In un momento in cui i diritti dei lavoratori sono sotto attacco, non solo per l’aggressività della classe dirigente ma anche per l’insipienza dell’opposizione politica e per la complicità dei sindacati di regime ridotti a semplici passacarte della volontà padronale, è utile rilggere la storia, trarne i necessari insegnamenti per pianificare le azioni conseguenti.
La Redazione
Il brano che riportiamo, è parte di uno scritto di Francesco Ricci dirigente del Pdac dal titolo “ Livorno 1921: un partito per la conquista del potere operaio”
"Il movimento politico della classe operaia ha, naturalmente, come fine ultimo la conquista del potere politico per la classe operaia stessa (…)."
K. Marx, Lettera a Bolte (23 novembre 1871)
"FAREMO COME IN RUSSIA!"
Gli anni 1919 e 1920 sono noti come "il biennio rosso", in quei due anni tumultuosi la classe operaia italiana arrivò così vicina a dipingere l'intero Paese col colore della rivoluzione come non le riuscirà più fino all'altra mancata "conclusione rivoluzionaria" nel '43-'48 (che precederà l'ondata rivoluzionaria del '68).
Il movimento prende vita con i moti contro il "caro-vita" nel giugno del '19 a La Spezia, dove alla serrata dei grossisti di frutta risponde lo sciopero degli operai dei cantieri navali. I marinai si schierano con il movimento che assume un carattere insurrezionale. L'appello di Turati, dirigente riformista, ai lavoratori è: "non fate sciocchezze!". Ma la lotta si estende. A Genova sciopero generale e scontri. Da lì a Milano e poi a Torino, con 20 mila operai che bloccano il centro al canto di Bandiera Rossa per salutare la memoria di Rosa Luxemburg, assassinata dal governo di "sinistra plurale" tedesco. E poi a Pisa, e poi a Bologna (dove una "commissione operaia e contadina" assume il controllo delle merci e dei prezzi). Ai primi di luglio c'è lo sciopero generale a Firenze. I moti popolari scuotono l'intera penisola con i carabinieri che sparano sui manifestanti per uccidere. Il 20 e il 21 luglio due giorni di sciopero generale contro l'aggressione imperialista al governo sovietico. A difendere l'ordine borghese non ci sono più i soldati (che fraternizzano con i manifestanti) ma ci sono i dirigenti socialisti che utilizzano le Camere del Lavoro per incanalare il movimento verso la trattativa con l'avversario di classe. E' un aiuto alla borghesia i cui meriti saranno rivendicati da D'Aragona quando farà presente che "forse abbiamo la colpa di aver concesso troppo all'infatuazione bolscevica delle masse, ma certamente non ci può essere negato l'onore di aver impedito una esplosione rivoluzionaria." (1) Ma nonostante l'abilità dei pompieri riformisti il fuoco continua ad ardere per tutto il 1920 fino all'autunno, quando si arriva al punto più alto: l'occupazione delle fabbriche. E' l'ultima fiammata, che scocca ancora dalla scintilla degli operai in lotta per aumenti salariali, come spiega Gramsci: "I metallurgici formano l'avanguardia del proletariato torinese. Date le particolarità di questa industria, ogni movimento dei suoi operai diventa un movimento generale di massa e assume un carattere politico e rivoluzionario, anche se al principio esso non perseguiva che obiettivi sindacali." (2) Con l'occupazione la produzione prosegue ma sotto il controllo dei "consigli di fabbrica" e con reparti di "guardie rosse", armate, che presidiano il Lingotto.
La forza della classe operaia si rivela nelle cifre degli iscritti al sindacato: nel 1918 la CGL aveva 250 mila tesserati, nel 1919 un milione e 160 mila, nel 1920 arriva a due milioni e 300 mila. Ciò che manca non è né la forza né la combattività. Manca una direzione politica e sindacale conseguente.
