Siamo all’alba di una nuova domenica . Le lavoratrici e lavoratori della Multiservizi sono ancora asserragliati dentro la sala consiliare per risolvere una delle tante crisi occupazionali che funestano la nostra società. Ma come sempre la crisi dei tanti soliti noti (precari, disoccupati, insegnanti, studenti) può diventare un’opportunità per altri noti. Anche se in ritardo i consiglieri d’opposizione, i transfughi dal Pd e i divorziati in casa del partito socialista , hanno capito che cavalcare la crisi della Multiservizi poteva costituire un’occasione unica per sparare sulla croce rossa di un sindaco alla completa mercè dei potentati economici locali, alle prese con un deficit di bilancio clamoroso, con l’ascensore inclinato che non ascende e nemmeno discende. Ovvero la carta Multiservizi, se giocata bene, può fruttare una rendita di posizione favorevole in vista delle elezioni comunali della primavera prossima. La prima mossa in questo senso è stata maldestra. Offrire l’elemosina del gettone di presenza percepito per la partecipazione alle sedute del consiglio ha provocato reazioni indignate se non rabbiose, non solo da parte delle lavoratrici e dei lavoratori della Multiservizi , ma anche di altri cittadini che al di fuori del comune seguono con attenzione la questione. A togliere le castagne dal fuoco di un impasse strategico ci hanno pensato …..udite udite!!!!..... I COMUNISTI. Galeotta fu la lasagna preparata, per gli occupanti della Multiservizi da Pina la moglie di Andrea. Già proprio quell’Andrea Cristofaro segretario del circolo di Rifondazione Comunista di Frosinone Carlo Giuliani. “Che vogliamo farci superare dai comunisti? Anche noi ci impegneremo in un programma di rifocillazione a favore dei LOST IN COMMUNE – hanno pensato i membri di questo novello terzo polo – Daremo da mangiare ai poveri lavoratori vittime di un sindaco che li sta portando alla fame”. Dunque il TERZO POLO , composto dal Pdl, dai socialisti - in rotta con Marini e in pieno inciucio con i beruscones - dai transfughi dal Pd ciociaro in marcia verso Sel - formazione che con il suo probabile, piccolo ma determinante 7% può assicurare, alle brutte, due poltrone di consigliere e un assessorato- si trasforma in TERZO POLLO e organizza un catering mica da ridere. Cominciano quelli del Pdl, si presentano presso la sala consiliare con buste di panini da offrire ai poveri lavoratori in occupazione. Dopo la lasagna di Pina ci si aspettava qualcosa di meglio, ma il capo ha appena dovuto sborsare 570 milioni di euro a favore di De Benedetti, dunque se solo avesse saputo che i suoi sottoposti di Frosinone si erano permessi di offrire a dei precari un intero buffet, li avrebbe mandati a pulire i cessi dei “responsabili” di Scilipoti . Molto più efficace è stato l’intervento dei socialisti che proprio sabato mattina hanno offerto cibo per le membra (tagliatelle al bacio, rigorosamente ciociare) e cibo per l’anima (un sacerdote colà giunto per offrire conforto spirituale agli sfiniti astanti). Precisazione. Non sappiamo se il sacerdote sia stato inviato proprio dai socialisti. Sospettiamo che possa essere una mossa dell’Udc attualmente in maggioranza, ma pronta a sfruttare la situazione per saltare sul carro del prossimo vincitore, chiunque esso sia. Le lavoratrici e i lavoratori della Multiservizi alla presenza di tali libagioni, sono diventati esigenti!!!! Immediatamente è comparso fuori dal comune un cartello: I prossimi che vorranno fare passerella da noi sfruttando la nostra disperazione dovranno portare come minimo: Antipasti mari e monti, linguine allo scoglio, cavatelli al tartufo, spigola al cartoccio su letto di patate , sorbetto al limone, tagliata di manzo con piselli, Torta mille foglie ai frutti di bosco, dolcetti vari, frutta esotica e di stagione , Vino bianco Greco di Tufo, Vino Rosso Cesanese del Piglio Champagne Moet Chandon. I “GIOVANI” DI SEL EX MARINIANI SONO AVVISATI. Del resto manca solo il loro menù nel TERZO POLLO CATERING .
sabato 23 luglio 2011
Intervista alle lavoratrici Multiservizi.
