sabato 31 ottobre 2015

Frosinone. In arrivo nuovi affidamenti alle coop

Comitato di Lotta per il lavoro

Anche a Frosinone il batterio è più forte di tutto il sistema immunitario
Non basta l’anticorpo del presidio lungo 572 giorni sotto la tenda in piazza VI dicembre in attesa che si raggiunga l’agognata costituzione di una società pubblica che ricomprenda i servizi e soprattutto i lavoratori già della Frosinone Multiservizi.
Non basta l’anticorpo degli impegni assunti anche negli ultimi giorni dai consiglieri comunali del capoluogo e dal Presidente della Provincia e della Regione sulla disponibilità nella costituzione di un nuovo soggetto pubblico.
Non basta l’anticorpo delle inchieste di mafia-capitale che segnalano e individuano i pericoli di corruzione stante le azioni e gli interventi non svolti con la dovuta profondità atti a prevenire rischi della corruzione come previsto dal Regolamento Anticorruzione 2015/2017, adottato con DGC 29/2015 dal comune di Frosinone.
 Non basta l’anticorpo della sentenza del tribunale di Frosinone che ha accolto, con il dispositivo di sentenza n. 501/2015, quanto i lavoratori avevano sempre sostenuto, realizzando gli effetti del contratto di lavoro non concluso tra gli ex lavoratori Multiservizi e la Sol.Co Società Cooperativa, facendo ritornare gli orologi indietro di due anni.
Non basta l’anticorpo del rischio che nel caso in cui le coop non ottemperino al risarcimento dei danni, i lavoratori potranno agire nei confronti del Comune di Frosinone per il recupero di quanto dovuto in forza del provvedimento giudiziale, ritenendo i lavoratori come addetti agli appalti che nel corso del tempo hanno interessato le coop.
Non basta l’anticorpo delle norme che vietano lo spacchettamento dei servizi; gli appalti prorogati senza soluzione di continuità; il superamento della soglia economica prevista per un affidamento annuale; il mutamento di contraente con altro affidamento diretto, senza che tuttavia mutassero i referenti; le incessanti proroghe di affidamento alle cooperative sociali di tipo B che durano da due anni e mezzo e sono ancora in corso; le mancate procedure di passaggio dei lavoratori che pure su questo hanno vinto una pesantissima causa giuslavoristica.
Non basta l’anticorpo dell’evidente strumentalità dell’uso delle coop sociali senza che vi fosse il requisito di lavoratori svantaggiati perl’affidamento degli appalti spacchettati ai sensi della legge 381/91.
Tutti questi anticorpi non bastano. Il virus della esternalizzazione, ancora in affidamento al “batterio” cooperative sociali di tipo B, è troppo forte rispetto al sistema immunitario nella gestione dei servizi pubblici. Il virus lo conosciamo, è tutto ideologico, ma come fa ad essere così forte anche il batterio che supera tutte le risposte immunitarie (???) elencate, continuando a gestire allegramente quasi sei milioni di euro in due anni e mezzo?
Dopo una estate all’insegna delle continue, mensili, proroghe (siamo sopra le 85 per 10 servizi in 30 mesi!),  annunciando di seguire la rimodulata legge 381 per affidare i servizi con maggior trasparenza, senza però mai praticarla, continuando invece a prorogarli direttamente sempre agli stessi soggetti, ecco che improvvisamente compare sul sito, il 28 ottobre, la determina 2962 “Affidamento esterno alle Cooperative Sociali di tipo “B” - Servizio manutenzione ordinaria immobili ed attività di supporto alle manifestazioni - Servizio di manutenzione ordinaria della viabilità e dell’arredo urbano - Servizio Assistenza Scuolabus” che approva un allegato (ovviamente non presente sull’albo) per la manifestazione di interesse per anni 1 per la somma di €.535.809,96 da parte delle cooperative sociali di tipo “B” a partecipare alla gara di appalto, richiamando la delibera 2653 (anch’essa non reperibile sull’albo pretorio). Scompare anche, contestualmente, l’accenno alla costituzione della newco, formula usata per giustificare tutte le proroghe del 2015 dopo la denuncia dei lavoratori alla “vigile” Autorità Anticorruzione locale della evidente dimenticanza di prassi amministrative previste per legge.
I lavoratori a cui ufficialmente si risponde che si è in attesa delle deleghe regionali per i servizi della Provincia, chiedono il ritiro di tale delibera e il conseguente avvio della costituzione della newco, unica soluzione alla gestione approssimativa, precaria e insufficiente delle cooperative. Si riuniranno lunedì 2 novembre alle ore 15.30 presso la tenda.
Convocano per mercoledì 4 novembre alle ore 19 i consiglieri comunali per esporre la loro posizione e per sollecitare la il percorso stabilito anche formalmente dagli atti adottati in Consiglio che porti definitivamente alla costituzione della nuova società.
 La Determina de Comune

Nasce il Comitato italiano Contro Assad, al fianco della rivoluzione siriana!

Fabiana Stefanoni
 
(Conferenza stampa del neonato Comitato permanente a sostegno della rivoluzione siriana)

La tragica vicenda dei profughi siriani, costretti a subire quotidianamente repressione e razzismo, nella loro fuga disperata alla ricerca di un luogo dove sopravvivere, ha riportato all'attenzione dei media la vicenda siriana. Decine di migliaia di persone scappano dalla dittatura di Assad e dalla sua sanguinaria repressione, dall'avanzata dell'Isis e, ora, dai bombardamenti della Russia, che avvengono con la complicità della Nato, degli Usa, delle potenze imperialiste europee e di Israele. E' grave, nel contesto della cosiddetta sinistra "radicale" italiana, la forte presenza di posizioni filo-Assad (e ora filo-Putin), che hanno portato, in non pochi casi, anche ad aggressioni a danni di attivisti che sostengono la rivoluzione siriana.
 
Chi sta con Assad?
Il 24 ottobre, a Napoli, durante un corteo contro la Nato, alcune sigle staliniste e pro-Assad (tra cui la Rete dei comunisti e Assadakah), hanno aggredito alcuni attivisti pro-rivoluzione siriana, tra cui una compagna del collettivo Karama-Napoli, Fiore Haneen Sarti, altri due dello Unior pro-Rivoluzione Siriana, e un compagno Algerino, Nadim Dadi, molto conosciuto nei movimenti di lotta napoletani. Quale la colpa di questi compagni? Essersi presentati in manifestazione con le bandiere della rivoluzione siriana.
Non è la prima volta che assistiamo a episodi di questo tipo: a Milano un compagno è stato aggredito in manifestazione per aver esposto la bandiera della rivoluzione siriana al fianco di quella palestinese.
Sono fatti di una gravità inaudita e, per questo, esprimiamo la nostra solidarietà ai compagni aggrediti. Ma non vogliamo limitarci a questo. Pensiamo che sia necessario smascherare le posizioni politiche di coloro che, pur definendosi "antimperialisti", finiscono per schierarsi con i dittatori che, in combutta con l'imperialismo, reprimono nel sangue le rivoluzioni. Posizioni assurde che, per il peso dello stalinismo nella storia del movimento italiano, contaminano anche i movimenti contro la guerra e, soprattutto, alcuni ambienti della sinistra radicale e di movimento (tra cui alcuni centri sociali). Crediamo anche che sia necessario smascherare le posizioni ambigue di chi, certo, non si schiera con Assad, ma non prende posizione a sostegno della rivoluzione, arrivando persino a dire che "oggi la rivoluzione in Siria non c'è più". Per la gioia di Assad, di Putin, di Obama e di Netanyahu.
La Lega Internazionale dei Lavoratori (Lit)-Quarta Internazionale è, fin dall'inizio della rivoluzione, impegnata in una campagna internazionale a sostegno della rivoluzione siriana. In Spagna, i compagni di Corriente Roja (la sezione spagnola della Lit) sono tra i principali promotori di mobilitazioni a sostegno della rivoluzione. In Brasile, in occasione della recente grande manifestazione del 18 settembre a San Paolo contro il governo Dilma e contro le destre, attivisti siriani esponenti del fronte rivoluzionario hanno parlato di fronte a decine di migliaia di manifestanti. In Italia, le cose vanno diversamente: chi sostiene la rivoluzione siriana rischia di essere aggredito nelle manifestazioni contro la guerra. Ma è ora che tutta la sinistra di classe - a partire dai sindacati e dalle organizzazioni (sindacali e politiche) del movimento operaio - apra un dibattito su questi temi, seppellendo le macerie dello stalinismo.
 
