"Panem et circenses", era
l’espressione con la quale Giovenale, sintetizzava le aspirazioni della
plebe romana nell’età imperiale. Ad essa bastavano po’ di generi alimentari, giochi - spettacoli, lotte di gladiatori, esibizioni di belve
esotiche, corse di carri rappresentazioni teatrali - per rimanere tranquilla senza alcuna voglia di
contestare l’imperatore. In seguito l’espressione "panem et circenses" sarà usata proprio per indicare
un consolidato escamotage utile a tenere
buono il popolo, o comunque funzionale
alla sottomissione di un’identità
collettiva scongiurando gli effetti
collaterali di una rivolta sociale. In particolare, i "circeneses" i giochi, lo
spettacolo sono sempre stati un mezzo per incantare il popolo una narrazione
diversa rispetto alla realtà.
La musica annoverata nella categoria dei "circenses" ha però costituito un’eccezione. Spesso,cioè, da elemento di ludica
spensieratezza, o mezzo di controllo delle masse, si è trasformata in veicolo di protesta e inno
alla ribellione. Proprio questa è stata una delle caratteristiche originali,
fra le tante, che ha dato vita alla musica jazz accompagnando le vicende degli schiavi importati dall’Africa
verso le Americhe.
Prove di colonizzazione musicale
Già agli albori del
‘500 la Spagna di Re Carlo V, conquista
parte dei territori del nuovo mondo. Qui,
ancora prima che negli Stati Uniti , si sviluppa un fiorente mercato di
braccia africane e non solo. Nel 1517, con il bene placido del Vaticano, che non
solleva obiezioni sulla tratta degli
schiavi e sul loro sfruttamento, circa un milione di lavoratori neri sbarca in
Brasile. Il commercio degli schiavi verso le colonie spagnole è già bene
avviato. S’impone quindi un modello di
amministrazione delle colonie finalizzato
all’omologazione culturale e conseguente asservimento all’occupante degli schiavi, delle
popolazioni indigene sottomesse.
A tale
scopo la musica è elemento fondamentale. Serve cioè ad attirare la gente
deportata e convertirla alla religione
cattolica, omologandola al sistema. Un' èlite di specialisti, abili nello scrivere musica polifonica, s’incarica di
comporre armonie in grado di coinvolgere gli
schiavi africani, ma anche gli indios, i gitani, e qualsiasi altro gruppo
etnico abitasse quei territori, per distoglierli da ogni proposito di ribellione.
Spritual
La stessa operazione per uguali finalità fu replicata circa 300 anni dopo nelle piantagioni dell’America
sudista in cui la popolazione schiavizzata nera era numericamente molto
superiore ai padroni bianchi. Nel 1850 gli schiavi nel sud erano circa sette
milioni e appena 347.525 i loro padroni. Per governare una
tale massa di gente, era indispensabile un strumento di controllo basato sull’annessione culturale da affiancare
ai metodi consueti basati su violenza e
prevaricazione.
Anche in questo caso, come
all’epoca delle occupazioni spagnole del
‘500 il connubio religione –musica parve essere la soluzione. In capanni costruiti con tavole grezze vicino alle baracche nelle piantagioni si svolgevano le funzioni proprie della Chiesa
Battista. In esse, da un lato il nero trovava un rimedio per lenire le frustrazioni e le fatiche del
lavoro nei campi, dall’altro il bianco
poteva imporre a realtà tribali, considerate ignoranti, il rispetto del Dio del "padrone conquistatore" , prefigurando
una cornice dottrinale in cui il padrone era un semidio,
ovvero il tramite fra lo schiavo e Dio, per cui disobbedire al proprio
aguzzino, ribellarsi, significava disobbedire e ribellarsi
al Dio stesso.
In queste chiese o nei piazzali in mezzo
alle baracche era consentito cantare coralmente inni religiosi i cui versi
erano ispirati alla Bibbia. Ma lo stile musicale, anziché essere basato su
polifonie composte dal padrone conquistatore -come accadeva nelle terre occupate dagli
spagnoli nel ‘500 - era lasciato al patrimonio culturale atavico degli
sfruttati. Al ritmo africano si aggiungeva il cantare urlato di certe
popolazioni del sud e le armonie europee. Nacque lo Spiritual una forma assolutamente originale che, proprio
per la sua originalità, finì per sfuggire al controllo degli aguzzini.
Ad una forma di esecuzione rutilante, basata
sul battito di migliaia di piedi sui tavolacci di legno delle chiese, alle urla
di un canto impetuoso, si aggiungeva una reinterpretazione dei testi della Bibbia destinati diventare metafora di battaglia e ribellione. I sorveglianti spesso non capivano che l’inno
di lode a Dio si trasformava in incitazione alla sollevazione o, se lo capivano,
facevano finta di nulla. Accadde così che fra i pastori neri incaricati di
guidare la funzione (all’inizio erano
solo bianchi, ma poi
tale compito fu concesso anche ai neri),
qualcuno diventasse un vero e proprio capo rivolta.Nel 1831 uno di questi ,Nat
Turner , capeggiò una sollevazione a
Southampton in Virginia il cui bilancio fu di ben 56 vittime
fra i bianchi. L’intervento
dell’esercito soffocò nel sangue la ribellione.
