioni di pregio, oppure esaltarne le diverse peculiarità trasformandole in valore
economico come attrazioni
turistico-culturali? Frosinone come
altre città si sta ingolfando di palazzi lussuosi che rimarranno desolatamente
disabitati perché non idonei a risolvere
una crisi abitativa che coinvolge la popolazione meno abbiente. Non sarebbe
meglio investire su progetti che rivalutino le diversità e le peculiarità del territorio, le esaltino anziché
destinare l’ennesima area alla costruzione del solito palazzo? Cominciamo dal fiume Cosa, cominciamo a farlo
conoscere alla cittadinanza, potrà essere il primo passo per rendere i cittadini
consapevoli di ciò che veramente conta nello sviluppo del posto dove vivono . E forse
tale consapevolezza potrà spingere i
frusinati a fare pressione sull’amministrazione
affinchè cambi regime ed inizi ad
operare per rendere la città a misura di cittadino piuttosto che svenderne
pezzi alla speculazione edilizia privata.
Volevo augurare a tutti buona Festa dei
Lavoratori, ovunque voi siate, e per farlo al meglio ho deciso di inserire un
breve scritto sulla storia e il significato di questa festa! Buona lettura. Cisco Bellotti
Il Primo maggio: storia e
significato di una ricorrenza
Il 1 Maggio nasce come momento di lotta
internazionale di tutti i lavoratori, senza barriere geografiche, né tanto meno
sociali, per affermare i propri diritti, per raggiungere obiettivi, per
migliorare la propria condizione. “Otto ore di lavoro, otto di svago, otto per
dormire” fu la parola d’ordine, coniata in Australia nel 1855, e condivisa da
gran parte del movimento sindacale organizzato del primo Novecento. Si aprì
così la strada a rivendicazioni generali e alla ricerca di un giorno, il primo
Maggio, appunto, in cui tutti i lavoratori potessero incontrarsi per esercitare
una forma di lotta e per affermare la propria autonomia e indipendenza.
Le origini
Dal congresso dell’Associazione internazionale
dei lavoratori – la Prima Internazionale – riunito a Ginevra nel settembre
1866, scaturì una proposta concreta: “otto ore come limite legale dell’attività
lavorativa”. A sviluppare un grande movimento di lotta sulla questione delle
otto ore furono soprattutto le organizzazioni dei lavoratori statunitensi. Lo
Stato dell’Illinois, nel 1866, approvò una legge che introduceva la giornata
lavorativa di otto ore, ma con limitazioni tali da impedirne l’estesa ed
effettiva applicazione. L’entrata in vigore della legge era stata fissata per
il 1 Maggio 1867 e per quel giorno venne organizzata a Chicago una grande
manifestazione. Diecimila lavoratori diedero vita al più grande corteo mai
visto per le strade della città americana.
Nell’ottobre del 1884 la Federation of Organized
Trades and Labour Unions indicò nel 1 Maggio 1886 la data limite, a partire
dalla quale gli operai americani si sarebbero rifiutati di lavorare più di otto
ore al giorno.
La decisione
Il 1° maggio nasce il 20 luglio 1889, a Parigi.