E' nato il Comitato permanente a sostegno della rivoluzione siriana
Il 10 e 11 ottobre, a Bologna, nel corso di una due giorni che ha visto la presenza di decine di attivisti, siriani e italiani, provenienti da diverse regioni, si è costituito un Comitato permanente a sostegno della rivoluzione siriana. Sono stati due giorni di dibattiti intensi, con un confronto serrato, che si sono infine concretizzati in un manifesto, condiviso da tutti i presenti.
Tra i partecipanti alla conferenza che hanno condiviso l'esigenza di costruire un comitato permanente a sostegno della rivoluzione siriana c'erano anche i militanti del Pdac e e dei collettivi Unior pro Rivoluzione Siriana e Karama Napoli, questi ultimi vergognosamente aggrediti dagli stalinisti sabato 24 ottobre.
Pensiamo che la nascita di questo Comitato sia un importante passo in avanti - per quanto tardivo - per tentare di rompere, anche in Italia, l'isolamento della rivoluzione siriana: la rivoluzione siriana potrà vincere contro Assad, contro la Russia e le mire coloniali dell'imperialismo - e ovviamente anche contro le bande reazionarie dell'Isis - solo se si svilupperà una rete internazionale in grado di sostenerla, anche concretamente, a partire dalla necessità di una campagna per rifornire i ribelli di armi. Nelle ultime settimane, già si sono svolti alcuni presidi a sostegno della libertà in Siria (in particolare a Milano).
Come Pdac abbiamo l'amaro primato di essere l'unico partito della sinistra di classe, in Italia, che ha preso una posizione chiara di sostegno alla rivoluzione siriana. Tutti i partiti sedicenti comunisti hanno preso o una posizione pro-Assad oppure, in altri casi, una posizione ambigua, di oggettiva dissociazione dalla rivoluzione. 
Tra i primi, ci sono i partiti stalinisti (o filo-stalinisti), come il Partito comunista di Rizzo e il Pdci. Ma anche Rifondazione comunista e altri partiti o organizzazioni della sinistra "radicale" (come il Pcl e La Comune) hanno, su questo terreno, espresso posizioni ambigue, arrivando a dire, per giustificare la loro passività, che "la rivoluzione non esiste più" o ponendo la necessità della costruzione di una direzione rivoluzionaria (necessità che anche noi rimarchiamo) come la condizione preventiva per schierarsi con le rivoluzioni arabe, un evento slegato dallo sviluppo della lotta concreta, da attendere come osservatori passivi invece che al fianco delle masse in lotta (è questo il motivo per cui il Pcl polemizza con il Pdac e la Lit per essersi a suo tempo schierati con la rivoluzione in Libia). Questo atteggiamento del Pcl (e di altri "critici" dei processi rivoluzionari) si spiega col fatto che non è parte di una Internazionale che si sta realmente costruendo. Diverso è il ruolo della Lit-Quarta Internazionale, che non si limita a commentare gli eventi ma si sta costruendo nel cuore della gran parte dei processi rivoluzionari in corso nel mondo.
 
Le mistificazioni del castro-chavismo
Tornando alle posizioni maggioritarie a sinistra, di sostegno al dittatore Assad, pensiamo che abbia giocato un ruolo nefasto il castro-chavismo, che condiziona molti ambienti anche della sinistra di movimento e sindacale in Italia, come alcuni centri sociali e alcuni sindacati (in primis Usb). Di fatto, Chavez (prima di morire) e Castro, dopo lo scoppio della rivoluzione siriana nel 2011, si sono schierati a spada tratta a difesa di Assad, bollando i rivoluzionari come "foraggiati dagli Usa". A tutto questo, va aggiunto il sostegno criminale di Hezbollah a Bashar Al Assad, e l'invenzione di un presunto "fronte anti-imperialista" costituito da Siria, Iran e dalla Russia.
E' così che tanti sedicenti rivoluzionari, anche in Italia, quando è scoppiata la rivoluzione in Siria si sono schierati dalla parte della repressione. A loro dire, schierarsi con Assad era un modo per resistere alla Nato e a Israele e... per difendere la causa palestinese (sic!). Quando, infine, Putin ha cominciato a bombardare (ufficialmente l'Isis, in realtà i ribelli e la popolazione civile) anche lui (l'amico di Berlusconi...) è apparso a costoro come un baluardo dell'antimperialismo.
Eppure, i fatti hanno la testa dura, più dura della cecità di tanti. Bashar Al Assad, per difendere la sua dittatura sanguinaria, non ha esitato a bombardare il campo palestinese di Yarmouk. Non solo: ha più volte cercato di contrattare con gli Usa (quelli che, secondo le interpretazioni del castro-chavismo, dovrebbero essere i nemici numero uno del regime siriano...) per trovare una via d'uscita condivisa dalla crisi. Di più: oggi, Putin e gli Usa sono parimenti convinti che, per cercare di stabilizzare la regione, sia necessario mantenere Assad al potere. E - udite udite - persino Israele si è schierato dalla parte di Putin, nella speranza che l'intervento russo possa evitare che il contagio rivoluzionario infiammi la regione. Certo, la strategia degli Usa in Siria (così come quella della Russia) si articola con tattiche diverse, e sono prevedibili svolte e contro-svolte. E' vero che gli Usa hanno, in passato, sostenuto alcune milizie moderate all'interno del fronte rivoluzionario (mentre oggi sono disposte a sostenere Assad contro l'Isis e contro il rischio di una "destabilizzazione"). Ma questo non è un buon motivo per abbandonare il fronte rivoluzionario e bollarlo come "foraggiato dagli Usa": seguendo il ragionamento degli stalinisti e dei castro-chavisti, bisognerebbe dire che la Resistenza partigiana, in Italia, era al soldo degli Usa e della Gran Bretagna, solo perché gli Alleati hanno sostenuto (con armi e finanziamenti) alcune brigate?
Come Pdac, ci schieriamo al fianco della rivoluzione siriana e pensiamo che solo il suo trionfo, con la cacciata di Assad, possa garantire la libertà alle masse popolari siriane. E' necessario che la rivoluzione mantenga la sua indipendenza dalle mire egemoniche dell'imperialismo e della Russia nella regione e, per questo, pensiamo che debba evolvere, per essere vittoriosa, in rivoluzione socialista.
In Italia, facciamo appello alle forze politiche della sinistra a organizzare la solidarietà alla rivoluzione, rafforzando il neonato Comitato permanente a sostegno della rivoluzione siriana.

Intervista ai compagni aggrediti a Napoli dai filo-Assad

Fabiana Stefanoni

Riportiamo qui un'intervista ai compagni e alle compagne del collettivo Karama di Napoli e Unior pro-Rivoluzione Siriana, a cui va tutta la nostra solidarietà per l'aggressione subita.
 

1) Raccontateci cosa è successo a Napoli il 24 ottobre.
- Premettiamo che eravamo perfettamente consapevoli sia della piattaforma della manifestazione che dei settori pro-Assad che vi avrebbero partecipato, e proprio in merito all’esigenza di scardinare il monopolio che costoro detengono sull’informazione circa la Siria, abbiamo voluto essere in piazza per dare un segnale di rottura, tentando di portare alla luce la vera natura dei pro-regime siriano.
Quando siamo arrivati in Piazza del Gesù, non c’era alcun gruppo tra quelli che ci hanno aggrediti. Mentre stavamo per distribuire il nostro volantino, aprendo le bandiere Palestinesi e quelle della Rivoluzione Siriana, sono sopraggiunti gli aggressori, con bandiere del regime siriano e personaggi mai visti  prima nei cortei napoletani; uno di loro, della Rete NoWar, si è avvicinato urlando e spintonando, affinché uscissimo dal corteo, immediatamente seguito da altri che abbiamo riconosciuto essere della Rete dei Comunisti e di Assadakah, nonché un esponente del blog “Alba Informazione”: siamo stati fisicamente minacciati (“vi spacchiamo l’asta della bandiera in testa”, e altri “inviti” a lasciare il corteo),  e verbalmente tacciati di essere dei “fascisti”,  “amici dei tagliagole al soldo della NATO”,   nonché “filosionisti” ed “imperialisti”. Per quanto possibile nel caos che si era creato, abbiamo prontamente reagito mostrando loro il nostro volantino che chiamava sia al rovesciamento della dittatura decennale degli al-Assad che allo smantellamento dell'Organizzazione del Trattato dell'Atlantica Nord, e dicendo che erano loro a frequentare le piazze con Casa Pound e Forza Nuova, e che israele stesso partecipava alle operazioni militari in Siria a sostegno di Assad.
Pochi minuti dopo è sopraggiunta la Digos a dividerci, invitandoci ad allontanarci sostenendo la giustificazione dei gruppi pro Assad secondo cui la piattaforma e la manifestazione erano state lanciate da loro.
Non abbiamo mai lasciato la piazza, ma ci siamo allontanati di qualche decina di metri per diffondere il nostro volantino ai passanti. E’ stato a questo punto che Nadim, che non era presente all’accaduto, avendo poi visto la bandiera della Resistenza Siriana poco lontano dal settore in cui si trovava, è sopraggiunto invitandoci ad entrare nel corteo: gli abbiamo spiegato cosa fosse successo, e lui ci ha chiesto di avere la bandiera della Siria Libera per farla sfilare insieme a quelle palestinesi.
Dopo un tentativo da parte nostra di dissuaderlo, lui ha insistito per averla, certo del fatto che i compagni del centro sociale non avrebbero lasciato che qualcosa accadesse.
Purtroppo, il carattere squadrista dei gruppi pro-Assad è emerso, e per ben tre volte hanno aggredito Nadim: la prima volta,  l’esponente della Rete NoWar in persona ha raggiunto Nadim dal fondo del corteo, chiedendogli “diplomaticamente” di mettere giù la bandiera; dopo il rifiuto di Nadim, un gruppetto di quelli che abbiamo riconosciuto come esponenti pro Assad di Roma lo hanno aggredito per due volte, finanche dentro un vicolo, colpendolo con aste e pugni. Solo l’intervento dei compagni e delle compagne dello Ska hanno evitato il peggio, e gli stessi hanno cacciato fuori dal corteo i picchiatori.
 
