Dopo le dichiarazioni e gli incontri istituzionali sulla questione di Lazio Ambiente e del revamping degli inceneritori i gruppi di lavoro dell'Assemblea Permanente di #Rifiutiamoli hanno stabilito quali saranno le azioni che verranno messe in campo per intensificare la mobilitazione iniziata lo scorso luglio.
Ad oggi i soggetti istituzionali coinvolti hanno dichiarato di voler cambiare rotta rispetto a questo sistema di smaltimento dei rifiuti. Ma alle parole non sono seguiti e non sono all'orizzonte atti concreti. Difficile realizzare una cambio di rotta dopo aver avviato diversi bandi di gara per la ristrutturazione degli inceneritori di Colleferro.
Nell’incontro del 21 settembre scorso tra le parti in causa (regione Lazio, amministrazione capitolina, Lazio Ambiente, Comune di Colleferro, sindacati ed AMA), AMA ha dichiarato la necessità di proseguire con il revamping per non subire interventi penalizzanti da parte della Corte dei Conti. Nel frattempo la direzione di Lazio Ambiente non ha ricevuto dal suo unico azionista, la regione Lazio, alcuna indicazione in merito all’interruzione dei lavori di ristrutturazione. Nell’audizione alla Commissione Ambiente della regione di mercoledì 27 settembre l’amministratore delegato di Lazio Ambiente, Gregorio Narda, ha dichiarato che da gennaio 2018 la sua società eserciterà la sola attività di gestione degli inceneritori, che quindi, per quanto lo riguarda, dovranno riavviarsi ad inizio anno.
L’ipotesi di realizzare una cosiddetta ‘fabbrica di materiali’, ossia un impianto dotato delle tecnologie adatte a recuperare dall’indifferenziato materiali riutilizzabili, pare condivisa da comune di Roma e regione Lazio, ma è solo un’ipotesi, che richiede di trasformarsi in un progetto fattibile.
Un tale impianto, peraltro, non si giustifica come intervento isolato, ma, come ha detto persino l’assessore all’Ambiente alla regione Lazio Mauro Buschini, solo rifacendo ex novo il piano rifiuti regionale, che si muove nella prospettiva di eliminare inceneritori e discariche
Possiamo immaginare quale scontro è destinato ad aprirsi con gli interessi coalizzati di chi ha prosperato per anni su inceneritori e discariche, interessi fortemente rappresentati nei partiti e nelle amministrazioni.
L’amministrazione regionale, a pochi mesi dalla fine del suo mandato e con le elezioni del consiglio regionale alle porte, deve indicare concretamente quale nuova strategia di gestione del ciclo dei rifiuti vuole inaugurare. Dal canto suo, la giunta capitolina, a distanza di 15 mesi dal suo insediamento, solo ad aprile 2017 ha prodotto il Piano per la riduzione e la gestione dei materiali post consumo di Roma Capitale 2017-2021 (PMPC), un documento all’insegna dell’economia circolare che ridefinisce di tutta l’impiantistica esistente nella città di Roma e la progettazione di una nuova filiera di smaltimento dei rifiuti. Nel frattempo, però, sono stati stretti accordi per continuare ad esportare i rifiuti in impianti della regione, dagli inceneritori di San Vittore a siti fuori regione o all’estero, ed è stato siglato un accordo transitorio con Cerroni per l’utilizzo dei cosiddetti TMB.
Da parte sua l’amministrazione di Colleferro, assieme ad una decina di altri comuni del circondario, ha deliberato la costituzione di un consorzio che avvierà la gestione dei servizi di raccolta e spazzamento, con l'intenzione di dotarsi di una propria rete di impianti, come dichiarato dal sindaco di Colleferro Pierluigi Sanna. Un’operazione fatta partire con notevole ritardo rispetto all’inizio della crisi di Lazio Ambiente, alla ricerca, in tempi brevi, di attività e risorse necessarie a garantire la sua sostenibilità economica e finanziaria.
Insomma, siamo ancora nel pieno delle soluzioni di emergenza o, nella migliore delle ipotesi, all’inizio di una fase di transizione di cui si è ben lontani dal definire l’evoluzione concreta.
Dopo la manifestazione di sabato 8 luglio, che ha portato in piazza più di 6.000 persone, i cittadini di Colleferro si sono dati un’organizzazione stabile nella forma dell’Assemblea Permanente, per condurre una lotta che dovrà impedire il riavvio degli inceneritori per altri vent’anni e per imporre quel cambio radicale di strategia che in tanti annunciano, ma che fatica ad emergere in una situazione in cui il passato minaccia di divorare il futuro. In queste settimane di mobilitazione ci siamo riconosciuti con tutti coloro che conducono mobilitazioni sugli stessi obiettivi, ognuno opponendosi ai mostri che popolano o vogliono invadere il proprio territorio. Sono legami che sapremo approfondire costruendo una piattaforma condivisa.
I cittadini di Colleferro e della Valle del Sacco continueranno ad alzare la voce e useranno tutti gli strumenti utili per farsi ascoltare. Li invitiamo a partecipare alle riunioni dell'assemblea permanente, perché mai come in questo momento abbiamo bisogno del contributo di tutti.
Angel Luis Parras (Corriente Roja, sezione della Lit nello Stato spagnolo)
Nella misura i cui si avvicina il 1 ottobre sembra acquisire forza una proposta, apparentemente "ragionevole", quella più in sintonia con il "senso comune": "recuperare il dialogo" e accordarsi su un "referendum concordato, con garanzie". Per fare ciò il governo della Generalitat catalana dovrebbe, come prima cosa, annullare la convocazione del referendum del 1 ottobre. Questa è la proposta lanciata dalla direzione di Unidos Podemos, sottoscritta anche dal Pnv [Partito nazionalista basco, ndt] e il PdCat [Partido Democratico Catalano] e messa in scena nella "Assemblea degli eletti per la libertà, la fraternità e la convivenza" che si è tenuta il 24 scorso a Saragozza. In altre parole, si mettano attorno a un tavolo il governo regionale catalano, Rajoy [premier spagnolo, ndt] e tutti i partiti parlamentari e si ponga una data per un "referendum con garanzie". E se questo richiede modificare la Costituzione? Che la si modifichi! E se questo può richiedere un paio d'anni? Che si aspetti! E allora sorge inevitabile una domanda: è così facile? è tutto così ragionevole? Come è possibile che nessuno ci abbia pensato prima? Come possiamo essere arrivati a questo scontro tra la ragione e il delirio, quando la soluzione era così semplice? Ma la domanda è ancora più semplice: c'è qualche possibilità, in qualsivoglia data, che i catalani possano fare un referendum e decidere liberamente se vogliono separarsi o no? Perché è questa la vera domanda! La ripetiamo: in una qualsiasi data, facendo le modifiche legislative necessarie, è possibile che i catalani possano fare un referendum nel quale si decida se vogliono restare nello Stato spagnolo oppure no? Secoli di storia e un regime erede del franchismo offrono già la risposta: non è possibile con questo regime garantire un simile referendum .Ogni volta che la Catalogna ha cercato di guadagnare la propria indipendenza la storia si è conclusa con il presidente e il governo catalani di turno incarcerati e o ripiegare su uno "Statuto" [dell'autonomia, ndt] o con la garrota brutale della dittatura franchista. Se in qualcosa si è sempre distinta la borghesia catalana è nella sua mancanza di coraggio e nel suo pietire "dialogo e negoziato". E Rajoy mani-di-forbice ha risposto con il Tribunale costituzionale, con la sforbiciata allo Statuto, con processi, arresti e multe milionarie a dirigenti catalani, e ora con l'intervento e lo sbarco, per terra, mare e aria della Guardia civil e della polizia inviati alla "riconquista". Si può fare un referendum concordato con il Partito popolare, C's [Ciudadanos de Catalunya, ndt], Psoe che sono stati disponibili solo a cambiare la Costituzione (articolo 135) per garantire il pagamento del debito dei banchieri? Quale parte della frase "la Spagna è una e indivisibile" non si è compresa da parte di chi avanza questa così ragionevole proposta? Ovviamente sarebbe "semplice" e "ragionevole" porsi d'accordo e fissare una data del referendum con garanzie di voto e del rispetto della decisione che ne esca. Ma al di sopra della ragione astratta, dell'imperativo categorico, del "dovrebbe essere", c'è la cruda realtà, le contraddizioni sociali, di classe e nazionali. E succede che coloro che si impadronirono del potere statale, col sangue e col fuoco, circa 80 anni fa, continuano a detenerlo e la loro "ragione" non è retta da nessun imperativo categorico. La passione di costoro per la "democrazia" è limitata alla loro devozione per preservare i loro privilegi e gli interessi di classe che rappresentano e proteggono. I borghesi lasciano agli ideologi della piccola borghesia, ai professori universitari e ai messia della "nuova politica", il meschino compito della difesa mistica della democrazia ideale che, a forza di negare l'esistenza delle classi sociali, esiste solo nella loro testa. Il regime monarchico spagnolo, erede del franchismo, che ora qualcuno chiama "il regime del '78", non ha mai tollerato e non tollererà in maniera pacifica nessun referendum di autodeterminazione. Non c'è modifica costituzionale che possa mettere in discussione il pilastro della "unità della Spagna". Non c'è "riforma costituzionale" né referendum che valga, perché questo terminerebbe con accendere le speranze di altri popoli a seguire la medesima strada dei catalani o, sulla strada dei referendum, potrebbe esserci qualcuno a chiederne uno per decidere tra monarchia e repubblica. Fino a questo si potrebbe arrivare! Sono trascorsi circa 80 anni dalla conclusione della guerra civile e tuttavia non c'è modo che il parlamento ancora abbia condannato il golpe militare franchista; non c'è modo che le famiglie possano riavere i cadaveri dei loro cari fucilati nelle fosse comuni; non c'è modo di volere il cambiamento del nome di una strada dedicata a un franchista, se non con la mobilitazione e, anche così, sono centinaia i paesi che nemmeno rispettano la già pur debolissima legge sulla "memoria storica". Basta sedersi davanti alla televisione per vedere fascisti, con uniforme o senza, che accerchiano l'assemblea a Saragozza degli "eletti ragionevoli". Basta vedere nei quartieri la polizia e la Guardia civil che salutano come eroi i loro commilitoni che vanno a "salvare la Spagna", alla riconquista contro gli infedeli catalani. E con questa gente si vorrebbe fare un accordo? La Catalogna ha tutto il diritto di decidere, e ciò che la lotta dei giovani e delle masse popolari catalane dimostra è che per poter esercitare questo diritto non valgono i gesti, i sorrisi. Non serve, come fa il partito di Puigdemont [presidente della Generalitat di Catalogna, ndt] affermare che ci sarà il referendum "senza se e senza ma", mentre contemporaneamente firma a Saragozza il manifesto per un "referendum concordato". Non serve a niente proclamare "andremo fino in fondo" e subito dopo affermare, come fa sempre Puigdemont: "L'indipendenza unilaterale non è nel nostro programma". La battaglia per il referendum del 1 ottobre dimostra che o la Catalogna dichiara la sua repubblica in forma unilaterale o non potrà fare nessun referendum con garanzie. E non ci sarà repubblica catalana se i lavoratori e le masse popolari non la impongono nelle piazze, con la mobilitazione permanente, con lo sciopero generale e l'autodifesa. Lo sciopero generale che in questi giorni si sta preparando significa l'entrata in scena della classe lavoratrice come classe, una cosa che è imprescindibile perché la classe possa intervenire come forza indipendente, rimettendo le cose al loro posto, legando la difesa del referendum e la proclamazione della repubblica catalana alle proprie rivendicazioni: come la cancellazione della controriforma del lavoro e di quella della scuola, la difesa di un sistema pensionistico pubblico. Che questo sia difficile, non c'è dubbio, però non è impossibile mentre l'attesa di un "referendum concordato" non è altro che l'ennesimo intento di fermare l'attuale mobilitazione di massa per imbrigliarla e legarla al carro delle istituzioni di un regime che nega il diritto a decidere; significa cercare di rinchiudere questa potente mobilitazione nel recinto di elezioni rette da una legge antidemocratica. Non è inutile ricordare che questa proposta di referendum concordato - e che dunque si sospenda il referendum indetto per il 1 ottobre - proviene da quegli stessi [come Podemos, ndt] che hanno smantellato il movimento degli indignados, svuotando le piazze, liquidando la mobilitazione e il processo di auto-organizzazione, che hanno lavorato per ricondurre tutte le aspettative di un reale cambiamento alle aule di parlamenti addomesticati.
Il due ottobre prossimo, in rappresentanza del comitato
referendario di Frosinone per il no alla riforma costituzionale, parteciperò al convegno convocato dal coordinamento per la democrazia
costituzionale sulla legge elettorale. L’incontro è stato organizzato per chiedere con forza l’approvazione
di una legge elettorale nuova, coerente per Camera e Senato, che chiuda la
sciagurata fase maggioritaria - responsabile
di un’antidemocratica distorsione della traduzione in seggi dei voti dei
cittadini - e inauguri una fase
proporzionale, dove la formazione del Parlamento sia il fedele specchio della distribuzione
dei voti ottenuti dai partiti. Naturalmente
si chiede anche un dispositivo in cui l’elettore possa indicare il proprio rappresentante senza
che le liste siano bloccate composte dai nominati dalle segreterie dei partiti.
Un
evento quanto mai utile quello di Roma, che si terrà presso l’aula dei gruppi parlamentari, non solo per gli
interventi di personalità di spicco (costituzionalisti e giuristi che hanno animato la campagna referendaria), ma per
ribadire con più forza il principio costituzionale secondo cui le elezioni servono a scegliere i
rappresentati del popolo e non a legittimare un sistema di potere. Il mantra
del sapere chi ha vinto già la sera stessa degli scrutini è una bestialità
enorme a livello costituzionale.
Il problema però, a mio giudizio, consiste nel
fatto che la dicotomia rappresentanza/governabilità è ampiamente superata. Dall’indegna
gazzarra che questo Parlamento sta montando sulla possibilità di licenziare una nuova legge
elettorale, si capisce chiaramente che
la questione non verte sull’obiettivo di assicurare un dispositivo funzionale per
il Paese, ma punta a tutelare gli interessi dei vari comitati elettorali in
lizza. Oltre ad anestetizzare il più possibile l’espressione degli elettori, in
modo che questa non vada ad intaccare le decisioni prese dalle segreterie dei
partiti.
In poche parole non si tratta di risolvere la diatriba fra
governabilità e rappresentanza, ma di cercare il sistema più consono ad ottenere che il voto non disturbi le decisioni del manovratore e che sia
strutturato in modo da favorire il proprio schieramento. Le liste bloccate
erano la caratteristica comune alla proposta, simile alla legge tedesca,
bocciata in giugno, e al Rosatellum 2 che andrà incontro ad una stroncatura certa
il 10 ottobre prossimo. Inoltre entrambi i sistemi penalizzano alcuni
schieramento e ne favoriscono altri, per cui è praticamente impossibile che
vedano la luce.
Alla fine, evidentemente, non se ne farà nulla e si andrà alle
prossime elezioni con le norme disegnate dalla Corte Costituzionale: l’Italicum
depurato da premio di maggioranza alla Camera ed il Porcellum, anch’esso rimodulato
dalla Consulta, al Senato, con la concreta possibilità di avere maggioranze
diverse nei due rami del Parlamento. In buona sostanza questo
Parlamento illegittimo, in base al
pronunciamento della Corte Costituzionale, non è riuscito a licenziare l’unica
legge che avrebbe dovuto produrre . Neanche il minimo sindacale di estendere l’Italicum al Senato, per uniformare la legge ad entrambe le Camere è stato realizzato.