Marisa Ci
Annunziata Funari: addetta ai servizi asilo nido..in famiglia 3 persone marito invalido 80 per 100 euro 450 di pensione più una figlia disoccupata con tanto di titolo. 11 anni di socialmente utili senza contributi 5 anni di Multi servizi.
D. Che pensi della nuova situazione.
R. Ho paura di perdere il lavoro a 54 anni dove vado quando si va in farmacia o ci vai coi soldi o la tua salute se ne va.
D. Nunzia, la politica attuale ti da sicurezza riguardo al tuo lavoro
R .Ora ho dubbi ci sono tante parole ma la soluzione non si profila la richiesta della stabilizzazione sembra voce al vento il quesito è stato posto alla corte dei conti? Boooooo si vive con 800 euro e da luglio meno per la cig.
Liliana Arduini: custodia campo Zauli, piu pulizie interne e esterne.
D. Che pensi della situazione Multi servizi.
R. Speriamo che vada avanti il lavoro per noi poveracci non importa con chi l’importante che si lavori per me non ci sono altre risorse 64 anni e una vita di sacrifici.
D. Oggi la politica ti da delle risposte
R. Oggi mi sento delusa dall’ ente e presa in giro soprattutto dal sindaco. Promesse di aiuto anche economico, ci ho perso una mattinata nei suoi uffici alla fine mi dicono che non c’ erano soldi in cassa o vabbè me li potevi dà tu, basta a riempire le vostre tasche.
Patrizia Cestra: assistente scuola bus per diversamente abili.
D. Come vivi questa esperienza
R. Male, ma male. Ogni giorno arrivano novità tanto per creare ansie e confusione. 50 anni con 2 figli studenti se mi riducono lo stipendio sono problemi .La salute è poca ma si tira a campà.
D. Dalla politica che ti aspetti
R. Promesse, promesse ma la certezza dove sta?
Antonietta Campioni: Segretaria servizi cimiteriali.
D. Come la stai vivendo la situazione?
R. Con molta indignazione e rabbia con la consapevolezza di aver ragione ma sentirmi impotente di fronte a una forza politica .
D. Dai politici hai delle risposte concrete?.
R. E’ proprio qui che volevo arrivare. Ringrazio vivamente la loro solidarietà in questi giorni. Spero non la dimostrino solo con un piatto di fettuccine, se la società fosse stata gestita bene la spesa per le nostre famiglie avremmo potuta farla senza bisogni di supporti ma bensì con i nostri soldi guadagnati dignitosamente. La dignità della classe operaia non va calpestata io ho lavorato e la spesa me la faccio da me
Predio di Solidarietà per la Mutliservizi.
Multiservizi di Frosinone:
220 lavoratori rimangono senza futuro
PER I LAVORATORI DELLA MULTISERVIZI DI FROSINONE CHE STANNO OCCUPANDO LA SALA CONSILIARE DEL COMUNE DI FROSINONE
PER LA LORO STABILIZZAZIONE NEGLI ENTI LOCALI
PERCHE’ IL GOVERNO E LE AMMINISTRAZIONI SI FACCIANO INTERPRETI SERIAMENTE DI UNO STATO DI DIRITTO CHE ASSICURI DIGNITA’ ED EGUAGLIANZA
PER UN RISVEGLIO DELLA NOSTRA COSCIENZA CIVICA
TI INVITIAMO
PARTECIPA AL PRESIDIO DI SOLIDARIETA’ PER I LAVORATORI CHE LOTTANO PER DIFENDERE IL POSTO DI LAVORO
IL 25 luglio 2011 ORE 10 VI DICEMBRE PIAZZA, FROSINONE
Città di Frosinone |
Circolo Carlo Giuliani |
Palestina: la prossima nazione del mondo
Cari amici,
Fra tre giorni si riunirà il Consiglio di Sicurezza dell'ONU, e il mondo intero avrà la possibilità di adottare una nuova proposta che potrebbe segnare il cambio di rotta di decenni di negoziati di pace fra israeliani e palestinesi: il riconoscimento da parte dell'ONU dello stato palestinese.