Work Song
Dalla Chiesa
Battista, il canto egemone di controllo si estese nelle aree di lavoro. Il work song,
basato, più o meno, sulle stesse cadenze ritmiche dello Spiritual e del Gospel (forma simile allo spiritual ma di
carattere non esclusivamente religioso) , era utilizzato , da un lato per
coordinare meglio i movimenti dei lavoratori impegnati in sforzi
collettivi, dall’altro consentiva al padrone, o al sorvegliante, di capire,
ascoltando cantare, se chi lavorava
lontano dal posto di sorveglianza era presente o meno. Il work song, era una
forma comune sia ai bianchi che ai neri. Le parole pronunciate nei canti risultavano
spesso sarcastiche e irridenti verso i padroni. In molti casi incitavano alla fuga e alla ribellione. Il
work song ebbe diffusione anche nei
porti e sulle navi. Proprio fra gli
scaricatori attivi nei porti, ed in particolare in quello di New Orleans,avvezzi
alla forme di chiamata e risposta proprie del work song crebbero musicisti che, in
particolare nella città del Delta, riscossero
uno straordinario successo .Uno
di questi fu Jelly Roll Morton.
E’ da sottolineare come il work song era intonato
sia nei campi di cotone che nelle città
portuali. Spesso chi scappava dalla dura realtà delle piantagioni vagabondava
alla ricerca di nuove opportunità nei porti, per cui il canto di lavoro
divenne un’espressione comune , nel sud , e in tutti
gli Stati Uniti trasformando le traversie di mansioni schiavizzanti, da romanzi personali, in storie collettive riguardanti sia neri che i bianchi.
Il Blues
Un altro tentativo di cooptazione musicale tentato ai danni degli schiavi al
fine di indurli all’acquiescenza consistette nel sequestrare loro gli
strumenti musicali a percussione per evitare che potessero esprimersi nel loro atavico bagaglio culturale. Un’azione inutile. Infatti gli schiavi, mentre ricostruivano i loro
tamburi, continuavano a diffondere la
loro cultura musicale attraverso il solo canto. Un canto improvvisato, contente forme armoniche tipiche della musica araba. Le
popolazioni deportate dall’area
sub-sahariana erano di origine musulmana dunque profondamente influenzate dalle
armonie arabe. Esse, una volta deportate
in America, fusero il
loro linguaggio con la poliritmia tipica delle popolazioni prelevate dalla parte
costiera della Slave Area Africana.
Questo canto fu uno degli elementi principali
del blues arcaico. Dunque dal sequestro
di un armamentario strumentale, nacque una forma musicale originale, anch’essa
veicolo di condivisione dei propri intimi stati d’animo: come la paura, la voglia di scappare dalla propria
condizione di schiavo, la denuncia per
le ingiustizie subite. In buona
sostanza, un’altra espressione musicale
di protesta. Una forma talmente potente che darà seguito ad altri stili
ribelli come il rock n’roll , almeno fino a quando
quest’ultimo non verrà fagocitato dalle
predatorie fauci dello show-business.
A proposito di show-business, questo fu lo
strumento forse più infido ed efficace con cui
si provò, in parte riuscendovi, a trasformare
la musica di ribellione a
prodotto utile per fare un sacco di
soldi, a beneficio dei bianchi evidentemente.
Una delle prime vittime fu proprio, per certi versi, il blues. Negli
anni ’20 le case discografiche, gestite sempre
da bianchi, in cerca di nuovi affari, scoprirono la redditività del canale
nero. Cominciarono cioè a pubblicare dischi solo per il mercato afroamericano, nacquero i Race Record (dischi della razza). Nel 1920 Crazy
Blues di Mami Smith vendette per mesi circa 8000 copie a settimana, con sommo
gaudio della Okeh.
In questo caso però la necessità commerciale rese un
servizio alla rivendicazione nera.
Grazie ai Race Record le ingiustizie subite e denunciate dai neri, si diffusero
per tutta l’America e forse contribuirono a costruire una coscienza condivisa
sulla necessità di intraprendere una lotta più incisiva sui diritti civili.