Dunque oltre al convegno sulla legge elettorale proporzionale andrebbe
organizzato un dibattito sulla povertà morale, civile e politica dell’attuale classe
politica. Una pochezza figlia del degrado che hanno subito i vecchi partiti di
massa. I dirigenti eletti con le primarie,
siano esse figlie dei gazebo o della riffa in rete, non potranno mai
avere spessore. Un sistema basato sull’investitura diretta del capo che concorre contro avversari di comodo , in modo da mascherare da espressione
democratica una scelta imposta dall’alto, non può creare una classe politica
rilevante.
Quando non si passa per la militanza, quando si saltano piè pari tutte
le dinamiche di analisi, di elaborazione
dei progetti costruiti su una precisa idea di società , esautorando il confronto nei circoli, nei
congressi, mortificando la partecipazione degli iscritti , quando cioè si espianta la politica vera dal
corredo di un dirigente in pectore, il risultato è quello di avere una classe dirigente come minimo inadeguata.
Il guazzabuglio della riforma costituzionale bocciata
dai cittadini , i miseri tentativi falliti di dare al Paese una legge elettorale
decente, il numero ingente di norme licenziate da questo governo e cassate
dalla Consulta, offrono la misura dell’ignoranza istituzionale di coloro che
stanno occupando gli scranni parlamentari. Prima dunque di discutere sulla
legge elettorale, bisognerebbe ragionare su come ricostruire dinamiche politiche
incisive tese a favorire la partecipazione della collettività alle decisioni
importanti. Solo così sarà possibile rivedere in Parlamento gente capace di
esercitare il mandato ricevuto dagli elettori. Ci vuole tempo? E' vero, ma è un ottimo motivi per cominciare a discuterne subito.
Vedo una sorta di "ansia da prestazione" diffusa. Non scriverò una lunga analisi ma mi concentro su pochi e fondamentali punti:
MDP è Pisapia sono innegabilmente un percorso politico che tenta una scalata esterna al PD rievocando il fantasma del Centro Sinistra.
Il Centro sinistra ha fallito negli ultimi 25 anni e chiunque a sinistra ha cercato di spingere PD , Ds , Margherita a "sinistra" ha fallito . (Prc,PdCI,Sel e IDV) .
Negli ultimi 25 anni in nome del male minore ci siamo sempre più spostati a destra verso il "male minore" ed il "voto utile" ed oggi il risultato è una sinistra ridotta ad atomi isolati con scarsa credibilità . l'Italia è un caso politico unico dove la sinistra si scinde verso destra per ottenere seggi.
Ottenere seggi bruciando credibilità significa solo distruggere ogni residua speranza a sinistra. Tutti i partiti che hanno fallito nell'intento di spostare a sinistra il PD si sono disgregati in voti e militanti . Spesso costretti a cambiare vesti .
Ora vi dico cosa pensa un militante di sinistra della strada .
Non mi importa scalare il Pd con D'Alema, Pisapia e Bersani. Il Pd è l'artefice dell'attuale situazione . Non è il caso o la sfortuna a piegare oggi il popolo , ma leggi e proposte votate da loro. Non mi importa nemmeno avere oggi rappresentanti in parlamento se il costo è avere Pisapia e simili .
Quel che importa a me e a tutti i militanti che fanno tutt'ora vita politica nei propri territori è avere una prospettiva.
Recidere quel falso cordone con il centro sinistra che serve solo a far sedere qualcuno in parlamento senza un popolo dietro.
Andiamo avanti con tranquillità, fiducia e gioia verso una sinistra autonoma .
Possiamo anche non rientrare in parlamento oggi ma questo non importa. Conta continuare il giorno dopo le elezioni con gli stessi simboli e con la stessa forza. Bisogna esserci dopo le elezioni questo è il punto. Il lavoro e la militanza daranno una credibilità e il successivo consenso.
Una sconfitta elettorale oggi può essere il successo futuro se si tiene la barra dritta come alternativa. Manchiamo solo noi italiani nel panorama politico europeo.
Di seguito si trasmettono
alcune valutazioni sul risultato delle elezioni tedesche svoltesi il 24
Settembre, nel tentativo di verificare gli scostamenti sulla base delle cifre
in numeri assoluti e non soltanto sulle percentuali.
1) Il primo dato
che emerge riguarda la tenuta del sistema nel suo complesso, almeno del punto
di vista della partecipazione elettorale. La Germania è attraversata da alcune contraddizioni
di grandissimo rilievo, da quella riguardante il flusso dei migranti,
all’emergere di un livello di disuguaglianza sociale molto forte al punto di
verificare il fenomeno di un vero e proprio “abbandono” da parte dello stato
sociale di interi strati di popolazione, al consolidarsi di forti differenze
tra una parte e l’altra del Paese a distanza di oltre venticinque anni dalla
riunificazione tra BDR e DDR. Ciò nonostante i tedeschi hanno partecipato al
voto in misura massiccia, anche se il sistema elettorale tedesco non è
costruito sull’idea (tanto agognata dalle nostre parti) che alla domenica sera
si debba già sapere chi ha vinto, chi sarà il primo ministro che governerà per
5 anni. Si è verificato, infatti, un
incremento in valori assoluti e in percentuale del totale dei voti validi
(riferimento di tutti i dati la parte proporzionale delle espressioni di voto).
Data la partecipazione complessiva (inclusi coloro che hanno espresso voto
bianco o nullo per un totale di 851.992 suffragi mancati) al 76,16%, i voti
validi si sono incrementati tra il 2013 e il 2017 di 2.016.842 unità passando da 44.309.925 a 46.326.767;
2) Il
secondo dato da rilevare è quello che riguarda la maggior concentrazione del
voto sui 6 partiti maggiori. Nel 2013,
infatti, i voti dell’Unione tra CDU – CSU, SPD, Linke, Verdi, FDP e AfD
assommarono a 41.009.065 (92,55% sul
totale dei voti validi) e FDP e AfD restarono esclusi dal Bundestag. Nel 2017
la somma di voti raccolti dai sei partiti in questione è stata di 44.002.541
pari al 94,98% del totale dei voti validi. Riscontriamo quindi una maggiore
concentrazione nel voto in presenza di un allargamento nella presenza in
Parlamento da 4 a 6 partiti. Altro dato che non pare spaventare i tedeschi
almeno dal punto di vista del numero dei partiti partecipanti all’arco
parlamentare. Altro paio di maniche ovviamente la valutazione politica relativa all’ingresso dell’AfD nella sfera
parlamentare che suscita sicuramente inquietudine per la dimensione
inusitatamente massiccia del voto;
3) Acclarata quindi la tenuta del sistema almeno dal punto di
vista della partecipazione elettorale appare evidente, come notato dai tutti i
commentatori davanti alla realtà delle cifre, il secco spostamento a destra,
che meglio è evidenziato dalle cifre assolute. L’Unione tra Cristiano
Democratici e Cristiano Sociali scende, infatti, da 18.165.446 voti a
15.315.576 segnando un meno 2.849.870 pari al 15,39% del proprio elettorato.
Tra l’altro appare netto il calo della CSU in Baviera: il partito “storico”, che
fu di Strauss, nel suo Land d’elezione nel 2013 aveva ancora sfiorato la
maggioranza assoluta con il 49% e adesso, invece, si restringe al di sotto del
40% con il 38,8%. Sul piano nazionale la
SPD scenda da 11.252.215
suffragi a 9.358.367 con un meno
1.893.848 pari al 16,84% del proprio elettorato. Si può affermare, in
sostanza che il calo delle due forze impegnate nel governo di “Grosse Koalition”
è stato tutto sommato omogeneo tra di esse e non si rileva un particolare
“crollo” dell’SPD in questo senso: il dato del calo della socialdemocrazia
appare sicuramente enfatizzato dall’aver toccato in questo frangente il proprio
minimo storico, dopo essere apparsa del tutto subalterna ai democristiani
nell’azione di governo e aver propiziato – a suo tempo – guidando l’esecutivo
il dramma della crisi dello stato sociale. Naturalmente il modesto incremento
fatto segnare dalla Linke, che conferma la propria presenza a Est, non compensa
assolutamente il calo della socialdemocrazia. La Linke, infatti, sale da 3.755.699 voti a 4.269.762 registrando un
più 514.063, pari all’11,3% del
proprio elettorato. I Verdi, che si
apprestano a quanto pare a svolgere il ruolo della ruota di scorta del governo
democristiano, hanno fatto registrare un lieve incremento da 3.694.057 a
4.157.164 pari a 463.107 voti in
più, 12,53% sul proprio elettorato. Verdi e Linke recuperano complessivamente
(514.063+ 463.107)=977.170 voti, cioè poco più della metà dei voti persi dalla
SPD, per l’esattezza tipica germanica, il 51,59%. Verdi e Linke hanno anche
profittato poco dell’incremento dei voti validi pari a 2.016.842, di cui hanno
fatto incetta FDP e AfD, che hanno preso 6.733.754 voti in più rispetto al
2013, cioè 1.990.036 voti in più del totale delle perdite di CDU-CSU e SPD(-4.743.718).
