sabato 22 febbraio 2020

A quarant'anni dall'omicidio di Valerio Verbano l'ingiustizia avvelena la memoria

Luciano Granieri





Il 22 febbraio di quarant’anni fa Valerio Verbano, diciannovenne militante dell’Autonomia Operaia, veniva ucciso in casa sua da un commando di tre fascisti. Gli assassini , dopo essersi fatti aprire dai genitori, averli aggrediti ed immobilizzati, aspettarono l’arrivo di Valerio e lo uccisero con un colpo di calibro 38 alla schiena. 

Nonostante la provenienza dalla galassia neofascista e la quasi certa identità degli assassini, questi non furono mai arresati, coperti da depistaggi e ritrattazioni,  così come sempre avviene quando a commettere delitti e stragi sono esponenti neofascisti. Le indicazioni che arrivarono agli inquirenti sulle possibili identità degli assassini furono molteplici, provenienti dalla stessa area in cui era maturata l’aggressione. 

Ad esempio Patrizio Trochei, ex Fuan, poi Nar, accusò esplicitamente “Terza Posizione” e il suo esponente di spicco Angelo Izzo  fra gli autori, nel 1975, della strage del Circeo. In base ad alcune confidenze di Luigi Ciavardini, ex Nar   - condannato per la strage di Bologna ed ospite riverito delle carceri della nostra città, dal quale gestisce una cooperativa  nell’orbita di “Mafia Capitale” per “REINSERIMENTO PER DETENUTI!!!!” - anche Fabrizio Zani e Laura Lauricella, sempre di Terza Posizione,  avrebbero partecipato all’organizzazione dell’agguato.  

In base ad altre rivelazioni del 1982  da parte di Walter Sordi, anch’egli ex terrorista dei Nar,  avrebbe preso parte  all’agguato pure   il gruppo di Massimo Carminati. Partecipazione che fu pesantemente avvalorata in una intercettazione telefonica dei Ros su Mafia-Capitale del 2013, in cui emerse come lo stesso  Carminati  sapesse molte cose sull’assassinio. 

Fu  proprio la collusione fra gruppi neo-fascisti , criminalità organizzata e forze dell’ordine, a determinare la morte di Verbano. Il militante dell’Autonomia infatti aveva redatto un voluminoso dossier di 379 fogli con notizie su centinaia di estremisti di destra, i loro rapporti con le forze dell’ordine e la malavita organizzata.  Dossier sequestrato in occasione di un suo arresto avvenuto tre mesi prima dell’omicidio, e mai venuto alla luce se non in forma ridotta (venti fogli fotocopiati)  il 28 febbraio 1980 dagli uffici della Digos. Questo  rimasuglio fu distrutto nel luglio 1987 su ordine della Corte d’Appello.  Così come provarono a distruggere la pistola, il silenziatore, i bossoli e i proiettili lasciati in casa di Valerio, oltre che un passamontagna perso da uno dei tre assassini e il nastro adesivo usato per immobilizzare Carla e Sardo i genitori di Valerio.  

Nel giugno 2012 i magistrati annunciarono di aver isolato il dna di uno degli assassini da un paio di occhiali da sole persi nella fuga. Pare che il tizio in questione stia in Brasile. L’anno dopo ricomparve dagli archivi dei Carabinieri una parte del dossier di Valerio. Nonostante ciò lo scorso 28 agosto  il pm Erminio Amelio ha chiesto di archiviare il caso.  Il 17 aprile prossimo si saprà se l’opposizione contro l’archiviazione  presentata  dall’avvocato Flavio Albertini,  a nome di un erede di Carla Verbano, verrà accolta e quindi le indagini proseguiranno, oppure verrà scritta definitivamente la parola fine.  

Una fine che, come in tutte le vicende che hanno coinvolto i crimini dei fascisti,  lascia un pesante fardello d’ingiustizia conclamata.  Uno sfregio che oltre a colpire la memoria di Valerio, schianta anche il coraggio e  la determinazione  di  Carla Verbano  la mamma instancabile  nel chiedere giustizia  invocando l’individuazione degli assassini e dei mandanti. Carla è morta il 5 giugno 2012 senza avere quella giustizia che giorno dopo giorno, ora dopo  ora aveva sempre chiesto.  

