L’assunzione di quasi 150 mila precari annunciata da Renzi, se effettivamente si realizzasse, sarebbe sicuramente molto positiva e rappresenterebbe una vittoria parziale dei movimenti di questi anni. Renzi di fronte all’economia italiana che continua a frenare a fronte dell’aumento della disoccupazione, cerca di rilanciare l’immagine del governo con la promessa di una regolarizzazione storica dei precari della scuola.
Per un’opinione pubblica tormentata dai dati negativi dell’economia, i numeri annunciati appaiono effettivamente da capogiro, anche se non annullerebbero del tutto neanche i tagli della Gelmini e peraltro sono dettati anche dalla spada di Damocle delle multe in arrivo dalla corte europea proprio per l’abuso di contratti precari nella scuola.
L’assunzione di 150 mila nuovi insegnanti, di cui circa 50-60 mila occuperanno cattedre intere mentre il resto si dividerà tra supplenze brevi (la cui somma aritmetica equivale a 20.000 cattedre) e potenziamento dell’offerta formativa, non va quindi sminuita. Sarebbe sbagliato, e controproducente, un atteggiamento che non riconoscesse questo elemento. Anzi, sarà necessario vigilare attentamente perché la promessa sia effettivamente mantenuta, e non si sgonfi (come tante altre) sullo scoglio delle coperture: 1 miliardo nel 2015, 3 a partire dal 2016, 4 a regime tra 10 anni.
La sacrosanta stabilizzazione dei precari, molti dei quali lavorano con supplenze annuali coprendo posti vacanti e assicurando il regolare funzionamento della scuola, non viene però proposta nell’ottica di una complessiva abrogazione delle riforme Gelmini (che hanno fatto danni dalla primaria alle superiori). Perché non si dice chiaramente che i nuovi assunti nella scuola primaria, ad esempio, verranno utilizzati per abrogare il taglio del tempo pieno e delle compresenze, ovvero i provvedimenti che hanno devastato quello che era considerato, anche a livello europeo, il settore di punta della nostra scuola? Perché non si ipotizza una drastica riduzione degli alunni per classe, migliorando davvero la didattica? Inoltre molti dei nuovi assunti potrebbero essere costretti a coprire le assenze degli insegnanti di ruolo di discipline differenti dalle proprie. Il rischio potrebbe essere quello di inviare insegnanti di educazione fisica, musica o arte (quelli più numerosi nelle graduatorie ad esaurimento) a sostituire le assenze di colleghi di italiano o matematica, con un’evidente perdita di dignità professionale per gli uni (considerati alla stregua di baby sitter) e di offerta didattica per gli studenti.
La criticità del testo, però, è più complessiva e riguarda l’idea di scuola che viene proposta nelle linee guida.
Dietro il punto centrale del provvedimento, la stabilizzazione dei precari, si cela un'idea di scuola e di formazione che approfondisce il taglio liberista (e fallimentare) affermatosi in questi anni:
- Punto primo: i salari. Fermi al palo da anni, subiranno il nuovo blocco degli stipendi del pubblico impiego, rimanendo così i più bassi d’Europa a fronte di orari di lavoro di fatto omogenei, nonostante la propaganda sul fatto che in Italia gli insegnanti lavorino troppo poco. Si passerà, quindi, dagli scatti di anzianità agli scatti di “merito”, concessi in base ad un sistema di crediti. La famosa meritocrazia sarà a costo zero, ovvero, prevederà solo una redistribuzione e riorganizzazione dei vecchi scatti di anzianità validi per tutti i docenti, destinandoli solo al 66% di questi ultimi.
- In cosa consisterà il famigerato “merito”? Fondamentalmente in una nuova raccolta punti e certificati. Un “mercato” già visto nella rincorsa ad aumentare i punti nelle Gae, ma anche nelle università italiane, e destinato, in larga parte, ad aumentare la burocrazia e le attività inutili. Il 66% degli insegnanti che accumulerà più certificati e punti avrà uno scatto che si mangerà quello del 33% che, “non meritevole”, non avrà nulla. E se i meritevoli fossero l’80%? Niente da fare. I meritevoli sono il 66%! Questo meccanismo logicamente geniale porterà dopo 27 anni di anzianità a guadagnare “ben” 25 euro in più delle cifre oggi assicurate con gli scatti automatici . A fine carriere la differenza, dopo ben 35 anni di contratto a tempo indeterminato (target per pochi intimi), può raggiungere i 143 euro. Cifre da capogiro. Tutta vita per gli insegnanti italiani “meritevoli”. Il meccanismo è perverso e pericoloso perché fa leva sull’idea diffusa sempre più di una classe docente incapace ed impreparata (alla faccia della promessa elettorale di “restituire dignità agli insegnanti”), mentre i punti di merito si acquisteranno molto più facilmente con progetti e funzioni extra-curricolari che non dedicandosi a fondo alla didattica in classe ed al lavoro con gli studenti.
- Ma chi stabilirà corsi e valutazione degli stessi? Il docente mentor che il Nucleo di Valutazione Interno sceglierà tra i docenti che per tre trienni consecutivi hanno avuto uno scatto di competenza. E prima di questa data? Norme transitorie che danno un grande ruolo ai dirigenti. E se chi dovesse giudicare il merito non fosse meritevole, ma semplicemente “amichevole” con il dirigente di turno? Il merito non rischia di diventare un modo per disunire il corpo docente, metterlo in competizione al suo interno, e renderlo più mansueto? Siamo sicuri che questa idea di scuola sia esempio di valori come la collaborazione, la solidarietà, l’impegno e non si trasformerà nella miseria di una concorrenza penosa e pedagogicamente dannosa per gli studenti che la osserveranno?