Altro dato da considerare è che in termini percentuali la Große Koalition ha
perso (59,8- 53,5 ) il - 6,3 %, mentre l’Alternativa Rosso Verde (42,7-38,8) il -3,9%. L’Alternativa Rosso
Verde ha perso la maggiorana assoluta
numerica, non politica, che aveva con con 329 seggi su 631 nel 2013, mentre ora
ne ha 289 seggi su 709, cioè un 40,76%.
4) Passiamo dunque
ad analizzare lo spostamento a destra, sicuramente il dato più eclatante emerso
da questa competizione elettorale. Nei commentatori sta facendo scalpore
l’ascesa dell’AfD. Nel 2013 il partito rappresentativo dell’estrema destra
aveva raccolto 2.056.985 voti passando nel 2017 a 5.877.094 ed entrando
trionfalmente al Bundestag con 94 deputati. L’incremento dell’AfD è quindi di
3.820.109 voti, pari al 185,71% di crescita, quasi due volte il proprio
elettorato precedente. Inoltre l’AfD rompe il monopolio nei Länder conquistando
la maggioranza in Sassonia: ed è questo un dato politico da tenere
assolutamente in conto. Netta crescita anche per i liberali passati da
2.083.533 voti a 4.997.178, con un più 2.913.645. In totale AFD e FDP
acquistano 6.733.754 voti in più
rispetto al 2013, un incremento superiore alla somma delle perdite di CDU-CSU e
SPD calcolate assieme ( - 4.743.718).
Se ne può dedurre che in particolare l’AfD sia penetrata sia nel bacino
elettorale delle formazioni minori contribuendo in maniera decisiva a
quella superiore concentrazione
nell’espressione di suffragio sui 6 partiti principali già segnalata in
apertura di questo lavoro, sia sull’astensione. La presenza della destra, sia
estrema, sia di matrice liberale, si dimostra quindi pervasiva dell’intero
elettorato, sia dal punto di vista sociale, sia sotto l’aspetto geografico e
non solo, quindi, si presenta come la grande novità episodica nella scena
politica tedesca ma anche come elemento strutturale del brusco riallineamento
sistemico che le elezioni tedesche hanno presentato come risultato complessivo.
5) La crisi
della democrazia liberale classica, ben evidente anche nel caso tedesco, non si
dimostra però nella disaffezione alle urne (come avvenuto in Francia e continua
progressivamente a palesarsi in Italia) e neppure nell’affermazione di un
partito “antisistema”. Si ricolloca, invece, sull’antico asse destra / sinistra
nella sua versione che proprio l’AfD, forza nazionalista conservatrice con
forti venature razziste rappresenta. Dati che andranno meglio meditati avendo a
disposizione un insieme di numeri maggiormente approfonditi in particolare
rispetto alla dislocazione geografica del voto. La soluzione Jamaica, cioè
Union-FDP- Verdi è un’isola westdeutsch, perciò si accentua la divisione tra i Länder
ex RFT e ex DDR, accentuata dal fatti che AfD è il primo partito in Sassonia e
davanti alla SPD in tutti i Länder orientali, tranne Berlino, che è orientale
solo geograficamente. L’analisi di flussi elettorali hanno indicato che ci sono
stati passaggi di voti da SPD e Linke a AdF valutati in circa un milione. La coincidenza tra disagio
economica e voto per AfD è impressionante, poteva essere contrastato soltanto
da un’intesa SPD- Linke. In effetti fu sperimentata in quei Länder, ma non
confermate dalle urne al successivo rinnovo,Berlino compresa. Sulla carta c’erano nel Bundestag e in alcuniLänder maggioranze rosso-rosso- verdi, ma i
rapporti tra Verdi e Linke non sono idilliaci, come si verificò nella Saar,
dove sotto la guida di Oskar Lafontaine la Linke ottenne la prima vittoria in
un Land occidentale. Per impedire una coalizione rosso verde nacque una
coalizione Jamaica nel 2009, che nel 2012 era già finita. . Un effetto
paradossale del successo AfD sarà che nella parte orientale le alleanze Jamaica
non hanno base numerica e forse nemmeno le grandi Coalizioni CDU-SPD.
Una coalizione Jamaica
è stata formata proprio quest’anno dopo le elezioni nello Schleswig-Holstein,
in sostituzione di una maggioranza SPD-Verdi. Nel passato sono state
sperimentate a Brema, Hamburg e nella Saar, ma, come già accennato, molto
instabili. Un accordo programmatico non sarà facile, ma è una soluzione
obbligata, richiederà tempo e non sono escluse elezioni anticipate, fatto
eccezionale in quel paese. Qualche elemento in più si potrà avere solo dopo le
elezioni nella Bassa Sassonia, il Land
della Volkswagen, dopo che una maggioranza SPD Verdi è entrata in crisi per il
passaggio diretto alla CDU di una Verde del Landtag.
Quella che segue è una schematizzazione realistica fra ciò che dovrebbe essere di destra e ciò che dovrebbe essere di sinistra. Si può notare come molte espressioni che identificano le posizioni di destra sono proprie del Pd. Vedi ad esempio le tematiche inerenti : la scuola, la proprietà privata, il ricco, l'imprenditore, il lavoro salariato, lo straniero, la sanità. E' chiaro che lo schema proposto qui sotto da Umberto Franchi è sommario, essenziale. Ma indica chiaramente le discriminanti che un partito identificato a sinistra, deve tenere presenti prima di impelagarsi in alleanze suicide.
Luciano Granieri.
Scuola
destra = solo i figli dei ricchi possono accedervi sinistra = diritto di studio per tutti, gratuitamente, scuola di qualità;
Proprietà privata
destra = la cosa più sacra che esista sinistra = può essere usata contro i beni comuni e diventare un crimine contro l'umanità;
Amor patrio
destra = valore fondamentale sinistra = può essere la causa prima di molte guerre
Confini
destra = bisogna difenderli a costo della vita sinistra = segni di matita tracciati dai potenti di turno che non hanno alcun valore
Ricco
destra = persona da ammirare sinistra =quasi sempre ha fatto i soldi truffando e sfruttando quindi persona che può delinquere (Berlusconi insegna)..
Imprenditore
destra = persona che crea lavoro sinistra =quasi sempre una forma di vita parassitaria che vive sfruttando l'altrui lavoro;
Lavoro salariato
destra = fondamento della nostra civiltà sinistra = forma moderna di schiavitù che però va cambiato e migliorato
Straniero
destra = persona che non può avere gli stessi diritti di chi è nato da questa parte del segno di matita sinistra = nessuno è straniero...