  Il 3 ottobre del 2010 insieme all’associazione culturale “Ithaca” di Frosinone, con  l’allora attiva  Rete Antifascista e Antirazzista del Basso Lazio, di cui ero membro, fu organizzato un incontro con Carla Verbano per la presentazione del suo libro “Sia folgorante la fine” pubblicato da Rizzoli,  scritto insieme col giornalista  Alessandro Capponi.  Una forte testimonianza diretta sulla crudeltà dell’esecuzione e sull’ancora più crudele opera di depistaggio ed insabbiamento operata a vari livelli. 

In quel periodo si erano appena insediati a Frosinone i fascisti del terzo millennio, e noi  cercavamo in tutti modi di sensibilizzare  popolazione ed istituzioni locali sul pericolo incombente determinato dalla marea nera. Il modo che ci sembrò più idoneo per  contrastare la prevaricazione  neofascista fu quello di organizzare incontri, presentazione di libri, fra cui quello di Carla, confronti storico-sociali sul tema dei fascismi vecchi e nuovi, mettere in campo, cioè, una forte opposizione  culturale. 

Oggi un sindaco leghista governa la città e i fascisti dei vari millenni imperversano nelle scuole e nei quartieri dispensando razzismo  ed intolleranza.  Per questo mi sento di chiedere scusa a Valerio, Carla e Saro. La nostra azione è stata inutile o insufficiente, ma non ci arrendiamo. 

Di seguito il video dove Carla Verbano ripercorre i tragici momenti dell’assassinio


venerdì 21 febbraio 2020

Progetto eversivo in due mosse.

Comitato dei Castelli Romani per il NO





 Se si rilegge con attenzione il punto 20. del Contratto di governo, firmato nel 2018 da M5S e Lega, appare chiaro che i loro capi miravano a disgregare la Repubblica della Costituzione, riducendo la rappresentatività del Parlamento, come preteso dal M5S fautore della democrazia dei clic, e attribuendo alle Regioni l’autonomia differenziata, come preteso dalla Lega federalista e secessionista. 

Così, prima M5S e Lega, poi M5S e PD, con i governi Conte I e II, hanno operato, senza discontinuità, per ridurre il numero dei parlamentari e attribuire l’autonomia differenziata alle Regioni. 

Oggi, per far passare questo loro progetto eversivo, M5S e PD vogliono far credere che “il taglio delle poltrone” farà risparmiare miliardi di euro e che l’autonomia differenziata non danneggerà i cittadini, perché, secondo il progetto di legge del ministro Boccia, essa si farà insieme alla definizione dei LEP, cioè dei livelli essenziali delle prestazioni relative ai diritti civili e sociali, che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. 

Argomenti falsi e bugiardi! Se l’obiettivo fosse stato davvero il risparmio, sarebbe stato ben più semplice ridurre dello stesso 36,5% i compensi, anziché il numero dei parlamentari; riduzione, che, senza cambiare la Costituzione, sarebbe entrata in vigore subito e non dopo il rinnovo del Parlamento, previsto per il 2023, cioè ben cinque anni dopo. 

Tanto rumore per risparmiare non miliardi, ma un ridicolo 0,007% del bilancio annuale dello Stato, cioè, secondo i dati del 2019, sì e no 61 milioni su quasi 870 miliardi di euro? Per la definizione dei LEP, poi, la truffa è ancor più evidente, perché, per l’art. 117 della Costituzione, deformata nel 2001 dal centrosinistra, i LEP sono materia di legislazione esclusiva dello Stato, che non deve contrattarli con le Regioni, che devono invece attuarli, e perché il progetto Boccia prevede che l’autonomia differenziata diventi comunque operante, se dopo un anno dalla sua attribuzione i LEP non siano stati ancora definiti. Se per definirli non sono bastati venti anni, quanti ce ne metteranno per attuarli davvero? 

