venerdì 20 giugno 2014

Brasile: una storia di occupazioni e di evacuazioni

Vik Birkbeck  video a cura di Luciano Granieri





Sono trascorsi cinque anni da quando il Brasile ha festeggiato la sua nomina da parte della FIFA a ospitare la Coppa del Mondo attualmente in corso. L’annuncio fu fatto in grande stile sulla spiaggia di Copacabana, zeppa di migliaia di persone a saltare, ballare e in molti casi a festeggiare tutta la notte in quello che molti considerano il puro stile brasiliano. La FIFA aveva chiaramente ritenuto che quella fosse la scelta sicura nella sua marcia graduale attorno al mondo per portare nella propria orbita nazioni e continenti recalcitranti. Il Brasile, dopotutto, è il prototipo di nazione matta per il calcio, in cui l’intero paese si blocca per vedere in azione la propria squadra. Dunque chi mai avrebbe potuto immaginare che quattro anni dopo milioni di persone avrebbero marciato nelle strade non solo di Rio e Sao Paulo, ma anche di Brasilia, Belo Horizonte, Recife, Salvador, Gioiania, urlando Nao Vai ter Copa! (Non ci sarà una Coppa del Mondo!)?
L’impulso originale per le massicce dimostrazioni del 2013 è stato un aumento nazionale delle tariffe degli autobus, ma con l’imminente Coppa delle Confederazioni, la prova generale della FIFA per la Coppa del Mondo, l’attenzione del pubblico si è rapidamente concentrata sulle vaste somme investite in stadi e in infrastrutture per il torneo.  Lo ‘standard FIFA’ dei nuovi stadi era confrontato con i ricorrenti problemi dei trasporti pubblici, della sanità e dell’istruzione.  L’esagerazione di essere stato scelto anche per ospitare i giochi olimpici del 2016 ha generato un piano di ristrutturazione e sviluppo di un’ambizione sfrenata a Rio de Janeiro.