Oltre 120 nazioni del Medio Oriente, Africa, Asia e America Latina hanno già dato la loro adesione all'iniziativa, ma il governo di destra in Israele e gli Stati Uniti sono fortemente contrari. L'Italia e altri paesi chiave dell'Europa sono ancora indecisi, e un'enorme pressione da parte dell'opinione pubblica potrebbe convincerli a votare in favore di questa opportunità per mettere fine all'occupazione.
I negoziati di pace guidati dagli Stati Uniti, che vanno avanti ormai da decenni, hanno fallito, mentre Israele ha imprigionato il popolo palestinese, confiscato le sue terre e bloccato la Palestina dal diventare un'entità politica sovrana. Questa nuova coraggiosa iniziativa potrebbe liberare il popolo palestinese dalla prigionia, ma perché ciò avvenga l'Europa deve guidare l'operazione. Costruiamo una chiamata globale enorme rivolta all'Italia e ad altri leader europei per dichiarare il nuovo stato ora, e facciamo sì che il sostegno dei cittadini di tutto il mondo a questa proposta legittima, nonviolenta e diplomatica sia chiaro e forte. Clicca sotto per firmare la petizione e invia questa e-mail a tutti:
http://www.avaaz.org/it/ independence_for_palestine_eu/ ?vl
Se tracciare le origini del conflitto israelo-palestinese è complicato, la maggioranza della popolazione da ambedue le parti è invece d'accordo su un punto: il modo migliore per raggiungere la pace ora è la creazione dei due stati. Tuttavia, i diversi negoziati di pace che si sono susseguiti sono stati indeboliti da episodi di violenza da ambedue le parti, i tanti insediamenti israeliani in Cisgiordania e il blocco umanitario di Gaza. L'occupazione di Israele ha ridotto e frammentato il territorio dello stato palestinese e reso la vita di tutti i giorni dei palestinesi un inferno. L'ONU, la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale hanno annunciato recentemente che i palestinesi sono pronti per avere uno stato indipendente, ma il più grande ostacolo alla sua riuscita è l'occupazione da parte d'Israele. Persino il Presidente degli Stati Uniti ha chiesto di mettere fine all'espansione dei territori e di ritornare invece ai confini del 1967 con accordi sugli scambi di terra, ma il Primo ministro Netanyahu ha reagito furiosamente: il messaggio di non cooperazione non poteva essere più chiaro di così.
E' arrivata l'ora di un cambiamento epocale e di passare da un futile processo di pace a un nuovo cammino verso il progresso. Mentre Isreale e il governo americano dicono che l'iniziativa palestinese è "unilaterale" e pericolosa, in realtà le nazioni di tutto il mondo appoggiano pienamente questa mossa diplomatica che rigetta la violenza. Il riconoscimento globale della Palestina potrebbe isolare gli estremisti e incoraggiare il crescente movimento nonviolento israelo-palestinese in corso insieme al vento pro-democrazia che sta soffiando nella regione. Ma più importante ancora, potrebbe salvare il cammino verso un negoziato sugli insediamenti, permettere ai palestinesi l'accesso a una serie di istituzioni internazionali che potrebbero aiutarli a raggiungere la libertà, e inviare un chiaro messaggio al governo in favore dell'occupazione dei territori che il mondo non è più disposto ad accettare l'impunità e l'intransigenza.
