sabato 4 ottobre 2014

Pd. Centinaia di migliaia di esuberi fra i militanti.

Luciano Graneri


Da quanto si apprende dagli organi di stampa il Pd avrebbe perso, rispetto al 2013, ben 400.000 tessere. L’anno scorso i tesserati erano 500.000 oggi sono 100.000. In realtà la campagna di tesseramento non è ancora chiusa, ma l’emorragia di iscrizioni sembra imporsi  implacabile. Sostanzialmente degli iscritti al Pd rimarrebbe la dirigenza, con i parenti al seguito (neppure tutti), qualche anziano abbonato  abitudinario, e forse pochi giovani. Il grosso della militanza pare essersi volatilizzato. 

Qualcuno degli oppositori al padron Renzi, soprattutto la vecchia guardia, sbraita. Qualcun altro ritiene che sia un fenomeno fisiologico e punta a minimizzare.  Ma il segretario Leader Maximo che ne pensa?  “Meglio perdere iscritti e vincere le elezioni” questo è il pensiero del quartier generale. In realtà per il chief in commander democrat, la disgregazione del corpo militante è un ottima notizia.  

Era ora che un po’ di rompicoglioni si togliesse dalle palle.  Non se ne può più di gente che solo per aver pagato  i  miseri 10 euro della tessera pretende di pontificare nei circoli, e perfino nelle strade.  Basta con le menate, sull’organizzazione territoriale, sulla democrazia interna , sulla sovranità assembleare, sul partito che si costruisce dal basso attento ai bisogni della gente .  Non si può più perdere  tempo dietro agli “occupy Pd” a quelli che ancora ci frantumano i cabbasisi con la difesa dei diritti dei più deboli. 

Bisogna  rimanere in sella il più a lungo possibile e per farlo è necessario  intortare il popolino .  Gli 80 euro, la riduzione dell’IRAP,  l’assunzione a tempo indeterminato di 150.000 precari della scuola, la riduzione dei costi della politica attraverso l’abolizione del Senato e delle Province, sono tutte cose che devono sedurre. Non ci si può permettere  che qualche sprovveduto, magari con la tessera del partito in tasca, rompa le uova nel paniere e  cominci a mettersi in mezzo andando a dire che con la riforma del Senato non si risparmia, ma si ruba la democrazia,  (quello si vuole, ma non si deve sapere).  Non se ne può più di gente che obbietta sulle coperture finanziarie relative al  piano di stabilizzazione dei precari della scuola, (che effettivamente non ci sono), oppure che dimostra come per garantire gli 80 euro in busta paga siano  diminuiti i servizi e aumentate le tasse locali per un importo ben superiore . 

Alla maggioranza di quegli 11milioni e dispari che alle europee  hanno votato Pd  non  interessa di capire i perché e i percome.  Gli basta sapere che hanno 80 euro in busta paga, che con il nuovo Senato si assesta un colpo mortale ai privilegi della politica e che verranno assunti 150.000 insegnanti precari. I nemici veri sono i militanti consapevoli, quelli che ci credono, studiano,  s’informano e smascherano il gioco. Per vincere è necessario un corpo elettorale fatto di inconsapevoli e chi cerca di rendere costoro consapevoli è da evitare come la peste.  

Per rimanere al comando il più a lungo possibile non servono questi miserabili tesserati, non sono necessarie le loro spulciose quote d’iscrizione. Per rimanere in sella servono soldi veri, quelli dei finanziare alla Serra, dei fondi d’investimento, dei Riva e dei grandi imprenditori. Chissà con quali finanziamenti si è retto il partito fino ad oggi? Non certo con i soldi dei militanti.  

Si saluta con celato favore, ad esempio, quanto sta avvenendo nella Provincia di Frosinone , dove i dirigenti litigano, si prendono a male parole.  Pur di spartirsi la torta si accordano con i nemici storici del partito,  producendo una nausea acuta presso i militanti. Si impegnano a perdere iscritti perfino litigandosi  il simbolo del partito.  Per rimanere al comando servono i soldi delle lobby. Ma per ottenere i soldi delle lobby bisogna fare leggi che fanno comodo alle lobby. Per cui avanti con la precarizzazione del  lavoro, con lo scudo fiscale sul rientro dei capitali dall’estero,  con la svendita a privati di terra, acqua, aria, salute,  e affanculo i militanti.

Ospedale di Alatri. Incomprensibile l'entusiasmo del Senatore Scalia

COORDINAMENTO PROVINCIALE PER LA SANITA' FROSINONE

Lette con attenzione le parole del senatore Scalia  riportate sugli organi di stampa locale del 03.10.14 in merito alle vicende dell’ospedale di Alatri, non siamo riusciti, nonostante la massima buona volontà impiegata, a condividerne il festoso entusiasmo. Anche spingendo al massimo la fantasia e il pensiero creativo non siamo riusciti a capire dove stia la bella notizia.
Forse sta nel fatto che al posto di una rianimazione vera abbiamo un servizio surrogato come una terapia sub intensiva? Forse sta nel fatto che sostanzialmente sparisce l’ortopedia per far posto a una piccola chirurgia giornaliera o  da… week-end? E ciò “…così permettendo a Frosinone (con cui Alatri farà Polo unico) di concentrare le energie sulle operazioni più complesse… “ ( sic !). Ci asteniamo da qualsiasi commento…
D'altro canto sugli organi di informazione si è espresso sulla medesima questione anche il Sindaco Morini, e dalle sue affermazioni traspare, molto sensatamente, un più che giustificato scetticismo.
In ogni caso, con buona pace del senatore Scalia, se qualcosa  -perlomeno di dilatorio rispetto alla chiusura-  si è ottenuto, lo si deve esclusivamente all’impegno pressante, continuo, instancabile, di questo Coordinamento, di tutte le associazioni che ne fanno parte, e dei Sindaci e degli Amministratori comunali che con esso hanno partecipato alle iniziative per la difesa della sanità provinciale; Coordinamento che ha organizzato ben due manifestazioni  di enorme rilievo (16 luglio e 11 settembre), oltre che incontri pubblici con i politici di questa provincia e con i Sindaci.
Tutto ciò ha, di fatto, costretto chi sappiamo a rivedere, almeno in apparenza,  certe posizioni e certi atteggiamenti demolitivi sull’ospedale di Alatri, ma abbiamo il sospetto che sia solo una   operazione di facciata. Il Coordinamento perciò continuerà a vigilare non concedendo sconti a nessuno.
Questo per dire con  estrema chiarezza a chi vanno attribuiti i meriti e a chi le responsabilità, onde evitare il confondersi  della vittima con il carnefice.
E nessuno, né  Frosinone né a Roma si illuda: siamo ben abituati e temprati, ormai da anni, a fronteggiare manovre di qualsiasi tipo e non intendiamo abbassare la guardia né consentire a nessun pifferaio di far affogare…  i cittadini.
Inoltre, a chi non abbia messo il proprio cervello all’ammasso, non  può essere sfuggito il silenzio assordante della politica, sia del centrosinistra che del centrodestra, che da vent’anni a questa parte ha mostrato incapacità in merito alle inderogabili necessità sanitarie di questa provincia e, con esse, agli enormi problemi di risanamento ambientale e di ripresa economica e occupazionale che gravano sui cittadini, e ne hanno determinato l’aumento della povertà e del disagio. Quella stessa politica, che però non tace, anzi strepita e si scontra all’ultimo sangue  per  ambite poltrone…
Ecco perché, lo ribadiamo, non siamo riusciti né a condividere né a comprendere la festosa, trionfalistica gioiosità del senatore Scalia.
04.10.2014


