giovedì 31 gennaio 2013

Il Ministero dell’Ambiente riscrive la storia della bonifica della Valle del Sacco


Alberto Valleriani - Presidente RETUVASA
Francesco Bearzi - Coordinatore RETUVASA Frosinone

Piangere oppure ridere? Questa l’alternativa di fronte al grottesco comunicato stampa del Ministero dell’Ambiente “Torna alle Regioni la competenza di 18 aree da disinquinare”, da oggi sul sito web dell’ente.
Dopo aver magnificato le conseguenze della trasformazione di 18 ex Siti di Bonifica di Interesse Nazionale (SIN) in altrettanti Siti di Interesse Regionale (SIR), parola d’ordine “Meno burocrazia, più velocità negli investimenti e più vicinanza ai cittadini e alle esigenze locali” - ma ci sembra invece che nella filosofia del provvedimento e nei riferimenti normativi a monte prevalga l’intenzione di dismettere competenze governative, con dequalificazione della rilevanza delle aree soggette a bonifica, e delega alle Regioni di compiti di coordinamento e di spesa che spetterebbero a istituzioni di livello superiore - il Ministero, guarda caso, si sofferma nello specifico su un solo SIN, quello della Valle del Sacco.
Riportiamo testualmente:

“Nel caso della valle del Sacco, la zona è distinta in due diverse aree. Una zona è l’area del polo chimico di Colleferro, per la quale nel 2005 era stata dichiarata l’emergenza socio-economica-sanitaria. Questa area non è compresa nel decreto perché non è mai stata classificata Sin ed era di competenza di un commissario straordinario. Il decreto invece trasferisce alla Regione Lazio una seconda area, l’ex sito di interesse nazionale della valle del Sacco: è una parte del territorio del bacino del fiume Sacco completamente distinta da quella dichiarata in stato d’emergenza; non vi sono attività industriali di dimensione significativa tale da poter essere considerata presupposto per la classificazione di sito di interesse nazionale”.

Ci si passino i termini, qui siamo di fronte ad affermazioni incredibili, che sembrano frutto di disinformazione o di incompetenza.
In primis - ricorda Alberto Valleriani, presidente RETUVASA - “il decreto istitutivo del SIN (L. 2 dicembre 2005, n. 248, art. 11 quaterdecies, comma 15 - ma cfr. già O.P.C.M. n. 3441 del 10 giugno 2005, in particolare art. 1) non esclude certo dai confini del SIN il polo chimico di Colleferro, origine della contaminazione stessa”.

In secundis - ipotizza Francesco Bearzi, coordinatore RETUVASA Frosinone - “gli autori del comunicato stampa forse identificano il SIN con la perimetrazione del bacino ripariale contaminato, ma si tratta di due cose ben distinte. La perimetrazione è complementare al SIN, non lo sostituisce. Identificando erroneamente il SIN con la perimetrazione delle aree ripariali, il Ministero fa bene a sostenere che non vi si trovano impianti industriali significativi, perché in tal caso dovrebbero essere ubicati sulle sponde del fiume Sacco. Si trovano invece tutti nel raggio di qualche chilometro e, come tutti sanno, ad eccezione, pare, dello stesso Ministero dell’Ambiente, gli scarichi industriali sono confluiti e continuano a confluire nel fiume Sacco, determinando criticità ambientali storiche e recenti”. 

A prescindere dalle affermazioni clamorosamente erronee riportate nel comunicato stampa ministeriale - concludono Valleriani e Bearzi - la Rete per la Tutela della Valle del Sacco ha già anticipato pubblicamente dieci giorni fa il cuore delle ragioni per cui il “declassamento” del SIN sembra risultare, alla luce della normativa, decisamente illegittimo, e in base alle quali RETUVASA e altre associazioni ricorreranno in sede giudiziaria.


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