A lanciare l’idea è il congresso della Seconda Internazionale, riunito in quei
giorni nella capitale francese: “Una grande manifestazione sarà organizzata per
una data stabilita, in modo che simultaneamente in tutti i paesi e in tutte le
città, nello stesso giorno, i lavoratori chiederanno alle pubbliche autorità di
ridurre per legge la giornata lavorativa a otto ore e di mandare ad effetto le
altre risoluzioni del Congresso di Parigi”. Poi, quando si passa a decidere
sulla data, la scelta cade sul 1 maggio. Una scelta simbolica: tre anni prima
infatti, il 1 maggio 1886, una grande manifestazione operaia svoltasi a
Chicago, era stata repressa nel sangue. Il 1 Maggio 1886 cadeva di sabato,
allora giornata lavorativa, ma in dodicimila fabbriche degli Stati Uniti 400
mila lavoratori incrociarono le braccia. Nella sola Chicago scioperarono e
parteciparono al grande corteo in 80 mila. Tutto si svolse pacificamente, ma
nei giorni successivi scioperi e manifestazioni proseguirono e nelle principali
città industriali americane la tensione si fece sempre più acuta. Il lunedì la
polizia fece fuoco contro i dimostranti radunati davanti ad una fabbrica per
protestare contro i licenziamenti, provocando quattro morti. Per protesta fu
indetta una manifestazione per il giorno dopo, durante la quale, mentre la
polizia si avvicinava al palco degli oratori per interrompere il comizio, fu
lanciata una bomba. I poliziotti aprirono il fuoco sulla folla. Alla fine si
contarono otto morti e numerosi feriti. Il giorno dopo a Milwaukee la polizia
sparò contro i manifestanti (operai polacchi) provocando nove vittime. Una
feroce ondata repressiva si abbatté contro le organizzazioni sindacali e
politiche dei lavoratori, le cui sedi furono devastate e chiuse e i cui
dirigenti vennero arrestati. Per i fatti di Chicago furono condannati a morte
otto noti esponenti anarchici malgrado non ci fossero prove della loro
partecipazione all’attentato. Due di loro ebbero la pena commutata in
ergastolo, uno venne trovato morto in cella, gli altri quattro furono impiccati
in carcere l’11 novembre 1887. Il ricordo dei “martiri di Chicago” era
diventato simbolo di lotta per le otto ore e riviveva nella giornata ad essa
dedicata: il 1 Maggio. Man mano che ci si avvicina al 1 maggio 1890 le
organizzazioni dei lavoratori intensificano l’opera di sensibilizzazione sul significato
di quell’appuntamento. “Lavoratori – si legge in un volantino diffuso a Napoli
il 20 aprile 1890 – ricordatevi il 1 maggio di far festa. In quel giorno gli
operai di tutto il mondo, coscienti dei loro diritti, lasceranno il lavoro per
provare ai padroni che, malgrado la distanza e la differenza di nazionalità, di
razza e di linguaggio, i proletari sono tutti concordi nel voler migliorare la
propria sorte e conquistare di fronte agli oziosi il posto che è dovuto a chi
lavora. Viva la rivoluzione sociale! Viva l’Internazionale!”. Monta intanto un
clima di tensione, alimentato da voci allarmistiche: la stampa conservatrice
interpreta le paure della borghesia, consiglia a tutti di starsene tappati in
casa, di fare provviste, perchè non si sa quali gravi sconvolgimenti potranno
accadere. Da parte loro i governi, più o meno liberali o autoritari, allertano
gli apparati repressivi.
In Italia il governo di Francesco Crispi usa la
mano pesante, attuando drastiche misure di prevenzione e vietando qualsiasi manifestazione
pubblica sia per la giornata del 1 maggio che per la domenica successiva, 4
maggio. In diverse località, per incoraggiare la partecipazione del maggior
numero di lavoratori, si è infatti deciso di far slittare la manifestazione
alla giornata festiva. Del resto si tratta di una scommessa dall’esito quanto
mai incerto: la mancanza di un unico centro coordinatore a livello nazionale –
il Partito socialista e la Confederazione generale del lavoro sono di là da
venire – rappresenta un grave handicap dal punto di vista organizzativo. Non si
sa poi in che misura i lavoratori saranno disposti a scendere in piazza per
rivendicare un obiettivo, quello delle otto ore, considerato prematuro da gran
parte dei dirigenti del movimento operaio italiano o per testimoniare
semplicemente una solidarietà internazionale di classe. Proprio per questo la
riuscita del 1 maggio 1890 costituisce una felice sorpresa, un salto di qualità
del movimento dei lavoratori,che per la prima volta dà vita ad una
mobilitazione su scala nazionale, per di più collegata ad un’iniziativa di
carattere internazionale. In numerosi centri, grandi e piccoli, si svolgono
manifestazioni, che fanno registrare quasi ovunque una vasta partecipazione di
lavoratori. Un episodio significativo accade a Voghera, dove gli operai,
costretti a recarsi al lavoro, ci vanno vestiti a festa. “La manifestazione del
1 maggio – commenta a caldo Antonio Labriola – ha in ogni caso superato di
molto tutte le speranze riposte in essa da socialisti e da operai progrediti.
