sabato 7 dicembre 2013

Rifondazione: ultimo congresso?

Francesco Ricci
 
 
Si sta svolgendo (da venerdì 6 a domenica 8 dicembre) il Congresso nazionale di Rifondazione Comunista. Anticipiamo qui un articolo - scritto la settimana scorsa - e che sarà pubblicato sul numero in uscita di Progetto Comunista.
 
Essendomi stato chiesto di scrivere un articolo su "cosa si muove in Rifondazione ", potrei cavarmela con un titolo alla Remarque: "Niente di nuovo sul fronte occidentale". Ma se l'immobilità più assoluta è quanto si vede di Rifondazione nelle piazze e nelle (purtroppo ancora scarse) lotte in giro per il Paese, non altrettanto si può dire di quanto avviene all'interno di Rifondazione dove la lotta ferve attorno all'imminente Congresso.
 
Le quattro correnti in lotta in Rifondazione
Il IX Congresso nazionale si terrà a Perugia dal 6 all'8 dicembre.
Tre sono i documenti: quello della maggioranza guidata da Paolo Ferrero (l'ex ministro alla Solidarietà sociale nel secondo governo imperialista di Prodi), quello di Falcemartello e quello di un pezzo critico staccatosi dalla maggioranza. Ci sono poi gli emendamenti dell'area più consistente dopo quella di Ferrero, facente capo a Grassi.
Sono dunque quattro le correnti in lotta tra loro. Accomunate da un orizzonte riformista (o semi-riformista nel caso di Falcemartello) ma divise sulle prospettive di Rifondazione, per quanto tutte consapevoli che questo congresso potrebbe essere l'ultimo prima di un'ulteriore esplosione di quanto resta del partito o di un collasso per emorragia.
Il congresso si fa sul numero di iscritti del 2012: circa 30 mila. Un numero apparentemente ampio se non lo si comparasse con le cifre raggiunte fino a qualche anno fa da Rifondazione (oltre 150 mila) e se non fosse noto che non si tratta di attivisti: tanto che al congresso parteciperanno (non abbiamo ancora i numeri conclusivi mentre scriviamo) circa in diecimila. Di questi diecimila, secondo stime interne attendibili, al più un migliaio sono gli attivisti, cioè quelli che fanno una qualche attività periodica anche sporadica e un po' più della metà di mille coloro che fanno un'attività continuativa. Parliamo cioè di circa un ventesimo di quanto era Rifondazione prima dei disastri politici cui l'hanno condotta i vari Ferrero, Grassi.
 
Lo scontro tra Ferrero e Grassi e il terzo documento
Nei diversi documenti, compreso quello di Ferrero, che sta stravincendo nei congressi locali (al momento è al 75%, comprensivo però dei voti per gli emendamenti grassiani), i riferimenti al comunismo (e financo al marxismo) non mancano. Manca però una qualsiasi indicazione su quali saranno i prossimi passi di Rifondazione. L'intera discussione risulta come sospesa nel vuoto perché gli stessi dirigenti di tante sconfitte sembrano un po' storditi, come pugili costretti dai troppi colpi subiti nell'angolo del ring, in attesa che un clemente gong segni la fine dello scontro.
L'opzione più chiara appare quella indicata con gli emendamenti da Grassi (che ha dalla sua poco meno della metà della "maggioranza"): ricucire con Sel per essere riammessi in qualche modo nel centrosinistra. Spira forte, da queste parti, la nostalgia per la Rifondazione che aveva un qualche ruolo di governo. C'è la consapevolezza che quella stagione non tornerà ma anche la speranza che un qualche strapuntino per qualche dirigente ancora si possa trovare. Apparirà forse impietosa questa descrizione ma risulta difficile attribuire a Grassi progettualità più elevate. 
La terza mozione (inizialmente dovevano essere degli emendamenti al documento di Ferrero, ma il regolamento non consentiva in questo modo di "contarsi") cerca di raccogliere un legittimo e ampio scontento della base, anche se non propone nei fatti nulla di alternativo al vago orizzonte nebuloso di Ferrero (che è "ricostruire la sinistra d'alternativa") e sembra essere (nelle intenzioni implicite dei dirigenti che la promuovono) una manovra congressuale per guadagnare posti nel futuro gruppo dirigente. Il tutto è però condito con un linguaggio più radicale di quello di Ferrero: molti richiami alla "classe" peraltro mescolati con i richiami alla Costituzione borghese e a un non ben definito "comunismo novecentesco" che non esclude dalla foto di famiglia nemmeno lo stalinismo.
Certo è che la mozione "intermedia" sta limitando fortemente gli spazi dell'unica altra posizione, quella di Falcemartello, effettivamente distinta da quella di Ferrero e da quella di Grassi. La "terza mozione" è (a congressi in via di conclusione) attorno al 15%, quella di Falcemartello è solo al 10%.
 
Il semi-riformismo di Falcemartello
Il documento di Falcemartello ("Sinistra classe rivoluzione") critica con efficacia retorica la politica riformista che ha condotto Rifondazione nell'attuale vicolo cieco. Ma lo fa rivendicando le classiche posizioni centriste, cioè non rivoluzionarie e quindi non realmente anti-riformiste di Falcemartello. D'altra parte, Falcemartello ancora fino a poco tempo fa (poi è calato il silenzio sul tema) rivendicava la "opportunità" che Rifondazione a Napoli stesse nella maggioranza di governo di De Magistris per combattere "una battaglia egemonica", orientando questo presunto governo "neutro" in contrapposizione ai poteri forti. Teorizzare l'esistenza di governi "neutri" e "condizionabili" nel capitalismo non è poca cosa per un gruppo che si rivendica marxista e attacca la totale assenza del marxismo negli altri schieramenti interni di Rifondazione. In ogni caso. marxismo a parte, non è certo una posizione forte da cui attaccare il governismo della maggioranza.
In realtà Falcemartello sta con un piede in Rifondazione e uno fuori. Aspetta e spera che Landini si decida a formare un "partito del lavoro" che dovrebbe nascere (secondo loro) da una rottura di un settore della Cgil con il Pd. Consapevole che Rifondazione non durerà ancora a lungo, il gruppo dirigente di Falcemartello cerca un ambito più largo dove proseguire per i prossimi decenni la propria infinita attività "entrista" nelle organizzazioni considerate "naturali" del movimento operaio. In attesa degli eventi e proseguendo nel frattempo la propria comoda routine con qualche non sgradita postazione nell'apparato della Cgil.
 
Cremaschi aspetta
Attorno al congresso di Rifondazione volteggia inquieto Giorgio Cremaschi che, dopo essersi visto scippare da Ingroia alle ultime elezioni il ruolo di candidato unificante di tutta la sinistra riformista, ora prosegue con i suoi seminari di lancio di una nuova forza da presentare alle europee: Rossa, che farà la sua assemblea nazionale a metà dicembre. Ma l'unica possibilità che Rossa nasca come partito è la confluenza di almeno una parte dell'attuale maggioranza di Rifondazione e dunque una rottura di quest'ultima. Ad oggi, tuttavia, data la serie clamorosa di fiaschi collezionati nelle assemblee di presentazione da Rossa, nessuno sembra entusiasti di buttarsi in questo nuovo calderone riformista. E' più probabile allora, salvo precipitazioni immediate dello scontro interno di Rifondazione che potrebbero cambiare il quadro, che Rossa possa fungere da sigla elettorale per le europee, a copertura di un'area che va da Rifondazione agli stalinisti della Rete dei Comunisti (il gruppo dirigente occulto di Usb) passando per il gruppo di Turigliatto (ex Sinistra Critica). Ma questa è un'altra storia: anche se non più appassionante di quella fin qui raccontata.
 