Per troppo a lungo ormai Israele ha messo a repentaglio la speranza della nascita dello stato palestinese. Per troppo a lungo gli Stati Uniti sono stati accondiscendenti e per troppo a lungo l'Europa si è nascosta dietro gli Stati Uniti. Ora Italia, Francia, Spagna, Germania, Regno Unito e l'Alto Rappresentante dell'Ue non hanno ancora deciso da che parte stare sulla costruzione dello stato palestinese. Appelliamoci a loro perché si mettano dalla parte giusta della storia e perché sostengano la dichiarazione della Palestina per la libertà el'indipendenza, attraverso un forte sostegno e con il necessario aiuto economico. Firma ora la petizione urgente per chiedere all'Europa di sostenere l'iniziativa e appoggia questo passo decisivo per una pace di lungo termine fra Israele e Palestina:
http://www.avaaz.org/it/ independence_for_palestine_eu/ ?vl
La costruzione dello stato palestinese non risolverà questo lungo conflitto di punto in bianco, ma il riconoscimento dell'ONU cambierà tutto e aprirà le porte alla libertà e alla pace. In tutta la Palestina il popolo si sta preparando con molte aspettative e speranze per riprendersi la libertà che questa generazione non ha mai conosciuto. Mettiamoci dalla sua parte e facciamo pressione sull'Europa perché faccia lo stesso, così com'è avvenuto quando ha sostenuto il popolo egiziano, siriano e libico.
Con speranza e determinazione,
Alice, Ricken, Stephanie, Morgan, Pascal, Rewan e il resto del team di Avaaz
Fra tre giorni si riunirà il Consiglio di Sicurezza dell'ONU, e il mondo intero avrà la possibilità di adottare una nuova proposta che potrebbe segnare il cambio di rotta di decenni di negoziati di pace fra israeliani e palestinesi: il riconoscimento da parte dell'ONU dello stato palestinese.
Oltre 120 nazioni del Medio Oriente, Africa, Asia e America Latina hanno già dato la loro adesione all'iniziativa, ma il governo di destra in Israele e gli Stati Uniti sono fortemente contrari. L'Italia e altri paesi chiave dell'Europa sono ancora indecisi, e un'enorme pressione da parte dell'opinione pubblica potrebbe convincerli a votare in favore di questa opportunità per mettere fine all'occupazione.
I negoziati di pace guidati dagli Stati Uniti, che vanno avanti ormai da decenni, hanno fallito, mentre Israele ha imprigionato il popolo palestinese, confiscato le sue terre e bloccato la Palestina dal diventare un'entità politica sovrana. Questa nuova coraggiosa iniziativa potrebbe liberare il popolo palestinese dalla prigionia, ma perché ciò avvenga l'Europa deve guidare l'operazione. Costruiamo una chiamata globale enorme rivolta all'Italia e ad altri leader europei per dichiarare il nuovo stato ora, e facciamo sì che il sostegno dei cittadini di tutto il mondo a questa proposta legittima, nonviolenta e diplomatica sia chiaro e forte. Clicca sotto per firmare la petizione e invia questa e-mail a tutti:
http://www.avaaz.org/it/
Se tracciare le origini del conflitto israelo-palestinese è complicato, la maggioranza della popolazione da ambedue le parti è invece d'accordo su un punto: il modo migliore per raggiungere la pace ora è la creazione dei due stati. Tuttavia, i diversi negoziati di pace che si sono susseguiti sono stati indeboliti da episodi di violenza da ambedue le parti, i tanti insediamenti israeliani in Cisgiordania e il blocco umanitario di Gaza. L'occupazione di Israele ha ridotto e frammentato il territorio dello stato palestinese e reso la vita di tutti i giorni dei palestinesi un inferno. L'ONU, la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale hanno annunciato recentemente che i palestinesi sono pronti per avere uno stato indipendente, ma il più grande ostacolo alla sua riuscita è l'occupazione da parte d'Israele. Persino il Presidente degli Stati Uniti ha chiesto di mettere fine all'espansione dei territori e di ritornare invece ai confini del 1967 con accordi sugli scambi di terra, ma il Primo ministro Netanyahu ha reagito furiosamente: il messaggio di non cooperazione non poteva essere più chiaro di così.
