lunedì 21 settembre 2015

L'affondo del governo Renzi contro la scuola pubblica

Mauro Buccheri
 

Noncurante delle mobilitazioni che per mesi hanno visti protagonisti studenti e lavoratori della scuola, il governo Renzi lo scorso luglio ha varato la famigerata legge 107, che porta avanti il progetto della cosiddetta “Buona scuola”, e conseguentemente ha avviato le procedure del “piano straordinario” di immissione in ruolo dei precari.
Nonostante i proclami governativi e le autocelebrazioni di Renzi e del suo entourage, che hanno parlato di una “rivoluzione” nella scuola pubblica italiana e di un piano di stabilizzazioni senza precedenti, ritornello diffuso fino alla nausea dagli organi di “informazione” filo-padronali, la realtà dei fatti è ben diversa. La realtà è che i precari della scuola hanno bocciato in massa il progetto renziano, e che hanno provato a far passare attraverso gli organi di stampa, incappando spesso nella censura, le ragioni del loro rifiuto.
In alcuni articoli delle scorse settimane (1) abbiamo analizzato in cosa consiste questa riforma della scuola, pienamente in linea con quelle varate (o tentate) dai governi precedenti (super poteri ai presidi, attacco ai diritti dei lavoratori, aziendalizzazione della scuola pubblica, incentivi ai privati). E abbiamo già rimarcato come questo piano straordinario di “assunzioni” varato dal governo Renzi sia nato in seguito alle critiche mosse dall'Unione europea nei confronti dello Stato italiano per il  trattamento riservato ai precari e al fine di evitare pesanti sanzioni.
 
Le menzogne sulle cifre e sul presunto superamento del precariatoLe menzogne governative hanno riguardato innanzitutto le cifre relative alle assunzioni. Il governo ha parlato infatti di oltre 102000 stabilizzazioni, da effettuarsi attraverso un piano che consta nel complesso di quattro fasi, denominate rispettivamente “0”, “a”, “b” e “c”. In realtà, quella che il governo chiama “fase 0”, e che era finalizzata ad immettere in ruolo entro la fine di agosto 36627 docenti, si riferisce a un contingente di stabilizzazioni già preventivate e relative al normale (si fa per dire) turn over annuale.
Non contando dunque gli insegnanti immessi in ruolo in fase 0, cioè quelli stabilizzati indipendentemente dall'intervento del governo in carica, ci accorgiamo che il piano dell'esecutivo prevede in realtà la stabilizzazione di circa 67000 docenti. Di questi, solo le 10849 stabilizzazioni della fase a hanno previsto l'assunzione – come è sempre avvenuto - su base provinciale e regionale. Le altre decine di migliaia di docenti da stabilizzare, cioè quelli che ricadono nella fase b (fase chiusa pochi giorni fa e finalizzata ad assegnare i posti rimasti non coperti nelle fasi 0 e a) e nella fase c, saranno stabilizzati non a livello locale ma su scala nazionale, problema su cui ci soffermeremo fra poco. E i docenti stabilizzati in fase c, in particolare, saranno immessi in ruolo non su regolari cattedre, ma su posti di “organico di potenziamento”, novità introdotta dalla legge 107 e dai contorni ancora non chiari (2).
Il tutto mentre diverse categorie di precari, ad esempio decine di migliaia di docenti abilitati attraverso tfa e pas, nonché il personale ata (personale ausiliario, tecnico, amministrativo), sono stati esclusi dal piano di assunzioni.
Qualcuno potrà obiettare che comunque 67000 stabilizzazioni non sono poche. Intanto, diverse migliaia di questi posti rimarranno alla fine scoperti, e dunque le relative stabilizzazioni solo sulla carta, non solo perché tanti insegnanti si sono rifiutati di fare la domanda per l'immissione in ruolo (per i motivi che spieghiamo più avanti), ma anche perché in questi anni i governi che si sono alternati – incluso quello attuale - hanno palesato, fra l'altro, incompetenza e superficialità, dimostrando di non conoscere nemmeno la situazione reale della scuola italiana e la mappatura delle risorse disponibili: col risultato che sono stati banditi concorsi per classi di concorso (termine tecnico con cui ci si riferisce alle discipline insegnate) che risultano in esubero (anche a causa dei tagli effettuati negli ultimi anni) piuttosto che per altre discipline rispetto alle quali scarseggiano gli insegnanti. Ecco perché, quando fra qualche settimana – con la fase c - la procedura del piano di assunzioni sarà ultimata, faremo il conteggio definitivo delle migliaia di posti rimasti vacanti per assenza di insegnanti disponibili per alcune discipline. Possiamo già dire tuttavia che dei 16000 posti messi a disposizione dal Miur in fase b, quasi la metà non sono stati assegnati.
 
