Il 28 settembre è la Giornata Globale di Azione per la depenalizzazione dell’aborto, durante la quale da anni in alcuni Paesi si manifesta a favore dell’aborto legale o depenalizzato, sicuro e gratuito, garantito per le donne di tutto il mondo. Il diritto delle donne ad accedere ad un aborto libero, sicuro e gratuito cambia infatti da Paese a Paese: in alcuni l’interruzione volontaria di gravidanza (Ivg) è completamente illegale, in altri è permessa solo in casi eccezionali, in altri ancora è legale ma le donne devono pagare per accedervi oppure è legale e gratuita, ma i medici si appellano all’obiezione di coscienza, rendendo di fatto impossibile l’applicazione della legge.
Perché una giornata a favore dell’aborto?
La data del 28 settembre è stata scelta in commemorazione dell’abolizione della schiavitù in Brasile e stabilita nel 1990 in seguito ad una proposta delle femministe latino-americane durante una riunione, svoltasi a Buenos Aires, al fine di promuovere l’aborto come un diritto umano, per frenare la mortalità materna e i rischi per la salute delle donne conseguenti agli aborti clandestini. Dati ufficiali recenti rilevano che mentre il numero di casi di mortalità materna è diminuito notevolmente a livello globale, così non è stato per i decessi a causa di aborti a rischio. Infatti, meno della metà degli aborti effettuati avviene in condizioni di sicurezza e per ogni donna che muore, circa 20 sono colpite da gravi invalidità o patologie. Più del 40% (8,7 milioni) degli aborti non sicuri nei Paesi in via di sviluppo, riguarda donne di età compresa tra 15 e i 24 anni: sono quindi soprattutto le giovani donne e le adolescenti a subire le complicazioni dovute ad aborti clandestini e rappresentano la percentuale più alta di bisogno insoddisfatto di contraccezione.
Tuttavia, anche nei Paesi occidentali, a cosiddetto “capitalismo avanzato”, abortire non è così facile: esemplare è il caso recente di una giovane irlandese costretta a partorire nonostante le reticenze. In Italia l’interruzione volontaria di gravidanza è tutelata dalla L. 194/78, considerata ancora oggi dai legislatori borghesi una delle leggi sul tema più avanzate a livello europeo con la quale l’Ivg viene riconosciuta come una pratica legale, libera, gratuita ed assistita. Tuttavia, la reale applicazione della 194 è oggi ostacolata da una serie di attacchi trasversali tra i quali in particolare vanno menzionati i de-finanziamenti ai consultori causati dai continui tagli alla spesa pubblica con conseguente riduzione dei servizi erogati o addirittura con la chiusura di molti presidii, e la possibilità per il personale medico, infermieristico e ausiliario di avvalersi dell’obiezione di coscienza, ossia di astenersi dalla pratica abortiva in virtù di convinzioni ideologiche o religiose. Su quest’ultimo punto in particolare dati ufficiali rilasciati dal ministero della salute parlano chiaro: in Italia la scelta dell’obiezione è in continuo aumento e più del 70% dei ginecologi non pratica interruzioni di gravidanza, con punte anche dell’85% in alcune regioni del centro sud. Questa situazione impedisce l’applicabilità della legge, anche secondo quanto denunciato dal Consiglio europeo, e contribuisce ad alimentare il mercato degli interventi illegali: molte donne scelgono di andare all’estero o di affidarsi a ginecologi che previo pagamento effettuano Ivg privatamente. Si parla di circa 15.000 aborti clandestini, cifra evidentemente sottostimata che non tiene conto ad esempio delle donne immigrate che spesso non si avvicinano alla sanità pubblica, soprattutto se clandestine, e che assumono farmaci impropri dalle conseguenze a volte mortali o si affidano alle cure di neo-mammane.
La data del 28 settembre è stata scelta in commemorazione dell’abolizione della schiavitù in Brasile e stabilita nel 1990 in seguito ad una proposta delle femministe latino-americane durante una riunione, svoltasi a Buenos Aires, al fine di promuovere l’aborto come un diritto umano, per frenare la mortalità materna e i rischi per la salute delle donne conseguenti agli aborti clandestini. Dati ufficiali recenti rilevano che mentre il numero di casi di mortalità materna è diminuito notevolmente a livello globale, così non è stato per i decessi a causa di aborti a rischio. Infatti, meno della metà degli aborti effettuati avviene in condizioni di sicurezza e per ogni donna che muore, circa 20 sono colpite da gravi invalidità o patologie. Più del 40% (8,7 milioni) degli aborti non sicuri nei Paesi in via di sviluppo, riguarda donne di età compresa tra 15 e i 24 anni: sono quindi soprattutto le giovani donne e le adolescenti a subire le complicazioni dovute ad aborti clandestini e rappresentano la percentuale più alta di bisogno insoddisfatto di contraccezione.
