In un'atmosfera surreale, con una città blindata da oltre 5000 poliziotti armati sino ai denti, droni che sorvolavano la città, cecchini posizionati sui tetti delle abitazioni, un centro completamente blindato, la normale vita cittadina paralizzata da controlli di polizia e carabinieri a ogni angolo di strada, si è svolto a Bari il G7 economia e finanze, con la presenza dei 7 ministri economici dei 7 tra i Paesi capitalistici più ricchi e la partecipazione dei vertici della Bce e del Fmi.
L'apparato repressivo dello Stato aveva peraltro già preventivamente avviato, un mese or sono, una campagna di intimidazione contro gli attivisti del variegato arcipelago dell'estrema sinistra barese, attraverso i fogli di via ai compagni che avevano contribuito all'esperienza di socializzazione di Villa Roth, proseguendo poi con una serie di operazioni di fermo nei punti nevralgici del mondo dei centri sociali. Nello stesso periodo venivano eseguite una serie di operazioni repressive contro i No Tap del Salento. Con l'approssimarsi del summit sono stati infine i lacché della borghesia in servizio presso i giornali e le televisioni locali e nazionali, ad alimentare ad arte il clima di terrore, con una campagna mediatica tutta tesa ad indicare l'arrivo dei fantomatici black block in città. L'obiettivo non dichiarato era chiaramente uno ed uno solo: tenere le masse lontane dai posti dove si discutono modelli di sviluppo sociale alternativi all'attuale e folle sistema di produzione dei beni materiali.
In questo clima di tensione, la partecipazione di diverse centinaia di manifestanti al corteo contro il G7, seppur rappresentando in valore assoluto un numero relativamente modesto, costituisce un successo del comitato organizzatore, costituito dai centri sociali e da Alternativa Comunista, unica forza partitica massicciamente presente sia ai tanti presidi che si sono svolti nei vari quartieri popolari della città che al corteo del 13 maggio.
Il corteo del 13 maggio si è svolto in un clima di grande vivacità e partecipazione cosciente, al grido dello slogan “ammin'abbasc' u g7” (buttiamo giù il G7), e la partecipazione di esponenti del fronte di lotta “No Austerity”, dei Cobas, dei comitati “No Tap”, del sindacato Cib-Unicobas dell'università di Bari e di varie altre realtà di lotta, associative e sindacali provenienti da tutta la Puglia.
Se, in una fase di arretramento, si è riusciti a tenere botta al terrorismo psicologico dell'ideologia dominante, è anche grazie all'enorme lavoro organizzativo dell'evento da parte del partito di Alternativa Comunista, che si è speso in una impegnativa campagna contro-informativa, sia sugli organi di informazione locali e nazionali, sia attraverso il volantinaggio sulle fabbriche e nei luoghi di lavoro.
L'apparato repressivo dello Stato aveva peraltro già preventivamente avviato, un mese or sono, una campagna di intimidazione contro gli attivisti del variegato arcipelago dell'estrema sinistra barese, attraverso i fogli di via ai compagni che avevano contribuito all'esperienza di socializzazione di Villa Roth, proseguendo poi con una serie di operazioni di fermo nei punti nevralgici del mondo dei centri sociali. Nello stesso periodo venivano eseguite una serie di operazioni repressive contro i No Tap del Salento. Con l'approssimarsi del summit sono stati infine i lacché della borghesia in servizio presso i giornali e le televisioni locali e nazionali, ad alimentare ad arte il clima di terrore, con una campagna mediatica tutta tesa ad indicare l'arrivo dei fantomatici black block in città. L'obiettivo non dichiarato era chiaramente uno ed uno solo: tenere le masse lontane dai posti dove si discutono modelli di sviluppo sociale alternativi all'attuale e folle sistema di produzione dei beni materiali.
In questo clima di tensione, la partecipazione di diverse centinaia di manifestanti al corteo contro il G7, seppur rappresentando in valore assoluto un numero relativamente modesto, costituisce un successo del comitato organizzatore, costituito dai centri sociali e da Alternativa Comunista, unica forza partitica massicciamente presente sia ai tanti presidi che si sono svolti nei vari quartieri popolari della città che al corteo del 13 maggio.
Il corteo del 13 maggio si è svolto in un clima di grande vivacità e partecipazione cosciente, al grido dello slogan “ammin'abbasc' u g7” (buttiamo giù il G7), e la partecipazione di esponenti del fronte di lotta “No Austerity”, dei Cobas, dei comitati “No Tap”, del sindacato Cib-Unicobas dell'università di Bari e di varie altre realtà di lotta, associative e sindacali provenienti da tutta la Puglia.
Se, in una fase di arretramento, si è riusciti a tenere botta al terrorismo psicologico dell'ideologia dominante, è anche grazie all'enorme lavoro organizzativo dell'evento da parte del partito di Alternativa Comunista, che si è speso in una impegnativa campagna contro-informativa, sia sugli organi di informazione locali e nazionali, sia attraverso il volantinaggio sulle fabbriche e nei luoghi di lavoro.