Il “piano di stabilizzazione” fra procedure oscure e guerre fra poveriPer ottenere l'immissione in ruolo nelle fasi b e c (quelle su scala nazionale) gli insegnanti precari hanno dovuto inviare entro metà agosto una domanda online al ministero, indicando ben 100 province in ordine di preferenza. La domanda andava fatta praticamente a occhi chiusi, nel senso che la normativa non chiariva esattamente quale procedura sarebbe stata utilizzata dal computer del ministero per assegnare a ogni docente la eventuale provincia, e relativo posto, di destinazione. E da parte del ministero è stata fatta una pressione enorme, ai limiti del terrorismo psicologico, per convincere i docenti a fare questa domanda, paventando conseguenze catastrofiche per chi avesse deciso di non farla.
Senza contare che in quei giorni concitati i rappresentati del Miur che, sotto la pressione degli insegnanti, provavano a rispondere ai loro quesiti (e il Miur stesso nelle apposite faq), fornivano – in merito a questioni importanti relative alle procedure - risposte in contrasto fra loro ed anche in contrasto con quanto scritto nella legge 107!
Questa procedura farraginosa e per niente trasparente ha alimentato tra l'altro le solite guerre fra poveri. Ha destato polemiche ad esempio il fatto che gli immessi in ruolo in fase b (sui posti rimasti liberi nelle due fasi precedenti) sono stati stabilizzati in province lontane centinaia o migliaia di chilometri da casa (dopo dieci o venti anni di precariato sulle spalle!), mentre quelli che – a novembre, stando ai i piani ministeriali - entreranno in ruolo in fase c avranno maggiori possibilità di evitare di allontanarsi dalla propria regione, pur avendo un punteggio inferiore rispetto ai colleghi stabilizzati in fase b (3).
 
Ricatti e deportazione dei precari L'intento del governo è quello di piazzare in qualsiasi modo i precari ovunque capita. Ecco perché, dopo la notte fra l'1 e il 2 settembre, cioè la notte in cui il cervellone elettronico ha mandato la fatidica mail ai destinatari di proposta di assunzione in fase b, si è materializzato l'esodo che facilmente in tanti avevano pronosticato. Le regioni più colpite in tal senso sono state quelle meridionali, e in particolare Sicilia e Campania, dove maggiore è il numero di docenti e minore, in proporzione, la quantità di posti messi a disposizione dal governo. Ecco come il governo Renzi intende affrontare la “questione meridionale”, che pur dice essere uno dei punti principali nella sua agenda!
Tantissimi insegnanti (non più giovani tra l'altro, si tratta di persone di età media superiore ai 40 anni) sono stati immessi in ruolo a migliaia di chilometri da casa, senza possibilità di rifiutare perché, come previsto dalla legge 107, la rinuncia alla proposta di assunzione avrebbe comportato l'esclusione da ogni graduatoria e dunque l'espulsione dal mondo del lavoro (il 97% dei destinatari di proposta di assunzione in fase b ha accettato infatti per i suddetti motivi; solo un 3%, cioè 244 insegnanti, ha scelto nonostante tutto di rifiutare la proposta, sperando in futuro di poter rientrare in gioco tramite concorso).
La quasi totalità di questi insegnanti ha accolto con dolore, se non con disperazione, quell'immissione in ruolo che in teoria dovrebbe essere vissuta come un momento di gioia: proprio perché il prezzo di questa stabilizzazione è abbandonare la propria casa, i propri affetti, i figli, il coniuge, i genitori anziani e magari disabili, in una parola il progetto di vita faticosamente messo su negli anni a prezzo di grandi sacrifici. E pensare che il Pd e gli altri partiti di governo sono fra quelli che si ergono a paladini della “famiglia” borghese! (4)
Molti di questi docenti, inoltre, sono stati immessi in ruolo su classi di concorso e ordini di scuole su cui non avevano mai lavorato prima d'ora (insegnanti di scuola media stabilizzati alle superiori e viceversa, oppure insegnanti da anni impegnati su posto comune, cioè nell'insegnamento della propria specifica disciplina, stabilizzati invece su sostegno), proprio perché il governo non ha rivolto alcuna intenzione alla didattica, all'interesse degli alunni e all'impiego al meglio delle risorse disponibili, ma ha mirato soltanto a piazzare, come pacchi, i docenti in qualsiasi luogo e modo possibile (5).
 