Tuttavia, anche nei Paesi occidentali, a cosiddetto “capitalismo avanzato”, abortire non è così facile: esemplare è il caso recente di una giovane irlandese costretta a partorire nonostante le reticenze. In Italia l’interruzione volontaria di gravidanza è tutelata dalla L. 194/78, considerata ancora oggi dai legislatori borghesi una delle leggi sul tema più avanzate a livello europeo con la quale l’Ivg viene riconosciuta come una pratica legale, libera, gratuita ed assistita. Tuttavia, la reale applicazione della 194 è oggi ostacolata da una serie di attacchi trasversali tra i quali in particolare vanno menzionati i de-finanziamenti ai consultori causati dai continui tagli alla spesa pubblica con conseguente riduzione dei servizi erogati o addirittura con la chiusura di molti presidii, e la possibilità per il personale medico, infermieristico e ausiliario di avvalersi dell’obiezione di coscienza, ossia di astenersi dalla pratica abortiva in virtù di convinzioni ideologiche o religiose. Su quest’ultimo punto in particolare dati ufficiali rilasciati dal ministero della salute parlano chiaro: in Italia la scelta dell’obiezione è in continuo aumento e più del 70% dei ginecologi non pratica interruzioni di gravidanza, con punte anche dell’85% in alcune regioni del centro sud. Questa situazione impedisce l’applicabilità della legge, anche secondo quanto denunciato dal Consiglio europeo, e contribuisce ad alimentare il mercato degli interventi illegali: molte donne scelgono di andare all’estero o di affidarsi a ginecologi che previo pagamento effettuano Ivg privatamente. Si parla di circa 15.000 aborti clandestini, cifra evidentemente sottostimata che non tiene conto ad esempio delle donne immigrate che spesso non si avvicinano alla sanità pubblica, soprattutto se clandestine, e che assumono farmaci impropri dalle conseguenze a volte mortali o si affidano alle cure di neo-mammane.
Per l’autodeterminazione femminile
E’ evidente per quanto detto che in Italia il diritto all’aborto esiste solo sulla carta, mentre nei fatti la possibilità di scelta delle donne è limitata dall’obiezione di coscienza, cioè dalla possibilità di scelta del personale medico, infermieristico e ausiliario, come a dire che una scelta è prevalente sull’altra. Come donne del Pdac riteniamo che dovrebbe essere esattamente il contrario, che debba essere la scelta delle donne a prevalere e che di conseguenza l’obiezione di coscienza vada abolita.
Solo per cominciare. La libertà di scelta delle donne deve diventare prevalente ovunque essa si deve applicare: non solo per il diritto all’aborto, ma per tutti gli aspetti dell’universo femminile. Oggi più che mai, l’attacco all’autodeterminazione delle donne si è fatto più feroce. Oggi più che mai, in questo periodo di crisi economica di cui non si vede la fine, il capitalismo cerca di imporre le proprie logiche utilitaristiche a livello locale e globale per mantenere saldo il controllo sociale e il dominio di una classe su un’altra. Oggi più che mai, quando si cerca di spingere le donne fuori dal mercato del lavoro per far posto agli uomini, e di relegarle tra le mura domestiche a svolgere la loro “naturale” funzione riproduttiva, di cura e di accudimento di bambini, malati e anziani, in sostituzione di quei servizi pubblici che i continui tagli alla spesa pubblica stanno limitando drasticamente. Oggi più che mai, lavoratrici, disoccupate, studentesse, native e immigrate insieme devono ribadire a gran voce che la scelta è solo delle donne per l’aborto, per il lavoro, per la gestione familiare perché attraverso la loro emancipazione e la loro liberazione dall’oppressione capitalistica si apre per tutti, uomini e donne, la strada del socialismo.
E’ evidente per quanto detto che in Italia il diritto all’aborto esiste solo sulla carta, mentre nei fatti la possibilità di scelta delle donne è limitata dall’obiezione di coscienza, cioè dalla possibilità di scelta del personale medico, infermieristico e ausiliario, come a dire che una scelta è prevalente sull’altra. Come donne del Pdac riteniamo che dovrebbe essere esattamente il contrario, che debba essere la scelta delle donne a prevalere e che di conseguenza l’obiezione di coscienza vada abolita.
Solo per cominciare. La libertà di scelta delle donne deve diventare prevalente ovunque essa si deve applicare: non solo per il diritto all’aborto, ma per tutti gli aspetti dell’universo femminile. Oggi più che mai, l’attacco all’autodeterminazione delle donne si è fatto più feroce. Oggi più che mai, in questo periodo di crisi economica di cui non si vede la fine, il capitalismo cerca di imporre le proprie logiche utilitaristiche a livello locale e globale per mantenere saldo il controllo sociale e il dominio di una classe su un’altra. Oggi più che mai, quando si cerca di spingere le donne fuori dal mercato del lavoro per far posto agli uomini, e di relegarle tra le mura domestiche a svolgere la loro “naturale” funzione riproduttiva, di cura e di accudimento di bambini, malati e anziani, in sostituzione di quei servizi pubblici che i continui tagli alla spesa pubblica stanno limitando drasticamente. Oggi più che mai, lavoratrici, disoccupate, studentesse, native e immigrate insieme devono ribadire a gran voce che la scelta è solo delle donne per l’aborto, per il lavoro, per la gestione familiare perché attraverso la loro emancipazione e la loro liberazione dall’oppressione capitalistica si apre per tutti, uomini e donne, la strada del socialismo.
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