Video di Luciano Granieri

venerdì 3 ottobre 2014

Il capitalismo predatorio, un rischio per l’Europa



Comunicato dell'assemblea sindacale del Liceo Benedetto da Norcia

I lavoratori del Liceo Benedetto da Norcia, riuniti in assemblea sindacale il giorno 1 ottobre 2014, fanno propria la piattaforma dell’assemblea delle scuole di Roma. Inoltre, i lavoratori del BdN sostengono, per rilanciare e riqualificare l’istruzione pubblica statale, la Legge di Iniziativa Popolare “"Per una buona scuola per la Repubblica"”. 

L’assemblea dei lavoratori del Liceo Benedetto da Norcia si impegna a partecipare con un proprio spezzone insieme agli studenti alla manifestazione in occasione dello sciopero del 10 di Ottobre.

Inoltre l’assemblea risponde all’invito del governo a sviluppare in modo decentrato la consultazione sul progetto La buona scuola, raccogliendo le firme per la convocazione di un Collegio dei docenti straordinario, un Consiglio di Istituto e un’assemblea di Istituto di lavoratori, studenti e genitori. A questo scopo rivolge l’invito ai rappresentanti degli studenti e al Comitato genitori di organizzare a loro volta un’assemblea in cui analizzare e prendere posizione, all’interno della consultazione promossa dal governo, sul progetto La buona scuola.


Piattaforma dell’Assemblea delle scuole di Roma e provincia

1)      Lotta in difesa della democrazia della scuola e dell’orizzontalità degli organi collegiali e delle assemblee degli studenti, di contro al tentativo di ulteriore gerarchizzazione della scuola promosso dal governo, che intende accentrare tutte le decisioni nella figura del Dirigente-Manager, coadiuvato dai privati, fino alla chiamata diretta dei lavoratori.

2)      Lotta contro l’ingresso dei privati nella gestione della scuola (che ricalca la proposta di legge Aprea sconfitta dalla mobilitazione unitaria di studenti e lavoratori) e la conseguente privatizzazione dell’istruzione pubblica.


3)      Lotta alla falsa meritocrazia, che nasconde gli ulteriori tagli alle retribuzioni dei lavoratori della scuola e conferma la pesantissima riduzione di risorse alla scuola statale realizzata dalla (contro)-riforma Gelmini, che non a caso oggi esalta le misure del governo rivendicandone la paternità.

4)      Lotta alla demagogia di un governo, che sotto la pressione delle mobilitazioni e di una imminente condanna a una pesante multa dalla Unione Europea, ora che ne ha la presidenza, promette 150.000 assunzioni di docenti (mentre il personale Ata rischia di essere ulteriormente ridotto e le sue funzioni esternalizzate), senza però mantenere le reiterate promesse di mandare in pensione i 4.500 lavoratori di Quota 96, che hanno da tempo raggiunto tutti i requisiti. Tanto più che la giustificazione del governo per gli impegni non mantenuti, “non ci sono le risorse economiche”, è smentita, ad esempio, dalle sempre crescenti spese militari.


5)      Lotta per lavorare meglio, lavorare tutti, contro l’aumento dell’orario dei docenti di ruolo, chiamati dal governo a fare, senza retribuzione, le supplenze brevi, con conseguente soluzione finale dei precari delle graduatorie di istituto che, dopo aver lavorato per anni nella precarietà più totale e aver investito soldi e tempo per conseguire abilitazioni e titoli conferenti punteggio, verrebbero rispediti a casa. L’aumento dell’orario di lavoro, inoltre, andrà necessariamente a discapito della qualità dell’offerta formativa, che va al contrario rifinanziata come chiedono anche le famiglie.

6)      Lotta per migliorare la qualità dell’istruzione riabbassando il numero di alunni per classe,  ripristinando il tempo pieno e i posti tagliati dalla riforma Gelmini e dall’innalzamento dell’età pensionabile, per immettere in ruolo i precari (personale Ata e insegnanti) sui posti disponibili e non su un indefinito organico funzionale.


7)      Lotta per il rinnovo e la salvaguardia del Contratto nazionale di lavoro e degli scatti, che sono stati ulteriormente bloccati dal governo, e che rischiano ora di essere definitivamente eliminati da un presunto merito stabilito in modo arbitrario dai dirigenti e dai test Invalsi. Si tratta, al contrario, di recuperare in pieno il potere di acquisto, calato di almeno 200 € al mese, perso dai lavoratori della scuola negli ultimi anni di blocco delle retribuzioni, mediante la richiesta di un significativo aumento uguale per tutti, di fronte ai tentativi di divisioni portate avanti dal governo.




Il presidente della Lazio Lotito, speaker ufficiale della Lega Calcio

Luciano Granieri.

Burlarsi di Claudio Lotito, presidente della Lazio, nonchè badante del Presidente della Lega Calcio Tavecchio, è sport ormai molto comune. Il personaggio del resto è assai pittoresco ed è anche l'immagine dell'Italia della mediocrità degli imobrogliucci del "dì che ti mando io" . L'Italia dei Razzi, degli Scilipoti, degli Schettino, squallida melma dilagante nei gangli di ogni organismo che preveda posti di potere, compreso il governo del calcio. Era dunque mia intenzione non iscrivermi alla nutrita lista di coloro che si sono divertiti col latinista "de nonantri". Ma essendo il sottoscritto "Marxista Romanista", non ho resistito alla tentazione di  liberare la  passione calcistica oltre che politica. Per cui: Ecco a voi Claudio Lotito, presidente di tutto,   anche degli speaker ufficiali della lega calcio. Non esistono speaker ufficiali della lega calcio? Aggiornatevi! li ha inventati lui. Di seguito mostriamo il video di come il presidente degli speaker, speaker anch'esso, legge i risultati delle partite.
Buona Visione.