E' arrivata l'ora di un cambiamento epocale e di passare da un futile processo di pace a un nuovo cammino verso il progresso. Mentre Isreale e il governo americano dicono che l'iniziativa palestinese è "unilaterale" e pericolosa, in realtà le nazioni di tutto il mondo appoggiano pienamente questa mossa diplomatica che rigetta la violenza. Il riconoscimento globale della Palestina potrebbe isolare gli estremisti e incoraggiare il crescente movimento nonviolento israelo-palestinese in corso insieme al vento pro-democrazia che sta soffiando nella regione. Ma più importante ancora, potrebbe salvare il cammino verso un negoziato sugli insediamenti, permettere ai palestinesi l'accesso a una serie di istituzioni internazionali che potrebbero aiutarli a raggiungere la libertà, e inviare un chiaro messaggio al governo in favore dell'occupazione dei territori che il mondo non è più disposto ad accettare l'impunità e l'intransigenza.
Per troppo a lungo ormai Israele ha messo a repentaglio la speranza della nascita dello stato palestinese. Per troppo a lungo gli Stati Uniti sono stati accondiscendenti e per troppo a lungo l'Europa si è nascosta dietro gli Stati Uniti. Ora Italia, Francia, Spagna, Germania, Regno Unito e l'Alto Rappresentante dell'Ue non hanno ancora deciso da che parte stare sulla costruzione dello stato palestinese. Appelliamoci a loro perché si mettano dalla parte giusta della storia e perché sostengano la dichiarazione della Palestina per la libertà el'indipendenza, attraverso un forte sostegno e con il necessario aiuto economico. Firma ora la petizione urgente per chiedere all'Europa di sostenere l'iniziativa e appoggia questo passo decisivo per una pace di lungo termine fra Israele e Palestina:
http://www.avaaz.org/it/
La costruzione dello stato palestinese non risolverà questo lungo conflitto di punto in bianco, ma il riconoscimento dell'ONU cambierà tutto e aprirà le porte alla libertà e alla pace. In tutta la Palestina il popolo si sta preparando con molte aspettative e speranze per riprendersi la libertà che questa generazione non ha mai conosciuto. Mettiamoci dalla sua parte e facciamo pressione sull'Europa perché faccia lo stesso, così com'è avvenuto quando ha sostenuto il popolo egiziano, siriano e libico.
Con speranza e determinazione,
Alice, Ricken, Stephanie, Morgan, Pascal, Rewan e il resto del team di Avaaz
venerdì 22 luglio 2011
In Manette due precari BROS
Purtroppo la situazione della Multi servizi è una delle tante storie di precarietà che attanagliano il nostro Paese. Questo mostra come sia necessario che i cittadini si sollevino contro l'attuale sistema di potere politico-clientelare -finanziario da Frosinone a Napoli, a Roma, a Milano. Non ci difende la politica, non ci difendono i sindacati, dobbiamo difenderci da soli. I PRECARI BROS oggetto del post che segue, sono diventati famosi per aver messo in atto lo sciopero alla rovescia, ovvero per protesta hanno lavorato effettuando la raccolta differenziata porta a porta per liberare Napoli da rifiuti, subendo anche le minacce della camorra
Luciano Granieri.
Servizio: Carlo Maria Alfarano
Sono stati tratti in arresto stamani, dagli agenti della DIGOS, G.A., 49 anni e E.P., 41anni entrambi napoletani ed appartenenti al movimento dei disoccupati organizzati napoletani denominato BROS.