La critica del sistema capitalistico e le parole d'ordine dei rivoluzionari
E' compito dei rivoluzionari quello di indicare alle masse, attraverso la semplice descrizione dei fatti, le ragioni profonde della crisi del sistema capitalistico. In tal senso il Partito di Alternativa Comunista è intervenuto al corteo ricordando la rapina sociale perpetrata ai danni dei lavoratori, dei precari, dei disoccupati, dei pensionati da parte degli Stati capitalistici che si riunivano a Bari. Ricordando in particolare gli oltre 760 miliardi di euro di soldi dei lavoratori versati dai governi borghesi italiani negli ultimi dieci al sistema delle banche, sotto forma di pagamento dei soli interessi sul debito pubblico e sottratti ai salari, alle pensioni, alla sanità e alla scuola pubblica. E ricordando l'aggressione ai diritti dei lavoratori da parte del governo Renzi, attraverso l'abolizione dell'articolo 18 e l'introduzione del jobs-act.
Ma è anche compito dei rivoluzionari spiegare ai lavoratori le ragioni delle loro attuali sconfitte. E le ragioni, come spiegato al corteo, sono nel tradimento da parte di quelle organizzazioni sindacali e partitiche cui i lavoratori si erano rivolti per tutelare i loro interessi, dalle grandi organizzazioni sindacali confederali sino a quei partiti riformisti (Sel) e socialdemocratici (Rifondazione Comunista) che, da un lato, continuano indegnamente a fregiarsi ancora dei simboli nobili del movimento operaio e, dall'altro, continuano ad appoggiare quei governi, come il governo Tsipras, responsabile di operazioni di massacro sociale nella vicina Grecia a tutela degli interessi del sistema capitalistico.
E infine è compito dei rivoluzionari quello di indicare alla classe lavoratrice qual è la direzione di uscita da questo disastro. E Alternativa Comunista, ricordando che non esistono forme di conciliazione con il capitale, ha indicato le misure transitorie necessarie all'uscita dalla crisi: abolizione del debito pubblico; nazionalizzazione delle banche sotto il controllo dei lavoratori; esproprio delle fabbriche che licenziano, senza indennizzo per i padroni e gestione della produzione sotto controllo operaio; uscita dalla Nato, braccio armato dell'imperialismo e, infine, la prospettiva della costruzione degli Stati Uniti Socialisti d'Europa.
Invertire la rotta è possibile, ma per far questo è necessaria l'unità della classe lavoratrice. E' necessario lavorare a superare le divisioni tra i sindacati conflittuali più combattivi e indire uno sciopero generale del mondo del lavoro che unisca le infinite vertenze sparse in tutta Italia, da Almaviva ad Alitalia, dagli operai della logistica sino ai braccianti di colore di Rignano Garganico, dai precari della scuola a quelli dell'università, dagli operai della Natuzzi a quelli della Bridgestone, seguendo l'esempio della classe operaia brasiliana.
Ma è anche compito dei rivoluzionari spiegare ai lavoratori le ragioni delle loro attuali sconfitte. E le ragioni, come spiegato al corteo, sono nel tradimento da parte di quelle organizzazioni sindacali e partitiche cui i lavoratori si erano rivolti per tutelare i loro interessi, dalle grandi organizzazioni sindacali confederali sino a quei partiti riformisti (Sel) e socialdemocratici (Rifondazione Comunista) che, da un lato, continuano indegnamente a fregiarsi ancora dei simboli nobili del movimento operaio e, dall'altro, continuano ad appoggiare quei governi, come il governo Tsipras, responsabile di operazioni di massacro sociale nella vicina Grecia a tutela degli interessi del sistema capitalistico.
E infine è compito dei rivoluzionari quello di indicare alla classe lavoratrice qual è la direzione di uscita da questo disastro. E Alternativa Comunista, ricordando che non esistono forme di conciliazione con il capitale, ha indicato le misure transitorie necessarie all'uscita dalla crisi: abolizione del debito pubblico; nazionalizzazione delle banche sotto il controllo dei lavoratori; esproprio delle fabbriche che licenziano, senza indennizzo per i padroni e gestione della produzione sotto controllo operaio; uscita dalla Nato, braccio armato dell'imperialismo e, infine, la prospettiva della costruzione degli Stati Uniti Socialisti d'Europa.
Invertire la rotta è possibile, ma per far questo è necessaria l'unità della classe lavoratrice. E' necessario lavorare a superare le divisioni tra i sindacati conflittuali più combattivi e indire uno sciopero generale del mondo del lavoro che unisca le infinite vertenze sparse in tutta Italia, da Almaviva ad Alitalia, dagli operai della logistica sino ai braccianti di colore di Rignano Garganico, dai precari della scuola a quelli dell'università, dagli operai della Natuzzi a quelli della Bridgestone, seguendo l'esempio della classe operaia brasiliana.
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