Il 5 dicembre 2009 il piano strategico dell’amministrazione cittadina annunciato dal sindaco Eduardo Paes ha presentato come uno dei propri obiettivi centrali la riduzione del 3,5% dell’area complessiva occupata da favelas [baraccopoli], ufficialmente perché localizzata “in aree a rischio di frane e inondazioni, aree tutelate come riserve o aree di pubblica utilità”. Ma, come diceva uno striscione portato da una vittima da un dimostrante vittima di questa politica di sfratti: “Quando i ricchi vivono nella zona meridionale quella è definita un’area nobile, quando vi vivono i poveri la chiamano area a rischio”.  
Persino l’amato stadio Maracanà, un’icona internazionale dell’identità di Rio, ha dovuto essere ricostruito interamente in linea con le direttive della FIFA. Nel processo il geral – il settore dei posti in piedi a basso prezzo occupato dai più ardenti tifosi di calcio di Rio – è stato abolito, escludendo efficacemente la parte più povera della popolazione dall’assistere alle partite. Assistere al calcio dal vivo è oggi privilegio dei “bianchi”, gli spettatori della classe media e superiore in grado di pagare di più per il diritto di assistere seduti alle partite. Nel processo di ricostruzione del Maracanà gli sviluppatori si sono imbattuti in un piano perfetto per guadagnare più soldi abbattendo la zona circostante e facendo spazio a un enorme parcheggio e centro commerciale.
I dintorni dello stadio distrutti hanno incluso la Scuola Friedenreich, una delle migliori scuole comunali di Rio (in un paese che è al settantottesimo posto per qualità dell’istruzione); Lanagro, il solo laboratorio di Rio per l’analisi degli alimenti (mentre il Brasile ha il consumo di pesticidi più elevato del mondo e tutto il frumento e la soia è geneticamente modificato); il complesso di atletica di livello olimpico Celio de Barros e il complesso per sport acquatici Julio de Lamare (entrambi ricostruiti con grandi spese per i Giochi Pan-Americani del 2007 e utilizzati per l’allenamento degli atleti olimpici di Rio); Metro Mangueira, una comunità povera costruita 34 anni fa dai lavoratori edili della metropolitana di Rio, da cui il nome; e infine Aldeia Maracanà, una comunità indigena multietnica creata nel 2006 intorno all’edificio abbandonato del diciannovesimo secolo a lungo associato alla cultura indigena e che ha ospitato per più di vent’anni il museo indio.
Metro Mangueira è emblematico dei molti espropri attuati o programmati alla vigilia della Coppa del Mondo e delle Olimpiadi. Era una comunità ordinata, unita e, sebbene povere, le case erano costruite solidamente dagli operai dell’edilizia. Nell’ottobre del 2010 dipendenti del Consiglio Comunale hanno cominciato ad attaccare gli abitanti, contrassegnando le loro case con croci e numeri, evocativi delle pratiche naziste nei ghetti ebrei. Le 107 famiglie che hanno accettato sono state trasferite a Cosmos, a circa 45 miglia di distanza, causando enormi difficoltà a quelli che avevano lavoro o frequentavano scuole nei pressi. Hanno fatto poi il loro ingresso i trattori del Consiglio Comunale che hanno demolito le case appena abbandonate, lasciando grandi spazi vuoti e mucchi di mattoni a pezzi, aprendo la comunità ai trafficanti di droga, agli sfruttatori della prostituzione e a un flagello di ratti e zanzare.
In conseguenza la spiegazione ufficiale utilizzata per giustificare gli sfratti è divenuta una profezia auto-avverata. Con le famiglie e i singoli che occupavano le rovine e le macerie delle case demolite, l’area è stata presto trasformata in una zona a rischio.  Alla fine, all’inizio del 2014, con in vista la Coppa del Mondo, le macchine da demolizione sono tornate nella comunità. Invece di offrire una scelta reale a quelli che stavano per essere espropriati, il consiglio comunale ha proposto di registrarli nel programma federale Minha Casa, Minha Vida(Casa mia, vita mia), che sovvenziona famiglie a basso reddito per l’acquisto della casa. Sebbene federale, questo programma è amministrato dai consigli comunali di ciascuno stato. Non ci sono state nuove costruzioni di case popolari nell’area centrale di Rio, dunque la registrazione è soltanto un pezzo di carta. L’opposizione popolare alla demolizione di Metro Mangueira è durata diversi giorni e ha portato a un attacco di un vasto contingente della polizia militare con spray al peperoncino, candelotti lacrimogeni e pallottole di gomma contro giovani e vecchi.
Prima dell’avvento di Google Maps, le mappe di Rio de Janeiro riportavano le aree più vecchie e tradizionali della città e le espansioni più nuove verso Barra e Recreio, mentre il resto dell’area era apparentemente uno spazio disabitato.  Google Maps ha sferrato un duro colpo a questa immagine bucolica della Cidade Maravilhosa, rivelando che tutto lo spazio disponibile nell’area urbana – colline, valli, terreni irregolari – era occupato da favelas. La reazione di gran parte delle élite è stata una sensazione di tradimento, ma è impossibile spazzare sotto il tappeto quelle immagini satellitari. Improvvisamente tutti sono stati costretti ad ammettere l’esistenza delle favelas.