Poiché siamo di fronte a un progetto eversivo della Repubblica parlamentare una e indivisibile della Costituzione, noi pensiamo che ogni buon cittadino abbia il dovere di opporsi con ogni mezzo lecito all’autonomia differenziata prevista dal progetto Boccia e alla riduzione del numero dei parlamentari. Come? Se non altro, invitando a votare e votando NO, il 29 marzo; sapendo che, se vince il SÌ, i signori dei partiti maggiori, forti della vittoria referendaria raggiunta, approveranno oltre all’autonomia differenziata, anche altri “ritocchi” della Costituzione – l’appetito vien mangiando! – e una legge elettorale, che rafforzi ancora il loro governo contro il nostro Parlamento. 

Mentre, se vince il NO, noi potremo pretendere e ottenere: 
1) una legge costituzionale, che abroghi il terzo comma dell’art. 116 o almeno lo riscriva, per rendere ben evidente che esso discende coerentemente dall’art. 5 della Costituzione, che riconosce e promuove le autonomie locali come uno dei suoi principi fondamentali, garantendo così sia l’unità indivisibile della Repubblica sia l’uguaglianza nei diritti fondamentali dei cittadini su tutto il territorio nazionale

2) una legge elettorale, che finalmente permetta a chi vota di scegliersi sempre e comunque con voto personale e diretto chi lo rappresenti, così da contribuire per via democratica sia al rafforzamento del Parlamento sia alla correzione di alcune evidenti storture della vita parlamentare

Salviamo gli usi, evitando gli abusi!

lunedì 17 febbraio 2020

Libertà e Giustizia sul Referendum confermativo sulla legge costituzionale relativa alla riduzione del numero dei parlamentari



Da sempre Libertà e Giustizia si è impegnata a difendere la Costituzione nella consapevolezza che essa è un corpo vivente, i cui mutamenti devono mirare a renderla meglio preparata a rispondere alle sfide della società che cambia ma senza stravolgerne l’identità. Difendere la Costituzione non significa necessariamente dire no alle proposte di riforma.
L’attuale proposta di diminuire il numero dei parlamentari non rappresenta in sé una violazione dei principi democratici e rappresentativi. Lo prova anche il fatto che, nel corso della storia repubblicana, sono state numerose e autorevoli le proposte di riforma che andavano in tale direzione.
Sarebbe però sbagliato non contestualizzare la proposta attuale, votata in parlamento e oggetto di referendum il 29 marzo prossimo. Proponiamo soprattutto tre considerazioni che ci sembrano fondamentali per chiarire la nostra posizione in merito a questo referendum.

La prima considerazione è che un’alterazione della “quantità” dei seggi parlamentari dovrebbe mirare a un rafforzamento della “qualità” della rappresentanza, attraverso un insieme di norme - a partire dai regolamenti parlamentari alla legge elettorale – che mettano in sicurezza e anzi migliorino il principio rappresentativo nella ragionevole esigenza di assicurare un buon funzionamento dell’istituto parlamentare.
Al contrario, questa riforma indebolisce il potere dei rappresentanti delle due camere e la stessa efficacia della rappresentanza perché non accompagnata da una riforma della legge elettorale in senso proporzionale e da adeguate forme di composizione delle liste di candidati. Tale modifica del sistema di voto viene invece evocata più come tattica per fare accettare questa riforma che come un reale convincimento del fatto che un parlamento così eletto possa garantire un rapporto coerente tra il suo potere legislativo e il potere dei cittadini.

