lunedì 7 novembre 2016

A 99 anni dall’Ottobre rosso

Alberto Madoglio

Il- 7 novembre 1917 (25 ottobre secondo il vecchio calendario giuliano, fino ad allora in uso nell’Impero russo), alla fine di un lungo percorso rivoluzionario iniziato nel febbraio dello stesso anno, i bolscevichi di Lenin e Trotsky deposero il governo imperialista diretto dal socialista rivoluzionario Kerensky, e proclamarono, per la seconda volta nella storia (dopo la Comune del 1871), il governo della classe operaia.
Non solo una commemorazione ma un insegnamento per l’oggi
Ricordare quegli eventi per noi non vuol dire guardare con nostalgia a un passato glorioso che non tornerà più. Ciò che accadde in Russia nel 1917 segnò senza ombra di dubbio uno dei più importanti (se non il più importante) avvenimenti della storia dell’umanità; parte della sua importanza risiede nell’attualità di ciò che avvenne e cioè che i lavoratori non sono destinati, per qualche legge naturale, a vivere oppressi da una piccola minoranza di sfruttatori, ma in determinati momenti e condizioni possono prendere nelle loro mani il proprio destino e costruire una società in cui il profitto e lo sfruttamento non siano più la legge che governa la società.
Gli esponenti delle classi dominanti fin da subito cercarono di distruggere ciò che i bolscevichi avevano creato, temendone anche l'effetto-contagio. Quando non ci riuscirono con l’uso della forza (vennero infatti sconfitti dall’Armata Rossa, creata e guidata da Trotsky, dopo oltre cinque anni di sanguinosa guerra civile imposta in Russia dalle potenze del cosiddetto occidente civilizzato), usarono (e continuano ad usare) le armi della calunnia, della disinformazione e della falsificazione per cercare di cancellare quell'evento grandioso.
La rivoluzione non inizia e non finisce a Pietrogrado
Apparso chiaro che il nuovo modello di società creato dai bolscevichi per il popolo russo non era un fenomeno passeggero, intellettuali, borghesi e governanti di tutti i Paesi del mondo si diedero da fare per sminuirne l’importanza e l’universalità. Dissero che gli eventi del 1917 erano dipesi da circostanze eccezionali non ripetibili altrove (la presenza di un regime dispotico come quello dello zar, la prima guerra mondiale ecc). E che i comunisti russi erano il prodotto dell’arretratezza civile e culturale di quella nazione.
La realtà era completante differente. Esperienze rivoluzionarie vi furono prima e dopo la rivoluzione del 1917 e in molti Paesi del mondo: nella primavera del 1871 una prima, seppur di breve durata, rivoluzione portò al potere la classe lavoratrice a Parigi, una delle metropoli più ricche ed evolute dell’epoca. Qualcosa di simile accadde in Germania tra il 1918 e il 1923, in Italia tra il 1919 e il 1920, in Spagna nel 1936, in Austria e Francia nella metà degli anni 30 del XX secolo. Abbiamo poi assistito a processi rivoluzionari in Italia (tra il 1943 e 1948), Cina (1949), Yugoslavia, Francia (1968), Portogallo (1975), e, arrivando ai giorni nostri, le rivoluzioni che a partire dal 2011 hanno infiammato il Nord Africa e il Medio Oriente (Tunisia, Libia, Egitto, Siria ecc.).
Tutto ciò dimostra che il caso russo non era qualcosa di irrepetibile: le rivoluzioni sono una risposta alle contraddizioni della società capitalistica.
L’Ottobre ’17 non fu dovuto a cause irripetibili
Lo stesso conflitto scoppiato nell’agosto del 1914 e durato oltre quattro anni, non era una parentesi di follia in un’epoca di pacifico sviluppo tra le nazioni, ma il modo in cui le varie potenze economiche mondiali sono portate a risolvere i conflitti fra loro nell’epoca del dominio dell’imperialismo. La seconda guerra mondiale e l’infinita serie di conflitti regionali che si sono succeduti negli ultimi cento anni sono la prova lampante di questa “terribile” necessità.
Tra i vari partiti socialisti che cominciarono a formarsi tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, e che diedero vita alla Seconda Internazionale, il partito di Lenin fu quello che in maniera più conseguente tentò di mettere in pratica l’insegnamento di Marx ed Engels: l’impossibilità di riformare il capitalismo nell’interesse della gran massa della popolazione, e la necessità di spezzare per mezzo della forza rivoluzionaria l’apparato dello Stato borghese che, lungi dall’essere l’arbitro neutrale che risolve i conflitti tra classi differenti, è lo strumento attraverso il quale la borghesia cerca di perpetuare il suo potere. Sostituire cioè alla dittatura della borghesia, una minoranza della popolazione, la dittatura del proletariato, cioè il governo della maggioranza della popolazione.
