lunedì 5 febbraio 2018

Piccola storia rivoluzionaria del jazz

Luciano Granieri



"Panem et circenses", era   l’espressione con la quale Giovenale, sintetizzava le aspirazioni della plebe romana nell’età imperiale.   Ad essa  bastavano  po’ di generi alimentari,  giochi  - spettacoli,   lotte di gladiatori, esibizioni di belve esotiche, corse di carri rappresentazioni teatrali -  per rimanere tranquilla senza alcuna voglia di contestare l’imperatore. In seguito l’espressione "panem  et circenses" sarà usata proprio per indicare un consolidato escamotage utile a  tenere buono il popolo, o comunque  funzionale alla  sottomissione di un’identità collettiva scongiurando  gli effetti collaterali di una rivolta sociale. In particolare, i "circeneses" i giochi, lo spettacolo sono sempre stati un mezzo per incantare il popolo una narrazione diversa rispetto alla realtà. 

La musica annoverata nella categoria dei  "circenses"  ha però costituito un’eccezione. Spesso,cioè, da elemento di ludica spensieratezza, o mezzo di controllo delle masse, si  è trasformata in veicolo di protesta e inno alla ribellione. Proprio questa è stata una delle caratteristiche originali, fra le tante, che ha dato vita alla musica jazz accompagnando  le vicende degli schiavi importati dall’Africa verso le Americhe.  

Prove di colonizzazione musicale
Già agli albori del ‘500 la Spagna di Re Carlo V,  conquista parte dei territori del nuovo mondo.  Qui,  ancora prima che negli Stati Uniti , si sviluppa un fiorente mercato di braccia africane e non solo.  Nel  1517, con il bene placido del Vaticano, che non solleva obiezioni sulla tratta  degli schiavi e sul loro sfruttamento, circa un milione di lavoratori neri sbarca in Brasile. Il commercio degli schiavi verso le colonie spagnole è già bene avviato. S’impone quindi  un modello di amministrazione delle colonie  finalizzato  all’omologazione culturale e  conseguente asservimento all’occupante   degli schiavi,  delle popolazioni indigene sottomesse. 

  A tale scopo la musica è elemento fondamentale. Serve cioè ad attirare la gente deportata e  convertirla alla religione cattolica,   omologandola al sistema. Un' èlite di specialisti, abili nello scrivere musica polifonica, s’incarica di comporre armonie in grado di coinvolgere gli  schiavi africani, ma anche gli indios, i gitani, e qualsiasi altro gruppo etnico abitasse quei territori, per  distoglierli da ogni proposito di ribellione. 

Spritual
La stessa operazione per  uguali  finalità fu replicata circa  300 anni dopo nelle piantagioni dell’America sudista in cui la popolazione schiavizzata nera era numericamente molto superiore ai padroni bianchi. Nel 1850 gli schiavi nel sud erano circa sette milioni  e appena  347.525 i loro padroni. Per governare una tale massa di gente, era indispensabile un strumento di controllo  basato sull’annessione culturale da affiancare ai metodi consueti basati su   violenza e   prevaricazione. 

Anche in questo caso, come all’epoca  delle occupazioni spagnole del ‘500 il connubio religione –musica parve essere la soluzione.  In capanni costruiti  con tavole grezze  vicino alle baracche nelle piantagioni  si svolgevano le funzioni proprie  della Chiesa  Battista. In esse, da un lato il nero trovava un rimedio  per lenire le frustrazioni e le fatiche del lavoro nei campi, dall’altro il  bianco poteva  imporre a realtà tribali, considerate ignoranti, il rispetto del Dio del "padrone conquistatore" , prefigurando   una cornice   dottrinale in cui il padrone era un semidio, ovvero il tramite fra lo schiavo e Dio, per cui disobbedire al proprio aguzzino, ribellarsi,  significava  disobbedire  e ribellarsi  al Dio stesso. 

In queste chiese  o nei piazzali in mezzo alle baracche era consentito cantare coralmente inni religiosi i cui versi erano ispirati alla Bibbia. Ma lo stile musicale, anziché essere basato su polifonie composte dal padrone conquistatore  -come accadeva nelle terre occupate dagli spagnoli nel ‘500 - era lasciato al patrimonio culturale atavico degli sfruttati. Al ritmo africano si aggiungeva il cantare urlato di certe popolazioni del sud e le armonie europee. Nacque lo Spiritual  una forma assolutamente originale che, proprio per la sua originalità, finì per sfuggire al controllo degli aguzzini.  

Ad una forma di esecuzione rutilante, basata sul battito di migliaia di piedi sui tavolacci di legno delle chiese, alle urla di un canto impetuoso, si aggiungeva una reinterpretazione dei testi della  Bibbia destinati diventare metafora di  battaglia e ribellione.  I sorveglianti spesso non capivano che l’inno di lode a Dio si trasformava in incitazione alla sollevazione o, se lo capivano, facevano finta di nulla. Accadde così che fra i pastori neri incaricati di guidare la funzione  (all’inizio erano solo bianchi,   ma poi tale compito  fu concesso anche ai neri), qualcuno diventasse un vero e proprio capo rivolta.Nel 1831 uno di questi ,Nat Turner , capeggiò una sollevazione  a Southampton in Virginia il cui bilancio fu  di   ben 56 vittime  fra  i bianchi. L’intervento dell’esercito   soffocò nel sangue la ribellione.