La nostra proposta ai militanti di Rifondazione
Davanti a questo scenario miserevole, per parte nostra continueremo a rivolgerci ai militanti onesti di Rifondazione, a quelli che non hanno poltroncine da difendere o da guadagnare, perché si convincano che c'è bisogno di costruire un altro partito, rivoluzionario e internazionalista, e che per farlo bisogna in primo luogo rompere con i Ferrero, i Grassi, i Bellotti, ecc.
Il Pdac, come ripetiamo sempre, non ha la pretesa di essere il partito che manca: è però uno strumento importante in quella direzione, grazie alla battaglia controcorrente e all'accumulazione di quadri giovani, determinati e inseriti nelle lotte che abbiamo raccolto in questi anni attorno a un programma rivoluzionario, in stretta connessione con la costruzione, su scala internazionale della principale e più dinamica organizzazione rivoluzionaria oggi nel mondo, la Lit-Quarta Internazionale, che svolge un ruolo di prima fila o anche dirigente (si pensi al Brasile) nelle lotte in corso.
Diversi compagni provenienti da Rifondazione hanno deciso di entrare in queste settimane nel nostro partito; tanti altri hanno aperto con noi un confronto. Come Pdac siamo disponibili a confrontarci con singoli e con strutture locali di Rifondazione. Siamo convinti infatti che la discussione sulla costruzione di un partito rivoluzionario non sia cosa che riguardi solo noi ma tutti i lavoratori e i giovani che fanno militanza politica per cambiare il mondo.
 
(30 novembre)

venerdì 6 dicembre 2013

Legge elettorale incostituzionale - Parlamento delegittimato a modificare la costituzione

Comitato in difesa della Costituzione per la Provincia di Frosinone


Se ancora si nutrisse qualche dubbio sulla legittimità di questo Parlamento a modificare la Costituzione e a sovvertire i dispositivi di protezione dell’art. 138, il pronunciamento della Consulta sulla incostituzionalità della legge elettorale, toglie ogni residua perplessità a riguardo.
            La Corte costituzionale ha decretato che la legge elettorale, in base alla quale è nata questa legislatura e le due precedenti, non rispetta le prerogative degli elettori per quanto scritto nella Costituzione in relazione all’eguale valore di ogni voto e alla possibilità, per l’elettore, di esprimere la propria preferenza su chi eleggere in Parlamento. Ne consegue che i parlamentari eletti con questa legge elettorale incostituzionale non hanno titolo a modificare la Costituzione.
            All’inadeguatezza dei 42 saggi  -incaricati dal governo di modificare la Costituzione in senso autoritario, personaggi per nulla investiti di alcuna delega popolare, con quattro fra loro indagati per reati gravissimi- alla malafede di parlamentari pronti ad usare il voto sulla manomissione dell’art.138 per altri fini tutt’altro che inerenti alla modifica della Costituzione, si aggiunge il marchio della delegittimazione impresso dalla Corte Costituzionale che ha giudicato incostituzionale la legge elettorale con cui questo Parlamento è stato eletto.
            Il comitato in difesa della Costituzione della Provincia di Frosinone, alla luce di quanto accaduto, ritiene quindi illegittimo ogni ulteriore tentativo di questo Parlamento finalizzato alla modifica dell’impianto costituzionale.
            Solo un Parlamento eletto con una legge costituzionalmente conforme,  per cui la ripartizione dei seggi rispetti fedelmente il risultato elettorale espresso dai

cittadini, potrà avere la prerogativa di proporre modifiche alla Carta, ma sempre rispettando le procedure dettate dall’art.138.
            Il comitato invita ogni sincero democratico e tutti i cittadini a vigilare ed impegnarsi affinché si fermi l'azione politico-legislativa tesa al sovvertimento della nostra Carta Costituzionale ed auspica l'affermarsi nella società e nelle Istituzioni di una rinnovata coscienza democratica e parlamentare che abbia come faro e via maestra la nostra Costituzione nata dalla resistenza e dal sacrificio di tanti partigiani combattenti per la libertà.
Comitato difesa della Costituzione - Provincia di Frosinone.

Frosinone li 06/12/2013


Lettera aperta ai cittadini del giorno 6.12.2013

Associazione culturale
per la tutela del patrimonio artistico e ambientale
                           Anagni Viva

 La notizia che verrà allestita nuovamente la pista di pattinaggio su ghiaccio durante il periodo delle  Festività natalizie e, questa volta, in Piazza  Innocenzo III, lascia francamente stupefatti e indignati.
La struttura di per sé è stata  molto contestata anche negli anni precedenti, quando era montata in Piazza  Cavour, poiché i residenti  avevano protestato per il frastuono, la confusione e  il generale disagio.
Ora si pensa addirittura di  montarla in uno dei luoghi più importanti della città, per la  nobiltà   e la  bellezza dei monumenti che accoglie.
Cosa ne pensa il Vescovo? Siamo stupiti dal silenzio della  Curia, almeno finora. E ci stupisce,  ancor di più, che ciò avvenga in coincidenza delle celebrazioni religiose  del periodo natalizio.
Quale  criterio ragionevole può giustificare una  tale scelta? Vorremmo pensare che essa sia nata molto frettolosamente e non abbia considerato come rappresenti un’offesa  al luogo, alla città tutta, ai  cittadini che  comprendono il valore dei beni artistici, storici e culturali.
Se proprio si ritiene necessario montare una pista di ghiaccio, c’ è ancora la possibilità di cercare un altro luogo, più idoneo, e forse più efficace per la riuscita dell’ iniziativa,e l’ Associazione ritiene che ce ne siano di ben più adatti.
Perché  non farlo ?
Anagni  Viva  invita con calore  e fiducia i responsabili del progetto ad un  ripensamento e rivolge l’ invito anche al dott. Ernesto Raio, da qualche  giorno  chiamato ad assumere il ruolo di Commissario Prefettizio del Comune, affinché si adoperi, nell’ ambito delle funzioni che gli sono state  affidate, per una soluzione che rispetti il decoro della  città di Anagni.