Gli obiettivi falliti dal governo e i diritti negati ai precariIl trenta percento circa degli insegnanti precari aventi diritto si è rifiutato di inviare la domanda al buio, col risultato che – calcolano alcuni sindacati – decine di migliaia di docenti resteranno nelle graduatorie provinciali ad esaurimento (gae), preferendo continuare a lavorare come precari sulle supplenze annuali o brevi nella propria provincia. Del resto, tanto più in considerazione dello stipendio medio degli insegnanti, complessivamente modesto (anche in relazione alla gran quantità di ore di lavoro non retribuito che nei fatti vengono loro imposte), vivere lontano da casa propria comporterebbe senza dubbio un netto peggioramento delle condizioni materiali di vita, nonostante la “stabilizzazione” formale.
Il governo ha fallito dunque l'obiettivo sbandierato ai quattro venti di svuotare le gae e di azzerare il precariato della scuola. Va detto inoltre – cosa che gli organi di “informazione” di sistema omettono di dire – che i docenti precari hanno il diritto, sulla base delle normative varate negli anni precedenti, di essere immessi in ruolo sulla loro provincia di riferimento (per quanto riguarda gli insegnanti presenti nelle gae) o sulla loro regione (i vincitori di concorso, che sono collocati per l'appunto in apposite graduatorie di merito su base regionale), per cui il progetto renziano costituisce l'ennesimo cambio delle regole in corsa, e come sempre a spese dei lavoratori.
Oltretutto, i fatti dimostrano che i posti di lavoro, in tutte le regioni e soprattutto al meridione, sarebbero molto più numerosi se i governi non avessero operato consistenti tagli agli organici in questi anni (il Pd, del resto, quando fingeva di opporsi al governo Berlusconi, aveva anche avanzato la promessa di annullare i tagli decisi dalla Gelmini) e se si decidessero a cambiare approccio. Soluzione, quest'ultima, che da rivoluzionari riteniamo impossibile, proprio perché il taglio e il saccheggio delle risorse pubbliche, inclusa la scuola, è la linea politica inevitabile che i vari governi di sistema devono seguire per foraggiare il padronato, tanto più in periodi di crisi.
 