Per Gramsci lo strumento sociale della lotta sono i "consigli di fabbrica" che prendono il posto delle "commissioni interne", costituite da elementi opportunisti scelti dalle burocrazie sindacali. Il Consiglio "realizza la forza del proletariato, lotta contro l'ordine capitalistico e esercita il controllo sulla produzione, educando tutta la massa operaia per la lotta rivoluzionaria e per la creazione dello Stato operaio." (3). Non si tratta solo di un auspicio. A Torino i consigli di fabbrica hanno un potere reale. Il 3 dicembre del '19, come racconta Gramsci, "dietro ordine della sezione socialista, che concentrava nelle sue mani tutto il meccanismo del movimento di massa, i Consigli mobilitarono senza alcuna preparazione, nel corso di un'ora, centoventimila operai (…) che arrivarono fino al centro della città e spazzarono dalle strade tutto il canagliume nazionalista e militarista." (3). Ma questo movimento, continua il giovane dirigente, "incontrò la resistenza accanita dei funzionari sindacali, della direzione nazionale del PSI e de l'Avanti!" (3) ,che si rifiutò di pubblicare il manifesto della sezione torinese del partito rivolto agli operai.
I comunisti del PSI (a Torino raggruppati principalmente intorno all'Ordine Nuovo, il cui primo numero come settimanale porta la data del 1 maggio '19) sono ancora troppo deboli per rappresentare una direzione alternativa alle burocrazie e ai centristi.
Gramsci e il suo gruppo utilizzano l'Ordine Nuovo e l'edizione piemontese de l'Avanti! per indicare il vero obiettivo che il movimento si deve porre: il potere operaio, come hanno fatto i bolscevichi in Russia. Scorrendo l'elenco degli editoriali di Gramsci di quel periodo si può verificare il lavoro fatto dai "torinesi": "Il partito e la rivoluzione" (27/12/19), "L'anno rivoluzionario" (1/1/20), "L'esempio della Russia" (10/1/20), "Soviet e consigli di fabbrica" (10/4/20). "Il problema concreto, immediato del PSI è quindi il problema del potere (…) è il problema della costruzione di un apparecchio statale che (…) garantisca a tutte le tendenze anticapitalistiche la (…) possibilità di diventare partiti di governo proletario, e verso l'esterno sia come una macchina implacabile che stritoli gli organismi del potere industriale e politico del capitalismo." (4)
Il movimento dei consigli è essenzialmente concentrato a Torino. Ed è la direzione sindacale (in cui è forte la destra turatiana del Psi e il cui leader è D'Aragona), che dopo aver fatto di tutto per isolarlo, apre la strada alla trattativa coi padroni e col governo Giolitti. In cambio della cessazione delle ostilità generali la FIOM ottiene consistenti aumenti salariali (fino al 20%) e il pagamento delle giornate di occupazione degli stabilimenti. L'accordo è approvato da un congresso straordinario della CGL (22 settembre '20), con l'opposizione della sinistra socialista. Nel giro di una settimana le aziende sono riconsegnate ai padroni.
La necessità di una nuova direzione politica del movimento operaio è l'elemento che anche l'Internazionale comunista sottolinea analizzando la vicenda italiana attraverso la penna di Lev Trotsky: "Nel settembre del 1920 la classe operaia italiana, in effetti, aveva assunto il controllo dello Stato, della società, delle fabbriche (…). Che cosa mancava? Mancava un'inezia, mancava un partito, che poggiando sul proletariato rivoluzionario, ingaggiasse una lotta aperta per (…) prendere il potere (…)." Dunque, continua Trotsky, gli insegnamenti dell'esperienza italiana sono questi: "1) il riformismo: ecco il nemico; 2) le esitazioni dei centristi costituiscono un pericolo mortale per un partito operaio; 3) la condizione più importante per la vittoria del proletariato è l'esistenza di un PC cosciente e omogeneo." (5). E' a questo compito urgente che si dedicarono nei mesi successivi le sinistre del PSI.
1 Su Battaglie sindacali, 25/9/29, in Del Carria, Proletari senza rivoluzione, vol. 3, p. 83.
2 Rapporto del luglio 1920 per l'Esecutivo dell'IC, in Gramsci, l'Ordine Nuovo. '19-'20.
3 V. il Rapporto al C.E. dell'IC già citato.
4 "Il problema del potere", sull'Ordine Nuovo del 29/11/19, ora in O.N. '19-'20.
5 Relazione dell'Ottobre '22 a Mosca, in Lev Trotsky, Scritti sull'Italia, col titolo "Settembre 1920: la rivoluzione mancata".