L’UOMO DI FRONTE ALLE CATASTROFI NATURALI VA TUTELATO

Giuseppina Bonaviri
Dibattiamo sulla tutela del cittadino agli eventi naturali

Non dobbiamo arretrare, in questo particolare momento storico, dove virtù e saperi di uno Stato garante della tutela dei cittadini e dei loro diritti appare sempre più esiguo. Non ci si può arrendere all’evidenza di amministratori che, dimentichi della loro missione di servizio ad intere popolazioni,  non garantiscono equità di prestazioni verso il loro elettorato e si disinteressano al loro territorio, svendendolo. Non ci possiamo, però, consentire scoramenti mentre la nostra indignazione freme. Ma altresì, non possiamo biasimarci e piangere sulle ceneri ardenti lasciateci in patrimonio ripensando a quello che fu il Bel Paese ora  decadente. Tocca alla base rilanciare seriamente azioni  e virtù del fare.
La Rete La Fenice, da sempre attenta alle logiche innovative, politiche sociali ed ambientali locali ha messo in atto, con il supporto tecnico di esperti -a partire dal 12 dicembre degli incontri aperti  a cui si alterneranno escursioni esterne sul nostro territorio provinciale - un ciclo di conferenze con interventi diretti alla salvaguardia e protezione del cittadino che, lasciato solo, oggi si ritrova a doversi difendere da eventi naturali come terremoti,  alluvioni, frane spesso causate dalla non curanza o dai ritardi accumulati da enti, amministrazioni,  categorie di settore che tra burocratizzazione, malaffare, incapacità sfuggono ai propri doveri. Si affronteranno le criticità presenti nel capoluogo e di tutte quel le zone a rischio della nostra provincia.
Un uso saggio del territorio può ri­durre i danni provocati dalle catastrofi naturali. Quando si parla di ambiente e di tutela degli equilibri naturali non si fa mai vuota retorica, ma si pone l'attenzione su un pro­blema di estrema importanza . Chi può difendere il territorio meglio di chi ci abita? Chi ne ha più interesse? Appare utile, allora, sensibilizzare i cittadini che in tal modo sapranno anche intervenire autonomamente con  interventi preventivi per la propria salute.  Nulla vieta che la volontarietà della cittadinanza attiva, sotto dovuto tutoraggio, arrivi dove non ce la fanno i servizi con operazioni, ad esempio,  di pulizia dei letti di fiumi o operazioni di rimboschimento contro le frane e altri possibili interventi a difesa del territorio ma anche per potere fronteggiare situazioni imponenti  di pericolo tramite azioni di aiuto reciproco .
Le catastrofi naturali non sono poi tanto lontane da tutti noi per cui ci pare che par­lare dei rischi che conseguono ad un uso improprio del territorio, che non tiene conto del­l'impatto ambientale, non  fa inutile allarmismo anche perché, troppo spesso,  assistiamo a drammaticità causate da disinvolte dimenticanze speculative o immobiliari  -passati gli interrogativi del giorno dopo, passata l'emergenza- che tendono a devasta­re il territorio. Gli effetti dannosi possono dal­l'uomo essere contenuti con una saggia ope­ra di prevenzione e con l’ uso  razionale e rispettoso degli equilibri am­bientali. Per giunta la tecnologia con i suoi sofisticati sistemi  di avvistamento e trasmis­sione dei dati attraverso le reti satellitari, può rendere possibile in tempi reali la salvezza di intere popolazioni. Non ci può essere consumo del territorio e del suolo senza un adeguata pianificazione ambientale che rimane, dalle nostre parti, solo scritta sulla carta.
Il Prof.Mario Catullo Gentilcore, tra gli ideatori, ci ha illustrato i rischi tecnico funzionali di alcune tra le situazioni pericolose che possono intervenire  a Frosinone come quelle dei sotto passaggi  della città capoluogo, a partire dalla stazione ferroviaria. Molte zone della città, come appunto i sottopassaggi , risultano a rischio esondazione ossia alluvione perché, essendo stato il fiume Cosa costretto nella sua canalizzazione da cementificazioni inadeguate negli anni e da pompe elettriche inserite e nascoste dietro i muri degli stessi viadotti non è stato posto il dovuto rispetto alla fascia fluviale. Per giunta la situazione appare aggravata dal fatto che questo eccesso di cemento a ridosso del fiume non consente la giusta e naturale espansione delle acque che, di conseguenza, vanno ad erodere direttamente la base della collina su cui giace il centro storico di Frosinone che, anche per questo, continua  a franare. Un grave rischio, poi, è presente per monumenti storici come i ponti dell’età romana presenti sul fiume, che necessiterebbero invece di tutela e rispetto adeguato, dove in alcune particolari condizioni atmosferiche l’ acqua non scorre sotto i ponti ma passa sopra con le conseguenze immaginabili.  I rischi ambientali si trasformano velocemente in rischi sanitari che vanno così ad aumentare la difficoltà di gestione dei pochi fondi comunitari anche delle zone limitrofe.
Dobbiamo affrontare sobriamente e con determinazione la riqualificazione urbana e delle periferie della nostra terra di concerto con le città metropolitane e i comuni della macroarea per fronteggiare il gravissimo problema del dissesto idrogeologico in un piano infrastrutturale più vasto e comprensoriale dei servizi. Il disordine urbanistico va fermato al di là degli schieramenti  storici di parte.

giovedì 5 dicembre 2013

l'8 dicembre io lotto

USB (Unione Sindacale di Base), CLAP (Camere del Lavoro Autonomo e Precario), Anomalia Sapienza, Tilt, Cinecittà Bene comune



Contro lo sfruttamento nei centri commerciali, contro il lavoro nei giorni festivi
Alcuni pregiudizi ci impediscono, spesso se non sempre, di capire la realtà, quella del lavoro ad esempio. Quante volte abbiamo sentito dire che il contratto nazionale è, di per sé, una garanzia contro la deregolamentazione del mercato del lavoro e la precarietà?[..] Quante la stessa parola precarietà è stata considerata sinonimo di assenza di regole? Ancora: quante volte il lavoro part time è stato proposto come un'occasione di libertà, soprattutto per le donne, alle quali una perversa indicazione divina attribuisce anche il lavoro domestico e di cura?
Il lavoro del commercio, lo sfruttamento garantito dal contratto nazionale che lo riguarda, la liberalizzazione degli orari e delle aperture introdotte dal decreto Salva-Italia del governo Monti, ma soprattutto i racconti di chi nei grandi centri commerciali lavora, nel segno del ricatto e della precarietà, ci impongono di sbarazzarci dei pregiudizi, di afferrare la realtà per quella che è, di combattere per trasformarla.
Di questo si è discusso nell'assemblea pubblica che si è martedì 3 dicembre, presso l'università Sapienza. Un primo momento di confronto, ricco e appassionato, tra lavoratori del commercio, studenti (e studenti-lavoratori), precari di altri settori del terziario. Una prima occasione utile a censire gli elementi trasversali che contraddistinguono, nella crisi, tanto il mondo del lavoro quanto quello della formazione: ricatto, fragilità, violenza dei dispositivi neoliberali del debito, della meritocrazia, della valutazione continua.
Occasione utile, soprattutto, per promuovere la giornata nazionale di mobilitazione dell'8 dicembre, contro l'obbligo al lavoro festivo nelle grandi catene commerciali e, più in generale, contro lo sfruttamento smisurato che nelle stesse viene perpetrato dalle parti datoriali e garantito, fin troppo, dalla legislazione oltre che dal contratto nazionale. Una giornata, inoltre, che ha l'ambizione di connettere la battaglia contro la precarietà con la pretesa del reddito di base, e di denunciare il carattere distruttivo dei centri commerciali, non-luoghi che, non solo concentrano lavoro super-sfruttato, ma che annientano posti di lavoro nel piccolo commercio, divorano suolo favorendo una cementificazione selvaggia e devastando ambiente e paesaggio urbano.

A Roma l'appuntamento è al centro commerciale Roma Est, ore 10 davanti all'ingresso di Panorama (all'interno del centro).

Oltre le logiche del passato e del distretto agro-energetico.

RETE PER LA TUTELA DELLA VALLE DEL SACCO

Tavolo tecnico regionale, facciamo il punto sul processo e le sue prospettive.