giovedì 2 ottobre 2014

Guerra e Resistenza a sud di Roma

Angelino Loffredi. fonte :http://www.unoetre.it/

Video di Luciano Granieri


Il libro di Roberto Salvatori "Guerra e Resistenza a sud di Roma" merita una necessaria e doverosa attenzione perché rappresenta il punto più alto della informazione e della rappresentazione organica del movimento partigiano nella nostra provincia.
L'autore ha messo al centro della sua indagine la resistenza che settanta anni fa si sviluppò sui monti Prenestini e nell'alta Valle del Sacco ma dobbiamo riconoscere che tale ricognizione va aldilà di tali aree geografiche. Il ruolo resistenziale in questa area, anche se prevalente, da parte dell'autore viene sempre ricollegato a quanto avviene nei dintorni.
Non ho alcuna difficoltà a riconoscere che tante notizie e importanti avvenimenti riportati mi erano sconosciuti ed oggi fortunatamente invece tutti noi possiamo arricchirci attraverso questo libro di altre conoscenze e scoprire che la Resistenza nella nostra provincia ha avuto maggiore profondità e consenso di quanta finora abbiamo immaginato.
Salvatori attraverso il suo lavoro ha tirato fuori con molta pazienza e ostinazione un numero straordinario di persone che parteciparono a tali avvenimenti. Persone anonime, dimenticate e che oggi ritrovano una loro identità e una specifica e esaltante collocazione nella nostra storia.
Partigiani a mezzo tempo verrebbe da dire perché sono combattenti che curano i campi, le loro bestie e le famiglie e poi rischiano, compiono atti di sabotaggio, combattono. E quando combattono contro i tedeschi ed entrano in azione non debbono farlo per più di dieci minuti. Questa infatti era l'indicazione data da Enrico Giannetti comandante riconosciuto non solo della banda di Paliano ma di tutta una vasta area che sa valutare i rapporti di forza numerici fra tedeschi e resistenti.
Ecco Enrico Giannetti e Dante Bersini di Palestrina sono gli uomini che nel libro vediamo più degli altri presenti, attivi, potrei dire inesauribili.
Mi ha fatto veramente riflettere la lettura riguardante Giannetti, una persona che organizzava gli atti di sabotaggio, partecipava direttamente ai combattimenti forte dell'esperienza avuta nella guerra di Spagna e nello stesso tempo cercava e stabiliva contatti nelle realtà, curava i rapporti con i contadini, raccoglieva iscritti al PCI, diffondeva l'Unità clandestiva, organizzava scuole di partito e poi con una minuzia certosina registrava l'ammontare delle entrate e le uscite per tali attività.
Lo stesso commissario prefettizio del comune di Paliano, il collaborazionista Maliziotti negli ultimi giorni di guerra lo manda a chiamare e il 28 maggio, quattro giorni prima dell'arrivo delle truppe alleate gli consegna le chiavi del comune di Paliano.
Paliano e l'area Palestrina, Gennazzano, Cave dunque costituiscono l'epicentro più impegnato ma a questo vanno aggiunte le attività nei comuni di Sgurgola, Supino, Collepardo, i quaranta giorni di impegno attivo dei gruppi partigiani di Ceccano e in altre realtà locali. Organizzazioni spesso frammentate, disperse non unite da un progetto politico perché i partiti in tutto il territorio non hanno avuto un potere di indirizzo o di coordinamento. La stessa forza del PCI che è la più presente rispetto alle altre è più richiamata dai proclami tedeschi che concreta nella realtà.
Il libro riporta resoconti dettagliati degli scontri a fuoco e degli uomini che vi partecipano ma anche le rapine dei tedeschi, i saccheggi e le fucilazioni di contadini che pur non facendo parte organizzata della Resistenza si ribellano, si oppongono alla razzia del loro bestiame e per questo vengono arrestati o fucilati.
La lotta è fra gli uomini della Resistenza ed i tedeschi. In tale conflitto non emergono mai gli uomini della RSI, la repubblica di Mussolini. Le istituzioni repubblichine rappresentano un fantasma di stato, non svolgono mai una funzione autonoma, sono sempre al servizio dell'occupante tedesco. Va sempre ricordato che in provincia di Frosinone degli ottomila nati nel 1924 e 25 chiamati dal bando Graziani rispondono alla chiamata alle armi solo in 400. La questura di Frosinone-Fiuggi riesce ad organizzare solo 52 persone e a fatica si riesce a trovare un questore; nessun magistrato risponde all'appello di Mussolini. L'ultimo questore, Voltarelli ha la funzione di bruciare il carteggio rimasto negli uffici, privandoci cosi di venire a conoscenza di tante malefatte consumate nel periodo.
Roberto Salvatori almeno per quanto riguarda la nostra zona è riuscito a riannodare i fili di una memoria che è sempre più divisa e minacciata dalle nuove idee revisioniste e contro le quali spesso vedo molta rinuncia o tanta sottovalutazione.
Questo lavoro ricuce, rimette a sistema, da organicità ad una storia che ci veniva trasmessa in modo riduttivo e frammentato e che invece era stata scritta ma rimasta negli archivi impolverati; mai completamente conosciuta e che si apprestava inevitabilmente ad essere dimenticata. Il nostro autore ha girovagato negli archivi ne ha tirato fuori notizie inedite ed importanti e poi le ha verificate facendo parlate direttamente i protagonisti consegnadoci così un affresco bello, coinvolgente che si fa leggere e che merita di far parte delle nostre biblioteche.