Work Song
Dalla Chiesa Battista, il canto egemone  di controllo  si estese nelle aree di lavoro. Il work song, basato, più o meno, sulle stesse cadenze ritmiche dello Spiritual e del  Gospel (forma simile allo spiritual ma di carattere non esclusivamente religioso) , era utilizzato , da un lato per coordinare meglio i  movimenti  dei lavoratori impegnati in sforzi collettivi, dall’altro consentiva al padrone, o al sorvegliante, di capire, ascoltando cantare,  se  chi lavorava  lontano dal posto di sorveglianza  era presente o meno. Il work song, era una forma comune sia ai bianchi che ai neri. Le parole pronunciate nei canti risultavano spesso sarcastiche e irridenti verso i padroni. In molti casi  incitavano alla fuga e alla ribellione. Il work  song ebbe diffusione anche nei porti e sulle navi. Proprio fra gli  scaricatori attivi nei porti, ed in particolare in quello di New Orleans,avvezzi alla forme di chiamata e risposta proprie  del work song crebbero musicisti che, in particolare  nella città del Delta, riscossero uno straordinario  successo .Uno di questi fu  Jelly Roll Morton.

 E’ da sottolineare come il work song era intonato  sia nei campi di cotone che nelle città portuali. Spesso chi scappava dalla dura realtà delle piantagioni  vagabondava alla ricerca di nuove opportunità nei porti, per cui il canto di lavoro divenne un’espressione comune , nel  sud , e in   tutti gli Stati Uniti trasformando le traversie di mansioni schiavizzanti, da   romanzi personali, in storie collettive riguardanti sia  neri che    i bianchi.




Il Blues
Un altro tentativo di cooptazione  musicale tentato ai danni degli schiavi al fine di indurli all’acquiescenza consistette  nel sequestrare  loro gli strumenti musicali a percussione per evitare che potessero esprimersi  nel  loro atavico bagaglio culturale. Un’azione  inutile. Infatti  gli schiavi, mentre ricostruivano i loro tamburi, continuavano  a diffondere la loro cultura musicale attraverso il solo canto. Un canto improvvisato,  contente  forme armoniche tipiche della musica araba. Le  popolazioni deportate dall’area sub-sahariana erano di origine musulmana dunque profondamente influenzate dalle armonie arabe. Esse,   una volta deportate in America,    fusero il loro linguaggio con  la poliritmia  tipica delle popolazioni prelevate dalla parte costiera della Slave Area Africana.

Questo canto fu uno degli elementi principali  del blues arcaico. Dunque dal sequestro di un armamentario strumentale, nacque una forma musicale originale, anch’essa veicolo di condivisione dei propri intimi stati d’animo:   come la  paura, la voglia di scappare dalla propria condizione di schiavo, la  denuncia per le ingiustizie subite. In buona sostanza, un’altra espressione  musicale di protesta. Una forma talmente potente che darà seguito ad  altri  stili ribelli    come il rock n’roll , almeno fino a quando quest’ultimo  non verrà fagocitato dalle predatorie fauci dello show-business.

A proposito di show-business, questo fu lo strumento  forse più infido ed efficace   con cui si provò, in parte riuscendovi, a trasformare    la musica di ribellione a prodotto utile per  fare un sacco di soldi, a beneficio dei bianchi evidentemente.  Una delle prime vittime fu proprio, per certi versi, il blues. Negli anni ’20 le case discografiche,  gestite sempre da bianchi, in cerca di nuovi affari, scoprirono la redditività del canale nero. Cominciarono cioè a pubblicare dischi solo per il mercato afroamericano, nacquero   i  Race Record (dischi della razza). Nel 1920 Crazy Blues di Mami Smith vendette per mesi circa 8000 copie a settimana, con sommo gaudio della Okeh.

In questo caso però la necessità commerciale rese un servizio alla rivendicazione  nera. Grazie ai Race Record le ingiustizie subite e denunciate dai neri, si diffusero per tutta l’America e forse contribuirono a costruire una coscienza condivisa sulla necessità di intraprendere una lotta più incisiva sui diritti civili.