Ancora pochi giorni innanzi, la opinione di molti socialisti, che operano con
la parola e con lo scritto, era alquanto pessimista”. Anche negli altri paesi
il 1 maggio ha un’ottima riuscita: “Il proletariato d’Europa e d’America –
afferma compiaciuto Fiedrich Engels – passa in rivista le sue forze mobilitate
per la prima volta come un solo esercito. E lo spettacolo di questa giornata
aprirà gli occhi ai capitalisti”. Visto il successo di quella che avrebbe
dovuto essere una rappresentazione unica, viene deciso di replicarla per l’anno
successivo. Il 1 maggio 1891 conferma la straordinaria presa di
quell’appuntamento e induce la Seconda Internazionale a rendere permanente
quella che, da lì in avanti, dovrà essere la “festa dei lavoratori di tutti i
paesi”.
Tra Ottocento e Novecento
Inizia così la tradizione del 1 maggio, un
appuntamento al quale il movimento dei lavoratori si prepara con sempre minore
improvvisazione e maggiore consapevolezza. L’obiettivo originario delle otto
ore viene messo da parte e lascia il posto ad altre rivendicazioni politiche e
sociali considerate più impellenti. La protesta per le condizioni di miseria
delle masse lavoratrici anima le manifestazioni di fine Ottocento. Il 1 maggio
1898 coincide con la fase più acuta dei “moti per il pane”, che investono tutta
Italia e hanno il loro tragico epilogo a Milano. Nei primi anni del Novecento
il 1 maggio si caratterizza anche per la rivendicazione del suffraggio
universale e poi per la protesta contro l’impresa libica e contro la partecipazione
dell’Italia alla guerra mondiale. Si discute intanto sul significato di questa
ricorrenza: giorno di festa, di svago e di divertimento oppure di mobilitazione
e di lotta? Un binomio, questo di festa e lotta, che accompagna la celebrazione
del 1 maggio nella sua evoluzione più che secolare, dividendo i fautori
dell’una e dell’altra caratterizzazione. Qualcuno ha inteso conciliare gli
opposti, definendola una “festa ribelle”, ma nei fatti il 1 maggio è l’una e
l’altra cosa insieme, a seconda delle circostanze più lotta o più festa. Il 1
maggio 1919 i metallurgici e altre categorie di lavoratori possono festeggiare
il conseguimento dell’obiettivo originario della ricorrenza: le otto ore.
Il ventennio fascista
Nel volgere di due anni però la situazione muta
radicalmente: Mussolini arriva al potere e proibisce la celebrazione del 1
maggio. Durante il fascismo la festa del lavoro viene spostata al 21 aprile,
giorno del cosiddetto Natale di Roma; così snaturata, essa non dice più niente
ai lavoratori, mentre il 1 maggio assume una connotazione quanto mai
“sovversiva”, divenendo occasione per esprimere in forme diverse – dal garofano
rosso all’occhiello alle scritte sui muri, dalla diffusione di volantini alle
bevute in osteria – l’opposizione al regime.
Dal dopoguerra a oggi
All’indomani della Liberazione, il 1 maggio
1945, partigiani e lavoratori, anziani militanti e giovani che non hanno
memoria della festa del lavoro, si ritrovano insieme nelle piazze d’Italia in
un clima di entusiasmo. Appena due anni dopo il 1 maggio è segnato dalla strage
di Portella della Ginestra, dove gli uomini del bandito Giuliano fanno fuoco
contro i lavoratori che assistono al comizio. Nel 1948 le piazze diventano lo
scenario della profonda spaccatura che, di lì a poco, porterà alla scissione
sindacale. Bisognerà attendere il 1970 per vedere di nuovo i lavoratori di ogni
tendenza politica celebrare uniti la loro festa. Le trasformazioni sociali, il
mutamento delle abitudini ed anche il fatto che al movimento dei lavoratori si offrono
altre occasioni per far sentire la propria presenza, hanno portato al
progressivo abbandono delle tradizionali forme di celebrazione del 1 maggio.