Lo scorso 19 novembre si è svolto presso il Consiglio Regionale del Lazio il primo incontro volto all’istituzione di un Tavolo tecnico sulla Valle del Sacco presso l’VIII Commissione regionale, con l’adesione degli Assessorati all’Ambiente e alle Politiche Agricole. Ad oltre quindici giorni da quell’incontro, è opportuno fare il punto del processo che il tavolo, almeno nelle intenzioni di chi lo ha promosso, vorrebbe avviare.
La nostra associazione, che nel 2010 aveva già collaborato al tavolo di confronto e laboratorio preliminare alla stesura del MasterPlan “L’energia di un territorio”, promosso dalla Fondazione Kambo, non ha fatto mancare, in questa nuova fase, il suo contributo.Essenziale non è però il contributo di questa o quella associazione, quanto l’avvio di un processo di partecipazione alla trasformazione e alla riprogettazione del territorio delle diverse realtà ambientaliste, economiche, culturali e sociali. L’incontro ha offerto una serie di contributi utili ed interessanti, ma non ci sembra sia stato in grado di delineare compiutamente una prospettiva sistemica, forse proprio per la natura propedeutica dell’evento.
Non si tratta di un percorso agevole. D’altra parte, è quanto esplicitamente dichiarato tra i compiti del tavolo. Soprattutto, è la condizione necessaria per fare piazza pulita delle pratiche con cui si è affrontata sino ad oggi l’emergenza ambientale e sociale che caratterizza la Valle del Sacco.
Ci rendiamo conto che è difficile uscire da decenni che hanno visto le pubbliche amministrazioni  dismettere progressivamente risorse, funzioni, capacità di governo del territorio, di intervento strategico, e che questo processo disgregativo non ha fatto emergere le vocazioni del territorio. I cittadini, di conseguenza, si sentono sempre più estranei alla vita delle istituzioni stesse. É necessario, quindi, valorizzare il principio costituzionale della sussidiarietà, per cui lo Stato lascia spazio all’auto-organizzazione del territorio. E lo stesso Ente Regione deve rivedere i suoi metodi di governo, che hanno favorito, negli anni scorsi, avventure economiche che lasciano macerie sotto il profilo sociale, occupazionale e ambientale. Basta guardare a quanto è successo nel settore dei rifiuti, dove si è sperperato denaro pubblico per finanziare attività che lasciano debiti e criticità ambientali.
Pensiamo che la popolazione debba essere protagonista e che le istituzioni abbiano il ruolo di facilitare la capacità di cooperazione e di condivisione delle conoscenze e delle capacità: “Animare il territorio”, per farne emergere le vocazioni, le potenzialità, la messa in rete di risorse e di competenze. Per questo è necessario un radicale cambio di metodo.
É necessario motivare chi sino ad oggi non ha avuto voce in capitolo sulle decisioni riguardanti il territorio, offrendo facilità di accesso a luoghi dove prendere parola e contribuire a progettare e decidere. Non si realizza questa condizione accentrando il processo nei luoghi e nei tempi dell’istituzione regionale. É necessario viceversa costruire tavoli che si armonizzino con l’articolazione della Valle del Sacco in macroaree, così come le diverse dimensioni ambientali, economiche e culturali, partendo dal territorio. Nell’ottica di un processo che, pur avendo ora un ruolo critico, divenga permanente.
Lo scorso 19 novembre, sono stati proposti a titolo di progetti di bonifica contributi diversi da parte di università e centri di ricerca. Non sempre raccordandosi agli studi pregressi. Il modo ottimale di valorizzarli - evitando cordate e lavoro di corridoio - è la creazione di un luogo dove le competenze collaborino, i progetti si confrontino in modo trasparente, rendendo pubblici percorsi di ricerca e proposte di sperimentazione. Dalla cooperazione del mondo della ricerca deve nascere altresì una comunicazione efficace, rendendo i cittadini capaci di comprendere e valutare il processo.
La completa disponibilità delle conoscenze e delle informazioni, la totale trasparenza delle procedure, sono indispensabili per costruire la partecipazione della cittadinanza e delle reti associative. Corrisponde peraltro a criteri di giustizia e costituisce il metodo necessario per attivare tutte le risorse e le competenze disponibili sul territorio, per attivare quindi un reale processo di innovazione.
La Valle del Sacco non è un’isola, pur nella sua drammatica originalità, esistono pratiche, esperienze concrete a cui fare riferimento - la citazione di quella della Ruhr vale per tutte -  ed è venuto il momento di acquisire, organizzare e rendere disponibile la forma peculiare di conoscenza che nasce dal confronto di quelle esperienze che riguardano soluzioni tecnologiche di vario genere, modelli organizzativi ed istituzionali, forme di cooperazione e comunicazione. In sostanza, i vari piani di attività che contribuiscono a costruire un processo di trasformazione partecipato, consapevole ed efficace.
Allo scopo è necessario a coordinare, organizzare e valorizzare quanto si è fatto in questi anni e si sta facendo da parte di attori diversi, sono necessarie competenze e professionalità non semplicemente formali, ma anche acquisite sul campo.

Opportuno in questa sede entrare anche nel merito di alcuni contenuti espressi da alcune associazioni di categoria lo scorso 19 novembre e forse ridondanti nella successiva copertura mediatica. 
Ci riferiamo in particolare al progetto di distretto agroenergetico, che prevede la produzione su larga scala di biomasse con funzione di fitorimedio destinate infine alla combustione (nell’ordine dell’impatto, incenerimento - pirolisi - digestione anaerobica). Riteniamo che questo contenitore concettuale e operativo, finora sostanzialmente fallito nonostante cospicui tempi e risorse impiegati, non sia compatibile con la riduzione dell’inquinamento della Valle. Tali coltivazioni rischierebbero di non investire solamente le aree ripariali, presumibilmente ancor oggi inquinate (in assenza di specifici e puntuali monitoraggi dei terreni) o che rischiano di esserlo alla prossima esondazione del fiume Sacco (il beta-HCH è concentrato nel sedimento fluviale), ma di estendersi oltre misura, innescando vere e proprie filiere produttive alternative all’agricoltura tradizionale. La filiera delle biomasse che finiscono in fumo non è compatibile con la riduzione dell’inquinamento della Valle; casomai conviene concepire uneventuale utilizzo di biomasse con funzione di fitorimedio in chiave produttiva, entro lo strumento principe degli ecodistretti industriali, o comunque non collegata a filiere agroenergetiche. Riproporre il distretto agroenergetico come chiave di volta del processo è comunque miope soprattutto perché decontestualizza un tassello di un puzzle molto più ampio, dove convergono, anche sulla scorta dell’esempio della Ruhr, riqualificazione paesaggistica e idrologica della Valle del Sacco, sua fruibilità sociale e turistica, promozione dell’agricoltura tradizionale, dei percorsi artistico-culturali, ecodistretti industriali e innovazione tecnologica nel settore produttivo e nei servizi.
Riteniamo infine importante sottolineare il ruolo essenziale e propedeutico, per interventi di risanamento ambientale e di valorizzazione paesaggistica e sociale delle aree ripariali, di un approfondito studio idrologico del fiume Sacco, mai eseguito in passato.

In conclusione, desideriamo ringraziare per aver avviato il percorso del Tavolo regionale e per la presenza sul territorio i consiglieri Daniela Bianchi e Cristiana Avenali, tutti coloro che si sono attivati e, fin d’ora, chi si attiverà.

mercoledì 4 dicembre 2013

Fiscal Compact. Incostituzionale e illegittimo

Luciano Granieri

La  Consulta, forse anche pungolata dall’ironia amara di Maurizio Crozza,   ha deciso. Non ha rinviato. Dopo lunghe ore in camera di consiglio il pronunciamento sulla legge elettorale,  con cui dal 2005 si eleggono parlamenti e governi, è stato quanto mai chiaro. Il famigerato Porcellum per l’anomalo premio di maggioranza, che stravolge il principio dell’ eguaglianza  del voto  di ogni cittadino,   e per la preclusione  imposta agli elettori  sulla possibilità di indicare un preferenza, così come determinato dalle risultanze di un referendum, è “INCOSTITUZONALE”.   