Elezioni in Brasile La candidatura di Ze Maria

Il programma dei trotskisti
per dare una prospettiva rivoluzionaria alle lotte

Adriano Lotito

Domenica 5 ottobre si terranno in Brasile le elezioni per il nuovo governo. Pensiamo sia utile tornare nuovamente sul tema e offrire un quadro generale della situazione in corso nel maggior Paese latinoamericano, data l'importanza che questo ha assunto nell'arena della lotta di classe mondiale a partire dalle imponenti mobilitazioni del giugno 2013, che hanno segnato, per il Brasile e per l'intero continente, l'inizio di una nuova fase conflittuale.
Il processo di lotte in Brasile dal giugno 2013 alla Coppa del Mondo
Tutto è iniziato con un'apparente inezia: l'aumento del 20percento del costo dei biglietti dei trasporti pubblici. Una misura che insieme a tante altre è stata volta a sostenere le immani spese pubbliche in vista dei mondiali di calcio. Una misura però che ha rappresentato la classica “goccia che ha fatto traboccare il vaso”: centinaia di migliaia di persone, tra cui studenti e lavoratori, sono scesi nelle strade e nelle piazze di oltre cento città tra le più importanti del Paese, a partire da San Paolo e Rio de Janeiro, per protestare contro questo ingiustificato aumento di un bene fondamentale per la maggioranza della popolazione (il trasporto pubblico).
Ben presto però la mobilitazione ha allargato le proprie prospettive, finendo per investire l'intero sistema politico messo in piedi in più di un decennio dai governi del Pt, il Partito dei lavoratori, (prima con Lula e poi con la “delfina” Dilma Roussef). Si è trattata dunque di una mobilitazione popolare e urbana, che ha espresso il profondo scontento di rilevanti settori di massa nei confronti di una situazione ormai diventata intollerabile, per quanto occultata dall'imponente macchina propagandistica del governo e del Pt.
In seguito, nei mesi successivi, si è avuto l'ingresso nella lotta di alcuni settori operai sindacalizzati e organizzati intorno a direzioni alternative (tra cui quella della Csp-Conlutas, il più grande sindacato di base del continente, diretto dai nostri compagni del Pstu). Questo sicuramente ha rappresentato un salto di qualità nella mobilitazione e si è espresso nelle giornate di sciopero generale dell'11 luglio e del 30 agosto, boicottate dalla Cut (il più importante sindacato brasiliano, filogovernativo, una sorta di Cgil verdeoro).
Nei mesi successivi del 2013 e per tutti i primi mesi del 2014, le mobilitazioni sono continuate con ritmi diseguali: sebbene ci sia stata una diminuzione della partecipazione da un punto di vista numerico, si sono avuti importanti progressi al livello delle avanguardie di lotta, alcune delle quali si sono velocemente radicalizzate e politicizzate. In questo periodo abbiamo avuto una importante mobilitazione studentesca, lo sciopero politico dei professori contro la repressione militare del governo e diverse lotte di settore. Se infatti ci addentriamo nelle singole categorie vediamo che il numero degli scioperi è aumentato notevolmente e che di sciopero in sciopero si è approfondita la radicalità politica delle rivendicazioni operaie; non solo, si sono avute importanti ribellioni di base in cui gli operai hanno lottato contro gli apparati burocratici dei propri sindacati, scavalcandoli in numerose occasioni; questa è un’indicazione importante che ci dà la cifra dei processi di radicalizzazione in atto nella classe operaia. Lo sciopero dei lavoratori della pulizia a Rio de Janeiro ne è un esempio, come anche la lotta dei lavoratori dei trasporti di Porto Alegre, lo sciopero degli edili, ecc., sono tutti casi in cui i lavoratori sono andati oltre la direzione sindacale.
Un'importante accelerazione di questo processo si è avuto con le giornate di lotta contro la Coppa del Mondo di calcio nel giugno di quest'anno: il governo Dilma ha voluto utilizzare il palcoscenico di questa iniziativa mondiale per rilanciare il prestigio perduto e per cercare di ristabilire una situazione di pace sociale. Possiamo dire che i sogni di Dilma sono stati infranti dai lavoratori in lotta e da tutti quei settori che fin dalla primavera di quest'anno si sono accordati e coordinati per organizzare la lotta durante il mondiale.
“Na Copa vai ter luta!”, “Durante la Coppa ci sarà la lotta!”, era la parola d'ordine che risuonava nelle numerose assemblee (con migliaia di partecipanti) che hanno scandito la preparazione delle mobilitazioni! In prima linea nello Spazio di unità di azione (che raggruppava tutte le organizzazioni decise a scendere in lotta) anche Conlutas e il Pstu.
L'intenzione è stata quella di approfittare della visibilità mediatica della Coppa del Mondo per riaffermare una prospettiva critica e di lotta contro un governo ed un intero sistema politico, sociale ed economico, che ha sperperato milioni di soldi pubblici per la costruzione di stadi, impianti sportivi, per la pubblicità e la preparazione di quel gran galà delle multinazionali che passa sotto il nome di Coppa del mondo di calcio. A spese chiaramente dei servizi pubblici, trasporti, sanità, scuole, che versano in una situazione sempre più disagiata. A spese di un sistema sopraffatto dall'indebitamento e dalla dipendenza dalle grandi multinazionali e che in tempo di crisi economica è costretto a mostrare il suo autentico volto neoliberista e antipopolare; un volto che aveva mascherato quando le condizioni di relativa crescita e prosperità avevano permesso di fare alcune “concessioni” alle masse popolari (come la cosiddetta Bolsa familia).
Ritornando alla lotta contro il Mondiale, il primo grande anteprima si è avuto con la straordinaria mobilitazione dei lavoratori della metro di San Paolo, diretta da Altino de Prazeres, dirigente di Conlutas e del nostro partito, il Pstu. Per cinque giorni, dal 5 al 10 giugno, i lavoratori della metro hanno scioperato, riuscendo a bloccare una metropoli di dieci milioni di abitanti, respingendo la repressione e coordinandosi con altri settori operai e di movimento che hanno espresso la loro solidarietà: gli edili di Santos, gli operai della General Motors, i netturbini di Rio, gli insegnanti e i lavoratori della Petrobras in lotta contro la privatizzazione della compagnia petrolifera. E' proprio di queste ore la notizia della riammissione di altri 23 lavoratori della metro che erano stati licenziati per rappresaglia: un successo della lotta anche internazionale per il loro reintegro.
Le lotte sono poi state rilanciate il 12 giugno, giorno di apertura della Coppa, quando in solidarietà con le manifestazioni in corso in Brasile si sono avuti presidi e iniziative in varie città in tutto il mondo. Da parte nostra abbiamo partecipato al presidio organizzato da No Austerity e Si Cobas sotto il consolato brasiliano a Milano, esprimendo una solidarietà militante ai lavoratori brasiliani in lotta e ai compagni e alle compagne del nostro partito fratello.
Anche nel periodo successivo si sono avute mobilitazioni e lotte in diversi settori sociali e di movimento e tuttora, mentre le forze politiche borghesi si scannano nei salotti televisivi per le immediate elezioni, i lavoratori della Petrobras continuano a lottare contro la svendita della loro compagnia, mentre i lavoratori dell'Università di San Paolo sono riusciti, dopo una dura lotta e anche con il sostegno degli studenti, ad ottenere un importante aumento salariale (solo per citare alcune delle ultime vertenze in corso).
Chi ha paura delle mobilitazioni in Brasile? O con Dilma o con la classe operaia!
Per questo riteniamo inaccettabili le prese di posizione di gran parte della sinistra riformista e di movimento, anche in Italia, che hanno sostenuto il governo Dilma, tacciato le mobilitazioni operaie e studentesche di essere strumenti di un complotto ordito dal partito di destra per le elezioni (il quale guardacaso ha visto diminuire, e non crescere, i propri consensi) e che dunque si sono schierate nettamente dalla parte delle multinazionali e contro i lavoratori che venivano repressi, picchiati e licenziati per aver osato alzare la testa contro un governo subordinato alle banche e al grande capitale.
Una posizione che è stata dominante nel castrochavismo. Il presidente del Venezuela (che alcuni ancora considerano la patria del socialismo del XXI secolo, sic!) Nicolas Maduro, e i presidenti di Ecuador e Bolivia, i populisti Rafael Correa ed Evo Morales, si sono apertamente schierati dalla parte di Dilma e contro i lavoratori in lotta, accusando “la sinistra minoritaria e settaria di ricevere appoggi finanziari dall'estero, fornendo argomenti sfruttati dalla manipolazione mediatica contro il Brasile, organizzando minoritarie e violente manifestazioni contro la Coppa”. Non a caso sono gli stessi governi che nei rispettivi Paesi stanno cercando di frenare con la repressione la nuova ondata di lotte che ha scosso il continente latinoamericano e che per questo si sentono scivolare il terreno da sotto i piedi quando vedono settori importaanti della classe lavoratrice pronti a contestarli. Purtroppo queste non sono voci isolate nel coro (come proclamano di essere), ma caratterizzano tuttora la narrazione dominante all'interno di una certa sinistra (1).