Razza
destra = bisogna difendere la propria razza, le altre sono inferiori sinistra = tutti gli uomini sono uguali
Religione
destra = valore fondamentale della nostra cultura sinistra = il mondo sarebbe veramente civile senza religioni;
Differenze di genere e sessualità
destra = l'uomo deve comandare e soltanto gli eterosessuali possono dirsi uomini sinistra = uomini, donne ed omosessuali devono avere gli stessi diritti;
Aborto
destra = l'ovocita fecondata è già un essere umano, l'aborto è un omicidio sinistra = la donna deve avere piena libertà di decidere se portare a termine la gravidanza o abortire;
Eutanasia
destra = è un omicidio che va perseguito per legge sinistra = ognuno deve essere libero di decidere il proprio destino;
Sanità
destra = solo chi ha i soldi può curarsi ... sinistra = diritto esteso a tutta la popolazione
e tanto altro ancora, per cui o stai dalla parte degli oppressori o stai dalla parte della libertà.
Quindi anche chiedere l'applicazione della costituzione sarebbe un fatto di destra o di sinistra? la risposta mi sembra ovvia.... di sinistra ! Anche questo è realismo....
fonte Jerry Jazz Musician traduzione di Luciano Granieri
In un’illuminante saggio inserito nel libro che Kathy Sloane ha dedicato alla storia del Keystone Corner, il famoso jazz club
degli anni ’70 e ’80 di North Beach San Francisco il poeta, Jack Hirschman
scrive che:”Il jazz del secondo
dopoguerra, l’ espressionismo astratto, e ciò che io definisco composizione nel
campo della poesia, per me rappresentano la trinità degli essenziali idiomi americani, i
quali realmente rappresentano le fondamenta non soltanto del mio lavoro, ma il
lavoro di quasi una generazione intera di scrittori e musicisti”. Hirschman
scrive di aver trovato ispirazione per le sue poesia nella musica di Monk. (Era
come un poeta che scriveva poemi con le note musicali), Charlie Parker e Cecil
Taylor gli hanno ispirato
ciò che lui chiama “rifficals” infinite
improvvisazioni riprese dal jazz che ha
trasmesso al pubblico del Keystone.
Come molti di noi, Hirschman ritiene che il jazz sia una
colonna portante della nostra storia
culturale. “La dimensione Afroamericana ha esercitato una notevole influenza
praticamente su tutti gli artisti in questo paese –scrive - anche se la gente non vuole ammetterlo, è la
base, la base musicale a livello di creazione popolare. Il jazz è la radice musicale delle nostre vite contemporanee. Non
voglio dire che è semplicemente parte
della vita di tutti noi in America, essa è proprio elemento intrinseco in noi . Mi rendo conto, per esempio
come creativo, e come fanno i musicisti che tutto ciò che devo fare è intercettare
qualcosa dentro di me, qualcosa che trovo nel mio respiro che mi apre verso una dimensione Afroamericana
e da questa scaturiscono, parole, suoni, colori.”
Hirschman, oggi ottantatreenne, ha pubblicato oltre 50
volumi di poesie e saggi. Fu eletto miglior poeta di San Francisco nel 2006. Se si
mostra interesse per le connessioni fra
jazz letteratura, oltre che leggere le
sue memorie del Keystone, il suo saggio
“Rifficals” – estratto da: “Keyston Korner, ritratto di un jazz club”- è una
magnifica lettura.
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Rifficals di Jack Hirschman
Sono ispirato da Monk perché essenzialmente era un poeta che
scriveva note, note musicali.
Non avevo soldi per andare al
Keystone. Semplicemente non ce lo
facevo, nient’affatto. Ero li nel ’73 ’74 ma se (alcuni amici) mi nominavano il
Keystone Corner, dovevo dire: “ Bene scusate ma non ce l’ho…”Quanto
ci voleva, sei o sette bigliettoni per entrare? Non avevo quei soldi. Ma fui veramente
fortunato, quando (l’anno dopo) , la mia ragazza (Kristen Wetterhahn) trovò da
lavorare al Keystone Corner. Era il ’77 o al ’78. Ho conosciuto il Keystone da quel periodo fino all’83 quando ha chiuso. Kristen
prese a lavorare al Keystone e, come ho detto, ne fui molto compiaciuto perché
io amo il jazz. In quel periodo mio figlio David abitava giù a Santa Cruz e trasmetteva jazz da una
stazione radiofonica di Santa Cruz. Il
jazz era veramente gran parte della mia vita.
Per il nostro
lavoro, potevamo definirci veramente gente della notte. Non cenavamo mai , Kristen ed io, prima delle 2,30 del mattino. Uscivo dal
nostro appartamento in Kearny Street per andare allo Spec’s Cafe il luogo dove bevevo, leggevo poesie, frequentavo poeti, il ceto popolare, i lavoratori,
leggevamo, chiacchieravamo. Quando mancava circa un quarto a mezzanotte,
passeggiavo giù fino al Coit Liquors,
prima che chiudesse, e compravo una bottiglia di vino per cena. Poi andavo al Keystone. Siccome Kristen lavorava li riuscivo
ad entrare senza pagare. Era un dono straordinario, infatti qui transitavano
alcuni dei più grandi jazzisti del tempo ed io avevo la possibilità di
ascoltarli.
Il Keystone era una parte
molto importante di me nel periodo dal ’77 all’83. Ero solito disegnare dei poster Russi-Americani e distribuirli . Era roba
veramente comunista, propaganda comunista, disegnavo e scrivevo come se
stessi in una sorta di stato improvvisativo
da jazz quotidiano e loro diventavano
veramente matti. Ne facevo
approssimativamente dai trenta ai cinquanta al giorno nell’appartamento in cui
vivevamo. Qui c’era una grande influenza da parte del mondo del jazz.
Tagliavo i
cartoncini , diciamo da otto a undici, alcune
volte, devo dire, usavo qualsiasi tipo di
carta trovassi nei cassonetti, alcuni bei cartoni e altro. Facevo molti segni sulla carta. Il primo tratto
era una sorta di arzigogolo grafico, sarebbe potuto venire fuori dallo Zen o da
qualcosa di orientale. Poi mi capitava
di scrivere una parola russa come Iskra,
il nome del giornale rivoluzionario, che significa scintilla. Al di sopra della
parola “scintilla” in Russo Cirillico scrivevo
“ameruss” un termine che avevo tirato fuori dalla combinazione fra America - Russia e un gioco di parole su “amoroso”. Quindi sotto riportavo la parola “comunista” in Cirillico. Poi aggiungevo sul lato del poster qualcosa sulla “solidarietà”. Poteva essere solidarietà con
Haiti o con l’ULW, che è l’Unione degli
Scrittori di Sinistra (Union of Left Writers). E ancora, scrivevo frasi del tipo “nessuna
classe”. E in un altro lato del disegno aggiungevo slogan come “No Klan”, o “No al Nazismo”, “No al Nucleare."
Spesso compariva una
dedica verso qualcuno che era stato una figura rivoluzionaria come il Che, o Lenin, o
poeti che usavano molto il jazz per esprimersi- capisci. Avrebbe potuto esserci un omaggio a Charlie Parker o ad un altro dei
ragazzi del jazz che non erano più con noi. Ma in realtà loro erano sempre con noi. Poteva essere
chiunque in quell’ambito. Quindi aggiungevo una breve componimento, come una poesia haiku,
solo una improvvisazione molto breve. Ne davo via a bizzeffe di questi poster alle persone
che venivano al club Keystone Corner.
Ero inspirato da Monk perché era essenzialmente come un
poeta che scriveva in note, in note musicali. La sera più feconda che ho mai
passato nella mia vita poetica, fu quando mi stavo avviando verso una pausa di
riflessione con la mia prima moglie. Ero giù,
in un posto a Echo Park (Los Angeles), misi un disco di Monk e scrissi,
quella notte dell’81, ciò che io chiamai “rifficals”una improvvisazione jazz
che attingeva da strumenti creativi che comunque possedevo, che tornava indietro a James Joyce cosi come
contemporaneamente si apriva al jazz. Ma
questi erano realmente componimenti jazz. Scrissi un'altra poesia dal titolo
“Schnapps’ Son” anch’essa ispirata da Monk e (Charlie) Parker era anche coinvolto. Una composizione che sarebbe stata pubblicato così
come una parte di “rifficals”. Ero veramente ispirato dall’ascolto del disco “Blue Monk”. Era molto legato a me come poeta,
come qualcuno che componeva con le parole. Era come se usasse le parole,
perché parlava con le note, molto più , credo, di ogni altro pianista che
avessi mai ascoltato. Cecil Taylor , ad
esempio ,poeta abile ad esprimersi anche con le parole, riempie tutti i livelli , gli
spazi, mentre Monk è fatto di sospiri. Era più vicino ad alcune cose che stavo
seguendo nella scrittura americana di
Charles Olson, l’uso del respiro nella singola linea e in tutto il
processo creativo. Ero molto vicino a
processi creativi in cui Monk era coinvolto.