Personalmente mi sento di aggiungere un altro aspetto che sottintende il pronunciamento della Corte. Cioè prima della legge,  ad essere incostituzionali sono le finalità per cui la stessa norma è stata pensata. Gli scopi non erano quelli di licenziare un dispositivo in grado di tradurre in seggi l’espressione di voto  degli elettori, ma di depotenziare gli effetti del voto stesso , in modo da consentire   la costruzione di  maggioranze e governi senza i condizionamenti elettorali.  

Fortunatamente l’intraprendenza di uno splendido e battagliero avvocato ottantenne, che  ha portato avanti una lotta, osteggiato da tutto e tutti ,  compresi media e stampa che oggi plaudono al ripristino di un diritto, ha indotto la Corte  costituzionale ha ratificare ciò che non si poteva non ratificare. 

Le conseguenze della sentenza non determinano, come erroneamente  sostiene qualcuno, Grillo compreso,  la bocciatura totale della legge, ma solo l’eliminazione del  premio di maggioranza e della  mancata indicazione di una preferenza. Per cui    l’attuale legge elettorale è ancora in vigore.  Si tratta di un proporzionale puro, con l’obbligo di  votare almeno  un candidato. Il ripristino automatico del “Mattarellum” non è previsto.  

Ma le conseguenze più eclatanti derivano dal fatto che un parlamento eletto con una legge INCOSTITUZIONALE è illegittimo, come illegittimo è il governo  che queste camere   eleggono . Facendo due conti, la XV  legislatura del 2006, la XVI del 2008 e la XVII  ancora oggi in vigore sono INCOSTITUZIONALI e dunque illegittime.  

Di danni questi governi ne hanno fatti molti a cominciare dalla consegna della dignità del popolo italiano alla crudeltà del capitalismo finanziario che, attraverso i trattati europei,  sta spolpando la carne viva dei cittadini. Ebbene la responsabilità di questi danni è da ascrivere a governi “INCOSTITUZIONALI” quindi illegittimi. 

La ratifica del trattato di Lisbona è stato votato all’unanimità nell’estate del 2008 dall’esecutivo Berlusconi INCOSTITUZIONALE E  DELEGITTIMATO. Per cui tutto ciò che questa sciagurata scelta ha determinato (Fiscal Compact, pareggio di bilancio in costituzione e di riflesso i vari patti di stabilità imposti agli enti locali)  è ILLEGITTIMO . Si arriva al paradosso  per cui la stessa  Costituzione è stata manomessa da un parlamento INCOSTITUZIONALE. L’articolo 81 che prevede l’obbligo del  pareggio di bilancio è stato approvato nel 2010 da un parlamento eletto con una legge INCOSTITUZIONALE.  

Le politiche di austerity  imposte al nostro paese dalla famosa lettera della Bce sono state recepite dal governo Berlusconi e messe in pratica dal governo Monti . Due presidenti del consiglio delegittimati. La Spending review è illegittima come illegittima è la nomina del commissario che la deve mettere in pratica, perché nominato da un esecutivo INCOSTITUZIONALE.  

Per ripristinare un minimo di correttezza istituzionale il presidente Napolitano dovrebbe dimettersi immediatamente, perché come garante della Costituzione,  non può permettersi di ricoprire una carica che gli è stata assegnata da un Parlamento incostituzionale. L’ultimo atto di questo presidente illegittimo dovrebbe essere sciogliere un Parlamento delegittimato.  

Quindi i parlamentari eletti con una legge incostituzionale nelle XV, XVI e XVII legislatura delegittimati e incapaci di formulare una legge elettorale costituzionalmente corretta,  dovrebbero ritirarsi dalla vita politica, e non candidarsi più.  Il successivo passaggio sarebbero nuove elezioni con nuovi candidati da tenersi con il proporzionale e l’indicazione di una preferenza. 

Una nuova legge elettorale non può essere votata  da un Parlamento delegittimato , dunque bisogna andare al voto con il Porcellum  purificato dal  premio di maggioranza e dalle liste bloccate. Infine è necessario  disimpegnare lo Stato italiano da tutti gli obblighi imposti dall’unione Europea.  Infatti tali impegni,  dal trattato di Lisbona, in poi sono stati ratificati da rappresentanti  delegittimati e dunque privi di qualsiasi autorità conferita dal popolo depredato della sua sovranità.  

Ridiscutere quindi i trattati, ristrutturare il debito, rifiutare le politiche di austerity imposte alla popolazione da esecutivi delegittimati. Tutto ciò dovrebbe essere la naturale conseguenza delle decisioni assunte dalla Corte Costituzionale. Infatti se come sostengono  molti una nazione è   paragonabile ad un’azienda, così come  nelle maggiori   compagnie  private i manager che prendono delle cantonate colossali  vengono licenziati per manifesta incapacità, nelle istituzioni gli amministratori che vengono delegittimati dalla Corte Costituzionale  dovrebbero togliere il disturbo e ritirasi  a vita privata.