D'altra parte non possiamo condividere nemmeno le posizioni di coloro che differenziano Lula da Dilma, ritenendo l'operato del primo più sinceramente vicino alle istanze popolari e operaie e la politica della seconda una sorta di capitolazione ad alcuni interessi di compromesso con il grande capitale. Effettivamente c'è stato un cambiamento tra Lula e Dilma ma non riguarda il Pt e la politica di classe che esso ha condotto in questi anni (politica sempre orientata allo sviluppo del capitale e agli interessi di banche e grandi imprese): il grande cambiamento è stato provocato dalla crisi economica che ha attraversato anche il Brasile e che ha ridotto considerevolmente i margini per poter mettere in atto una politica di concessioni sociali, facendo emergere tutti i problemi economici e sociali che in un periodo di crescita (quello del governo Lula) erano stati sufficientemente occultati (2).
Incredibile, infine, il silenzio sul processo in corso in Brasile e sulla candidatura dei rivoluzionari osservato nel nostro Paese da forze che si dichiarano non solo rivoluzionarie ma persino "trotskiste", ma che a quanto pare per non dover riconoscere il ruolo del nostro partito fratello e della nostra Internazionale hanno fatto finta di non accorgersi delle lotte di massa che scuotono il più grande Paese dell'America Latina.
Le elezioni e la nostra partecipazione
Chiunque sarà dunque, il vincitore di queste elezioni, chiunque andrà al governo, non potrà che attuare lo stesso programma: un programma già scritto dalle banche e dalle grandi imprese e che prevede di scaricare i costi della crisi economica sulla pelle dei lavoratori e delle nuove generazioni. I tre candidati principali sono appunto Dilma Roussef, Marina Silva e Aècio Neves.
Il Pt di Dilma, nonostante sia ancora considerato un partito di “sinistra” dalla maggioranza della popolazione e governi da 12 anni, è stato profondamente toccato dalle mobilitazioni iniziate l'anno scorso: dopo quell'imponente processo di lotta, il rapporto tra il Pt e la classe lavoratrice non potrà più essere quello di prima, nonostante non si sia verificato ancora uno scollamento a livello di massa, ma solo tra alcuni settori di avanguardia. In ogni caso ha perduto molti consensi e non è più tanto difficile dimostrare la sua ingiustificabile compromissione con gli interessi delle banche e del grande capitale. Secondo la Economatica (l’istituto più attendibile in questo campo) le banche hanno guadagnato durante i due governi di Lula il 550% in più rispetto ai due precedenti governi del Psdb (l’opposizione di destra). Lo stesso è avvenuto con il governo di Dilma: il Bradesco, principale banca privata nazionale, ha realizzato nel primo semestre del 2014 i maggiori guadagni della sua storia.
Di questo calo dei consensi non è riuscita ad approfittare l'opposizione di destra, con il suo candidato Aécio Neves. Affare diverso per quanto riguarda Marina Silva: è lei il volto nuovo della politica brasiliana e alcuni dati la danno in vantaggio su Dilma. Marina è stata raffigurata dalle televisioni come una nuova speranza in particolare per quanto riguarda il suo profilo “ambientalista”. Ma come scrivono i nostri compagni del Pstu, “si tratta di un’altra farsa della democrazia borghese. Anche Marina è una candidata della destra. Non ha avuto niente a che fare con le mobilitazioni del giugno 2013, dalle quali si è tenuta distante per tutto il tempo. Il suo candidato alla vicepresidenza è Beto Albuquerque, un uomo delle grandi imprese agricole in Brasile. La coordinatrice della campagna elettorale di Marina è la milionaria Maria Alice Sétubal, ereditiera dell’Itaú, la seconda più grande banca privata del Paese. Marina è vista come la “paladina dell’ecologia”. Eppure, quando è stata ministro dell’Ambiente (2003-2008) nel governo Lula, si sono verificati alcuni dei maggiori disastri ecologici della storia del Paese, come la liberalizzazione dei prodotti transgenici in agricoltura. E’ di questo periodo anche la Legge per la Gestione delle Foreste Pubbliche, che favorisce la privatizzazione di intere foreste a vantaggio del settore privato” (3).
A differenza dei tre candidati borghesi, il Pstu, il nostro partito fratello, sezione brasiliana della Lega Internazionale dei Lavoratori, presenta un candidato operaio, Zè Maria, in prima linea nelle mobilitazioni che si sono avute in Brasile, e un programma realmente dei lavoratori e per i lavoratori. Come scritto nell'appello della direzione nazionale del Pstu:
“Vogliamo rivolgerci ai movimenti socialisti di tutto il mondo per lottare assieme anche sul terreno elettorale. Le candidature borghesi hanno il sostegno politico e materiale delle multinazionali e dei governi imperialisti. Noi vogliamo il sostegno politico dei movimenti socialisti e rivoluzionari di tutto il mondo. Vogliamo rafforzare un’alternativa dei lavoratori puntando ad un governo dei lavoratori stessi, traguardo che non può essere raggiunto attraverso la prospettiva elettorale. Utilizziamo le elezioni per divulgare un programma socialista e rivoluzionario e di sostegno alle lotte tuttora in corso (…)  Zé Maria è un candidato operaio, un simbolo di lotta nel Paese. Una candidatura dei lavoratori per i lavoratori in lotta. Una candidatura socialista che non tace sulla necessità di nazionalizzare le imprese multinazionali e le banche del Paese per affrontare la crisi; che si schiera in modo chiaro per il non pagamento dei debiti alle banche, in modo da poter garantire il 10% del Pil per l’educazione pubblica, e un altro 10% per la sanità pubblica; che difende l’espropriazione delle grandi imprese agricole e la riforma agraria nel Paese.
Questa candidatura è internazionalista. Zé Maria è stato personalmente ad Haiti per sostenere la lotta di questo eroico popolo nero contro l’occupazione militare da parte dei soldati brasiliani al servizio dell’imperialismo. Ha partecipato alle marce di solidarietà con il popolo palestinese contro il massacro di Israele a Gaza. Zé è stato parte importante della campagna di sostegno alla lotta delle masse popolari siriane contro la dittatura assassina di Assad.
La candidatura di Zé Maria si caratterizza anche per la forte lotta contro l’oppressione dei neri, delle donne e degli omosessuali. Non è un caso che la candidata del Pstu alla vicepresidenza, Claudia Durans, sia donna e nera”.
Il nostro programma, il programma dei rivoluzionario, può dunque essere propagandato anche sul terreno elettorale, per poter essere conosciuto da una fetta più larga della popolazione, ma in nessun caso potrà essere realizzato tramite una crocetta su un voto o qualche discussione parlamentare.
Il programma socialista, anche in Brasile, può essere imposto solo con le lotte dei lavoratori e dei movimenti contro il capitalismo ed è per questo che riteniamo importantissimo il processo di lotte apertosi e ancora in corso nel Paese e crediamo che solo con un programma rivoluzionario e radicalmente anticapitalistico sia possibile portare questa imponente mobilitazione alla vittoria e al potere!
Note
1) Uno dei più strenui difensori del castrochavismo in Italia e del governo Roussef, è l'associazione politico-culturale Marx XXI, residuo caricaturale dello stalinismo di un tempo, già tristemente nota per le sue posizioni a difesa di Assad in Siria e di Yanukovic in Ucraina (nonché dei separatisti fascisti del Donbass al servizio di Putin). Riportiamo il link in questione: http://www.marx21.it/internazionale/america-latina-e-caraibi/24236-dal-venezuela-alla-bolivia-lamerica-latina-progressista-contro-laggressione-al-brasile-di-dilma-rousseff.html . Da segnalare anche la posizione ambigua espressa dal sito ilcorsaro.it, punto di riferimento di un importante settore del movimento studentesco nel nostro Paese:http://www.ilcorsaro.info/sport-3/mondiali-di-calcio-ovunque-ma-non-in-brasile.html
2) http://www.rifondazione.it/primapagina/?p=5084 : questo articolo ad esempio mette in evidenza come con Dilma le politiche di inclusione sociale siano state considerevolmente ridotte e siano aumentati i problemi legati all'esclusione, al razzismo e alla corruzione, rispetto agli anni di governo di Lula; pensiamo che questo approccio sia sbagliato perchè non affronta la questione della crisi economica e non mette in luce che anche con Lula, il prevalente (vale a dire l'interesse strutturale delle sue politiche di governo) è stato funzionale all'arricchimento delle banche e del grande capitale, mentre l'accidentale (le politiche sociali a favore dei lavoratori) è stato possibile appunto perchè non vi era la situazione di crisi che vi è oggi.
3) 
http://www.alternativacomunista.it/content/view/2047/1/

