venerdì 29 aprile 2016

Le intimidazioni padronali non fermeranno la nostra lotta!

Intervista a Luis Seclen, vittima di un attentato incendiario

Siamo ad Agrate Brianza, nell’hinterland milanese. Insieme a una trentina di persone, tra operaie e solidali, stiamo picchettando i cancelli della Montrasio, una delle tante cooperative dove i diritti dei lavoratori, in particolare delle lavoratrici, vengono ogni giorno calpestati.
Qui con noi c’è Luis Seclen, dirigente del del Si.cobas, il sindacato che sta organizzando la lotta, e dirigente di Alternativa Comunista, che ha subito, proprio per aver organizzato questa lotta, un attentato incendiario che gli ha devastato la macchina.
Luis puoi raccontarci quando è iniziata la lotta delle operaie della Montrasio e quali sono i motivi?
Tutto è iniziato la scorsa estate. Dopo una serie di segnalazioni fatte all’Inps, si è scoperto che la cooperativa non versava tutti i contributi pensionistici che spettavano alle operaie. Ulteriori verifiche hanno fatto emergere, oltre a quelle contributive, delle differenze salariali: lo stipendio era inferiore a quello che doveva essere corrisposto secondo il Contratto Nazionale di categoria.
E’ così che il 28 agosto, dopo aver chiesto inutilmente un incontro con i dirigenti della cooperativa per sanare le varie irregolarità, le lavoratrici hanno deciso di indire lo stato di agitazione che ha segnato l’inizio della lotta.
Mi sembra di capire che le lavoratrici fin da subito si sono dimostrate decise a difendere i loro diritti, o sbaglio?
No, non ti sbagli. Premetto che dei circa trenta tra operai e operaie della cooperativa, oltre una dozzina sono iscritti al Si.cobas, il solo sindacato che qui oggi difende con la lotta, le mobilitazioni e i picchetti, i lavoratori di un settore in cui i diritti politici e sindacali sono costantemente negati.
E’ successo anche qui da noi. Dopo una serie di vicissitudini tre iscritte al nostro sindacato a novembre sono state lasciate a casa. Dico lasciate a casa perché la cooperativa non le ha licenziate, ha solo intimato loro di non presentarsi al lavoro.
Perché?
Perché per risparmiare poche decine di euro di tasse, l’azienda non ha voluto licenziarle formalmente: questo ha impedito alle lavoratrici di poter chiedere il sussidio di disoccupazione. Sono state lasciate senza lavoro, senza stipendio, e senza quel minimo di sostegno che oggi garantisce il sussidio di disoccupazione.
Cosa è successo in seguito?
E’ successo che il 18 gennaio del 2016, insieme alle lavoratrici, abbiamo organizzato uno sciopero per il ritiro dei licenziamenti (nel frattempo saliti a 7). Anche in questo caso la cooperativa ha continuato con i suoi trucchi: visto il successo dello sciopero ha deciso il ritiro dei “licenziamenti”, ma solo quattro sono effettivamente tornate al lavoro. Ma non solo. Abbiamo richiesto nuovamente l’applicazione del Contratto Nazionale  (nel frattempo la cooperativa ha deciso di non fare più riferimento a quello della logistica ma al contratto dei tessili, più vantaggioso per lei).
Avevamo raggiunto un accordo per far sì che entro marzo venissero sanate tutte le irregolarità.
Tieni conto che la cooperativa paga un salario di 950 euro per 220 ore al mese di lavoro, quando in realtà dovrebbero essere 1400.
Ma anche questa volta la cooperativa non ha rispettato l’accordo. I dirigenti hanno inviato una proposta per cui il recupero salariale veniva spostato a ottobre 2018! Così il 29 febbraio abbiamo fatto un secondo sciopero.
Gli altri sindacati, la Cgil ad esempio, che ruolo hanno avuto?Devi sapere che da noi, come in molte cooperative, la Cgil non esiste. Solo di recente i suoi burocrati sono stati contattati dalla cooperativa allo scopo di tesserare qualche lavoratore appena assunto, quindi facilmente ricattabile, al solo scopo di consentire alla cooperativa di siglare un accordo formalmente valido ma in realtà di nessuna garanzia per i lavoratori.
Come in decine di altre situazione la Cgil ha svolto il ruolo di sindacato di “comodo” al soldo dei padroni.
E adesso come pensate di continuare con la lotta? Due giorni fa sei stato vittima di un attentato incendiario: ti hanno bruciato e distrutto la macchina proprio per il tuo ruolo di attivista sindacale al fianco degli operai e delle operaie.
Da parte delle lavoratrici e del Si.cobas c’è la volontà di resistere un minuto in più dei padroni. Minacce, intimidazioni, avvertimenti di stampo criminale non ci fermeranno.
Domani (venerdì 29 aprile, ndr) dovremmo avere un incontro, speriamo chiarificatore, coi vertici della cooperativa. Ma fin da oggi devono aver chiaro che non accetteremo più rinvii, trucchi e perdite di tempo. Se pensano di fiaccare la nostra resistenza si sbagliano di grosso. Da qui non ce ne andremo finché non vedremo riconosciuti i diritti di tutte le lavoratrici e lavoratori di aver garantiti i loro diritti alla libertà sindacale, politica, a un salario come a loro compete, in poche parole senza il riconoscimento della nostra dignità!
Come Pdac continueremo a essere al fianco di questa e delle altre lotte che si stanno sviluppando specialmente in questo settore e nel nord. L'appello a tutti gli attivisti, politici e sindacali della sinistra, è a sostenere queste lotte, favorendone l'estensione e il rafforzamento, e ad organizzare l'autodifesa dei picchetti di sciopero dalle violenze padronali e poliziesche.
  

Nessun commento:

Posta un commento