PER IL SALARIO SOCIALE, LA SCALA MOBILE E LE 32 ORE

Francesco Locantore  fonte: http://anticapitalista.org/
L’Istat ha diffuso lo scorso 29 novembre i dati aggiornati sulla disoccupazione in Italia. Ad ottobre 2013 i disoccupati sono 3 milioni e 189 mila, 287 mila in più rispetto allo stesso mese del 2012. Il tasso di disoccupazione ha raggiunto il 12,5%, la disoccupazione giovanile è al 41,2%. Circa 1.900.000 persone sfiduciate hanno rinunciato a cercare un lavoro. Per completare il quadro dell’emergenza sociale si aggiungano i dati diffusi a luglio sulla povertà: nel 2012 le persone che vivono con un reddito al di sotto della soglia di povertà relativa sono 9 milioni e mezzo, circa il 16% della popolazione, quasi cinque milioni sono sotto la soglia di povertà assoluta. Sono al di sotto della soglia di povertà relativa quasi un operaio occupato su cinque e il 35,6% dei disoccupati in cerca di lavoro. Anche in questo caso i dati sono in netto peggioramento rispetto all’anno precedente, ed è quasi certo che peggioreranno ulteriormente nel 2013.
In questo contesto si è riacceso negli ultimi tempi il dibattito intorno ad un salario minimo fissato per legge e ad un reddito universale come misure per contrastare la povertà. Il governo Letta ha inserito nella legge di stabilità un “reddito minimo di inserimento” per i più poveri in dodici aree metropolitane. Lo stanziamento per questo provvedimento è ridicolo (circa 40 milioni di euro all’anno), neanche sufficiente a configurare un sussidio di povertà minimamente decente. In realtà è solo uncambiamento di nome per la social card berlusconiana, tant’è che quei fondi sono destinati allo stesso capitolo di spesa.
Le proposte in campo sul reddito di cittadinanza (o reddito garantito, reddito universale ecc.) non si differenziano dalla filosofia del provvedimento del governo, cioè quella di un sussidio di povertà. Già nel 2011 il PD aveva depositato una proposta di legge in questo senso, che prevedeva l’erogazione di un sussidio di circa 600 euro mensili alle persone con redditi sotto la soglia di povertà.
Più recentemente SEL, il PRC e altri soggetti hanno raccolto le firme per una proposta di legge di iniziativa popolare che prevede lo stesso sussidio di 600 euro mensili, oltre ad una serie di altre prestazioni sociali gratuite per le persone con redditi al di sotto di 8.000 €/anno, delegando il governo alla introduzione di un salario minimo intercategoriale, unico punto in cui questa proposta si distingue sostanzialmente dalle altre.
La stessa impostazione è contenuta nella proposta del Movimento 5 Stelle depositata in parlamento a metà novembre. Un sussidio di 600 euro mensili per le persone con reddito al di sotto della soglia di povertà relativa (circa 7.200 euro all’anno). L’erogazione del sussidio è condizionata, come per tutte le altre proposte citate, all’accettazione di proposte del centro per l’impiego, oltre alla partecipazione coatta a progetti di volontariato sociale promossi dai Comuni di residenza. Fa discutere il questa proposta la condizione ulteriore stabilita per i migranti residenti in Italia da almeno due anni, di aver lavorato almeno 1000 ore nel biennio precedente alla richiesta.
Più radicale è l’impostazione di chi propone il reddito incondizionato di base (alcune aree dei centri sociali). Questa proposta prevede l’erogazione di un reddito indipendentemente dalla condizione di povertà, di disoccupazione, di cittadinanza, insomma senza condizioni. Questo reddito si cumulerebbe quindi ai redditi da lavoro (dipendente o autonomo) e alla pensione, consentendo in questo modo una esistenza dignitosa. La proposta fu avanzata nel 1992 dall’economista belga Philippe Van Parijs, che la considerava una liberazione dal bisogno e dal ricatto di dover accettare di lavorare per vivere. Considerata in questi termini, la proposta è evidentemente utopistica, nel senso che non fa i conti con le caratteristiche fondamentali della società in cui viviamo, in cui il lavoro è ancora il fondamento per la produzione delle merci, nonché della loro valorizzazione. Non è pensabile oggi fare una proposta di liberazione del (e dal) lavoro salariato, senza aggredire i rapporti sociali di produzione tra lavoratori e capitalisti.
E’ così che il reddito incondizionato si trasforma da una visione utopica di una società futura in cui non ci sarà bisogno di lavorare, in una più modesta richiesta di un sussidio di povertà e/o di disoccupazione. Per quanto possa sembrare radicale, la proposta di reddito di base non è una proposta incompatibile con le politiche economiche neoliberiste. Dimostrazione ne è il fatto che la proposta di basic income(reddito di base) fu avanzata proprio da Milton Friedman, fondatore della Scuola di Chicago, sotto forma di una tassa negativa sul reddito. Se il sussidio si tiene al di sotto del reddito necessario alla sussistenza media di una persona in una determinata società, questo potrebbe non disincentivare ad accettare di lavorare, anzi se tale reddito fosse cumulabile con quello da lavoro, potrebbe produrre una dinamica al ribasso dei salari.
Potrebbero tuttavia queste proposte avere una qualche efficacia nella lotta contro la povertà assoluta e relativa e contro la disoccupazione? Crediamo proprio di no. Il livello dei salari nel capitalismo oscilla intorno al valore dei mezzi di sussistenza dei lavoratori, come hanno spiegato bene Marx e gli economisti classici, cioè al valore socialmente necessario alla riproduzione della forza-lavoro. Si tratta quindi di un valore non assoluto, ma determinato storicamente di volta in volta dal rapporto di forza tra le classi. Stabilire per legge un salario nominale minimo o garantire a tutte/i un reddito monetario di base, il ché è quasi la stessa cosa, di per sé non farebbe che creare una illusione monetaria, per cui si finirebbe per trovarsi con un pugno di mosche in mano una volta che i prezzi delle merci si adeguassero alla nuova situazione ristabilendo il salario reale e la quota salariale sul valore prodotto ad un livello corrispondente ai reali rapporti di forza tra le classi sociali. Sarebbe dunque necessario un meccanismo di rivalutazione automatica dei salari minimi (diretti e indiretti, comprendendo quindi le pensioni e i sussidi di disoccupazione) al livello dei prezzi delle merci che compongono il paniere di consumo dei lavoratori. Questo tuttavia ancora non sarebbe sufficiente a garantire che la forbice tra la quota dei salari e quella dei profitti non si allarghi ulteriormente, precipitando i lavoratori in una condizione di povertà relativa. Per invertire questa tendenza alla diminuzione del salario in termini relativi sarebbe necessario erodere il plusvalore di cui si appropriano i capitalisti, finanziando i provvedimenti per il salario sociale con una forte tassazione dei redditi da capitale, con l’introduzione di una patrimoniale pesante e con la imposizione progressiva dei redditi, che ad oggi in Italia è solo su carta. Infine attraverso la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, per redistribuire il lavoro eliminando l’esercito di riserva dei disoccupati (la cui massa condiziona al ribasso la dinamica salariale) e per erodere quella parte di giornata lavorativa di cui i capitalisti si appropriano gratuitamente, da cui hanno origine i profitti.
La proposta che avanziamo dunque deve fare i conti con il fatto che il valore è prodotto dal lavoro umano (checché ne pensino con Negri coloro che ritengono la legge del valore superata dalle proprie fantasie teoriche di ipercapitalismo cognitivo) e che esso si ripartisce tra chi lavora e chi si appropria del lavoro altrui. Il salario è un fatto sociale di per sé, essendo l’espressione monetaria della relazione di sfruttamento tra i capitalisti e i lavoratori, ed essendo collegato in una relazione inversa con i profitti dei capitalisti, tanto maggiore la loro quota nel valore aggiunto, tanto minore quella destinata ai salari.
Riprendiamo la proposta avanzata da una legge di iniziativa popolare depositata in Parlamento, lanciata da Sinistra Critica nel 2009, e suffragata da oltre 70.000 firme. Questo disegno di legge è ancora utilizzabile per la discussione in Parlamento da qualsiasi parlamentare o gruppo che voglia farlo (atto Senato n. 2, assegnato il 23 maggio scorso alla XI commissione permanente: lavoro e previdenza sociale). Tuttavia la sua discussione non è mai cominciata. Alla luce dell’inflazione intervenuta gli importi definiti in quella proposta vanno ridefiniti. Chiediamo innanzitutto che sia fissato per legge un salario minimo intercategoriale di 1.500€ al mese, e ad esso siano riparametrati tutti i contratti collettivi di lavoro; che sia istituito un salario sociale di 1.200€ per i disoccupati, per gli studenti e per le pensioni minime. Chiediamo che questi importi siano rivalutati annualmente in base all’indice dei prezzi Istat per le famiglie di operai e impiegati (reintroduzione della scala mobile). Chiediamo infine che il lavoro venga redistribuito diminuendo l’orario di lavoro a parità di salario a 32 ore settimanali non derogabili, perché si possa lavorare meno per lavorare tutte/i. Queste battaglie, insieme a quelle per la difesa e il rilancio dei servizi pubblici a garanzia dei diritti sociali fondamentali, l’istruzione, la sanità, i trasporti, la casa, e per le nazionalizzazioni delle banche e delle grandi imprese, a partire dalla Fiat e dall’Ilva possono e devono essere condotte unitariamente da tutti i settori della classe lavoratrice, occupati e disoccupati, stabili e precari, nativi e migranti.
Se questa proposta può sembrare utopistica, rispondiamo che la vera utopia è aspettarsi di convincere la borghesia a liberare i lavoratori dal ricatto del lavoro, su cui si fonda il loro stesso ordine sociale ed economico. L’unità della classe nel perseguire i propri obiettivi in maniera indipendente è la sola via d’uscita alle condizioni di sfruttamento e di povertà generale in cui essa stessa versa.

martedì 3 dicembre 2013

Rogo di Prato, strage di globalizzazione

Luciano Granieri


La globalizzazione  dell’economia in assenza della globalizzazione dei diritti umani,  questo   è li flagello criminale che sta minando la convivenza civile in tutto il mondo.  Fino a quando i capitali potranno spostarsi  e far danno nel tempo di un click, fino a quando il lavoro sarà considerato una variabile di spesa come tante altre,  da comprimere, ridurre all’essenziale,   e non un corpo sociale formato da donne e uomini con il loro sacrosanto diritto di vivere, tragedie come quelle di Prato, ma anche come quelle della Thyssen e di tante altre stragi sul lavoro , non smetteranno mai di mietere vittime.  