Oggi un’unica grande manifestazione unitaria esaurisce il momento politico,
mentre il concerto rock che da qualche anno Cgil, Cisl e Uil organizzano per i
giovani sembra aderire perfettamente allo spirito del 1 maggio, come lo aveva
colto nel lontano 1903 Ettore Ciccotti: “Un giorno di riposo diventa
naturalmente un giorno di festa, l’interruzione volontaria del lavoro cerca la
sua corrispondenza in una festa de’sensi; e un’accolta di gente, chiamata ad
acquistare la coscienza delle proprie forze, a gioire delle prospettive
dell’avvenire, naturalmente è portata a quell’esuberanza di sentimento e a quel
bisogno di gioire, che è causa ed effetto al tempo stesso di una festa”.
Nota in gran parte tratta da: Giuseppe Sircana,
in Cgil di Roma e del Lazio, Archivio Storico Manuela Mezzelani (sito cgil
lazio)
Il 29/04/2013 si è avuto l'ennesimo flop per responsabilità di tanti sindaci della provincia che non si sono presentati.
Ogni cittadino che si sente vessato da ACEA ATO5 e non cautelato dalle decisioni del proprio sindaco, deve saperlo e tenerlo in considerazione quando sarà chiamato alle urne...!!!
....è bene che i cittadini sappiano chi sono e come agiscono i propri sindaci quando c'è da prendere una seria decisione su un annoso problema che stentano a risolvere.
Fareste bene ad andare sotto la sede del vostro comune ed invitarli a gran voce, quando devono andare a difendere i vostri diritti alle assemblee, anziché disertarle...!!!
IL VIDEO DEL FLOP
La consulta dei sindaci che dovrebbe controllare l'operato dell'ente privato erogatore del servizio idrico ACEA, è latitante. Prevalgono anche in questo caso logiche spartitorie fra sindaci dell'una e dell'altra parte politica in totale disprezzo degli interessi dei cittadini che pure li hanno votati. Ecco perchè è necessario mobilitarsi per fare in modo che venga fatto rispettare ciò che i cittadini hanno deliberato in modo perentorio con i referendum sui beni comuni. E soprattutto è necessario che si rispetti fino in fondo lo spirito referendario, il quale determina che l'erogazione dell'acqua non deve sottostare nè al controllo privato nè tantomeno al controllo pubblico, ma deve essere gestita attraverso forme di partecipazione diretta dai cittadini stessi. Se non si coglie e non si impone il rispetto di questa regola decisa dal volere dei cittadini, i bene comuni, cioè quei beni che secondo la definizione giuridica redatta dalla commissione Rodotà "esprimono utilità funzionali all’esercizio dei diritti fondamentali nonché al libero sviluppo della persona". saranno sempre in balia di interessi di bottega di singoli gestori privati e degli appetiti elettorali dei vari amministratori pubblici.
“E’
stato un caso isolato, il folle gesto di un disperato , ma è stato un caso
isolato” Questo era il mantra che risuonava nei palazzi della politica nel
commentare con molta preoccupazione il ferimento di due carabinieri davanti
Palazzo Chigi da parte di Luigi Preiti.