Quelli che strumentalizzano il malcontento dei lavoratori della scuolaIn questo quadro disastroso, i lavoratori della scuola nelle ultime settimane hanno provato a reagire, attivandosi con presidi e mobilitazioni e provando a fare opera di divulgazione a partire dalle piazze, per diffondere la verità occultata dai mass media (6). Pur restando spesso imprigionati nelle maglie della logica di sistema: rimane diffusa infatti la tendenza a fare affidamento sulle burocrazie sindacali, nonostante i tradimenti continui che queste hanno riservato negli anni ai lavoratori.
E solo in questi giorni un numero crescente di lavoratori si rende conto che al di là delle critiche mosse al governo, a cui non seguono azioni concrete se non vaghe minacce di convocazioni di sciopericchi, i sindacati confederali (Cgil, Cisl e Uil), così come Snals e Gilda degli insegnanti, non hanno alcuna intenzione di promuovere una lotta radicale contro il governo per il ritiro della legge 107. Mentre altri sindacati più piccoli, che pur a parole si definiscono “di base”, al di là dei proclami combattivi conoscono pericolose involuzioni e una crescente assuefazione a quelle pratiche concertative e opportunistiche tipiche dei più grandi sindacati di massa che effetti devastanti hanno avuto sul mondo del lavoro (7).
La crescente disillusione e l'assenza di una chiara prospettiva antisistema porta ancora settori consistenti dei lavoratori della scuola a rifugiarsi nel mondo virtuale e nella lamentela fine a se stessa, oppure a limitarsi alle vie legali, avviando ricorsi e/o sperando che i provvedimenti governativi vengano bloccati dalla Consulta. Una strada indicata anche dal Movimento 5 stelle di Beppe Grillo, forza populista reazionaria che prova a capitalizzare il malcontento del mondo della scuola in termini di consensi elettorali, ma senza avere la capacità e la volontà di indicare una reale via d'uscita ai lavoratori. Il tutto mentre altri soggetti politici, ad esempio i civatiani, che pure fino a ieri erano nel Pd a condividerne le politiche di mattanza sociale, provano oggi la via del referendum per l'abrogazione della legge sulla “buona scuola”, al fine di guadagnare qualche consenso fra i lavoratori della scuola.
 
Che tipo di lotta può fare vincere i lavoratori?Da rivoluzionari riteniamo persa in partenza una lotta che si limiti al piano legale (referendum abrogativi, ricorsi ecc) in quanto questo tipo di battaglia si mantiene ancora rigorosamente nel quadro del sistema capitalista, di cui le leggi sono solo un elemento sovrastrutturale. I lavoratori della scuola devono bypassare le burocrazie sindacali traditrici, unificare la loro lotta con quelle degli altri settori mobilitati nel quadro più ampio della guerra sociale che la borghesia sta scatenando contro le masse popolari.
La lotta va portata vanti da una prospettiva anticapitalista, e non deve dunque riguardare soltanto singoli aspetti dell'assetto formativo generale, ma deve avanzare parole d'ordine radicali come: il ritiro di tutte le controriforme della scuola, la stabilizzazione di tutti i contratti per porre fine alla precarietà, il ritiro di tutti i finanziamenti alle scuole private, il ritiro di tutti i fondi stanziati per le grandi opere e per le missioni di guerra e la loro destinazione verso un grande piano di edilizia scolastica, l'estensione degli spazi democratici dentro le scuole, l'eliminazione dei test nozionistici in stile Invalsi. Una lotta che non avanza queste rivendicazioni non è una lotta reale, in quanto rinuncia in partenza all'obiettivo della costruzione di una scuola laica, pubblica, gratuita, di qualità.
Per vincere questa grande battaglia riteniamo tuttavia che l'unità delle lotte attorno a una prospettiva antisistema sia una condizione necessaria ma non ancora sufficiente. Per preparare le basi della futura vittoria riteniamo infatti imprescindibile lavorare alla costruzione di un'organizzazione politica rivoluzionaria internazionale e internazionalista, capace di portare alle estreme conseguenze le contraddizioni del sistema capitalista e di condurre al governo la maggioranza della popolazione, la classe lavoratrice, oggi schiacciata sotto il tallone del padronato.
 