2) Quali forze politiche rappresentano i personaggi che vi hanno aggrediti?
- Le sigle sono: Rete NoWar, rete dei Comunisti, Assadakah, e “Alba Informazione”.
Le prime due sono ben note a Napoli e in Italia, si autodefiniscono “antimperialisti” ed “antifascisti”, e le loro sono posizioni staliniste, sia nei metodi che nei contenuti; si sono “distinte” anche in altre manifestazioni in cui hanno aggredito compagne/i che sfilavano con la bandiera della Resistenza Siriana. Il caso di Riccardo Bella di Milano è eloquente, insieme ai troppi casi in cui a Roma i compagni siriani e romani hanno ricevuto minacce.
Quanto ad Assadakah,  è un’organizzazione venuta alla ribalta nel 1995, con sede ufficiale a Roma e Napoli, attiva in aperto sostegno al regime siriano e che ha tra i suoi obiettivi quello di “operare per lo sviluppo dei rapporti tra Italia, l’Europa e il mondo arabo-islamico”.
Dalle ricerche effettuate, emergerebbe che tra i fondatori ci sia Talal Khrais, scrittore e giornalista libanese. Ultimamente, la stessa associazione avrebbe “preso le distanze” da Khrais.
(
 http://www.assadakah.it/dettaglio-attivita536/Nasce-a-Piacenza-l-Associazione-Assadakah-Emilia-Romagna )
(
 http://assadakahsardegna.com/in-evidenza/assadakah-prende-le-distanze-da-talal-khrais-agisce-a-titolo-personale-non-fa-parte-e-non-rappresenta-la-federazione )
“Alba Informazione”, invece, è un’associazione di ispirazione chavista, ed in Italia sostiene posizioni del M5S in materia di politica mediorientale.
 
3) Il fronte pro-Assad è trasversale alla destra e alla sinistra. I vostri aggressori vi hanno chiamati "fascisti", mentre in realtà i fascisti in Italia sostengono Assad. Potete farci qualche esempio?
- In diverse occasioni, elementi di Casa Pound e di Forza Nuova hanno apertamente tenuto conferenze ed incontri in sostegno al regime siriano, spesso in “collaborazione” con esponenti sedicenti “di sinistra”. E’ del giugno 2013, ad esempio (quindi due anni dopo l’inizio ufficialmente riconosciuto della Rivoluzione Siriana), l’invio a Damasco di una delegazione italiana del “Fronte Europeo per la Siria”, guidata dall’associazione romana di estrema destra “Zenit”, e propagandata da Casa Pound. Nella stessa delegazione, Ouday Ramadan (del PdCI), che con Casa Pound stessa ha promosso manifestazioni a sostegno del dittatore Assad. Lo stesso vale per i rossobruni “Stato e Potenza”, “Eurasia” e “Millennium”. https://vicinoriente.wordpress.com/2013/09/04/fascisti-e-comunisti-italiani-a-damasco-per-assad/
Anche il Front National di Marine Le Pen sostiene il regime siriano.
Il 31 maggio del 2012, invece, appena un anno dopo l’inizio della sanguinaria repressione dei siriani da parte del regime, a Roma si radunavano in piazza esponenti di destra e alcune delle sigle che ci hanno aggredito a Napoli.
 
4) Come vi spiegate la forte ostilità alla rivoluzione siriana negli ambienti della cosiddetta sinistra "antimperialista"?
Ce la spieghiamo considerando come la visione meramente geopolitica degli eventi (nel medioriente come altrove) abbia consolidato un’artificiosa, e oggi forzata, lettura della divisione del mondo tra imperialismo occidentale e sue presunte “vittime”, cioè regimi e governi di quelle regioni  in cui il sistema di dominio si è affermato in seguito a processi che noi tutti conosciamo.
E, secondo noi, tale visione da sola non spiega tutto, finendo con l’essere estremamente “funzionale” al dominio stesso poiché non solo non riesce a vedere, ma anche nega apriori la necessità che esso ha avuto, nel corso dei decenni, di foraggiare interlocutori che da una parte condividevano gli stessi interessi economici e di potere, e dall’altra contribuivano a dividere ed imperare. Così è stata creata la falsa idea nell’opinione pubblica internazionale che quei regimi e governi fossero antimperialisti. Naturalmente, questo ha portato a considerare come imperialista solo l’Occidente, gli USA, svuotando il termine della sua specificità: se si continua a negare, ad esempio, che la Russia di Putin, o la Cina, o il regime nordcoreano, o lo stesso regime siriano siano altrettanto espansivi nei loro processi di sviluppo capitalistico e di dominio sulle società civili interne e in altre aree della regione, allora siamo di fronte ad un problema.
Nello specifico del regime di Assad, la Siria è stata inserita nel cosiddetto “asse della resistenza”, cioè quell’insieme di alleanze in Medioriente che comprende l’Iran, Hezbollah, e per richiamo ideologico anche Russia e Cina. Ovvio che per questi settori fortemente ideologizzati a difesa di stati e nazioni (lo stalinismo è ancora vivo, ahinoi), non solo la Rivoluzione Siriana, ma anche le stesse Primavere Arabe, sono state tacciate come “operazioni imperialiste” perché tendevano (e tendono) a mettere in discussione gli stessi pilastri ideologici su cui detti settori basano la loro lettura degli eventi. E costoro, si permettono perfino di parlare di appoggio alla causa Palestinese, perfino oggi, di fronte alla “disinibita” collaborazione tra Israele e Russia in terra siriana a sostegno del regime di Assad.
Per concludere, l’errore di fondo è criticare un solo potere, non IL potere in sé, con il suo bisogno di cambiare faccia ed interlocutori per autosostenersi e mantenere il dominio.
 
5) Infine, raccontateci l'attività del collettivi Karama e Unior pro Rivoluzione siriana e diteci cosa ne pensate della nascita del Comitato permanente a sostegno della rivoluzione siriana.
- Il Comitato Karama-Napoli in appoggio ai popoli arabi si è costituito da qualche anno tra mille difficoltà,considerando i numerosi boicottaggi e aggressioni mediatiche verso chi sostiene la resistenza siriana; il nostro obiettivo è realizzare iniziative di informazione sulla lotta di liberazione Palestinese, sulle rivoluzioni arabe, in particolare sulla Siria, vista la tragedia umana di un popolo che è tuttora sotto i barili bomba del regime e sotto ai raid aerei di Russia e coalizione internazionale a guida USA, che per 5 anni è rimasto a guardare il massacro cercando di darsi una parvenza di “avversione” per Assad, ma reggendogli il gioco.  Nostro obiettivo è anche diffondere informazione sulla cultura di questi popoli,  in collaborazione con Unior pro Rivoluzione Siriana e tutti quei soggetti, associazioni o singoli, che vorranno unirsi a noi.
- Unior pro Rivoluzione siriana è nata nel marzo del 2012 in occasione del primo anniversario della Rivoluzione siriana, subito a ridosso del massacro lealista della popolazione civile del quartiere di Bab Amr a Homs (febbraio 2012). E’ composto principalmente da studenti, laureati e dottorandi, ma vi partecipano anche docenti che hanno avuto il coraggio di rompere il muro dell'omertà dentro all'ateneo che a livello del Continente europeo studia da più tempo le società mediterannee. Molti di Unior pro-RS sono stati in Siria per imparare l'arabo e si sono  legati anche personalmente con le persone del posto. Quando la repressione feroce di Stato è diventata sistematica in Siria, abbiamo sentito un fortissimo bisogno di raggruppare le nostre forze per fronteggiare la barbarie. Subito abbiamo fatto corpo e abbiamo sconfitto cinismo e solitudine. Negli anni abbiamo organizzato mostre, proiezioni, conferenze e manifestazioni, il tutto in un contesto però molto pesante per l'assenza marcata a Napoli di solidarietà attiva con la Rivoluzione siriana. Per troppo tempo dunque siamo rimasti una bandiera isolata, anche se sempre molto fieri della nostra determinazione.
Naturalmente, salutiamo la nascita del Comitato Permanente a sostegno della Rivoluzione Siriana come l’inizio di una nuova era di riscatto. Perciò, dobbiamo assolutamente strutturare meglio a livello nazionale e internazionale il supporto alla richiesta di Dignità e di Libertà non solo dei Siriani, ma di tutti i popoli che lottano per la loro autodeterminazione. Questo implica sconfiggere i nostri avversari proprio laddove loro operano già da anni, se non da decenni: la divisione tra i popoli.
Crediamo infatti che, oggi più che mai, l’Internazionalismo sia l'unica vera risposta.
 