La seconda considerazione muove dal fatto che i tentativi di modificare gli assetti costituzionali cercando di ridimensionare il più possibile l’organismo rappresentativo in nome di una supposta priorità del principio della governabilità è stato alla base (del fallimento) della seconda repubblica. Promuovere una riforma che muova ancora dall’ideologia della governabilità e dalla presunzione che una maggiore governabilità si possa ottenere attraverso l’indebolimento del potere legislativo è inattuale, oltre che il segno di una mancata lucidità nell’interpretazione dei processi strutturali di trasformazione che sono in atto nelle nostre democrazie e dei rischi che essi comportano. Ovviamente, non riteniamo che questo referendum abbia un valore determinante, ma certamente crediamo che esso sia in piena continuità con questa delegittimazione sostanziale del valore del principio rappresentativo.

La terza considerazione invita a prendere seriamente il malessere profondo che ha accompagnato la scelta di una tale riforma. Ovviamente non stiamo parlando del grottesco movente contabile per cui la diminuzione del numero di rappresentanti rappresenterebbe un risparmio per le casse dello Stato, argomento rozzo e smentito dai numeri da non richiedere troppi commenti. Più profondamente, il vero movente della popolarità di questa riforma è una sensazione diffusa di ostilità nei confronti delle istituzioni rappresentative, quelle cioè più direttamente gestite dai partiti e che si traducono in “poltrone” alle quali i candidati ambiscono per acquisire privilegi piuttosto che per rispondere alle esigenze espresse dagli elettori. Vi è in questa riforma il riverbero di una insofferenza da parte dei politici nei confronti della richiesta dei cittadini di chiedere loro conto dell’operato e di pretendere che le loro preferenze e i loro problemi siano ascoltati e rappresentati. Mentre si lamenta la distanza dei “territori” dai luoghi di decisione, si approda ad una riforma che
decurta con il numero dei parlamentari anche il potere dei cittadini che in quei territori vivono.
È un criterio fondamentale della democrazia rappresentativa che le norme e i
comportamenti politici debbano tendere ad avvicinare “governanti” e “governati”. La crisi della rappresentanza che stiamo vivendo sembra aver accentuato la loro distanza. Ma credere che per diminuire la distanza e ripristinare il senso profondo della rappresentanza si debba ricorrere a un taglio tanto radicale del numero dei parlamentari ha il sapore dell’assurdo. Se il parlamento non funziona, è necessario immaginare riforme che permettano che torni ad assolvere degnamente alla sua funzione di mediazione senza “tagliare” le condizioni della nostra rappresentanza. Con questa riforma, l’Italia diventa il Paese dell’UE con il minor numero di deputati in rapporto alla popolazione: con 0,7 “onorevoli” ogni 100.000 abitanti (dall’uno precedente), supera la Spagna che deteneva il primato con 0,8. Al primo posto, sotto questo profilo, c’è Malta: 14,4 deputati ogni 100mila abitanti.
Siamo consapevoli che questa campagna referendaria rappresenti quasi certamente una battaglia persa. Ma le battaglie perse non sono meno giuste perché perse; né, del resto, chi vince una competizione referendaria ha per questo ragione. Il nostro compito è di opporsi alla semplificazione comunicativa richiamando i cittadini alla necessità di decidere dopo aver ponderato i pro e i contro.
Per questi motivi, invitiamo i Circoli a portare sui territori dei contributi critici e informati, che consentano ai cittadini di compiere la loro scelta con ponderazione e cognizione di causa; li invitiamo anche, nel rispetto dell’autonomia di giudizio degli iscritti, ad aderire ai Comitati per il No.

Libertà e Giustizia

PER IL VALORE DELL’UMANITÀ, CONTRO FASCISMI, RAZZISMI E GUERRE

  
Un pessimo inizio dell’anno in cui celebriamo il 75° anniversario della Liberazione: aggressioni e violenze di natura fascista e discriminatoria; segnali di nuove tensioni e guerre. Si reiterano azioni criminali che vedono protagonisti elementi associati a gruppi della destra radicale che si ispirano alle idee del fascismo, del nazismo, di un nuovo e pericolosissimo razzismo. Razzismo e discriminazione sono la matrice di tante aggressioni e violenze fisiche o verbali di cui sono state e sono vittime migranti, ebrei, rom, persone senza fissa dimora, persone di diverso orientamento sessuale o di diversa scelta politica. In questo quadro maturano anche femminicidi, violenze, sessismi contro le donne e la loro libertà. Una recente, allarmante indagine rivela che una rilevante parte della popolazione nega o minimizza la Shoah. Eppure la legge Mancino sancisce penalmente ogni pratica discriminatoria “per motivi razziali, etnici, nazionali e religiosi”. 