Note1) Consultare in particolare: http://www.alternativacomunista.it/content/view/2174/1/
2) Evitiamo di dilungarci su un aspetto così tecnico, rimandando chi volesse approfondire ad articoli della stampa specializzata. Fra i compiti degli insegnanti dell'organico “potenziato”, comunque, ci sarà quello di fare le supplenze in caso di assenza (non superiore a 10 giorni) degli insegnanti titolari di cattedra, motivo che ha spinto qualcuno a definirli “tappabuchi”.
3) Oltretutto, il governo ha deciso di dare la priorità nella stabilizzazione ai docenti vincitori del concorso 2012 rispetto ai precari storici delle graduatorie provinciali ad esaurimento, le cosiddette “gae” (mentre finora le immissioni in ruolo si erano basate sul criterio del 50% ai vincitori di concorso e 50% ai precari delle gae). E, senza addurre ragioni, oltre che contraddicendosi rispetto a quanto detto in precedenza, il governo Renzi ha deciso di dare la priorità rispetto ai precari storici delle gae non solo ai vincitori del concorso 2012, ma anche agli idonei non risultati vincitori. Queste scelte, non motivate e verosimilmente dettate dalla volontà di favorire amici di amici, hanno contribuito ad alimentare il malcontento e a sfilacciare un fronte, quello dei lavoratori della scuola, già troppo spesso dimostratosi poco coeso.
4) Il governo ha provato a edulcorare la pillola amara consentendo ai precari immessi in ruolo lontano da casa di posticipare di un anno la partenza nel caso in cui intanto a inizio settembre avessero ottenuto un incarico annuale nella loro provincia di riferimento. Ma questa mossa non ha sollevato di molto il morale degli insegnanti. Così come poco sollievo ha dato il varo di una “mobilità straordinaria” per tutti i docenti di ruolo per il prossimo anno, mossa con cui l'esecutivo ha provato ad incentivare la presentazione delle domande di stabilizzazione, alimentando le speranze di un possibile rapido rientro a casa dei precari immessi in ruolo lontano da casa. Speranze che in realtà si scontrano con possibilità oggettive limitate.
5) Per non parlare di casi di errori clamorosi che sono stati segnalati (come insegnanti stabilizzati su sostegno pur non avendone il titolo!) o di abbinamenti inspiegabili (insegnanti stabilizzati su una classe di concorso su cui avevano punteggi molto bassi), che hanno fatto aumentare i dubbi, già molto forti, sulla coerenza della procedura utilizzata dal ministero. Procedura su cui stanno per partire fiumi di ricorsi, e sui quali alcuni “sindacati” o sedicenti tali proveranno come al solito a speculare.
6) Tanti precari hanno usato, per questo piano di assunzioni, il termine “deportazione”, alludendo al trasferimento coatto in altre regioni, termine che il governo e molti pennivendoli di regime (tra cui il noto “giornalista” Enrico Mentana, nonché anche qualcuno dell'Unità) hanno strumentalizzato per aizzare una volgare campagna di denigrazione contro i precari della scuola, tacciati di fannullonismo, dipinti come quelli che “pretendono il posto sotto casa”. Una squallida campagna mediatica finalizzata ovviamente, attraverso una “informazione” parziale e scorretta, a garantire il consenso al governo e ad emarginare i lavoratori della scuola, alienando alla loro lotta la simpatia delle masse.
Ovviamente, quegli stessi giornalisti di sistema scandalizzati dall'uso “improprio” da parte dei docenti del termine “deportazione” non mostrarono il medesimo scrupolo linguistico quando, settimane prima, la ministra Giannini aveva definito “squadristi” un gruppo di insegnanti che la contestava!
7) Si pensi alla recente capitolazione delle dirigenze di alcuni sindacati di “base” all'accordo vergogna sulla rappresentanza sindacale. Contro la capitolazione dei dirigenti di Usb, in particolare, si sta sviluppando una lotta interna da parte di un gruppo combattivo di iscritti che chiede ai propri dirigenti l'immediato ritiro della firma dall'accordo vergogna con la Confindustria: 
http://www.alternativacomunista.it/content/view/2161/78/

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