Il jazz del secondo dopoguerra, l’espressionismo astratto,
e ciò che io definisco composizione nel campo della poesia, per me rappresentano la trinità degli
essenziali idiomi americani, che realmente identificano le fondamenta, non
soltanto del mio lavoro, ma il lavoro di quasi una generazione intera di
scrittori e musicisti: Ciò che Parker ha annunciato, ciò che Pollock ha
annunciato. Jackson Pollock realmente operò una rottura nell’arte e rese New York il
centro-non più Parigi- creò l’idioma, non soltanto l’idioma preponderante.
Ciò che Jackson fece, e in un certo senso Parker fece lo stesso nella musica,
rivoluzionò completamente la linea creativa. La linea , l.i.n.e.a fu da loro
rivoluzionata nei termini che loro imposero. E la rivoluzione così
profonda, fu assorbita dalla gente che
la diffuse e la fece risuonare . Quella linea creativa che Jackson creò negli
anni ’40 e nei primi anni ’50.
Una volta al Keystone stavamo parlando, e qualcuno – forse
era Dexter, o avrebbe potuto essere Dewey Redman, stava ragionando su Parker. Qual’era
la natura del suo genio? Sosteneva che i musicisti in quei giorni, ma anche
nell’81, ’82, non potevano comprendere pienamente come Parker suonasse. Era un grooving così
rapido, il modo con cui faceva scivolare il fraseggio, mantenendo il tempo, passando da
un livello della musica ad un altro. Ancora oggi la gente è incapace di farlo.
Questa era una parte dell’essenza reale del suo genio. La capacità che aveva di
muoversi attraverso la dimensione
jazzistica di un determinato pezzo, con un’incredibile rapidità di groove.
La dimensione Afroamericana ha esercitato un’influenza
notevole, virtualmente, su tutti gli artisti in questo paese, anche se la gente
non vuole ammetterlo. E’ la base, la base musicale, a livello della creazione
popolare. Il jazz è il fondamento musicale del nostro vivere contemporaneo. Non
voglio dire semplicemente che è parte della vita di ognuno in America, ma è un
elemento che vive dentro di noi. So per esempio
come creativo, e come sono i musicisti, che tutto ciò che devo fare è
intercettare qualcosa dentro di me, qualcosa che faccio con il mio respiro che
mi apre verso una dimensione Afroamericana e da questa scaturiscono, parole, suoni,
colori. Quindi è un elemento molto importante. Perché non dovrebbe esserlo?
Questo, politicamente parando, è una Paese che si è sempre dichiarato
democratico, ma sappiamo che è una cazzata. C’era di fatto la schiavitù . Se esiste la schiavitù in intere porzioni del Paese, non viviamo in una
Nazione democratica. E la liberazione
dalla schiavitù fu, creativamente parlando, il fatto più importante probabilmente accaduto in America nel secolo
scorso. Ciò è arrivato negli altri Paesi. In altre parole, se vai in
Europa ti rendi conto che l’Europa ha compreso quanto è accaduto.
Il jazz è il
linguaggio della liberazione verso la democrazia.
I russi erano molto affascinati dalle prime espressioni del jazz americano.
Ricordo che una giorno stavo traducendo con un amico Vladimir Mayakovsky, si arrivò su una parola, ki ka poo. Non sapeva
cosa fosse in russo, e io non sapevo cosa fosse in americano. Tre giorni più tardi il mio amico controllò e disse “Bene, lo sai, c’era una danza nel
1915 proveniente dall’America denominata Kickapoo, lo stesso nome degli indiani
Kickapoo” Ma era una danza jazz come il foxtrot o qualcosa di simile. Un brano
di danza jazz americano! Semplicemente una piccola mania che si era diffusa.
Quando parli del martellamento dell’Hip Hop, certamente esso si rifà ad alcune vecchie cose del jazz, ma ha
anche avuto a che fare con la rivoluzione
russa. Molti degli hip-hoppers non sanno
neanche questo. Ma qualcuno come Mayakovsky,
il poeta russo, utilizzò le rime prese dal linguaggio della strada all’inizio del
ventesimo secolo. Mettila così, nel
diciannovesimo secolo in Europa
ed in America, la musica ha avuto una transizione in ciò che chiamiamo “musica leggera” nel teatro, mi capisci, nella danza ecc. Ma fu intercettata verso la fine del secolo
dalla musica che scaturiva dalla liberazione dalla schiavitù. Quando arrivi al
ventesimo secolo, quando arrivi a Scott
Joplin e a tutti gli altri , quando
arrivi alla fondazione del jazz, approdi ad un linguaggio che deriva dalla
lotta di liberazione. Ha pervaso interamente
il ventesimo secolo e punta dritto sul ventunesimo.
Ero nato negli Stati Uniti, non ero europeo. Ero nato a New
York nel ’36. Lavorai come addetto alle copia delle bozze per l’Associated Press nella 51° strada. Nella
52° stavano suonando mentre ero al lavoro ma
io non andai. Mi sarei preso a calci per
non averlo fatto. Ero solo un giovane novizio e volevo diventare,come prima
cosa, un reporter, poi un narratore, un poeta. La maggior parte di cose relative
a quella banda le seppi dopo. Charlie e Miles stavano suonando nella 52° strada
ed io stavo letteralmente dietro l’angolo…
Arrivavo dalla California del sud nel ’61 e mi trasferii a
San Francisco verso a fine del ’72, quindi incontrai Kristen negli ultimi mesi
del ’74. Abitavamo qui in North Beach e il Keystone divenne parte della nostra
vita a partire più o meno dal ’77, ’78. Ricordi quel periodo, dopo la guerra
del Vietnam, prima dei Sandinisti nel ’79? Avevo appena iniziato a lavorare con
il gruppo culturale Sandinista dopo la
destituzione di Somoza. Quindi nell’80 Reagan arrivò alla Casa Bianca e tirò
fuori quel numero con i controllori di volo, allora ci fu un notevole consolidamento della
sinistra contro di lui. L’anno 1982,
ovviamente fu per me molto significativo, perché mio figlio, conduttore di
programmi jazz alla radio, contrasse la leucemia, che sfociò in un linfoma.
Mori nel 1982. In quell’epoca il
Keystone stava andando in crisi, anche Kristen ed io ci stavamo avviando ad una
crisi. E le due cose erano abbastanza in sincrono.
Si era svolta nel
1982 una grande conferenza di autori, la Left/Right Conference e Todd Barkan fu
molto generoso con me, decidendo di organizzare un particolare incontro al
Keystone Corner. Avevamo in programma letture di poesie a carattere politico,
ma non erano soltanto letture in una domenica particolare. Volevamo ospitare eventi politici prima che il locale
aprisse per la sera. Credo ce ne fosse in programma uno contro Reagan. Arrivò Amiri Baraka; lessi con Amiri. Voglio dire era
veramente un poeta caposcuola, io invece ero un poeta locale, poi più tardi
diventammo grandi amici. Lo scorso hanno
abbiamo trascorso momenti meravigliosi insieme a Napoli, dove abbiamo letto
poesie per il mio editore italiano.
Che il Keystone si aprisse agli incontri politici fu
veramente importante. Da quel momento i prezzi salirono a sette, otto, forse fino a dieci dollari . Si organizzavano eventi in cui le persone potevano ascoltare qualcuno
politicamente coinvolto e se quelli avessero donato anche solo un tozzo di
pane, questo era realmente destinato alla causa. Non era solo andare al
Keystone. Il Keystone era già ricercato
per il bar i cui guadagni erano assolutamente eccellenti.