C’è un’emergenza culturale che richiede un impegno senza precedenti. Rinnoviamo la richiesta, sostenuta da centinaia di migliaia di firme, di scioglimento delle organizzazioni neofasciste in base alla XII Disposizione finale della Costituzione e alla legge Scelba. Le risposte sono state finora sbagliate ed inadeguate, tollerando l’intollerabile. Chiediamo al Governo attuale e al Ministro dell’Interno di intervenire con chiarezza e risolutezza per garantire i principi di libertà, democrazia, solidarietà, rispetto delle diversità. In questo quadro chiediamo di abrogare o modificare radicalmente i recenti decreti sicurezza riconducendoli nell’alveo dei valori della Costituzione e della Carta europea dei Diritti Umani. 

La tragica situazione dei conflitti in tutto il mondo, e in particolare in Medio Oriente, pone all’ordine del giorno la lotta contro guerre ed escalation, come ripetutamente richiesto anche negli appelli di Papa Francesco contro l’economia di guerra e la corsa al riarmo. La guerra chiama la guerra. Basta! Ci rivolgiamo in particolare all’UE, troppe volte teatro di scelte contrastanti fra i suoi Stati membri, facendo venir meno il suo impegno per la pace, il disarmo, la promozione dei diritti umani, la democrazia. 

Chiediamo con fermezza il rispetto del multilateralismo a guida Nazioni Unite ed in questo quadro chiediamo al Governo italiano e all’UE politiche ed interventi coordinati al fine di rompere la spirale delle tensioni e dei conflitti per costruire una pace stabile e duratura. In tanti, giovani, sindaci, protagonisti del mondo della cultura, dell’ambientalismo, dell’associazionismo e delle istituzioni, si sono già mobilitati in molte forme in queste settimane e in questi mesi: c’è un’Italia grande e plurale che difende e rilancia i principi costituzionali, la forza della democrazia, il valore della partecipazione. 

Ora è il momento per tutti e per ciascuno di superare ogni residua rassegnazione ed indifferenza. Per queste ragioni lanciamo un appello al Paese per un più forte, determinato ed unitario impegno civile, sociale e politico: 

per contrastare neofascismo, razzismo ed esclusione 

per lottare per la pace, la libertà, i diritti, la democrazia, a 75 anni dalla Liberazione 

per il pieno rispetto della Costituzione repubblicana 

per sostenere il disarmo ed ogni forma di solidarietà con le vittime delle guerre

 In nome di un valore troppe volte trascurato e tradito: il valore dell’umanità.

 ANPI - CGIL - CISL - UIL - LIBERA - ARCI - Partito Democratico - ACLI - ANED - Articolo Uno - Gruppo Abele - ANPPIA - Istituto Alcide Cervi - ARS - Coordinamento democrazia costituzionale - FIVL - Articolo 21 - Libertà e Giustizia - UISP - Sinistra Italiana - Partito della Rifondazione comunista 

Roma, 14 febbraio

domenica 16 febbraio 2020

Maggioritario vs. proporzionale o uomini vs. quaquaraquà ?

Luciano Granieri




Dall’inzio degli anni ’90 ad  oggi è stata  individuate nella  legge elettorale di tipo proporzionale la principale   cause della mancanza di stabilità politica. Una legge che avrebbe concesso potere di condizionare l’esercizio legislativo  a quei partiti che nelle urne avevano raccolto pochi voti conferendo ad essi un potere sproporzionato rispetto al consenso ottenuto. Così veniva spiegata l’esigua durata dei governi espressione di parlamenti  eletti con la legge proporzionale. 