Un caso isolato ripeteva Angelino Alfano neo vice premier e ministro
degli interni del nuovo governo inciucista. Proprio la solerzia nell’invocare il gesto
isolato offre la misura di come onorevoli, senatori e
maneggioni del sottobosco parlamentare, siano lontani dalla realtà di tutti i giorni. La
sparatoria di Luigi Preiti, un cinquantenne ex muratore disoccupato, separato dalla moglie con un
figlio di 11 anni non è un fatto isolato
ma è l’ultimo di una lunga serie di episodi violenti e sanguinosi. Prima di lui
a cadere vittime della disperazione sono stati a Civitanova Marche, Anna Maria Sopranzi, Romeo
Dionisi e il fratello di lei Giuseppe Sopranzi, anche loro agnelli scarificali della legge Fornero, sopraffatti dalla
vergogna di essere rimasti senza reddito e senza neanche i soldi per procurarsi
quotidianamente il cibo. E prima di loro centinaia di persone fra piccoli
imprenditori e dipendenti licenziati si
sono suicidati cedendo alla disperazione di essere stati derubati della loro
dignità . L’episodio di Luigi Preiti è solo
l’ultimo di tanti eventi tragici provocati
dalla devastazione sociale che il capitale finanziario per mano dei suoi scagnozzi politici sta procurando a intere popolazioni.
L’unica differenza è che questa volta la vittima designata non ha rivolto l’arma
contro se stessa, ma ha fatto fischiare le pallottole vicino al palazzo del
potere, coinvolgendo due carabinieri che nel contesto non c’entravano nulla. Non
intendere che ormai la gente è alla disperazione
ed è disposta a tutto, trovare giustificazioni con l’auto convincimento del gesto isolato, non capire la gravità della
situazione è da irresponsabili, o meglio è tipico di chi ormai pone attenzione alla propria opulenta salvaguardia personale piuttosto che occuparsi
della salute sociale del Paese. Sfruttare il sanguinoso evento per evocare la
pace sociale ed isolare i dissenzienti con la scusa del comune impegno contro
la violenza è un trucco che ormai non funziona
più. Già in passato è successo che in un clima di grave conflittualità episodi
violenti, voluti dal destino, ma molto spesso organizzati dal potere deviato
parallelo, siano riusciti ad imporre l’anestetizzazione del conflitto. Oggi la
disperazione è la rabbia sono talmente diffuse che è sentimento comune dell’uomo della strada quello di addossare a Luigi Preiti la sola colpa di aver colpito
il bersaglio sbagliato. Non sapremo mai se dietro la sparatoria che ha portato
al ferimento dei carabinieri davanti
Palazzo Chigi ci siano altre entità che hanno armato la mano di Preiti . Non lo sapremo mai perché il ministero degli interni è stato affidato al plurinquisito
Berlusconi che lo controlla attraverso
il suo picciotto Angelino Alfano. Ciò di
cui siamo certi è che questo governo, in linea con gli esecutivi precedenti, non
ha la minima potenzialità e volontà di alleggerire la situazione. Nel discorso
del neo presidente del consiglio inciucista non c’è nulla che indichi la
volontà di cambiare rotta. Al di la degli annunci propagandistici imposti da
Berlusconi, eliminazione dell’Imu sulla
prima casa, aiuti alle aziende che assumono giovani, blocco dell' aumento dell’Iva in giugno , non c’è
altro. Manca soprattutto l’indicazione di dove si troveranno le risorse
economiche per pagare queste cambiali in bianco utili alla prossima campagna
elettorale del cavaliere. In verità l’apprezzamento del capitale finanziario
per il nuovo governo con il successo
odierno dell’asta di Btp a 5 e 10 anni, indica che
anche con questo esecutivo a pagare la crisi e le promesse elettorali di
Berlusconi saranno i soliti noti. Nel
discorso programmatico che Letta ha tenuto alla Camera, pur emergendo l’ineludibilità
di sostenere l’occupazione, non vi è
traccia, non dico dell’abrogazione della legge Fornero, ma neanche di una sua
rimodulazione. Manca un programma di recupero di capitali basato sulla
tassazione delle rendite finanziarie, non è prevista una seria
politica contro la corruzione e l’evasione fiscale. Dietro la vernice fresca dei ministri Josefa Idem e Cècil Kyenge agisce
l’affidabile (per i potentati finanziari) banchiere Saccomanni. Purtroppo non saranno queste marionette da inciucio ad
evitare il verificarsi di altri gesti
disperati e sanguinosi, resta però da capire che direzione prenderanno le
pallottole.