Swing era, il rifusso
In seguito proprio il successo commerciale rappresentò la più seria minaccia al depotenziamento del messaggio insito nella nuova musica. Dopo la grande depressione, un'espressione   musicale originale, culturalmente rilevante, rappresentazione di un popolo oppresso, non solo per etnia ma anche  soprattutto per classe economica ,  fu derubricata a semplice musica da ballo. Le orchestre bianche degli anni ’30 s’incaricarono dell’operazione. Depurarono la struttura musicale dalle scorie,  per così dire, nere e lasciarono solo un’impalcatura ritmica tesa a  riprodurre quell’esotismo africano da esibire come effetto emozionale preconfezionato , ad uso e consumo di una platea esclusivamente bianca.  Alcuni musicisti neri trovarono posto come star nelle orchestre bianche, ma rivestivano il ruolo dell’animale selvatico da esibire come una belva nello zoo, dovevano usare l’entrata di servizio per accedere ai locali dove suonavano ed alloggiare in posti diversi rispetto ai loro compagni d’orchestra bianchi.  Fra questi ricordiamo la Billie Holiday, a suo modo molto rivoluzionaria, confinata nella gabbia dell’orchestra del bianchissimo Artie Shaw e Roy Eldridge, anch’egli funambolo  della tromba relegato ad attrazione circense  nella formazione di Gene Krupa.  


Be Bop
Fu proprio la frustrazione di questi straordinari musicisti neri che portò al "sol dell’avvenire" di un nuovo stile rivoluzionario. Quello in cui si suonava non per far ballare, o per compiacere un pubblico bianco, ma per riappropriarsi delle proprie radici e combinarle con una struttura musicale veramente rivoluzionaria, assolutamente nera.  Fu la rivoluzione del Be Bop, cui Charlie Parker, Dizzy Gillespie, Kenny Clarke, e Thelonius Monk , furono gli assoluti capiscuola, e messaggeri .  Uno stile dirompente rivoluzionario non per le parole, i brani non prevedevano quasi mai un intervento canoro, ma per la destrutturazione ritmica e musicale, dove gli stessi strumenti ritmici uscivano dalla loro semplice funzione di mantenere il tempo, e gli strumenti armonico-melodici, si prendevano poche note di un tema per stravolgerlo, renderlo irriconoscibile.

Fu una prima forma di  rivendicazione, del tutto musicale  evidentemente, in cui i neri non solo reclamavano  la parità di diritti, ma intendevano   imporre perfino una superiorità culturale. La nuova musica si diffuse anche in Europa,anzi fu li che trovò maggiore successo ed ebbe la capacità di coinvolgere altre espressioni artistiche, letterarie e figurative, ebbe addirittura la forza di imporre un vero e proprio stile di vita rivoluzionario , basato su rifiuto degli stilemi borghesi quello della beat generation.  I boppers, forse inconsapevolmente, riuscirono  con la loro arte, profondamente politica  ad elevare il  livello della ribellione nera .



Free Jazz  e Rhythm Blues profumi  diversi di rivolta musicale

Dopo che ancora una volta il musical business provò a spazzare via questa pericolosa svolta, riuscendo però a preservare quegli stilemi che caratterizzarono il jazz dagli anni ‘40 in poi, arrivò il momento di una maggiore coesione fra musica di protesta  e politica. Ci riferiamo al ventennio  compreso fra gli anni  ’60 e ’70. Anche in questo caso la rivoluzione partiva  dalla struttura musicale, resa ancora più libera svincolata da costruzioni  ritmico armoniche definite.   Era  l’epopea del free jazz che però avrà il limite di essere troppo sofisticato , colto , lontano  dall’urlo dei Black Panther . Fu invece il Rhythm and blues,  una particolare evoluzione del blues, più cattiva supportata dalle forti amplificazioni degli strumnti  a diventare la colonna sonora delle rivolte di Harlem e di tutti gli altri  ghetti.  ad accompagnare i discorsi di Malcom -X . Furono le chitarre elettriche,  i   riff mozzafiato,  le canzoni urlate nei microfoni a ribadire che neri, bianchi, gialli, rossi, ricchi, poveri, uomini, donne, gay dovevano avere gli stessi diritti. Ma al contrario del free-jazz proprio la semplicità della struttura tipica del Rhythm and blues ne decretò la normalizzazione e la sterilizzazione  all’interno del musical business.



Jazz Rock

In realtà alla nostra storia andrebbe  aggiunta una sperimentazione, dalle origini del tutto svincolate da qualsiasi intento di rivendicazione politica, ci riferiamo al jazz-rock. Fu Miles Davis a tentare la via di una fusione delle dinamiche jazzistiche con le figure elettriche ed elettroniche tipiche del rock. L’album Bitches Brew, fu la straordinaria sintesi di tale progetto. Proprio al jazz-rock in particolare in Europa ed in Italia, diversi gruppi si ispirarono per proporre una musica nuova, fatta anche di rivendicazione politica.  Una corrente che andò a combinarsi con un rinnovato impegno proposto da cantautori e autori provenienti dal rock e dal pop che si contaminò col progressive  . Ma qui siamo fuori dalle tematiche  sulle quali avevamo basato questo testo che voleva descrivere come nella storia della musica, ed in particolare del jazz ,spesso un’espressione  usata come strumento di egemonizzazione culturale, e controllo del conflitto sociale si sia trasformata nell’esatto contrario,   cioè strumento di rivolta.

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