venerdì 30 ottobre 2015

Espianto di un sindaco Ogm

Luciano Granieri

Capita raramente , ma capita. Anche nei più asettici  laboratori di microbiologia e genetica  è possibile che qualche gene scappi dal controllo e si crei un organismo geneticamente modificato, la cui variazione  non sia  stata pianificata.  

E’ accaduto nel 2013 presso  il laboratorio piddino incaricato di selezionare gli organismi candidati a sindaco della città di Roma. Nella sperimentazione  delle primarie  la sterilizzazione democratica non fu  così attenta. Del resto a guidare il Pd  non c’era ancora  Matteo Renzi, uno che in quanto a sterilizzazione della democrazia non è secondo neanche a Mussolini.  

Accade che i candidati geneticamente puri come il giornalista David Sassoli o addirittura l’ariana renziana  Patrizia Prestipino  dovettero  soccombere. Il  gene scappato andò  a modificare il dna del candidato vincitore. Quell’Ignazio Marino che, vedi tu il caso della genetica, sconfisse  Alemanno e approdò inopinatamente  in Campidoglio. 

Dove hanno agito i geni maligni? Siamo comunque all’interno di un quadro genotipico proprio di un sindaco borghese, anti operaio e nemico dei lavoratori.  I geni malandrini hanno alterato l’asservimento a certi poteri che da sempre comandano su Roma ( Il Vaticano, i signori della finanza e del mattone padroni della Capitale). 

Un sindaco geneticamente perfetto avrebbe sicuramente  smembrato e cercato di svendere la parte pubblica della città, immobili e società partecipate (Acea , Atac, Ama), offrendole su un piatto d’argento ai già citati signori della finanza, così come Marino si apprestava a fare. Ma per altri versi il sindaco geneticamente perfetto, mai si sarebbe sognato di offendere il Vaticano  segnando  in un apposito registro  le nozze di cittadine e cittadini  omosessuali consumatesi all’estero, né   avrebbe mai osato andare a rompere i coglioni in certi consigli di amministrazione, tipo Acea, pretendendo di metter bocca negli affari dei vari Caltagirone,  o multinazionali come  Gdf.  

Alta finanza, lobbisti, e Vescovi, subito si risentirono  con il nuovo padrone del Pd. Quel  Matteo Renzi ,  nel frattempo   incoronato despota dei riformisti (anti)democratici    grazie a primarie  questa volta ben sterilizzate,  e padrone della nazione per evidente  furto di consenso elettorale. Un ducetto messo li proprio da finanzieri e lobbisti a perorare la causa della speculazione e dell’evasione contro i diritti dei cittadini. 

In tale contesto un organismo geneticamente modificato, per errore,  non poteva  pregiudicare  il tranquillo procedere  dell’istituto  biogenetico romano . Una rassicurante routine fatta  di   scorribande speculative fondiarie e finanziarie perpetrate dai soliti noti all’interno della Città Eterna,  attività da intensificarsi  in vista della kermesse cattolica per eccellenza, quale l’apertura della Porta Santa. 

I signori di Roma tuonarono e reclamarono  il ripristino dell’eugenetica.  Il loro feroce burattino doveva sterilizzare Roma a tutti i costi. Il sindaco Ogm andava neutralizzato. Una sterilizzazione invasiva, ma necessaria ,  tale  da pregiudicare l’elezione di un altro sindaco Pd, magari geneticamente più puro. 

Vedi quando i laboratori della primarie combinano casini? Vedi quando gli anticorpi al virus della democrazia non sono efficienti?  Ormai l’errore era fatto e andava  riparato a tutti i costi. 

Dunque via il sindaco geneticamente modificato, ma attenzione a  commettere altri errori. Massima sterilizzazione dei principi democratici. Vietate mozioni di sfiducia e passaggi in aula consiliare, così come il rispetto verso i cittadini elettori avrebbe imposto. Avanti con le dimissioni in massa dei  consiglieri ex amici , costretti a firmare sotto la minaccia di una siringa infetta che ne avrebbe pregiudicato le future mire politiche in caso di disubbidienze inconsulte. 

Si consuma   l’espulsione del   corpo estraneo . Ora  sarà difficile ricostruire un genotipo di sindaco compatibile  dopo che il laboratorio del Pd è stato devastato dalla vicenda. Né la sterilizzazione dal gene infetto della democrazia può arrivare al punto di evitare le elezioni in primavera. 

Come scongiurare dunque la colonizzazione cellulare penta stellata del Campidoglio? Bisogna ancora intervenire in laboratorio.  Provare a generare un organismo anch’esso geneticamente modificato ma in un altro senso. Partire da  un genotipo  diverso,  proprio di un magistrato, di un prefetto, al quale innestare  il gene dell’asservimento al burattino segretario presidente, manovrato  dai burattinai della speculazione finanziaria e fondiaria. Alcuni genotipi sono già stati individuati e sembrano ricettivi, Cantone su tutti. Certo l’esperimento è azzardato assai, ma oggi la moderna microbiologia fa miracoli.

Disoccupazione in Provincia. Mancano le risposte dalla Regione

Il segretario del pcdi di frosinone

Della Posta Oreste

La Direzione provinciale del PCd’I ha esaminato ancora una volta la gravissima e drammatica situazione degli oltre 130000 disoccupati del frusinate. A oggi dopo oltre un mese dall’incontro del 24 settembre svolto presso l’assessore Lucia Valente non ci sono segnali di una qualche volontà d’intervento tempestivo e adeguato all’urgenza.
Si è parlato di “Reddito di Cittadinanza attiva”. Ma purtroppo sa di solo annuncio perché se si respinge la proposta di rifinanziamento di una legge assai simile, perfettibile, ma esistente, con l’argomento che non ci sono soldi, come si fa a promettere una nuova legge con le stesse finalità? Perché per la nuova ci sarebbero i fondi? Dove? Ci pare che sia una cosa tutta da vedere, senza costituire minimamente un’iniziativa che possa concretarsi in tempi brevi quali l’emergenza frusinate richiede con la massima urgenza. Eppure in quella sede del 24 settembre si è parlato che la proposta sarebbe stata portata al prossimo consiglio regionale. Da quel giorno se ne sono svolti già alcuni. Ma, nulla. Quella legge è indispensabile oggi e non può diventare una bandierina da sventolare in vista di elezioni.
Non s’è parlato d’altro, se non dei progetti futuri della Regione, esaminare le altre richieste della Piattaforma della Vertenza Frusinate chi i comunisti frusinati giudicano un ottimo documento di proposte concrete e realizzabili. Ricordiamo a tutti, per citare uno di questi obiettivi, che al punto 4 viene proposto «un alleggerimento della pressione fiscale locale sui nuclei familiari in difficoltà, ma anche con un intervento serio, possibilmente insieme alla Regione, verso le società di servizi (acqua, luce, gas, telefoni ecc) perché partecipino a fronteggiare l’emergenza;»
Inoltre si chiede ai Comuni ma anche alle associazioni di volontariato «l’istituzione di Sportelli per il Lavoro Occasionale che mettano in comunicazione esigenze di prestazioni e bisogno di lavoro anche temporaneo: piccoli lavori di sistemazione o rinnovo ambienti di case, giardinaggio, data enter, sostegno scolastico agli studenti e tante altre esigenze reali.»
Nell’incontro del 24 settembre non c’è traccia di confronto su queste proposte. Perché? Non ci si dica che non competono alla Regione. Non sta scritto da nessuna parte che la Regione legifera solo sulla base di input dall’alto nazionali ed europei, come sembra fare, ma è anche organo politico d’indirizzo e perché non darlo soprattutto dove neppure dovrebbe spendere denaro?
Ebbene ci sono lavori da svolgere? Ai comuni non si chiede di assumere, ma solo di legittimare elenchi a cui possano attingere privati cittadini o imprese utilizzando disoccupati in base alla legge come ricordato poco prima.
Nei comuni ci sono imposizioni fiscali da pagare, perché non defiscalizzarle per le famiglie interessate con una delibera ad hoc che indichi i parametri temporali di durata e l’entità dell’alleggerimento attingendo i nomi dagli elenchi comune per comune già pronti presso l’Ufficio provinciale per l’Impego?
I comunisti ciociari vogliono che non si dimentichino queste esigenze e chiedono che abbiano risposte urgenti. I
Il PCd’I chiama tutti i suoi iscritti e simpatizzanti a lottare con chi soffre e a mobilitarsi per chiedere al Consiglio regionale che discuta subito e approvi la Mozione firmata da tutte le opposizioni sull’emergenze frusinate.

