Chi vince governa, il
giorno dopo le elezioni si deve conoscere chi ha vinto e dunque chi governerà. E’ il mantra della democrazia renziana, ma
era una regola valida anche sotto il regno di Berlusconi. E’ una semplificazione per esplicitare legittimità democratica e trasparenza.
Ma è proprio così? Secondo Costituzione i
partiti e i movimenti, la cui proposta di governo riscuote il maggior
numero di consensi fra i cittadini ( non astenuti) , hanno mandato ad attuare il loro programma. I partiti e i movimenti le cui proposte hanno ricevuto
minor consenso non spariscono anzi, i
loro programmi potrebbero presentare elementi
utili a ciò che è stato ritenuto migliore della maggioranza dei
votanti. Esiste il Parlamento
dove tutte le proposte si confrontano, si formula una sintesi affinchè gli
unici vincitori siano sempre e comunque i cittadini.
Troppo difficile
vero? Troppo macchinoso, la gente non
capisce. Dire: “chi vince governa” è molto più chiaro e semplice. Purtroppo
nell’accezione attuale l’esemplificazione
non è solo comunicativa, ma è di sostanza. Intanto se si identifica un vincitore, come
conseguenza logica si determina la
figura dello sconfitto. In una
competizione il vincitore è unico, è il
solo ad aver diritto al trofeo. Lo sconfitto non ha diritto a nulla, l’unica
possibilità che ha è di allenarsi
meglio e tentare di vincere alla
prossima occasione. Ma fino ad allora gli onori spetteranno unicamente a chi è
uscito vincente.
L’espressione “chi
vince governa” identifica anche il
trofeo che si ottiene a seguito della vittoria: il governo del paese. Un
attività che non dovrebbe essere premiante, ma esigere responsabilità,
capacità, sensibilità democratica. Se il trofeo (il governo) tocca solo esclusiva
mente al vincitore, automaticamente gli sconfitti ne sono esclusi. Devono
piegare la testa fino alla successiva competizione elettorale. Il premio è
ritenuto talmente importante che, fra una partita e l’altra, i contendenti, anziché
allenarsi per prepararsi meglio, cercano di cambiare le regole del gioco
adattandole alle proprie peculiarità competitive. In questo modo la vittoria
sarà meno incerta.
Il vincitore di oggi,
Matteo Renzi, come il suo predecessore Berlusconi, si comporta a tutti gli
effetti da vincitore vero. E’ insofferente verso ogni tentativo di rivalsa
degli sconfitti, che in quanto tali, devono soccombere. Ciò avviene anche all’interno del suo
partito. Le proposte di chi ha perso
sono perdenti per definizione. Il nuovo concetto di democrazia esclude la
figura del perdente in quanto uscito sconfitto da una competizione che si vorrebbe
democratica. Non solo, ma anche chi ha tifato per i predenti non ha diritto di
cittadinanza democratica e va cancellato.
Se tutti questo è vero, come è vero,
allora sarebbe bene uscire dall’ipocrisia e trasformare l’espressione “chi
vince governa” in “chi vince comanda”.
Quando c’è uno che comanda la faccenda non è molto democratica. Il
comandante vince il premio consistente nel tutelare
gli interessi suoi e dei suoi sodali attraverso il potere di decidere regole
che possono tranquillamente esulare dall’essere a beneficio della comunità. Chi vince e comanda, tratta gli sconfitti con
supponenza, li insulta, cerca di umiliarli. Un segnale inequivocabile della
presenza del vincente è il rotear dei manganelli su coloro che rivendicano i loro diritti ,
ma appartengono al popolo degli sconfitti. E’ successo a Genova nel 2011, si è
ripetuto a Roma contro gli operai della Thyssen. Sarebbe bene disfarsi dai vincitori che
comandano.
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