Non è una questione di etnia. Non è colpa dei cinesi o dei marocchini o dei cingalesi.  Colpevoli  sono le istituzioni internazionali foraggiate dalle lobby finanziarie le quali permettono che in qualche angolo del mondo ci sia sempre una Cina o una Serbia, o un altro Stato  che schiavizzi i lavoratori. Le conseguenze del dumping occupazionale,  creato ad arte in tutto il mondo per alimentare cospicui profitti per pochi e smisurata povertà per molti, sono le   vite interrotte, spezzate dai fumi  letali delle acciaierie di Taranto, dai roghi di Prato e di Terni. 

Controllare la regolarità della attività produttive, così come accade sull’onda dell’indignazione sopravvenuta dopo un lutto su lavoro è necessario ma inutile. Bisognerebbe attivarsi invece per evitare che ci siano lavoratori disposti a emigrare in un posto dove  vivere perennemente nella fabbrica, senza mai uscire, lavorare 24 ore su 24 e riposarsi poche ore in un preloculo  funerario in cartongesso pronto a prendere fuoco, sia una scelta obbligata  perché  nel loro paese vivano ancora peggio.  

La logica del profitto non guarda in faccia a nessuno. Se si può produrre al minor costo possibile è un delitto non farlo. Pazienza se le conseguenze sono morte e sofferenza. Non è prendendosela con i Cinesi di turno che si  risolve il problema, anzi la rabbia contro il disperato un po’ meno disperato di te è salutare per i veri colpevoli che continuano indisturbati a fare affari sulla pelle della gente,  beandosi della guerra fra poveri che disintegra ogni tentativo di reazione. 

Forse sarebbe ora di scuotersi dal torpore, ribellarsi all’idea che la libera circolazione dei capitali non sia  l’unica via. La vita è un insieme di rapporti sociali liberi, non vincolati da propositi speculativi e competitivi. Solo ribellandosi a questa logica criminale rimettendo al centro dei valori ciò che si è e non ciò che si possiede, sarà possibile evitare altre tragedie. Ma purtroppo questo modo di pensare è eversivo, è da pericolosi terroristi, per cui avanti con il neoliberismo assassino.  Morte e disperazione sono piccoli effetti collaterali.  Cosa può valere la vita di uno schiavo di fronte all’elevato rendimento di un fondo d’investimento?

lunedì 2 dicembre 2013

La Campagna Cellulari per Beneficenza

Emergency Colleferro e Rete per la Tutela della Valle del Sacco

La Rete per la Tutela della Valle del Sacco promuove, a sostegno di Emergency, la campagna “Cellulari per beneficenza”, un progetto avviato nel 2009 da Comprocellulari.it che mira a recuperare fondi da devolvere in beneficenza attraverso il riciclo di cellulari usati.

Il senso dell’iniziativa? Prevenire i possibili danni ambientali derivanti da un cattivo smaltimento dei nostri telefoni e sostenere, contemporaneamente, le numerose associazioni di volontariato che aderiscono al programma.

Una singola batteria di cellulare è in grado da sola di contaminare migliaia, se non milioni, di litri di acqua. Se pensiamo che in Italia ci sono oltre 50 milioni di cellulari vecchi e che spesso esiste la cattiva abitudine di buttare gli apparecchi non più utilizzati direttamente nella pattumiera dell’indifferenziato, non è difficile immaginare le disastrose conseguenze che si potrebbero ripercuotere sulla salute collettiva. Ogni cellulare, infatti, contiene metalli dannosi come piombo, cadmio e litio, plastiche e circuiti con sostanze tossiche e inquinanti.

Consegnarci il vostro vecchio telefonino è un semplice gesto con un doppio vantaggio.  La campagna “Cellulari per beneficenza” è, infatti, il primo progetto italiano che recupera fondi da destinare in beneficenza attraverso il riciclo dei cellulari usati, mettendo in moto un circolo virtuoso che, dal 2009, è riuscito a donare più di 150.000 euro alle oltre cinquanta associazioni Onlus che partecipano al programma. Il sistema di donazione è semplice, con tre diverse modalità: via internet, via posta o attraverso i raccoglitori che le associazioni predispongono in tutta Italia. Il ricavato della vendita, riportato sul sito www.comprocellulari.it, andrà a favore dell’associazione prescelta.

Nel nostro territorio, Retuvasa ha deciso di farsi promotrice di questo programma a sostegno di Emergency pubblicizzando l’iniziativa e mettendo a disposizione i propri volontari per la raccolta.

Una buona occasione per venirci a trovare il 4 dicembre, Festa patronale di Santa Barbara, dalle ore 10,00 alle ore 19,00, in Via Berni presso la rotonda del campo sportivo.

Successivamente i contatti per il ritiro del vostro cellulare da riciclare o per il posizionamento di un raccoglitore sono:


Per avere maggiori informazioni sul programma potete consultare il sito www.cellulariperbeneficenza.it.


Colleferro, 2 dicembre 2013

Iniziano le lezioni nel villaggio di Muyeye

Luciano Granieri

Puntualmente ad ogni G8,G20  le potenze economiche occidentali   si impegnano a destinare fondi per ridurre la povertà nei paesi del terzo mondo. Puntualmente   tali impegni vengono disattesi. Eppure l’occidente cosiddetto civilizzato  dovrebbe restituire ogni tanto, un minimo di quanto depreda e saccheggia  in Africa e nel Medio Oriente. La colonizzazione politica, trasformatasi in colonizzazione economica ultraliberista , ha ridotto alla povertà un continente pure ricco di risorse naturali e materie prime. Le guerre civili alimentate dagli interessi delle multinazionali, i dittatorucoli ,  sostenuti  dai governi  del cosiddetto primo mondo  nei loro crimini, perché guardiani degli interessi occidentali,  sono fattori devastanti per le popolazioni africane. Contribuiscono ad alimentare carestie, violenze, su uomini e bambini, stupri, determinando il fenomeno dell’immigrazione che ha trasformato  deserti e mari in enormi cimiteri.  Ciò che  i governi del G8 promettono e puntualmente disattendono, spesso, per quanto possibile viene assicurato da associazione umanitarie. Organizzazioni composte da gruppi di cittadine e cittadini volonterosi che s’impegnano a rendere la vita delle popolazioni africane un po’ meno dura. E’ il caso dell’associazione Itake. L’organizzazione nata a Frosinone, ma estesasi in tutta le provincia,  si è prefissata l’obbiettivo di promuovere  la frequenza scolastica di bambini  e giovani in Kenia. A partire dal 2005 Itake ha organizzato  una raccolta fondi per  finanziare la costruzione di istituti scolastici a Malindi e nel villaggio di Muyeye. Oggi il politecnico e la scuola primaria Karima di Muyeye sono delle splendide realtà. Nella clip che segue si apprezza l’impegno che tutti hanno profuso per dotare la scuola primaria Karima di nuove aule e di una recinzione.  Ringraziamo Isa Giudice per averci messo a disposizione la clip che pubblichiamo volentieri.




Di seguito altre due clip a testimoniare l'impegno profuso per raggiungere l'obbiettivo .  la La prima è dell'ottobre 2011, la seconda del marzo 2013.

domenica 1 dicembre 2013

COMUNE DI FROSINONE APPROVATO IL BILANCIO PREVENTIVO 2013!!!