mercoledì 1 ottobre 2014

Art.18 ragioniamo senza pregiudizi

Luciano Granieri


 L’art.18 è un totem, è una norma obsoleta, è un vecchio simulacro di una sinistra che non esiste più, è “come un rullino per una fotocamera nell’era delle macchinette digitali”, per usare una definizione di Renzi. Bene. Allora cerchiamo di ragionare liberandoci da deteriorati e stantii pregiudizi e guardiamo la faccenda in un ottica più generale. 

Secondo Renzi è necessario  accrescere il grado di flessibilità in uscita. “Un imprenditore avrà pure  il diritto di disfarsi di  collaboratori che in quel momento non gli sono necessari senza passare per la sentenza di un giudice” così si esprimeva il Presidente del consiglio nella trasmissione “Che tempo che fa”. La concessione di questo diritto aprirebbe la strada ad investimenti da parte delle grandi imprese con conseguente creazione di posti di lavoro. Il ragionamento potrebbe filare, ma non è né rivoluzionario, come vorrebbe far credere Renzi, né efficace come dimostra quanto è avvenuto da 30 anni a questa parte. 

E’ dal 1984 infatti che si provvede ad assicurare i diritti degli imprenditori sopra citati. Si comincia con l’introduzione del part-time, e dei contratti di solidarietà (1984, protocollo Scotti), si prosegue con l’estensione dei contratti a termine in tutti i settori (legge 56  del1987) . Nel 1990 si limita il diritto di sciopero e la legge 236 del 1994,aggiunge la possibilità di assumere lavoratori con contratto di stage in apprendistato. Nel 1996 si estende l’uso dei contratti di solidarietà ( i lavoratori si fanno in parte carico delle eventuali difficoltà economiche dell’imprenditore diminuendosi lo stipendio). 

Nel 1997 il pacchetto Treu è oro per i diritti dell’imprenditore. Si introduce il lavoro interinale, si estende ulteriormente l’uso dei contratti a termine e a tempo parziale. Secondo l’allora ministro del lavoro del governo Prodi (centro sinistra, allora è vizio.) la flessibilizzazione del lavoro, avrebbe prodotto maggiore occupazione. In realtà si determinò un processo di sostituzione del lavoro a tempo determinato con quello precario. Ed è  ciò che sta avvenendo oggi con il decreto Poletti. (Quello che allunga a 36 mesi la durata dei contratti a tempo determinato, senza causale, con la possibilità di reiterarli per 5 volte). 

Nel 2001 irrompe il libro bianco del lavoro del ministro Sacconi e del giuslavorista Marco Biagi. La legge 30 del 14 febbraio 2003 ne recepisce le  direttive. Cioè: flessibilità in uscita tramite revisione dell’art.18, privatizzazione degli uffici di collocamento, liberalizzazione delle agenzie interinali, ammissibilità della somministrazione di mano d’opera. Ovvero la possibilità per  le aziende con più di 15 dipendenti di costituire nuove società più piccole, in modo da vanificare gli effetti dell’art.18. 

Arriviamo a tempi più recenti. 2011 L’art.11 della legge 138 (Decreto Sacconi, ancora lui) introduce forme di contrattazione in deroga al contratto nazionale del lavoro inerenti a materie come, modalità di assunzione, disciplina del rapporto di lavoro , licenziamenti. Infine la legge Fornero, che introduce il lavoro a tempo determinato senza causale, limitandolo però a 12 mesi e senza possibilità di reiterazione,  e  il recente, già citato, decreto Poletti, primo danno fatto dalla reggenza Renzi, che peggiora la norma della Fornero. 

In questi 30 anni di devastazione dei diritti dei lavoratori non un solo posto di lavoro in più è stato ottenuto. Al massimo si è assistito alla sostituzione di contratti a tempo indeterminato con contratti precari.  Ma forse questo è un principio  che va nella direzione, voluta da Renzi:  ridurre cioè la differenza fra lavoratori tutelati e quelli non tutelati. Nel senso però  di togliere diritti a chi ce li ha per renderli pari a chi non li ha. 

Dunque, come ci insegna il passato,  la nuova stagione di flessibilizzazione imposta dal Presidente del consiglio non produrrà l’aumento dell’occupazione, anzi renderà i lavoratori ancora più deboli nella contrattazione,  costretti a subire la probabile compressione dei salari. Un fenomeno che non aiuterà certo la crescita. 

E veniamo al secondo obbiettivo del Jobs Act. Se da un lato si tutela il diritto a licenziare dell’imprenditore, dall’altro ci pensa lo Stato a far campare decentemente i licenziati. Come? Con un programma di reintroduzione al lavoro dei disoccupati, attraverso un centri per l’impiego efficienti e con l’erogazione di sussidi di disoccupazione per tutti coloro a cui un lavoro non è stato ancora trovato.  Interessante, ma praticamente come funzionerebbe?  

Dovrebbe trattarsi, di reddito minimo, cioè legato alla perdita del lavoro. Presumo inoltre che sarebbe necessario  ricostituire un vero centro per l’impiego pubblico. La miriade di agenzie per il lavoro private sono inefficaci per lo scopo indicato da Renzi,  chiunque ne abbia avuto esperienza lo può confermare. Ipotizziamo  delle cifre. Considerando un reddito minimo di 500 euro mensili, per una popolazione di 6 milioni di soggetti ,fra disoccupati e inattivi, (fonte Istat) sarebbero necessari 36 miliardi lordi, considerando il risparmio che si otterrebbe dall’eliminazione degli attuali ammortizzatori (13 miliardi) si determinerebbe  una spesa di 23 miliardi oltre agli oneri  di riorganizzazione del centro per l’impiego . Dove li prendono tutti stì soldi?  