Già nel 1905, in concomitanza con la crisi che colpì il regime zarista, i bolscevichi tentarono di far sì che la rivoluzione scoppiata in Russia potesse portare al potere la classe lavoratrice. Quel tentativo come sappiamo fallì ma da quell’esperienza i bolscevichi trassero tutta una serie di insegnamenti che consentì loro di trionfare una dozzina di anni dopo. In quella rivoluzione apparve per la prima volta quello strumento di lotta che la classe operaia si sarebbe data per organizzare e gestire il proprio potere: il Soviet.
Quando nel 1914 scoppiò il primo conflitto mondiale, per la classe operaia internazionale si trattò di una sconfitta storica. Le sue organizzazioni tradizionali, partiti e sindacati, invece di fare appello alla fratellanza internazionale si schierarono al fianco delle rispettive classi dominanti, e contribuirono a mandare al macello milioni di operai e contadini.
In quell’epoca buia, solo i bolscevichi e pochi altri tra i vecchi membri dei partiti aderenti alla Seconda Internazionale, gli spartachisti tedeschi di Liebknecht e Luxemburg fra tutti, compresero che la sola soluzione per porre fine non solo a quella carneficina ma a tutte le guerre era trasformare la guerra imperialista in una guerra civile degli operai contro i loro sfruttatori. La guerra mostrò rapidamente il suo vero volto: oltre ai morti che si contavano a milioni sui campi di battaglia, miseria e fame colpivano le popolazioni civili. Proteste, scioperi, manifestazioni cominciarono a verificarsi nei vari Paesi belligeranti.
Da Febbraio a Ottobre passando per (le tesi di) Aprile
Una di queste manifestazioni, che vide protagoniste le donne operaie di Pietrogrado, diede inizio alla rivoluzione di Febbraio che in pochi giorni portò all’abdicazione dello zar e alla formazione di un governo provvisorio formato da partiti borghesi che cercavano di far sì che la Russia continuasse nello sforzo bellico e che soprattutto il potere economico e politico rimanesse nelle mani delle grandi famiglie capitaliste.
Come nel 1905, si formarono immediatamente dei Soviet, veri e propri organismi operai. Si venne a formare dunque una situazione di dualismo di potere: da una parte quello espresso dalla Duma (parlamento) e dal governo provvisorio che rappresentava gli interessi delle classi dominanti. Dall’altra quello dei Soviet (consigli) che rappresentava il potere proletario. Ben presto si capì che questo era un equilibrio instabile e che, presto o tardi, uno dei due poteri avrebbe prevalso sull’altro.
Lo sviluppo degli avvenimenti non fu lineare, e in molte occasioni sembrò che la rivoluzione dovesse fallire ancora una volta. Ciò non accadde perché il partito bolscevico fin dalla sua nascita si era formato come un partito centralmente organizzato, basato su un chiaro programma per l’azione, e che anche se all’inizio seguì alcuni suoi leader propensi ad accordarsi con gli altri partiti, riformisti, della classe operaia (menscevichi di Martov e socialrivoluzionari di Kerenskij) e a collaborare col governo "di sinistra" della borghesia, riuscì a correggere la sua linea.
Questo avvenne soprattutto grazie a Lenin. Il leader dei bolscevichi tornò dal suo esilio svizzero in aprile e lanciò una dura campagna politica per riorientare politicamente il partito e sconfiggere la linea di collaborazione di classe sostenuta da Kamenev e Stalin. Le "Tesi di Aprile" furono lo strumento politico grazie al quale Lenin vinse la sua battaglia che consentì poi il trionfo dell’Ottobre.
Altri momenti rischiarano di far naufragare il processo rivoluzionario. Le giornate di Luglio, in cui la classe operaia di Pietrogrado accelerò i tempi non ancora maturi dell’insurrezione, segnarono un momento di riflusso. Ma fu solo una breve pausa.
L’incapacità del governo composto dai partiti riformisti di accogliere le richieste della popolazione diede una nuova possibilità ai bolscevichi. Questi nel frattempo si erano ulteriormente rafforzati grazie alla adesione dell'organizzazione (gli Interdistrettuali) che faceva capo a Trotsky, il quale divenne da allora, per usare le parole di Lenin, "il migliore di tutti i bolscevichi".