Oltre l'Occidente


Tra i tanti paradossi della politica italiana, che oramai si vivono come normali concessioni per una necessaria democrazia “controllata” del paese e dei cittadini, uno lo si è vissuto nella serata del 28 novembre u.s. al Consiglio comunale di Frosinone dove andava in scena l’approvazione del bilancio PREVENTIVO 2013!
La necessità di arrivare a fine anno per votare un bilancio di previsione la dice lunga della capacità della politica di costruire autonomamente una propria visione del mondo che abbia un senso e una via. Ci si adegua durante tutto l’anno a improbabili e confuse azioni del governo centrale per il prelievo fiscale, tagli dei servizi, privatizzazioni, ritardi di pagamenti ecc. tanto che gli enti locali non riescono a redarre, se non appunto alla fine dell’anno, una previsione di entrata e di uscita certa.
Nonostante si sia arrivati all’approvazione del bilancio ancora però si è in dubbio di come si copra una parte dell’IMU che non dovrebbe arrivare nelle casse comunali - a Frosinone circa 2 milioni di euro -. Nonostante le lacrime di coccodrillo dell’amministrazione locale che vorrebbe che non si tenesse conto dell’appartenenza politica alla maggioranza di governo nazionale, non sembra esserci dubbi su chi pagherà quest’altra “anomalia” contabile…
Frosinone si è dotata di un piano economico di previsione legato a doppia mandata per 10 anni al famigerato "piano di riequilibrio economico finanziario" portato avanti da questa amministrazione per evitare di incorrere nel dissesto finanziario, istituto previsto dalla legge prima dell’introduzione del “predissesto” che in ogni caso prevedeva un commissariamento delle finanze locali per appunto tenerle lontane dalla politica che negli anni aveva prodotto debiti.
SI è scelto di ricorrere al predissesto imponendo ai cittadini di stringere la cinghia per poter con i risparmi riuscire a pagare tasse e balzelli al massimo delle aliquote.

Alcuno ha discusso nel merito queste scelte. La maggioranza le ha fatte proprie come ultima ratio senza distinguere tra aver conseguito un risultato amministrativo e il peso che questo risultato provoca nella popolazione. Dire maggioranza è ovviamente un eufemismo nel consiglio comunale di Frosinone. Le scelte sono parte delle decisioni di pochi, la maggioranza approva qualunque cosa silenziosamente, senza interventi né nel merito né nella forma.
Così nell’opposizione. Il PD disertava non solo il voto ma anche un minimo di discussione, di critica, di puntualizzazione, di informazione sul bilancio. Il pubblico e la cittadinanza meriterebbero che le forze politiche attraverso la critica diano spunto per una maggior conoscenza delle cose che si stanno decidendo sulla loro pelle. Ma evidentemente non è chiaro il meccanismo che regola i ruoli di una pur formale vita democratica di un consiglio comunale tra maggioranza e opposizione.
Il risultato è che la città è guidata da una “auto-illuminata” piccola schiera di decisori che non si servono delle formazioni politiche pur presenti in consiglio; non si vedono contrastati da una minoranza assente fisicamente, ma anche nella espressione delle idee; non lasciano comprendere ai cittadini ciò che accade e su quali basi vengono prese decisioni così fondamentali per la vita di un decennio della città. Aver affermato che ci fossero dei debiti senza voler affrontare il perché e quando essi fossero stati contratti e chi fossero i responsabili e chi infine li dovesse ripagare, mina il concetto stesso di democrazia, partecipazione e coinvolgimento della cittadinanza tutta, sia come singoli cittadini che come operatori collettivi.
Il timido e pur apprezzato tentativo di un consiglio comunale aperto all’auditorium Colapietro non ha avuto seguito anche e soprattutto per il ruolo sfuggente dell’opposizione che non ha mai incalzato i politici a proposte più responsabili e coinvolgenti.
La maggioranza ha svolto un compito di cui si autoproclama orgogliosa; sfugge, consapevolmente o inconsapevolmente, comunque alla rappresentazione di una realtà che si conforma a seguito di questa decisione; l’opposizione nel frattempo sta “sotto coperta” nella speranza che i 15 anni di disastroso governo cittadino siano presto dimenticati e poter presentarsi alle prossime amministrative illibati. Il macigno rimane sulle spalle delle famiglie frusinati, sui lavoratori alla fame e licenziati, sulle imprese che non potranno vedersi riconosciuto il credito per intero, sui servizi tagliati e quindi approssimativi, su uno sviluppo oramai privato di senso e sostanza.
In ogni caso qualche idea dovrà pur essere messa in cantiere davanti ad una crisi profonda e sempre più avvolgente per ostacolare politiche di impoverimento e di svilimento della città. Ma quali idee? E, soprattutto, di chi?

Scontri a Betlemme: 5 palestinesi feriti

Nena News


I soldati israeliani avrebbero risposto a una sassaiola. Nei Territori la tensione è alle stelle: dall'inizio dell'anno l'esercito di Tel Aviv ha ucciso almeno 24 palestinesi

Sono stati feriti cinque palestinesi negli scontri scoppiati ieri sera con i soldati israeliani vicino all'ingresso del campo profughi di Aida, a nord di Betlemme. Una delle vittime è stata colpita da un proiettile.
Secondo i militari israeliani, i tafferugli sarebbero scoppiati quando una novantina di palestinesi ha iniziato una sassaiola contro i soldati che hanno risposto "secondo il protocollo anti-sommossa". Gli scontri tra esercito israeliano e palestinesi sono sempre più frequenti nei Territori occupati della Cisgiodania, ma anche nella Striscia di Gaza si registrano incidenti simili. Stamattina un militare israeliano di stanza vicino al villaggio di al-Qarara, ha aperto il fuoco contro un agricoltore che si trovava nell'area orientale del campo di Khan Younis. L'uomo è fuggito e dalle Forze armate israeliane non sono arrivate conferme o smentite dell'accaduto.
Due giorni fa, invece, l'esercito israeliano ha ucciso tre palestinesi nel villaggio di Yatta, vicino alla città di Hebron in Cisgiordania, sospettati dallo Shin Bet, l'intelligence israeliana, di essere esponenti di una cellula terroristica salafita. Ieri il Centro palestinese per i diritti umani (Pchr) ha condanno il comportamento degli israeliani a Yatta, definendo la morte dei presunti terroristi palestinesi una "esecuzione extragiudiziaria". "Questi crimini provano che le forze israeliane non hanno alcun rispetto per la vita della popolazione civile. Chiediamo alla comunità internazionale di agire per porre fine a questi crimini".
Un appello che resterà probabilmente inascoltato dalla cosiddetta comunità internazionale. Dall'inizio dell'anno l'esercito israeliano ha ucciso almeno 24 palestinesi, in maggioranza in Cisgiordania, secondo l'Ocha, l'Ufficio per gli affari umanitari dell'Onu. La tensione è alta nei Territori occupati, mentre è ormai fermo da mesi il negoziato tra israeliani e palestinesi sponsorizzato dal segretario di Stato Usa, John Kerry, ripreso, almeno formalmente, a luglio dopo tre anni. I continui blitz israeliani, con il loro carico di vittime, e la progettazione e costruzione di nuovi insediamenti illegali hanno di fatto chiuso la porta a ogni possibilità di dialogo.
Intanto, ieri è arrivata la notizia della morte di Mahmoud Wajeeh Awwad, il 28enne palestinese ferito dai soldati israeliani otto mesi fa durante gli scontri vicino al campo di Qalandya, a Ramallah. Il ragazzo era stato colpito da un proiettile di gomma ed era in coma.