Dopo le misure draconiane d’austerità e le riforme strutturali imposte dal FMI durante la crisi debitoria degli anni ’80, le favelas si erano diffuse rapidamente con il numero sempre maggiore di persone che erano spinte nelle città dall’espansione dell’agricoltura industriale. Nelle loro nuove sistemazioni urbane gli abitanti indugiavano in una specie di limbo, in quanto forza lavoro ausiliaria a salari insufficienti ad alimentare adeguatamente le proprie famiglie, per non parlare di pagare l’affitto. Segni dell’acuta crisi abitativa a Rio sono riflessi dal numero di persone – anche intere famiglie – che dormono per strada nel centro cittadino, mentre spuntano in continuazione nuove favelas in ogni spazio disponibile.
Così, quando agli inizi dell’aprile del 2014 alcuni dei leader del Movimento dei Lavoratori Senzatetto hanno identificato un grande edificio e il terreno circostante e dipendenze che appartenevano all’ex compagnia telefonica Telerj e che erano stati abbandonati da quasi vent’anni, si sono rapidamente decisi a occupare l’area. Migliaia di famiglie hanno investito le loro minime risorse nell’acquisto di assi per costruire baracche nell’area che, nel giro di una settimana, è stata occupata da diecimila persone. Anche se gli occupanti dell’edificio Telerj comprendevano donne incinta, anziani e migliaia di bambini, da neonati ad adolescenti, non è stato fatto alcun tentativo di identificare gli occupanti o di indagarne le necessità.
TV Globo, la maggiore rete televisiva brasiliana, è stata rapida nel denunciare gli “invasori” come delinquenti, sorvolando l’area per riprese dall’alto dell’”invasione”.  La compagnia telefonica che ha rilevato la Telerj – Oi – non aveva mai occupato l’edificio che stava per essere venduto all’amministrazione cittadina e che era destinato al programma “Casa mia, vita mia”. Tuttavia, con l’impasse dell’occupazione, i “proprietari” sono immediatamente riapparsi ed è stata avviata una causa a tappe accelerate per la reintegrazione nella proprietà. Mercoledì 9 aprile il sindaco Eduardo Paes ha annunciato che l’occupazione era stata realizzata da professionisti organizzati, sottintendendo un’intenzione criminale, e ha dichiarato che l’area doveva essere “dis-occupata” e restituita ai suoi proprietari. Il sindaco si è spinto sino ad affermare che “i poveri veri che hanno bisogno di una casa non riempiono i loro lotti di assi e materiali da costruzione.”
Dunque quale è stata la soluzione per tutta questa “attività criminale”? All’alba dell’11 aprile, 11,600 poliziotti militari armati hanno invaso l’area. Donne che dormivano sono state svegliate a calci, baracche sono state abbattute, tutti sono stati innaffiati di spray chimici, non provenienti dalle solite bombolette da grossi cilindri delle dimensioni di estintori che i poliziotti trasportavano in zaini. Tutti i rappresentanti della stampa, convenzionale o indipendente, sono stati espulsi dall’area e persino uno dei giornalisti della Globo è stato arrestato in base all’accusa pretestuosa che stava “tirando sassi”. Gli occupanti affermano che quattro neonati sono deceduti a causa degli spray chimici e sono circolate voci che dei motivi dell’allontanamento dei giornalisti è stato evitare che fossero testimoni delle vittime.
Lo stesso numero delle persone coinvolte, il fatto che nessuno ha avuto il tempo di creare un vero registro degli occupanti dell’edificio e il pandemonio seguito rendono impossibile confermare i fatti. Ciò nonostante le fotografie e i video di giornalisti indipendenti sulla scena testimoniano il terrore della “dis-occupazione”. Testimonianze di molti dei coinvolti rivelano che si tratta di persone che erano già state cacciate da altre aree in demolizioni e allontanamenti recenti, mentre altre sono vittime dell’aumento dei prezzi generato dalla militarizzazione delle favelas.
L’occupazione e la successiva evacuazione dell’edificio Telerj, proprio come la distruzione della comunità Metro Mangueira, è esemplare del totale disprezzo del diritto all’alloggio dei più poveri del Brasile. Da un lato interi quartieri sono demoliti per fare spazio a parcheggi e centri commerciali, dall’altro molte favelas sono state occupate da forze di polizia militarizzate (UPP). Questo significa che comunità prive di qualsiasi forma di servizio pubblico sono fondamentalmente poste sotto un coprifuoco costante, che va sotto il dubbio nome di “pubblica sicurezza” e che ogni forma di protesta è trattata come una rivolta delinquenziale.
Lo spirito contagioso delle proteste di massa che hanno scosso il Brasile l’anno scorso ha trovato suolo fertile anche nelle favelas, dove la morte di ogni giovane ucciso dalla polizia è un’altra chiamata alla lotta per la resistenza popolare.  Come dimostra l’attuale onda di proteste contro la Coppa del Mondo, il genio è fuori dalla lampada e ci vorrà molto più che evacuazioni violente e repressione poliziesca per mettere a tacere la moltitudine risvegliata e indignata.

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