Un tentativo di golpe reazionario imbastito dal generale Kornilov tra l’agosto e il settembre 1917 servì per dimostrare una volta per tutte che solo una rivoluzione socialista compiuta avrebbe potuto salvare gli operai e i contadini da ulteriori lutti e sacrifici. Conquistata la maggioranza nei Soviet operai in tutta la Russia, ottenuto il controllo militare della capitale, il 25 ottobre ci fu l’insurrezione (nonostante il vero e proprio boicottaggio di quella decisione da parte di due importanti dirigenti del partito come Zinoviev e Kamenev). Assaltato il Palazzo d’Inverno, sede del governo, arrestati alcuni ministri, non Kerenskij che era riuscito a fuggire, il Congresso Panrusso dei Soviet votò a larghissima maggioranza a favore della presa del potere.
I primi provvedimenti riguardarono la richiesta della pace immediata e la distribuzione della terra ai contadini.
Dalla tribuna del congresso Lenin esclamò: "passiamo ora all’edificazione dell’ordine socialista."
Quello che i bolscevichi di Lenin e Trotsky fecero allora rimarrà per sempre come uno degli episodi più gloriosi della storia dell’umanità che niente, nemmeno la degenerazione di quel sistema avvenuta per opera di Stalin e della sua cricca burocratica, potrà mai cancellare.
Ma come accennato all’inizio, noi vediamo in quegli avvenimenti non solo un grande fatto del passato ma un esempio per la azione, presente e futura, dei lavoratori in lotta.
Ottobre 1917: attualità di una rivoluzione
Varie sono “lezioni” che possiamo trarre dall’Ottobre ‘17.
Se è vero che le rivoluzioni possono scoppiare al di là della volontà di chi le teme o di chi le auspica, in Russia si poté trionfare perché c’era un partito che si poneva l’obiettivo di guidare le masse fino alla vittoria.
Cosa differenziava i bolscevichi dalle altre organizzazioni, riformiste, della classe operaia (ad esempio dai menscevichi e dai socialisti rivoluzionari)?
Essere un partito centralizzato e fondato sulla militanza quotidiana dei suoi membri. Essere dotato di un programma unico, che riconosceva, non solo a parole, la necessità di lottare per la presa del potere della classe operaria attraverso il processo rivoluzionario. Usando perciò il programma delle rivendicazioni transitorie (legare ogni lotta e ogni rivendicazione immediata a una più generale lotta per la presa del potere da parte della classe operaia) e della rivoluzione permanente (interpretando il processo rivoluzionario non divisibile in tappe separate, ma come un movimento organico in cui le rivendicazioni e gli obiettivi democratici dovevano necessariamente svilupparsi verso una soluzione socialista). Un partito quindi che non si opponeva solo ai governi guidati direttamente dalla borghesia ma anche a quelli diretti dai suoi agenti riformisti: nell’ottobre del 1917 la rivoluzione fu - ricordiamolo ancora - contro un governo della sinistra, per usare un linguaggio dei giorni nostri.
I bolscevichi erano coscienti che la rivoluzione non poteva rimanere limitata ai confini nazionali, ma doveva espandersi a livello mondiale. Per questo la Terza Internazionale, pur fondata nel marzo del 1919, fu la parola d’ordine lanciata da Lenin fin dal 1914, davanti al fallimento della Seconda Internazionale che attraverso le sue sezioni nazionali aveva appoggiato il macello della prima guerra mondiale e aveva sostenuto i governi della borghesia.
Questi insegnamenti, che non erano altro che il ritorno al programma originario dei comunisti fin dai tempi di Marx e Engels, furono abbandonati dai riformisti che in Russia si schierarono al fianco delle forze reazionarie che volevano schiacciare il governo dei bolscevichi.
Oggi, nonostante gli insegnamenti del passato, riformisti di tutti i tipi si illudono di poter migliorare questo sistema politico e sociale, governandolo insieme alle forze della borghesia. E, nel farlo, paradossalmente alcuni di loro (lo ha fatto proprio oggi Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione, già ministro in un governo imperialista) rivendicano la rivoluzione del 1917. A loro diciamo: giù le mani dalla rivoluzione russa! L'eredità di quella storia è solo dei lavoratori e dei giovani che sono impegnati per rovesciare il capitalismo, non certo di chi cerca di illudere i lavoratori che questo sistema può essere governato diversamente.
Il prossimo sarà il centesimo anniversario della Rivoluzione d’Ottobre. Facciamo in modo che il 2017 sia l’anno in cui nuove rivoluzioni possano iniziare.

clip a cura di Luciano Granieri

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