- Il docente mentore e il nucleo di valutazione sono anche il perno di una riorganizzazione degli organi collegiali in cui il collegio docenti e il consiglio di classe perderanno valore e importanza, a scapito dei Presidi e di Consigli d’Istituto in cui entreranno soggetti privati disponibili a finanziare le scuole.
A questo si aggiunge che: “Per fare questo è necessario ripensare la carriera dei docenti, ( ...) Occorre quindi, prima di ogni altra cosa, un nuovo status giuridico dei docenti”
Cosa significa ripensare lo status giuridico dei docenti? “Per status giuridico s’intende quel complesso di disposizioni (...) che regolano il rapporto di lavoro e, quindi, le norme relative all’assunzione in servizio, allo svolgimento della prestazione lavorativa, alla cessazione del rapporto di lavoro.”
In altre parole, il governo si lascia le mani libere per intervenire su orario, mobilità dei docenti, eventuale cessazione del contratto, meglio noto come licenziamento. Un’Aprea che rientra dalla finestra?
- Alla lotteria del merito concorreranno non solo i docenti ma le intere scuole che, in base alla valutazione delle proprie “performances”, riceveranno più o meno fondi da parte del Ministero. I risultati della valutazione delle scuole, inoltre, saranno resi pubblici e offerti all’utenza perché possa scegliere, come al ristorante, la scuola migliore per i propri figli. Oltre al discorso populista, che pure rischia di piacere a famiglie che pagano da anni le disfunzioni della scuola pubblica vittima dei tagli di decenni, l’idea è vecchia e pericolosa allo stesso tempo. Si metteranno in competizione le scuole tra loro, continuando a promuovere gli istituti di serie A delle zone centrali e benestanti a discapito di quelli di serie B che, nelle periferie degradate delle nostre città, sono spesso l’unico argine alla povertà e alla criminalità organizzata.
E quali saranno i “parametri oggettivi” su cui valutare le scuole è facile da immaginare. Continueranno ad imperversare i quiz invalsi e il nozionismo spinto che li sottende.
Attorno a questo nucleo di provvedimenti si articolano altre proposte (nelle 166 pagine del documento) che alternano “buone” intenzioni del tutto astratte e prive di rapporto con la realtà ad una filosofia di fondo improntata alla subalternità dell’istruzione alle richieste dell’impresa (il fantomatico mercato del lavoro) e all’equiparazione sempre più spinta tra scuole private e pubbliche.
Ottimo, ad esempio, il rafforzamento dell’educazione motoria nella scuola primaria, ma gli estensori del documento hanno mai messo piede nelle palestre (quando esistono) delle nostre scuole? Oppure hanno contato i computer presenti (dove ci sono) nei laboratori informatici che dovrebbero essere il fulcro della rivoluzione digitale renziana? A leggere i passaggi più propositivi del testo ci si rende conto della distanza tra le parole e la realtà.
A queste buone intenzioni, del tutto astratte e difficilmente applicabili, si accompagna l’idea aziendalista di istituti superiori in cui aumentano fino a 200 le ore da dedicare, obbligatoriamente, a stages (gratuiti) in aziende private, mentre invece l’impoverimento culturale delle giovani generazioni richiederebbe un rafforzamento del tempo scuola a tutti i livelli; di Dirigenti Scolastici che diventano veri e propri manager (reclutati tramite un corso-concorso della scuola nazionale dell’amministrazione, allontanandoli sempre più dal corpo docenti che pure dovrebbero rappresentare) che potranno valutare la capacità didattica degli insegnanti (e quindi concedere o meno gli scatti stipendiali) e scegliere “come un allenatore la propria squadra”, selezionando gli insegnanti “più adatti alla propria scuola” all’interno dell’Organico Funzionale di più istituti.
Come si finanzierebbe questa grande rivoluzione? Molto chiaro questo passaggio del testo:
1) Attribuendo il M.O.F. (fondo per il miglioramento dell’offerta formativa, che negli ultimi 3 anni è stato tagliato dei 2/3, e che permette il funzionamento della scuola stessa) solo alle scuole che, dopo attenta valutazione in base a parametri “oggettivi” (si immagina facilmente il ruolo del famigerato Invalsi) abbiano dimostrato di meritarli.
A questo finanziamento pubblico basato sul “merito” delle scuole concorreranno, inoltre, anche le scuole private, equiparate in tutto e per tutto a quelle pubbliche, che quindi oltre ai finanziamenti ad hoc a loro dedicati prenderanno anche una parte dei fondi destinati finora, tramite il Mof, alla sola istruzione pubblica.
2) Visto che, in ogni caso, i risparmi legati al primo punto non saranno sufficienti, gli istituti scolastici dovranno costituire fondazioni con soggetti privati disponibili a finanziarli. Più chiaro di così...
Insomma una riforma che ha un’idea di scuola non così dissimile da quella proposta dal governo Berlusconi, che infatti piace anche a Forza Italia, stando alle dichiarazioni di questi giorni, e che per questo va contrastata radicalmente. Allo stesso tempo dobbiamo avere la consapevolezza che l’assunzione dei precari e le risposte date dal governo ad alcuni problemi della scuola, in assenza di una alternativa, potrebbero trovare non pochi consensi. Fare opposizione oggi significa più che mai costruire un’idea di scuola alternativa a quella renziana. Se l’opposizione sarà percepita come resistenziale o come corporativa farà ben poca strada. Serve in questo senso un salto di qualità dei movimenti, che accetti la sfida e che sia capace di ribaltarla. Proviamoci
Nessun commento:
Posta un commento