La polizia contro Pasolini, Pasolini contro la polizia

Wu Ming1


1. “Quel bastardo è morto”
Elisei Marcello, di anni 19, muore alle tre di notte, solo come un cane alla catena in una casa abbandonata. Muore dopo un giorno e una notte di urla, suppliche, gemiti, lasciato senza cibo né acqua, legato per i polsi e le caviglie a un tavolaccio in una cella del carcere di Regina Coeli. Ha la broncopolmonite, è in stato di shock, la cella è gelida. I legacci bloccano la circolazione del sangue. Da una cella vicina un altro detenuto, il neofascista Paolo Signorelli, sente il ragazzo gridare a lungo, poi rantolare, invocare acqua, infine il silenzio. La mattina, chiede lumi su cosa sia accaduto. “Quel bastardo è morto”, taglia corto un agente di custodia. È il 29 novembre 1959.
Marcello Elisei stava scontando una condanna a quattro anni e sette mesi per aver rubato gomme d’automobile. Aveva dato segni di disagio psichico. Segni chiarissimi: aveva ingoiato chiodi, poi rimossi con una lavanda gastrica; il giorno prima aveva battuto più volte la testa contro un muro, cercando di uccidersi. I medici del carcere lo avevano accusato di “simulare”. Le guardie lo avevano trascinato via con la forza e legato al tavolaccio.
Il 15 dicembre si dimette il direttore del carcere Carmelo Scalia, ufficialmente per motivi di salute. A parte questo, per la morte di Elisei non pagherà nessuno. Inchieste e processi scagioneranno tutti gli indagati.
Leggendo della vicenda, Pier Paolo Pasolini rimane sconvolto. “Non so come avrei scritto un articolo su questa orribile morte”, dichiara alla rivista Noi donne del 27 dicembre 1959. “Ma certamente è un episodio che inserirò in uno dei racconti che ho in mente, o forse anche nel romanzo Il rio della grana”. Un romanzo rimasto incompiuto, poi incluso tra i materiali della raccolta Alì dagli occhi azzurri (1965). Se dovessi scrivere un’inchiesta, aggiunge, “sarei assolutamente spietato con i responsabili: dai secondini al direttore del carcere. E non mancherei di implicare le responsabilità dei governanti”.
L’agonia e la morte in solitudine di Marcello Elisei scaveranno a lungo dentro Pasolini, fino a ispirare il finale di Mamma Roma (1962). Ma nel 1959 Pasolini non è ancora un regista. Ha 37 anni, è autore di raccolte poetiche, sceneggiature e due romanzi che hanno fatto scalpore: Ragazzi di vita e Una vita violenta. Ha già subìto fermi di polizia, denunce, processi. Per censurare Ragazzi di vita si è mossa direttamente la presidenza del consiglio dei ministri. Eppure, a paragone dello stalking fascista, del mobbing poliziesco-giudiziario e del linciaggio mediatico che l’uomo sta per subire, questa è ancora poca roba.
Nel libro collettaneo Pasolini: cronaca giudiziaria, persecuzione, morte(Garzanti 1977) Stefano Rodotà riassume la questione in una frase: “Pasolini rimane ininterrottamente nelle mani dei giudici dal 1960 al 1975”. E anche oltre, va precisato. Post mortem. Rodotà parla di “un solo processo”, lunga catena di istruttorie e udienze che trascinò Pasolini decine e decine di volte nelle aule di tribunale, perfino più volte al giorno, tra umiliazioni e vessazioni, mentre fuori la stampa lo insultava, lo irrideva, lo linciava.

2. Il giornalismo libero
“Siamo ovviamente d’accordo contro l’istituzione della polizia”.
L’uomo che nel giugno 1968 scrive questo verso ha già sulle spalle quattro fermi di polizia, 16 denunce e undici processi come imputato, oltre a tre aggressioni da parte di neofascisti (tutte archiviate dalla magistratura) e una perquisizione del proprio appartamento da parte della polizia in cerca di armi da fuoco. “Appena avrò un po’ di tempo”, scrive in un appunto inedito, “pubblicherò un libro bianco di una dozzina di sentenze pronunciate contro di me: senza commento. Sarà uno dei libri più comici della pubblicistica italiana. Ma ora le cose non sono più comiche. Sono tragiche, perché non riguardano più la persecuzione di un capro espiatorio […]: ora si tratta di una vasta, profonda calcolata opera di repressione, a cui la parte più retriva della Magistratura si è dedicata con zelo…”. E ancora: “Ho speso circa quindici milioni in avvocati, per difendermi in processi assurdi e puramente politici”.
Oggi è difficile, quasi impossibile cogliere la portata della persecuzione subita ogni giorno da Pasolini in 15 anni. La mostra Una strategia del linciaggio e delle mistificazioni, inaugurata nel 2005 e da poco riallestita alla sala Borsa di Bologna, restituisce appena tenui riverberi. Non può che essere così, per capire bisognerebbe calarsi nell’abisso  come ha fatto Franco Grattarola, autore di Pasolini. Una vita violentata (Coniglio 2005) – e ripercorrere la sfilza dei pestaggi a mezzo stampa. Toccare con le dita un’omofobia da sporcarsi solo a immaginarla. Soppesare l’intero corpus fradicio di articoli, denso come un grande bolo di sterco e vermi.
Tra i quotidiani si fa notare soprattutto Il Tempo, ma è la stampa periodica di destra a tormentare Pasolini in maniera teppistica e ininterrotta. Rotocalchi come Lo Specchio e Il Borghese si dedicano alla missione con entusiasmo, con reporter e corsivisti distaccati a tallonare la vittima, a provocarla, a colpirla in ogni occasione, con titoli come “Il c..o batte a sinistra” e lo stile inconfondibile oggi ereditato da Libero – per citare una sola testata.
Sulle pagine del Borghese si distinguono nel killeraggio il critico musicale Piero Buscaroli e il futuro autore e regista televisivo Pier Francesco Pingitore, fondatore del Bagaglino. Altre invettive giungono dallo scrittore Giovannino Guareschi e, in un’occasione, dal critico cinematografico Gian Luigi Rondi, ma la regina dell’antipasolinismo è senza dubbio Gianna Preda, pseudonimo di Maria Giovanna Pazzagli Predassi (1922-1981), poi cofondatrice – indovinate – del Bagaglino.
Celebrata ancora oggi su un blog di destra come “la signora del giornalismo libero”, “fuori dal coro”, “mai moralista né oscurantista” e via ritinteggiando, Preda coltiva nei confronti di Pasolini un’autentica ossessione omofobica, sessuofobica e – ça va sans dire – ideologica. Sovente si riferisce allo scrittore/regista chiamandolo “la Pasolina”. Per gli omosessuali, descritti come artefici di loschi complotti, conia il termine “pasolinidi”. Va avanti per anni – proseguendo anche dopo la morte di PPP – a scrivere cose del genere:

"[Pasolini] ha potuto, con immutata disinvoltura, continuare a confondere le questioni del bassoschiena con quelle dell’antifascismo […] Una segreta alleanza […] fa dei ‘capovolti’ il partito più numeroso e saldo d’Italia; un partito che, attraverso i suoi illustri esponenti, finisce sempre col far capo o col rendere servizi al Pci […] Il ‘capovolto’ sente, a naso, quel che gli conviene e dove deve appoggiarsi, se non vuole rendere conto all’opinione pubblica di quello che essa giudica ancora un vizio […] Così nasce un nuovo mito… [A celebrarlo] pensano poi i giornali di sinistra, che riescono a camuffare da eroismo la paura segreta di questo o quel ‘capovolto’ clandestino. Luminose saranno le sorti dei pasolinidi d’Italia. Già si avvertono i segni delle fortune di coloro che hanno scoperto troppo tardi il vantaggio d’esser pasolinidi […] Se avremo, dunque, nuovi scontri con i marxisti […] prima di pensare a coprirci il petto, preoccupiamoci di coprirci le terga…"
Il “metodo Boffo” giunge da lontano. E anche i complottismi sulla malvagia “teoria del gender”.
L’equivalente di Gianna Preda sullo Specchio è lo scrittore ex repubblichino Giose Rimanelli, celato dietro il nom de plume A. G. Solari. Com’è ovvio, attacchi forsennati a Pasolini giungono anche dal Secolo d’Italia, ma un lavorìo più subdolo e influente di character assassination ha luogo sulla stampa popolare nazionalconservatrice, quella di riviste come Oggi e Gente.
Si va molto più in là, purtroppo. Pasolini sembra essere la cartina di tornasole del peggio. Nel 1968 il regista Sergio Leone, interpellato dal Borghese, sente l’urgenza di commentare così le polemiche sul filmTeorema: “Sono convinto che tanti film sull’omosessualità hanno fatto diventare del tutto normale e legittima questa forma di rapporto anormale”. Perfino su Il manifesto si trovano battute omofobe: “La tesi [di Pasolini] ridotta all’osso (sacro) è molto chiara…” (21 gennaio 1975). Come ha scritto Tullio De Mauro:
"I fiotti neri finiscono con l’inquinare anche acque relativamente lontane. Il linguaggio verbale non è fatto solo di ciò che diciamo e udiamo. È fatto anche di ciò che, nella memoria comune, circonda e alona il detto e l’udito. Il non-detto pesa accanto al detto, ne orienta l’apprezzamento e intendimento. Chi legge nell’Espresso del 18 febbraio 1968 il pezzo Pasolini benedice i nudisti con foto di giovanotto ciociaro nudo a cavallo di violoncello, è coinvolto dagli effetti del fiotto nero d’origine fascista, gli piaccia o no e lo volessero o no i redattori del settimanale radical-socialista."


È una vasta campagna a favorire, o meglio, istigare non solo le azioni poliziesche e giudiziarie, ma anche le aggressioni fisiche da parte di fascisti. Fascisti mai toccati dalla magistratura, che poi finiranno in diverse inchieste sulla strategia della tensione, come Serafino Di Luia, Flavio Campo e Paolo Pecoriello.
Il 13 febbraio 1964, davanti alla Casa dello studente di Roma, una Fiat 600 cerca di investire un gruppo di amici di Pasolini che difendevano quest’ultimo da un agguato fascista. A guidare l’auto è Adriano Romualdi, discepolo di Julius Evola e figlio di Pino, deputato e presidente del Movimento sociale italiano (Msi). L’episodio è riportato con dettagli e fonti in tutte le biografie di Pasolini, mentre è assente dalla voce che Wikipedia dedica a Romualdi.
Pasolini non querela, né per le diffamazioni a mezzo stampa né per le aggressioni fisiche. È una scelta meditata: non vuole abbassarsi al livello dei suoi persecutori. Inoltre, se querelasse non farebbe che aumentare la già enorme quantità di tempo che trascorre in tribunale.
3. Come mai?
Come mai una simile persecuzione? Perché era omosessuale? Tra gli artisti e gli scrittori non era certo l’unico. Perché era omosessuale e comunista? Sì, ma nemmeno questo basta. Perché era omosessuale, comunista e si esprimeva senza alcuna reticenza contro la borghesia, il governo, la Democrazia cristiana, i fascisti, la magistratura e la polizia? Sì, questo basta. Sarebbe bastato ovunque, figurarsi in Italia e in quell’Italia.
Pier Paolo Pasolini a Roma, nel 1967. 

Pasolini, ha scritto Alberto Moravia, scandalizzava quella “borghesia italiana che in quattro secoli ha creato i due più importanti movimenti conservatori d’Europa, cioè la controriforma e il fascismo”.
La borghesia italiana si è vendicata e, in modi più obliqui, continua a vendicarsi. La fandonia di “Pasolini che stava con la polizia”, ripetuta dai fascisti, dai perbenisti e dai falsi anticonformisti di oggi, prosegue larévanche dei fascisti, dei perbenisti e dei falsi anticonformisti di ieri.
Anche l’apologia postuma di un Pasolini semplificato, appiattito, lucidato e ridotto a santino fa parte della révanche.
4. “Non potranno mentire in eterno”
Nel marzo 1960 Fernando Tambroni, già ministro dell’interno e poi del bilancio, diventa capo di un governo monocolore Dc. L’esecutivo si forma grazie ai voti dei parlamentari missini. Appena quindici anni dopo la liberazione, una forza neofascista si avvicina all’area di governo. Proteste e disordini esplodono in tutto il paese. Il 30 giugno, decine di migliaia di manifestanti si scontrano con la polizia a Genova, città operaia e partigiana scelta dall’Msi per il suo congresso. Il 7 luglio, a Reggio Emilia, polizia e carabinieri sparano su una manifestazione sindacale uccidendo cinque persone. Il 19 luglio, Tambroni si dimette.
La rivista Vie nuove – su cui Pasolini tiene una rubrica dove dialoga con i lettori – produce all’istante un disco sull’eccidio di Reggio Emilia. Si tratta della registrazione della sparatoria. Su Vie nuove, anno XV, numero 33, del 20 agosto 1960, Pasolini commenta: “Quello che colpisce […] è la freddezza organizzata e meccanica con cui la polizia ha sparato: i colpi si succedono ai colpi, le raffiche alle raffiche, senza che niente le possa arrestare, come un gioco, quasi con la voluttà distratta di un divertimento”.
Sono i giorni del processo al criminale nazista Eichmann, e Pasolini collega le due storie:

"Egli uccideva così, con questo distacco freddo e preveduto, con questa dissociazione folle. È da prevedere che le giustificazioni dei poliziotti […] saranno del tutto simili a quelle già ben note… Anch’essi parleranno di ordini, di dovere ecc. […] La polizia italiana… si configura quasi come l’esercito di una potenza straniera, installata nel cuore dell’Italia. Come combattere contro questa potenza e questo suo esercito? […] Noi abbiamo un potente mezzo di lotta: la forza della ragione, con la coerenza e la resistenza fisica e morale che essa dà. È con essa che dobbiamo lottare, senza perdere un colpo, senza desistere mai. I nostri avversari sono, criticamente e razionalmente, tanto deboli quanto sono poliziescamente forti: non potranno mentire in eterno."