Era un luogo sempre in subbuglio , dato
che la stazione di polizia stava alla porta accanto, era da pazzi. Non
l’ho mai capito. Attorno al mondo della musica girava molto alcol e stupefacenti,
ma si presentavano anche straordinarie occasioni.
Il Keystone divenne qualcosa di veramente personale, a parte
il coinvolgimento dovuto al fatto che vivevo con Kristen e lei lavorava li. La nota più triste: Ho detto di mio figlio che morì di linfoma nel 1982 nella sua
casa a Venice California. Aveva 25 anni, quindi era molto giovane, ma già
inserito nel mondo del jazz. Non era semplicemente che lui amava il jazz; era
anche un fotografo di jazz. Ne fece molte di foto meravigliose in particolare
ai musicisti di jazz, e dopo che morì,organizzai un’esposizione dei suoi lavori in un paio di mostre locali. Quando morì, scrissi una componimento arcano,
una delle mie poesie più lunghe, un elegia per David dal titolo “The David
Arcane”fu pubblicata in una piccola edizione e la foto che egli fece a Bobby
Hutcherson mentre suonava al Keystone fu messa sulla copertina del libro.
Nel centenario della rivoluzione d’Ottobre vale la pena di ricordare che le donne russe furono le prime nella storia a vedersi riconosciuto il diritto all’aborto libero, gratuito e sotto controllo medico. Esse potevano accedere a questa pratica senza dover ottenere il consenso di alcuno, medico o familiare che fosse, conquistando così il grado più alto a livello mondiale della loro autodeterminazione, un livello non ancora raggiunto nemmeno nel più avanzato dei Paesi capitalisti oggi. Il 28 settembre, infatti, come ormai accade dal 1990 (anno di istituzione della Giornata globale per la depenalizzazione e la legalizzazione dell’aborto, voluta al fine di promuovere l’aborto come un diritto umano, per frenare la mortalità materna e i rischi per la salute delle donne conseguenti agli aborti clandestini), saremo di nuovo in piazza a reclamare la piena concessione di un diritto. La situazione cambia da Paese a Paese, ma a livello globale rimane la certezza che impedire alle donne di ricorrere all’aborto non ha fatto che accrescere il mercato delle pratiche clandestine: è ancora alto, e non diminuisce, il numero di decessi a causa di aborti a rischio perché meno della metà degli aborti effettuati avviene in condizioni di sicurezza e per ogni donna che muore, circa 20 sono colpite da gravi invalidità o patologie. Nei Paesi in via di sviluppo sono soprattutto le giovani donne e le adolescenti a subire le complicazioni dovute ad aborti clandestini e rappresentano la percentuale più alta di bisogno insoddisfatto di contraccezione: più del 40% (8,7 milioni) degli aborti non sicuri riguarda infatti donne di età compresa tra 15 e i 24 anni.
La situazione italiana
Anche nei Paesi a cosiddetto “capitalismo avanzato”, abortire non è facile: in Italia ad esempio l’interruzione volontaria di gravidanza, tutelata dalla L. 194/78, è riconosciuta come una pratica legale, libera, gratuita ed assistita. La reale applicazione della 194, tuttavia, è ostacolata da una serie di attacchi trasversali tra i quali in particolare vanno menzionati i definanziamenti ai consultori causati dai continui tagli alla spesa pubblica con conseguente riduzione dei servizi erogati o addirittura con la chiusura di molti presìdi, e la possibilità per il personale medico, infermieristico e ausiliario di avvalersi dell’obiezione di coscienza, ossia di astenersi dalla pratica abortiva in virtù di convinzioni ideologiche o religiose. In Italia la scelta dell’obiezione è in continuo aumento e più del 70% dei ginecologi non pratica interruzioni di gravidanza, con punte anche dell’85% in alcune regioni del centro sud. Questa situazione impedisce l’applicabilità della legge e contribuisce ad alimentare il mercato degli interventi illegali: si parla di circa 15.000 aborti clandestini, cifra evidentemente sottostimata che non tiene conto ad esempio delle donne immigrate che spesso non si avvicinano alla sanità pubblica, soprattutto se clandestine. L’aspetto più allarmante è che oltre a stratificarsi nella gerarchia ospedaliera con un raggio di copertura che va dal vertice di medici e anestesisti, passando per il personale infermieristico, fino alla base del personale ausiliario, l’obiezione di coscienza si sta estendendo anche come campo di applicazione: la scelta non coinvolge più soltanto la pratica dell’IVG, ma persino la prescrizione di farmaci contraccettivi o di tecniche abortive alternative. L’adozione della RU486, per l’aborto farmacologico meno invasivo di quello chirurgico, è boicottata nei fatti dalla circolare che impone un ricovero più lungo (tre giorni) di quello previsto per l’intervento, con pazienti sottoposte a vere e proprie vessazioni psicologiche e fisiche, umilianti e dolorose (i forum in rete sono pieni di racconti ad esempio di personale obiettore che rifiuta persino la somministrazione di analgesici per lenire i dolori abortivi) e con l’impossibilità ad accedervi a causa della lunga degenza per le lavoratrici precarie, per le minorenni, per le immigrate, spesso non in grado di giustificare assenze prolungate sul posto di lavoro o in famiglia. Oggi, in Italia, abortire seguendo la legge è spesso quasi impossibile. La percentuale di adesione all’obiezione di coscienza e la conseguente inaccessibilità di numerosi presìdi ginecologici, comporta trafile da incubo fra porte sbattute in faccia, pellegrinaggi alla ricerca di medici non obiettori, lunghe file di attesa, prenotazioni, giornate perse, settimane che passano con il corpo che cambia e la gravidanza che procede inesorabile con conseguenze facilmente immaginabili. Questo significa che praticare l’interruzione di gravidanza è diventato per le donne italiane un percorso ad ostacoli e contro il tempo. La loro possibilità di autodeterminare la propria sessualità sia nella contraccezione sia nella maternità è sottoposta al ricatto di un’altra scelta, quella dell’obiezione di coscienza, frutto di una cultura maschilista che le preferisce succubi e relegate tra le mura domestiche ad accudire forza lavoro per il capitale.
La criminalizzazione dell'aborto è un'altra forma di violenza contro la donna
La società capitalista condanna le donne che praticano l'aborto, anche quando formalmente accorda loro la possibilità di ricorrervi. La maggior parte dei Paesi non garantisce un'adeguata educazione sessuale nelle scuole, né distribuisce gratuitamente gli anticoncezionali, negando alle donne in maniera cosciente la conoscenza ed il controllo del proprio corpo, della sessualità e della riproduzione. Le donne della classe lavoratrice e dei settori più poveri della società, condannate ad avere gravidanze indesiderate, non possono garantire le minime condizioni materiali ed emotive per un giusto sviluppo armonico di questi figli. Il sistema capitalista condanna questi bambini a diventare facile preda dei peggiori mali della società: criminalità, tossicodipendenza, disoccupazione. D'altra parte, con posti di lavoro precari, gli unici cui ha accesso la stragrande maggioranza delle giovani lavoratrici, la gravidanza è spesso causa immediata di licenziamento. Si tratta di un'altra forma di violenza contro le donne che vogliono essere madri. Il numero di aborti clandestini e delle morti di donne in relazione alla gravidanza confermano che le posizioni che criminalizzano l'aborto e che sostengono di difendere la vita non sono altro che ipocrisia. È deleterio in particolare il ruolo della Chiesa cattolica che non solo contrasta la legalizzazione dell'aborto, ma anche l'uso del preservativo, condannando i suoi giovani seguaci al contagio dell'Aids. Però mentre le condanna e le censura quando esercitano liberamente la loro sessualità, questa stessa società le svilisce, le prostituisce e le utilizza come oggetti sessuali. Alle donne si chiede sottomissione attraverso false ideologie della classe dominante e dei settori più conservatori della società, e in maniera cosciente si nega loro la conoscenza ed il controllo del proprio corpo, della sessualità e della riproduzione. Come una cartina al tornasole, l’aborto, il momento più esclusivo di affermazione di volontà da parte di una donna, dà l’esatta misura del livello di oppressione delle donne nel sistema capitalistico: la legislazione borghese (che sull’argomento riesce a sbizzarrirsi in restrizioni e tempistiche ai limiti del ridicolo) rende la sua negazione lo strumento ideale per relegare maggiormente la donna nella sua funzione riproduttiva, soprattutto in questo momento in cui per la crisi economica è necessario “liberare” posti di lavoro in favore degli uomini e sopperire ai tagli ai servizi sociali con manodopera gratuita.