Swing era, il rifusso
In
seguito proprio il successo commerciale rappresentò la più seria minaccia al
depotenziamento del messaggio insito nella nuova musica. Dopo la grande
depressione, un'espressione musicale originale,
culturalmente rilevante, rappresentazione di un popolo oppresso, non solo per
etnia ma anche soprattutto per classe
economica , fu derubricata a semplice
musica da ballo. Le orchestre bianche degli anni ’30 s’incaricarono
dell’operazione. Depurarono la struttura musicale dalle scorie, per così dire, nere e lasciarono solo
un’impalcatura ritmica tesa a riprodurre
quell’esotismo africano da esibire come effetto emozionale preconfezionato , ad
uso e consumo di una platea esclusivamente bianca. Alcuni musicisti neri trovarono posto come
star nelle orchestre bianche, ma rivestivano il ruolo dell’animale selvatico da esibire
come una belva nello zoo, dovevano usare l’entrata di servizio per accedere ai
locali dove suonavano ed alloggiare in posti diversi rispetto ai loro compagni
d’orchestra bianchi. Fra questi
ricordiamo la Billie Holiday, a suo modo molto rivoluzionaria, confinata nella
gabbia dell’orchestra del bianchissimo Artie Shaw e Roy Eldridge, anch’egli
funambolo della tromba relegato ad
attrazione circense nella formazione di
Gene Krupa.
Be Bop
Fu proprio la frustrazione
di questi straordinari musicisti neri che portò al "sol dell’avvenire" di un
nuovo stile rivoluzionario. Quello in cui si suonava non per far ballare, o per
compiacere un pubblico bianco, ma per riappropriarsi delle proprie radici e
combinarle con una struttura musicale veramente rivoluzionaria, assolutamente
nera. Fu la rivoluzione del Be Bop, cui
Charlie Parker, Dizzy Gillespie, Kenny Clarke, e Thelonius Monk , furono gli
assoluti capiscuola, e messaggeri . Uno stile
dirompente rivoluzionario non per le parole, i brani non prevedevano quasi mai
un intervento canoro, ma per la destrutturazione ritmica e musicale, dove gli
stessi strumenti ritmici uscivano dalla loro semplice funzione di mantenere il
tempo, e gli strumenti armonico-melodici, si prendevano poche note di un tema
per stravolgerlo, renderlo irriconoscibile.
Fu una prima forma di rivendicazione, del
tutto musicale evidentemente, in cui i neri non solo reclamavano la parità
di diritti, ma intendevano imporre perfino una superiorità culturale. La nuova musica si diffuse anche in
Europa,anzi fu li che trovò maggiore successo ed ebbe la capacità di
coinvolgere altre espressioni artistiche, letterarie e figurative, ebbe
addirittura la forza di imporre un vero e proprio stile di vita rivoluzionario ,
basato su rifiuto degli stilemi borghesi quello della beat generation. I boppers, forse inconsapevolmente, riuscirono con la loro arte, profondamente politica ad elevare il livello della ribellione nera .
Free Jazz e Rhythm Blues profumi diversi di rivolta musicale
Dopo che ancora
una volta il musical business provò a spazzare via questa pericolosa svolta,
riuscendo però a preservare quegli stilemi che caratterizzarono il jazz dagli
anni ‘40 in poi, arrivò il momento di una maggiore coesione fra musica di
protesta e politica. Ci riferiamo al
ventennio compreso fra gli anni ’60 e ’70. Anche in questo caso la rivoluzione
partiva dalla struttura musicale, resa
ancora più libera svincolata da costruzioni ritmico armoniche definite. Era l’epopea del free jazz che però avrà il limite
di essere troppo sofisticato , colto , lontano dall’urlo dei Black Panther . Fu invece il
Rhythm and blues, una particolare
evoluzione del blues, più cattiva supportata dalle forti amplificazioni degli strumnti a diventare la colonna sonora delle rivolte di Harlem e
di tutti gli altri ghetti. ad
accompagnare i discorsi di Malcom -X . Furono le chitarre elettriche, i riff mozzafiato, le canzoni urlate nei microfoni a ribadire che
neri, bianchi, gialli, rossi, ricchi, poveri, uomini, donne, gay dovevano avere
gli stessi diritti. Ma al contrario del free-jazz proprio la semplicità della
struttura tipica del Rhythm and blues ne decretò la normalizzazione e la sterilizzazione all’interno
del musical business.
Jazz Rock
In realtà alla nostra storia andrebbe aggiunta una sperimentazione, dalle origini
del tutto svincolate da qualsiasi intento di rivendicazione politica, ci
riferiamo al jazz-rock. Fu Miles Davis a tentare la via di una fusione delle
dinamiche jazzistiche con le figure elettriche ed elettroniche tipiche del
rock. L’album Bitches Brew, fu la straordinaria sintesi di tale progetto.
Proprio al jazz-rock in particolare in Europa ed in Italia, diversi gruppi si
ispirarono per proporre una musica nuova, fatta anche di rivendicazione
politica. Una corrente che andò a
combinarsi con un rinnovato impegno proposto da cantautori e autori provenienti
dal rock e dal pop che si contaminò col progressive . Ma qui siamo fuori dalle tematiche sulle quali avevamo basato questo testo che
voleva descrivere come nella storia della musica, ed in particolare del jazz ,spesso
un’espressione usata come strumento di
egemonizzazione culturale, e controllo del conflitto sociale si sia trasformata
nell’esatto contrario, cioè strumento di rivolta.
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