venerdì 31 ottobre 2014

Chi vince governa senza se e senza ma

Luciano Granieri

Chi vince governa,  il giorno dopo le elezioni si deve conoscere  chi ha vinto e dunque chi governerà.  E’ il mantra della democrazia renziana, ma era una regola valida anche sotto il regno di Berlusconi.  E’ una semplificazione  per esplicitare legittimità democratica e  trasparenza.

Ma è proprio così?  Secondo Costituzione  i  partiti e i movimenti, la cui proposta di governo riscuote il maggior numero di consensi fra i cittadini ( non astenuti) ,  hanno mandato ad  attuare il loro programma. I  partiti e  i movimenti le cui proposte hanno ricevuto minor consenso non spariscono  anzi, i loro programmi potrebbero presentare  elementi utili a ciò  che è stato   ritenuto migliore della maggioranza dei votanti.  Esiste il Parlamento dove tutte le proposte si confrontano, si formula una sintesi affinchè gli unici vincitori siano sempre e comunque i cittadini. 

Troppo difficile vero?  Troppo macchinoso, la gente non capisce. Dire: “chi vince governa” è molto più chiaro e semplice. Purtroppo nell’accezione attuale  l’esemplificazione non è solo comunicativa, ma è di sostanza. Intanto  se si identifica un vincitore, come conseguenza logica  si determina la figura dello sconfitto.  In una competizione il  vincitore è unico, è il solo ad aver diritto al trofeo. Lo sconfitto non ha diritto a nulla, l’unica possibilità  che ha è di allenarsi meglio  e tentare di vincere alla prossima occasione. Ma fino ad allora gli onori spetteranno unicamente a chi è uscito vincente.  

L’espressione “chi vince governa”  identifica anche il trofeo  che si ottiene a seguito della vittoria: il governo del paese. Un attività che non dovrebbe essere premiante, ma esigere responsabilità, capacità, sensibilità democratica. Se il trofeo (il governo) tocca solo esclusiva mente al vincitore, automaticamente gli sconfitti ne sono esclusi. Devono piegare la testa fino alla successiva competizione elettorale. Il premio è ritenuto talmente importante che, fra una partita e l’altra,  i contendenti, anziché allenarsi per prepararsi meglio, cercano di cambiare le regole del gioco adattandole alle proprie peculiarità competitive. In questo modo la vittoria sarà meno incerta.  

Il vincitore di oggi, Matteo Renzi, come il suo predecessore Berlusconi, si comporta a tutti gli effetti da vincitore vero. E’ insofferente verso ogni tentativo di rivalsa degli sconfitti, che in quanto tali, devono soccombere.  Ciò avviene anche all’interno del suo partito.  Le proposte di chi ha perso sono perdenti per definizione. Il nuovo concetto di democrazia esclude la figura del perdente in quanto uscito sconfitto da una competizione che si vorrebbe democratica. Non solo, ma anche chi ha tifato per i predenti non ha diritto di cittadinanza democratica e va cancellato. 

Se tutti questo è vero, come è vero, allora sarebbe bene uscire dall’ipocrisia e trasformare l’espressione “chi vince governa” in “chi vince comanda”.  Quando c’è uno che comanda la faccenda non è molto democratica. Il comandante vince  il premio consistente nel  tutelare gli interessi suoi e dei suoi sodali attraverso il potere di decidere regole che possono tranquillamente esulare dall’essere  a beneficio della comunità.  Chi vince e comanda, tratta gli sconfitti con supponenza, li insulta, cerca di umiliarli. Un segnale inequivocabile della presenza del vincente  è il rotear  dei manganelli  su coloro che rivendicano i loro diritti , ma appartengono al popolo degli  sconfitti. E’ successo a Genova nel 2011, si è ripetuto a Roma contro gli operai della Thyssen.  Sarebbe bene disfarsi dai vincitori che comandano.

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