Un premio di seggi aggiuntivi da attribuire alle forze che avessero ottenuto maggiori consensi, avrebbe definito un Parlamento generatore di  una maggioranza cospicua, stabile,   in grado di partorire un esecutivo decisionista con un alto indice di governabilità .  Così dal 1994, fino al 2018, i governi che si sono succeduti alla guida del Paese sono stati espressione di parlamenti  eletti con sistemi elettorali dove la parte maggioritaria era preponderante (Mattarellum e Porcellum, poi dichiarato incostituzionale dalla Consulta, oggi sostituito dal Rosatellum). 

Ma  siamo sicuri che la legge maggioritaria abbia risolto i problemi di stabilità ? Dal 1948 al 1994 i governi succedutisi alla guida del paese, espressione di parlamenti eletti con il sistema proporzionale,  sono stati 47 con una durata media di 1,9 anni.  Fra il 1994 e il 2018 i parlamenti eletti con leggi in preponderanza maggioritarie hanno incaricato 13 governi con una media di 1,8 anni di durata. E’ di tutta evidenza che la rimanenza  in carica  media di un governo sia di due anni indipendentemente dal sistema elettorale che ha eletto il parlamento. 

Dunque non è colpa del  sistema elettorale  se gli esecutivi  non durano tanto. Per cui a parità di durata, meglio la legge proporzionale che, almeno,  conferisce maggiori possibilità ai cittadini di partecipare all’organizzazione politica del Paese e di esprimere un voto uguale e libero come da dettato costituzionale.  

Se poi   consideriamo che i parlamenti eletti con il  proporzionale hanno prodotto leggi quali : lo statuto dei lavoratori, il sistema sanitario nazionale, il diritto di famiglia,  e per  contro il risultato dei governi espressione di parlamenti maggioritari è stato  la totale destrutturazione dei diritto dei lavoratori, culminata nel jobs act, la privatizzazione di scuola, sanità e servizi indispensabili per la sopravvivenza, le leggi ad personam, l’abnorme aumento delle diseguaglianze, l’aumento della povertà,  si capisce ancora di più che il problema non sta nei sistemi.  

Anzi con il mantra della governabilità,  alimentato dal combinato disposto di leggi elettorali maggioritarie e tentativi di smantellamento delle funzioni del parlamento a favore dei governi, il disastro sociale imposto dalle vocazioni maggioritarie ha trovato più facile diffusione eliminando una quota significativa di cittadini dalla partecipazione politica.  

Sono  d’accordo con il professor Zagrebelsky quando dice che un popolo non deve essere governabile, ma governare. Non deve subire le norme ma concorrere a farle attraverso la partecipazione politica e la possibilità di eleggere rappresentanti in Parlamento. Anzi proprio il mito della governabilità e della sua attuazione attraverso la scelta di candidati basata ,non sulle loro effettive capacità politiche, ma sulla loro vendibilità in base alle regole del marketing o, ancora di più,  sulla fedeltà al capo, ha prodotto e produce il disastro in cui ci stiamo dibattendo. 

Se il sistema non funziona è colpa dell’ignoranza e la protervia di chi dovrebbe rappresentarci. Pensate ai Salvini alle Meloni, ai Renzi , a tutti i burattini del liberista  Casaleggio e a coloro (più o meno riformisti) che per propria contingente  convenienza  si acconciano ora con gli uni, ora con gli altri.  Come può il Paese essere condizionato da tale gentucola? 

Il  guaio è che con la riforma costituzionale sul taglio dei parlamentari, architettata da tali personaggi,  la selezione per consentire di  arrivare ad un privilegio ancora  più raro  e più agognato sarà totalmente  basata sulle capacità di vendere fumo e sulla  prona fedeltà  al capo. Se passerà la riforma la qualità degli eletti  sarà ancora più scarsa e allora  hai voglia ad accusare il proporzionale o la complessità delle dinamiche parlamentari, o ancora peggio l’inadeguatezza della Costituzione,  per i fallimenti di una classe dirigente inetta ed inconsistente.

Governabilità




I personaggi