Nel 1961 Pasolini gira il suo primo film, Accattone. In un paese dove si legge pochissimo, il cinema è potenzialmente più pericoloso della letteratura.
La riprovazione borghese, la censura e la repressione scatenate dai film di Pasolini (tutti, nessuno escluso) saranno incommensurabilmente maggiori di quelle scatenate dai libri e dagli articoli. Se poi in un film riemerge la storia di come morì Marcello Elisei…
Nel 1962, il finale di Mamma Roma – film che scatena violenze fasciste ed è subito proibito dalla censura – mostra il giovane Ettore che muore in prigione, gemente, febbricitante e invocante la mamma, legato in mutande e canottiera a un letto di contenzione. “Aiuto, aiuto, perché mi avete messo qua?… Non lo faccio più, lo giuro, non lo faccio più… So’ bono, adesso… Mamma, sto a mori’ de freddo… Sto male… Mamma!… Mamma, sto a mori’… È tutta notte che sto qua… Nun je ‘a faccio più…”.
Il 31 agosto 1962 il tenente colonnello Giulio Fabi, comandante del gruppo carabinieri di Venezia, denuncia Mamma Roma per oscenità e si premura di aggiungere: “Si fa presente che l’autore e regista Pasolini e uno degli interpreti, il Citti, dovrebbero avere precedenti penali presso il tribunale di Roma”. Tra coloro che seguono e apprezzano Pasolini circola l’ipotesi che a irritare l’arma sia stato il finale del film.
Da qui in avanti, Pasolini è investito da un’onda d’urto censoria e repressiva che non ha corrispettivi nella carriera di altri artisti italiani.
5. “Distruggere il Potere”
Ecco il senso dell’avverbio “ovviamente”, usato da Pasolini per rafforzare una premessa che ritiene importante. È del tutto ovvio che PPP sia contro l’istituzione della polizia.
Ancora più ovvio il verso che segue: “Ma provate a prendervela con la magistratura, e vedrete!”. Quella magistratura che tanto ha perseguitato, continua e continuerà a perseguitare Pasolini, anche dopo la morte.
È a partire da questa posizione che l’autore della poesia Il Pci ai giovaniaffida a un mucchio di “brutti versi” – definizione sua – una riflessione confusa, che deraglia subito e diventa uno sfogo, un’invettiva antiborghese. Come scriverà poco dopo: “Sono troppo traumatizzato dalla borghesia, e il mio odio verso di lei è ormai patologico”.
Ma per quanto l’invettiva possa essere brutta sul piano formale e carente di focus nei contenuti, dopo averla letta tutta (tutta intera, non solo i 4-5 versi estrapolati e branditi come randelli da questo o quello scagnozzo) è difficile concludere che “Pasolini stava con la polizia”.
Pasolini descrive i poliziotti che si sono scontrati con gli studenti a Valle Giulia come “umiliati dalla perdita della qualità di uomini / per quella di poliziotti”. L’istituzione della polizia disumanizza. Per questo gli studenti – “quei mille o duemila giovani miei fratelli / che operano a Trento o a Torino, / a Pavia o a Pisa, / a Firenze e un po’ anche a Roma” – sono comunque “dalla parte della ragione” e la polizia “dalla parte del torto”. Se non si capisce questo, non si coglie l’intento paradossale di Pasolini. Il paradosso gli serve a precisare che la vera rivoluzione non la faranno mai gli studenti, perché sono figli di borghesi. Al massimo potranno fare una “guerra civile”, in questo caso generazionale, in seno alla borghesia. La rivoluzione, dice Pasolini, possono farla solo gli operai, ai quali la grande stampa borghese non leccherà mai il culo, come invece – nell’iperbole pasoliniana – sta facendo con gli studenti. Sono gli operai il vero pericolo per il potere capitalistico, dunque saranno loro a subire la repressione poliziesca più pesante: “La polizia si limiterà a prendere un po’ di botte dentro una fabbrica occupata?”, si chiede retoricamente l’autore. Quindi, è proprio là che dovranno trovarsi gli studenti, se vogliono essere rivoluzionari: tra gli operai. “I Maestri si fanno occupando le Fabbriche / non le università”. Ma soprattutto, gli studenti devono riprendere in mano “l’unico strumento davvero pericoloso / per combattere contro i [loro] padri: / ossia il comunismo”. Pasolini li invita a impadronirsi del Pci, partito che ha “l’obiettivo teorico” di “distruggere il Potere” (quell’estinzione dello stato che Marx pone a obiettivo finale della lotta di classe e del socialismo) ma è finito in indegne mani, le mani di “signori in modesto doppiopetto”, “borghesi coetanei dei vostri stupidi padri”. Occupare le federazioni del Pci, dice Pasolini, aiuterebbe il partito a “distruggere, intanto, ciò che di borghese ha in sé”.
Questa esortazione occupa tutta la seconda metà del testo, ma – guarda caso – non viene mai citata.
Lo so, ti gira la testa. Ti avevano detto che Il Pci ai giovani parlava bene della repressione poliziesca. Hai sentito versi di questa poesia citati da pubblici ministeri mentre chiedevano pene pesantissime per i No Tav. Li hai uditi dalle labbra di Belpietro. Li hai letti nei comunicati del Sap e del Coisp…
6. Un infame mantra
Il Pci ai giovani fu attaccata subito, e non solo dagli studenti che criticava. Franco Fortini riempì Pasolini di insulti. Sotto il cumulo di quegli insulti, le critiche erano giuste. Pasolini provò a spiegarsi, cercando di non rimangiarsi il paradosso. Quei versi erano “brutti” perché non erano bastati “da soli a esprimere ciò che l’autore [voleva] esprimere”. Erano versi “’sdoppiati’, cioè ironici, autoironici. Tutto è detto tra virgolette”. Parlò di “boutade”, di “captatio malevolantiae”, ma non arretrò mai dal punto che aveva scelto e deciso di difendere: l’invito agli studenti a “operare l’ultima scelta ancora possibile […] in favore di ciò che non è borghese”.
Ma ormai la frittata era fatta e sarebbe rimasta a fumigare in padella per i quarant’anni e passa a venire, per la gioia di “postfascisti”, ciellini, sindacati gialli, teste da talk-show, scrittori tuttologi esternazionisti, commentatori pavloviani.
Ogni volta che si manifesta il conflitto sociale e la polizia interviene a reprimerlo riparte, come lo ha chiamato un cattivo maestro, “l’infame mantra” su Pasolini che stava con la polizia e i manganelli. Con quel mantra si è giustificato ogni ricorso alla violenza da parte delle forze dell’ordine. Bastonate, candelotti sparati in faccia, gas tossici, l’uccisione di Carlo Giuliani, l’irruzione alla scuola Diaz di Genova, la solidarietà di corpo agli assassini di Federico Aldrovandi eccetera. Periodicamente, frasi decontestualizzate sui manifestanti “figli di papà” e i poliziotti proletari sono usate contro precari, sfrattati o popolazioni che si oppongono alla devastazione del proprio territorio.
Ho però il sospetto che il mantra si sia imposto solo a partire dagli anni novanta, insieme a certe “appropriazioni” del pensiero di Pasolini. Sicuramente, nel periodo 1968-75 nessun detentore del potere, nessun membro del blocco d’ordine lesse quei versi come davvero apologetici della repressione. Basti vedere come proseguirono i rapporti tra Pasolini, la polizia e la magistratura, e come si evolsero quelli tra Pasolini, il movimento studentesco e le sinistre extraparlamentari.
7. “Propaganda antinazionale”
Nell’agosto 1968, due mesi dopo la polemica su Il Pci ai giovani, Pasolini partecipa alla contestazione contro la Mostra d’arte cinematografica di Venezia, occupa il palazzo del cinema al Lido, subisce lo sgombero poliziesco e si prende l’ennesima denuncia. Sarà processato insieme ad altri registi, con l’accusa di aver “turbato l’altrui pacifico possesso di cose immobili”. Verrà assolto nell’ottobre 1969.
Sulla rivista Tempo, anno XXX, numero 39, del 21 settembre 1968, la rubrica Il Caos tenuta da Pasolini contiene una “Lettera al Presidente del Consiglio”, che in quei giorni è Giovanni Leone, non ancora “quirinato” néimpeached. Lo scrittore accusa il capo del governo per la repressione a Venezia. Quanti credono che Pasolini fosse contro il ‘68 e i contestatori trasecolerebbero leggendo questo passaggio (corsivo mio):
"Nel ’44-’45 e nel ’68, sia pure parzialmente, il popolo italiano ha saputo cosa vuol dire – magari solo a livello pragmatico – cosa siano autogestione e decentramento, e ha vissuto, con violenza, una pretesa, sia pure indefinita, di democrazia reale. La Resistenza e il Movimento Studentesco sono le due uniche esperienze democratiche-rivoluzionarie del popolo italiano. Intorno c’è silenzio e deserto: il qualunquismo, la degenerazione statalistica, le orrende tradizioni sabaude, borboniche, papaline."
Leone risponde arzigogolando, Pasolini continua a mirare diritto e sul numero 41 del 5 ottobre 1968 ribadisce: “Io ero presente, quella notte. E ho visto coi miei occhi le violenze della polizia”.
Due mesi dopo, sul numero 52 del 21 dicembre 1968, Pasolini commenta l’ennesimo eccidio per mano poliziesca – due braccianti crivellati di colpi ad Avola, in Sicilia – e sostiene la proposta, fatta da un Pci ancora lontano dall’appoggio alle leggi speciali, di disarmare la polizia:

"Disarmare la polizia significa infatti creare le condizioni oggettive per un immediato cambiamento della psicologia del poliziotto. Un poliziotto disarmato è un altro poliziotto. Crollerebbe di colpo, in lui, il fondamento della ‘falsa idea di sé’ che il Potere gli ha dato, addestrandolo come un automa."
In una puntata della rubrica rimasta inedita e ritrovata da Gian Carlo Ferretti, Pasolini risponde a una lettrice di destra, tale Romana Grandi, che gli ha inviato un volantino dell’Msi-Dn pieno di ingiurie nei confronti suoi e di altri intellettuali: “Un piccolo sforzo potrebbe pur farlo, visto che scrive e riscrive di essere una lavoratrice: non si è accorta che coloro che sonocolpiti dalla polizia sono i lavoratori (e gli studenti che lottano accanto ai lavoratori)?”.
Pier Paolo Pasolini a Roma, nel 1967. 