Insieme in piazza il 28 settembre! Consapevoli che solo nel socialismo sarà possibile per le donne autodeterminarsi così come lo fu per le donne russe nel ‘17, come donne lavoratrici e sfruttate saremo in piazza il 28 settembre insieme ai lavoratori e compagni maschi con cui lottiamo quotidianamente, perché la violenza e gli abusi sono meccanismi di oppressione che servono a tenere in piedi lo sfruttamento del sistema capitalista contro migliaia di milioni di lavoratori e poveri del mondo. Il Partito di alternativa comunista, sezione italiana della Lega internazionale dei lavoratori-Quarta internazionale, nel riconoscere la necessità di estendere e garantire il diritto di aborto al di là dei limiti della 194, si batte per garantirne l’applicazione in tutti gli ospedali attraverso l'abolizione dell'obiezione di coscienza e l'introduzione delle migliori tecniche per la salvaguardia della salute delle donne (pillola abortiva), per l’estensione alle minorenni del ricorso all’IVG senza la necessità dell'autorizzazione vincolante degli esercenti la responsabilità genitoriale o dei tribunali borghesi, per l’accesso gratuito e senza prescrizione medica alla “pillola del giorno dopo” (senza l'obiezione di coscienza dei farmacisti), per l'esclusione del Movimento per la vita e delle altre associazioni antiabortiste dai consultori e dai reparti di ginecologia, per il potenziamento dei servizi pubblici a supporto delle donne, abolendo ogni finanziamento ai servizi privati e del privato sociale, per la sostituzione a scuola dell'ora di religione con un'ora di educazione alla sessualità, alla contraccezione e alla salute, per il controllo delle lavoratrici, delle giovani e delle immigrate sull'erogazione e la gestione di tali servizi, per difendere il diritto ad una procreazione e ad una sessualità libere e responsabili per le donne attraverso la lotta per un’educazione sessuale laica e libera da pregiudizi, per l’accesso gratuito alle misure anticoncezionali, per il potenziamento dei consultori pubblici, per un aborto libero, gratuito e sicuro.
Mandate una lettera agli
organizzatori della famosa corsa ciclistica italiana per sollecitarli a
spostare la corsa da Israele - #RelocateTheRace
Gli organizzatori della famosa corsa
ciclistica italiana Giro d'Italia hanno annunciato la partenza dell'edizione
2018 da Israele, con inizio a Gerusalemme seguita da tappe da Haifa a Tel Aviv e nel Naqab (Negev).
La corsa
"celebrerà" il settantesimo anniversario della fondazione di
Israele sulle rovine della patria palestinese, con la pulizia etnica, o Nakba, di una maggioranza dei palestinesi indigeni.
Dobbiamo agire per fermare questo
mascheramento attraverso lo sport (sport-washing) dell'occupazione e
dell'apartheid di Israele, chiamato dai mezzi di comunicazione come “un
grande colpo politico per [Israele], che sta sforzandosi
di dipingere un'immagine di vita 'normale'."
Unitevi
a noi nel dire agli organizzatori di RCS di spostare la corsa - #RelocateTheRace -
e andare in bicicletta lontano dall'occupazione e dall'apartheid di Israele.
Il Giro d'Italia
darà un aiuto a istituzionalizzare la presa di Gerusalemme
da parte di Israele. Durante la cerimonia di annuncio, un
funzionario israeliano dopo l'altro hanno rivendicato Gerusalemme come
capitale di Israele,qualcosa che nessun
altro paese nel mondo riconosce. La municipalità di Gerusalemme è
attivamente coinvolta nella graduale pulizia etnica illegale dei palestinesi,
anche attraverso demolizioni di case ed espulsioni forzate come scelta
politica.
Nel Naqab (Negev) nel sud dell'attuale Israele, dozzine di città beduine
palestinesi si vedono rifiutati il riconoscimento e
i servizi di basee sono sottoposte a ripetute demolizioni,
alcune per oltre 100 volte. Israele sta
inoltre revocando
la cittadinanza dei beduini palestinesi senza alcun
motivo, rendendoli apolidi.
Iniziare la corsa in
qualsiasi posto sotto il controllo di Israele servirà anche come timbro di approvazione per l'oppressione dei palestinesi da
parte di Israele. Il Giro d'Italia avrebbe preso in cosiderazione la possibilità di iniziare una corsa nel Sudafrica dell'apartheid
negli anni 80?
Agite ora per
fare pressione su RCS perché rispetti il diritto internazionale e sposti la
corsa.
Assicuriamoci che
RCS e squadre ciclistiche ricevano il messaggio: smettete di mascherare con
lo sport le vergognose violazioni dei diritti umani da parte di Israele,
spostate l'inizio della corsa in un altro paese!
Siamo profondamente
preoccupati per gli annunciati piani di fare partire l'edizione 2018 del Giro
d'Italia da Israele. Malgrado i vostri tentativi di evitare “zone
sensibili", tenere la corsa in qualsiasi luogo sotto controllo
israeliano coinvolge il Giro d'Italia nelle violazioni israeliane del diritto
internazionale.
Facendo iniziare la
corsa a Gerusalemme, il Giro d'Italia diventerà parte del processo in corso
da parte di Israele per istituzionalizzare la sua presa illegale sulla città
occupata. La risoluzione 181 (1947) dell'Assemblea Generale dell'ONU ha
stabilito Gerusalemme come corpus separatum sotto un
regime internazionale speciale e ha ripetutamente affermato che "tutte le
azioni intraprese da Israele, la potenza occupante, di imporre le sue leggi,
giurisdizione e amministrazione sulla Città Santa di Gerusalemme sono
illegali." Nel 1967, Israele ha occupato Gerusalemme Est, annettendola
unilateralmente come parte della sua “capitale unita." Malgrado le
ripetute rivendicazioni da parte dei ministri israeliani durante la cerimonia
di annuncio, la comunità internazionale non riconosce alcuna parte di
Gerusalemme come capitale di Israele.
Nel sud di Israele,
dove è prevista un'altra tappa della corsa, dozzine di città beduine
palestinesi si vedono rifiutati riconoscimento e servizi di base da parte di
Israele e sono state sottoposte a ripetute demolizioni, nel caso di Al-Araqib oltre 100 volte. Dal 2010, Israele ha revocato la cittadinanza di
centinaia, probabilmente migliaia, di beduini palestinesi senza alcuna
ragione, rendendoli apolidi.
Queste politiche
fanno parte della perdurante pulizia etnica da parte di Israele, che è
cominciata 70 anni fa con la fondazione di Israele sulle rovine della patria
palestinese e con il trasferimento forzoso di una maggioranza dei palestinesi
indigeni.
Questo è ciò che
Israele intende 'celebrare' l'anno prossimo. Il Giro d'Italia non dovrebbe
partecipare a questo.
Come sarebbe stato
inaccettabile per il Giro d'Italia cominciare dal Sudafrica dell'apartheid
negli anni '80, è inaccettabile iniziare la corsa in qualsiasi luogo sotto
controllo di Israele poiché questo servirà soltanto come timbro di
approvazione per l'oppressione dei palestinesi da parte di Israele.
Sollecitiamo RCS a
rispettare il diritto internazionale e a spostare l'inizio della corsa in un
altro paese. Per favore, non permettete a Israele questo “grande colpo
politico", macchiando uno dei principali eventi sportivi d'Europa.