Esiste ad esempio  l’ipotesi di trasferire gran parte della spesa sociale dalla fiscalità del lavoro, alla fiscalità generale? Non si sa, è tutto affidato al governo attraverso la legge delega. Considerato i danni  già fatti dall’esecutivo non solo nel campo del lavoro, con il decreto Poletti,  ma anche con il pasticcio della riforma del Senato, con il decreto Sblocca Italia ancora privo delle coperture e neanche arrivato sulla scrivania del Capo dello Stato per la firma, la cosa non lascia tranquilli. Anzi fa presagire il peggio. Siamo in balia di una masnada di incompetenti e presuntuosi, ottusi, ma  utili ed efficienti esecutori dei voleri del capitale finanziario. Andrebbero fermati in tempo.

martedì 30 settembre 2014

MANIFESTAZIONE PER LA PALESTINA, UNA SCOMMESSA VINTA

Forum Palestina


Il timore che, ormai spenti i riflettori su Gaza, cessati i bombardamenti e senza un attacco in corso, la manifestazione “Terra, pace e diritti per il popolo palestinese” si risolvesse in un flop si è immediatamente dissolto di fronte al corteo colorato, combattivo e festoso di oltre diecimila persone che ha invaso la capitale, con la partecipazione da tutta Italia di palestinesi e di attivisti, arrivati da Napoli (sei pullman!), Milano, Salerno, Bari, Brindisi, Abruzzo e Molise, Carrara, Viareggio, Firenze, Emilia-Romagna, Pesaro, Varese e tante altre città con la consapevolezza che la solidarietà con la Palestina non resta circoscritta alla contingenza di un momento di emergenza.
Il popolo della Palestina è sceso in piazza sfidando il silenzio tombale dei media sull’'appuntamento di ieri, a testimoniare un salto di qualità e una diffusa maturità nell'’impegno: la questione che tutti si sono assunti il compito di denunciare è l'’occupazione sionista della Palestina, che deve finire; tutti insieme, italiani e palestinesi, hanno gridato  a gran voce la parola d’ordine dello striscione d’apertura: “Fine dell’'occupazione israeliana – Palestina libera”, prime fra tutte le comunità palestinesi che aprivano il corteo, poi man mano i vari spezzoni (compreso quello degli Ebrei contro l’Occupazione), ognuno con la propria caratterizzazione, ma solidali con la parola d’ordine “basta occupazione”.
Gli interventi conclusivi, dell’ambasciatrice palestinese Mai Al-Kaila e di Nabeel Khair, coordinatore delle comunità palestinesi in Italia, hanno ribadito la volontà di proseguire nella denuncia e nella lotta, e hanno espresso la grande soddisfazione di tutti per la riuscita della manifestazione.
Due considerazioni finali.
1) Si è rivelata vincente la scelta delle comunità palestinesi di assumersi integralmente la responsabilità della costruzione della manifestazione: il neonato coordinamento delle comunità palestinesi in Italia si è rimboccato le maniche e ha chiamato a confronto i palestinesi di tutta Italia, simpatizzanti di tutti gli schieramenti politici palestinesi; tutte le comunità si sono sentite investite del compito di dare il loro contributo attivo alla riuscita della manifestazione, nell’interesse comune e della Palestina. Dal confronto interno sono nati un appello e una PIATTAFORMA unitari con cui è stata lanciata la manifestazione del 27 settembre.
2) La piattaforma ha convinto la grandissima maggioranza delle realtà italiane solidali con la Palestina; dagli incontri che i promotori hanno tenuto a Roma e in tutta Italia  con comitati e associazioni pro-Palestina, forze politiche, organizzazioni sindacali, è nata quella vastissima lista di adesioni che ha dato coraggio agli organizzatori e ha conquistato loro anche una serie di preziose collaborazioni concrete. L’unità di fondo non ha impedito, a chi lo abbia voluto, di caratterizzarsi ieri in piazza con parole d’ordine più articolate,  una ricchezza in più per la manifestazione.
La prima manifestazione indetta e interamente organizzata dai palestinesi in Italia è stata innegabilmente un successo. Il Coordinamento delle Comunità palestinesi in Italia ha dimostrato di saper lavorare con determinazione e intelligenza politica,  e ha dato anche agli italiani un’occasione importante, che ci auguriamo possa ripetersi in futuro. Il Forum Palestina è orgoglioso di aver portato il suo  contribuito.

 

Una candidatura di opposizione.

Dionisio Paglia

Mi candido nell'unica lista d'opposizione presentata in questa tornata elettorale. Opposizione agli "INCIUCI", a quelli riusciti (vedi la cordata Pompeo) e a quelli tentati e falliti: patetico il tentativo da parte di esponenti del PD ufficiale di volersi rifare una verginità politica di puri e duri, dopo aver provato per settimane a stringere accordi speculari.
Opposizione ad un modo inadeguato di gestire la cosa pubblica. Opposizione alla gestione fallimentare dei servizi idrici e fognari ed all'adeguamento tariffario, materializzatosi sulle bollette degli utenti ciociari. Opposizione all'attuale ciclo dei rifiuti che ha generato solo inquinamento ambientale e ingenti profitti per pochi. Opposizione allo smantellamento della Sanità ciociara: si eliminino gli sprechi, ma non a scapito della qualità e della erogazione dei servizi essenziali. Opposizione a decenni di scelte politiche fallimentari, che hanno determinato lo sfascio sociale ed economico che è sotto gli occhi di tutti. Votare per la lista CIVICA dei piccoli Comuni con il motto "Acqua, Rifiuti. Sanità, Lavoro" consentirà di rimettere al  centro del dibattito politico gli interessi dei cittadini e delle famiglie ciociare, affatto tutelati dalla spartizione di poltrone da parte della "CASTA".

lunedì 29 settembre 2014

Terra, pace, giustizia e libertà» per il popolo palestinese

Geraldina ColottiROMA, 27.9.2014. il manifesto (edizione di domenica 28 settembre):


 Roma. Circa 10mila persone in piazza su invito delle comunità.Associazioni, partiti, centri sociali hanno manifestato in modo unitario contro l’occupazione israeliana e gli accordi bellici dell’Italia