L’autunno del ’69 – il cosiddetto autunno caldo – è una stagione di grandi lotte e vittorie operaie. Il 12 dicembre, per tutta risposta, esplode la bomba in piazza Fontana. A ruota, parte la montatura per colpire gli anarchici, le sinistre e il movimento operaio. Il 15 dicembre muore Giuseppe Pinelli. Il 16 dicembre, l’inviato del Tg1 Bruno Vespa comunica a milioni di persone che “Pietro Valpreda è il colpevole, uno dei responsabili della strage di Milano”. L’anarchico Valpreda diventa il mostro.
Pasolini, Moravia, Maraini, Asor Rosa e altri intellettuali firmano un appello “contro l’ondata repressiva”. Sul Borghese del 28 dicembre 1969, Alberto Giovannini coglie la palla al balzo e scrive:

"Tra gli arrestati, oltre al Valpreda, uso a voltare la schiena non solo all’odiata borghesia ma anche agli amati giovinetti, vi sono molti ‘travestiti’ e ‘checche’; e il fatto non può lasciare indifferente P. P. Pasolini, che dei capovolti di tutta Italia è, di certo, il padre spirituale, visto che la natura ingrata […] non gli ha consentito di esserne la madre."
Sul numero 2, anno XXXII, di Tempo, del 10 gennaio 1970, Pasolini si rivolge al deputato socialdemocratico Mauro Ferri e scrive:
"L’estremismo dei gruppi minoritari ed extraparlamentari di sinistra non ha portato in nessun modo (è infame solo pensarlo) alla strage di Piazza Fontana: esso ha portato alla grande vittoria dei metalmeccanici. Prima che Potere Operaio e gli altri gruppi minoritari extra-partitici agissero, i sindacati dormivano."
Dal 1 marzo 1971, per due mesi, Pasolini si presta a fare il direttore responsabile del giornale Lotta Continua, accettando il rischio di essere inquisito, rinviato a giudizio e processato per i contenuti del giornale. Cosa che succede il 18 ottobre dello stesso anno, per avere “istigato militari a disobbedire le leggi […], svolto propaganda antinazionale e per il sovvertimento degli ordinamenti economici e sociali costituiti dallo Stato [e] pubblicamente istigato a commettere delitti”. Pena massima prevista dal codice: 15 anni di reclusione. Testimoni per l’accusa: ufficiali, sottufficiali e agenti della pubblica sicurezza e dei carabinieri.
Dopo questo rinvio a giudizio, in spregio a qualsivoglia presunzione d’innocenza, la Rai blocca la messa in onda del programma di Enzo BiagiTerza B: facciamo l’appello. Oggi è una delle più famose apparizioni televisive di Pasolini, ma molti non sanno che fu censurata e andò in onda solo dopo la sua morte, cinque anni dopo essere stata registrata.
Nel frattempo, per chiedere – e il più delle volte ottenere – il sequestro delle opere di Pasolini agiscono in prima persona membri delle forze dell’ordine. A Bari, l’ispettrice di polizia Santoro segnala l’oscenità “orripilante” del film Decameron. Ad Ancona, contro la medesima pellicola sporge denuncia l’ispettore forestale Lorenzo Mannozzi Torini, secondo Wikipedia un “pioniere della tartuficoltura”.
Certamente provato ma per nulla intimidito, Pasolini finanzia e gira insieme al collettivo cinematografico di Lotta continua (Lc) un documentario-inchiesta su piazza Fontana e sullo stato delle lotte in Italia. Sceneggiato da Giovanni Bonfanti e Goffredo Fofi, il documentario esce nel 1972 con il titolo 12 dicembre e la dicitura “Da un’idea di Pier Paolo Pasolini”.
Ancora nel novembre 1973, quando il rapporto con Lc è teso e sull’orlo della rottura, Pasolini dichiara: “I ragazzi di Lotta continua sono degli estremisti, d’accordo, magari fanatici e protervamente rozzi dal punto di vista culturale, ma tirano la corda e mi pare che, proprio per questo, meritino di essere appoggiati. Bisogna volere il troppo per ottenere il poco”.
8. “Le nostre vecchie conoscenze”
L’ultima stagione, quella “corsara” e “luterana”, è segnata dalla reiterata, implacabile richiesta di un grande processo alla Democrazia cristiana, ai suoi dirigenti e notabili, ai complici delle sue politiche.
Dopo Il Pci ai giovani, sono alcune formule-shock del Pasolini 1974-75 a detenere il primato delle decontestualizzazioni e delle letture strumentali.
Per esempio, si estrapolano paradossi come “il fascismo degli antifascisti” per difendere le adunate di estrema destra, guardandosi bene dal dire che Pasolini usava l’espressione per attaccare l’ipocrisia del cosiddetto arco costituzionale, l’insieme dei partiti al potere, quelli che – dice in un’intervista del giugno 1975 – “continueranno a organizzare altri assassinii e altre stragi, e dunque a inventare i sicari fascisti; creando così una tensione antifascista per rifarsi una verginità antifascista, e per rubare ai ladri i loro voti; ma, nel tempo stesso, mantenendo l’impunità delle bande fasciste che essi, se volessero, liquiderebbero in un giorno”.
Senza il contesto cosa rimane? Una manciata di immagini – le lucciole, la fine del mondo contadino, i corpi omologati dei capelloni – ridotte a cliché e rese innocue. Rimane il “mito tecnicizzato” di uno pseudoPasolini light elactose-free, propinato dalla stessa cultura dominante che perseguitò Pasolini, dagli eredi giornalistici dei suoi diffamatori e dagli eredi politici di chi lo aggrediva per strada.
L’8 ottobre 1975, sul Corriere della Sera, Pasolini commenta la messa in onda di Accattone da parte della Rai. Nel suo film d’esordio, scrive, metteva in scena due fenomeni di continuità tra regime fascista e regime democristiano: “Primo, la segregazione del sottoproletariato in una marginalità dove tutto era diverso; secondo, la spietata, criminaloide, insindacabile violenza della polizia”.
Riguardo al primo fenomeno, scrive Pasolini, la società dei consumi ha “integrato” e omologato anche i sottoproletari, le loro abitudini, i loro corpi. Ergo, il mondo rappresentato in Accattone è finito per sempre.
È trascorso poco tempo, ma quelle parti di Roma sono cambiate. Pasolini le attraversa e dietro ogni incrocio, dietro ogni edificio, dietro ogni capannello di giovani vede – in una sovrapposizione lievemente sfasata – com’erano l’incrocio, l’edificio e quei giovani solo poco tempo prima. Tutto è in apparenza simile, ma la tonalità emotiva è alterata, la nota di fondo è irriconoscibile. Per un potente resoconto psicogeografico su tale “doppiezza” rimando alla passeggiata del Merda in Petrolio, Appunti 71-74a.
Ma cosa dice Pasolini del secondo fenomeno di continuità tra regime fascista e regime democristiano? “Su questo punto c’intendiamo subito tutti”, scrive, e sa di essere provocatorio. Sta parlando ai lettori del Corsera, è implausibile che tutti siano d’accordo nel ritenere “spietata” e “criminaloide” la violenza della polizia.
Ma l’autore è adamantino: “È inutile spendere parole. Parte della polizia è ancora così”. Segue un riferimento alla polizia spagnola, la guardia civil del regime franchista. Riferimento oggi incomprensibile, se non si sa cosa accadeva in Spagna in quei giorni. Ecco un titolo da l’Unità del 5 ottobre 1975: “Tortura a Madrid. / È stata usata dalla polizia franchista in modo sistematico contro non meno di 250 baschi. – Le conclusioni di un’inchiesta di Amnesty International – Testimonianze agghiaccianti”.
Il passaggio è rapido, ma non superficiale. Ci mostra un altro “doppio mondo” sfasato. Nella polizia fascista di Madrid e Barcellona, scrive Pasolini, rivediamo la nostra polizia, “le nostre vecchie conoscenze in tutto il loro squallido splendore”.
9. L’uomo che sorride
Tre settimane dopo, la notte tra il 1 e il 2 novembre, il corpo di Pasolini giace nel fango di Ostia, massacrato, ridotto a un unico cencio intriso di sangue.
Ora, per chiudere, prendo in prestito le parole di Roberto Chiesi:

"Se guardate tra le terribili foto del ritrovamento del cadavere di Pasolini, ce n’è una, forse la più terribile, che mostra il corpo rovesciato e martoriato, con intorno alcuni inquirenti e poliziotti seduti sulle ginocchia. In particolare c’è un poliziotto seduto accanto al cadavere di Pasolini, che sorride. La foto lo mostra in maniera inequivocabile: è un sorriso di scherno, di disprezzo. Questa immagine può essere presa a campione di tutta un’Italia deteriore, da rifiutare, condensata in quell’immagine in bianco e nero, apparsa sulle prime pagine di tanti giornali dell’epoca."
Pasolini continuava a essere contro la polizia, la polizia continuava a essere contro Pasolini.