La Palestina nel cuore di Roma. Una Roma inclusiva e solidale, ma anche visibile nei suoi contenuti forti: antifascista e avversa alle forme del dominio necoloniale. Questo il senso della bella e generosa manifestazione che, da Piazza della Repubblica a Piazza
Santi Apostoli ha riunito ieri circa 10.000 persone. Una manifestazione nazionale, indetta dal Coordinamento delle comunità palestinesi in Italia, a cui hanno partecipato partiti, associazioni e movimenti che difficilmente incrociano le proprie pratiche su un terreno comune: dall’Altra Europa per Tsipras, ai Carc, dai Comunisti italiani all’Usb, ai Cobas, ai centri sociali. Tutti hanno risposto all’invito per chiedere
«Terra, pace, giustizia, libertà per il popolo palestinese», senza nessuno sconto alla cruda realtà delle cose: l’occupazione israeliana, che dura dal 1948, e il diritto del popolo palestinese alla propria autodeterminazione. Determinante l’apporto dei Giovani palestinesi in Italia.
Il Fronte Palestina ha però scelto di partecipare con una propria piattaforma: «Tra gli obiettivi della piattaforma — hanno scritto
riferendosi al testo di convocazione — si fa accenno al diritto dei palestinesi alla Resistenza, e viene difficile capire come questo
obiettivo si concili con la collaborazione in Cisgiordania tra l’Autorità nazionale palestinese e i sionisti e i loro accordi sulla sicurezza (di Israele) frutto, il tutto, del famigerato accordo di Oslo e di quelli successivi». Con il loro spezzone «Palestina: una, multietnica,indivisibile e antisionista» hanno tenuto il centro del corteo, insieme a molte realtà giovanili e dei centri sociali, connotando il proprio
internazionalismo tra l’asse del Novecento e quello odierno.
«Il segnale che viene da questa manifestazione, per la prima volta unitaria — dice Bassam Saleh, è che sono i palestinesi a dover
decidere il proprio futuro, le nostre discussioni contano fino a un certo punto». Un orientamento condiviso, con accenti diversi,
dal Segretario nazionale di Rifondazione comunista, Paolo Ferrero, da Yousef Salman, della Mezzaluna rossa e anche da Luisa
Morgantini, di Assopace: «La cosa urgente — dice Morgantini — è che si metta fine a questa nakba infinita, che l’Europa si assuma le
proprie responsabilità e che vengano perseguiti i crimini contro il popolo palestinese». Della «catastrofe del ’48, che ha reso profughi oltre due terzi della popolazione» parla anche il volantino della Rete Eco, Ebrei contro l’occupazione, venuti a manifestare «solidarietà ai nostri fratelli e sorellepalestinesi». La deputata del Pd, Marietta Tidei, è invece venuta «a titolo personale», fa parte della Delegazione parlamentare all’Assemblea Osce, e promette di sollevare anche in quella sede la questione della Palestina.

Cartelli e striscioni ricordano con cifre e immagini i costi dei ripetuti massacri che hanno colpito i palestinesi: «Cartellino rosso a Israele — recita uno striscione — un paese che si macchia di crimini di guerra non può ospitare Euro 2020». «Acqua, terra e libertà», dice quello del Forum Palestina. E un altro: «Italia, basta armare Israele». Una denuncia ripetuta in molti spezzoni del corteo, che suggeriscono «il boicottaggio contro uno stato d’apartheid». Da Varese, attivisti e operai sono venuti a ricordare gli accordi di Alenia Aermacchi con Israele, e a promuovere il boicottaggio dei prodotti farmaceutici Teva.

«El pueblo unidojamas sera vencido», cantano dal Fronte Palestina.. Una canzone opportuna data la forte presenza di associazioni di sostegno all’America latina socialista, come la Rete nazionale di sostegno alla rivoluzione bolivariana, “Caracas Chiama”: «Dalla Palestina, a Cuba, al Venezuela, la resistenza ha lo stesso nemico», dice Luciano della Rete dei comunisti. E Alessandro, della rete Noi saremo tutto, parla di «un nuovo internazionalismo», mentre sfila dietro lo striscione di “Donbass antifascista”.
Una giovanissima del collettivo Cagne sciolte denuncia che il «Pinkwashing di Israele non cancella il colonialismo», in solidarietà «ai queer palestinesi». C’è il collettivo Lucha y siesta. E c’è Erika, di Free Palestine: che è qui «anche per Nunzio, Luca, Paolo e Maurizio, i compagni antifascisti arrestati, ai quali hanno rivolto un saluto anche dal campo profughi di Aida Camp».

Gli ospedali servono. Basta farli funzionare

FRANCESCO Notarcola – Presidente consulta delle associazioni – Frosinone ; 
presidente dell’ass. Osservatorio Peppino Impastato.

Dott. Giovanni  Magnanti – Segretario prov.le SNAMI


Riteniamo opportuno fare alcune riflessioni su ciò che apparirebbe evincersi su alcuni aspetti  riguardanti la sanità provinciale.
Com’è noto le patologie cardiovascolari sono la principale causa di morte. Nell’ospedale del Capoluogo esiste una sola UOC (Reparto)  di cardiologia interventistica  al servizio dell’intera  provincia.
Un solo reparto in grado di salvare gli infartuati con interventi  tempestivi ed efficaci.  Questo importante servizio dovrebbe, perciò, essere considerato  una priorità assoluta ed essere dotato di  apparecchiature e strumenti   di ultima generazione con una organizzazione scientifica efficiente e di eccellenza.
Non è così. Le apparecchiature ecocardiografiche sono due e sono del 2000 e del 2002. Esse  presentano un marcato deterioramento e mancano di tutte le moderne tecnologie.
Il reparto avrebbe, altresì,  bisogno di un sistema di gestione elettrocardiografica moderno per poter ottimizzare le risorse umane, minimizzare i tempi di attesa , ottimizzare il risultato clinico e ridurre i costi .
Inoltre, è urgente dotare la seconda sala interventistica di un angiografo moderno di ultima generazione perché quello portatile è datato  e di ridotta capacità risolutiva.
Il servizio di cardiologia dovrebbe anche essere dotato di un migliore sistema di sicurezza per permettere il completamento degli interventi anche in presenza di guasti.
Questi interventi permetterebbero di avere: Due sale di cardiologia interventistica attive e moderne, una continuità di assistenza 24 ore su 24 per una popolazione di circa 500 mila persone che abitato un territorio che va da Filettino a Viticuso.
Mentre esistono questi limiti  consolidati  al “Fabrizio Spaziani”  di Frosinone,  presso l’ospedale di Sora ci risulterebbe  giacere inattivo,  da tempo, un apparecchio per la interventistica vascolare costato circa 4 milioni e mezzo di euro. Sempre a Sora risulterebbero presenti ma inoperosi da anni:  Una macchina cinese chiamata Hi Fu costata un milione e mezzo di euro ,  e una apparecchiatura per la risonanza magnetica.
Quest’ultima era quella in dotazione all’ospedale di Frosinone, dove eseguiva circa 300 esami  al mese, e sarebbe stata trasferita a Sora spendendo centinaia di migliaia di  euro.  Da quel momento però sono passati anni, e la risonanza a Sora è rimasta inattiva e sono andate in fumo diverse centinaia di migliaia di  euro.  Pare che l'inattività sia per mancanza di personale, ma pure che la macchina sia obsoleta e sinanche non più riparabile in caso di guasto. Quale è allora la giustificazione di tali costosi e inutili spostamenti e, presumibilmente, dei prossimi altrettanto costosi smaltimenti di  un apparecchio che era già obsolescente prima del trasferimento a Sora? E a fronte di ciò la recente storia del risparmio sugli affitti non suona piuttosto  come una  goffa operazione di maquillage?
Non appare inopportuno chiudere ricordando a chi si straccia le vesti contro l'ospedalocentrismo (vetusto termine che era in voga negli anni  '80-'90) che sarebbe meglio riflettere su quanti servizi dei buoni ospedali sono in grado di offrire al territorio, e sicuramente in maniera più seria di certi simulacri che oggi ci si vorrebbe propinare come misura sostitutiva degli ospedali veri.