Ieri, 21 c.m., poco dopo le 13.00 i due sono riusciti a raggiungere il cornicione prospiciente la facciata dal Museo Archeologico di Via Foria, inscenando una manifestazione di protesta con esposizione di striscione che evidenzia la loro condizione di disoccupati. In strada hanno manifestato una ventina di sodali sino alle ore 23.00.
A nulla è valso l’intervento dei poliziotti della DIGOS per indurre i due manifestanti, in posizione particolarmente pericolosa per la propria incolumità, a rientrare all’interno del palazzo.
I due, infatti, hanno minacciato più volte di lanciarsi nel vuoto qualora i poliziotti fossero intervenuti nel tentativo di farli rientrare.
I due disoccupati sono stati riportati solo stamani poco dopo le 09.00 all’interno del palazzo e successivamente condotti in Questura dove sono stati arrestati.
I due risponderanno dei reati di procurato allarme, invasione di edificio pubblico, interruzione di pubblico servizio e resistenza aggravata ai danni di Pubblico ufficiale.
I due uomini sono stati condotti al carcere di Poggioreale.
Sono in corso indagini al fine di identificare ulteriori personaggi che hanno concorso a causare disagi alle attività del Museo Archeologico cittadino.
Luciano Granieri.
Servizio: Carlo Maria Alfarano
Giovedì 21 Luglio, i precari del progetto B.R.O.S, hanno nuovamente occupato il Museo Archeologico di Napoli. I precari si sono posizionati sul cornicione del Museo minacciando di lanciarsi nel vuoto. I precari hanno esposto uno striscione con su scritto: ” Comune- Regione e Provincia sono cambiati i maestri, ma la musica è sempre la stessa – Bros”.
Sul posto numerosi reparti della Polizia e dei Carabinieri e l’Unità Salvataggi dei Vigili del Fuoco, che ha installato un gonfiabile di salvamento.
Sul posto numerosi reparti della Polizia e dei Carabinieri e l’Unità Salvataggi dei Vigili del Fuoco, che ha installato un gonfiabile di salvamento.
Nel video allegato le dichiarazioni di un precario del Progetto B.R.O.S.
Sono stati tratti in arresto stamani, dagli agenti della DIGOS, G.A., 49 anni e E.P., 41anni entrambi napoletani ed appartenenti al movimento dei disoccupati organizzati napoletani denominato BROS.
Ieri, 21 c.m., poco dopo le 13.00 i due sono riusciti a raggiungere il cornicione prospiciente la facciata dal Museo Archeologico di Via Foria, inscenando una manifestazione di protesta con esposizione di striscione che evidenzia la loro condizione di disoccupati. In strada hanno manifestato una ventina di sodali sino alle ore 23.00.
A nulla è valso l’intervento dei poliziotti della DIGOS per indurre i due manifestanti, in posizione particolarmente pericolosa per la propria incolumità, a rientrare all’interno del palazzo.
I due, infatti, hanno minacciato più volte di lanciarsi nel vuoto qualora i poliziotti fossero intervenuti nel tentativo di farli rientrare.
I due disoccupati sono stati riportati solo stamani poco dopo le 09.00 all’interno del palazzo e successivamente condotti in Questura dove sono stati arrestati.
I due risponderanno dei reati di procurato allarme, invasione di edificio pubblico, interruzione di pubblico servizio e resistenza aggravata ai danni di Pubblico ufficiale.
I due uomini sono stati condotti al carcere di Poggioreale.
Sono in corso indagini al fine di identificare ulteriori personaggi che hanno concorso a causare disagi alle attività del Museo Archeologico cittadino.
Benefattore o Comunista?
Fonte http://www.dimmidipiu.it/
«Devolvere i gettoni di presenza dell’ultimo anno (tra sedute di consiglio comunale e di commissione) ad una causa importante e nobile: i lavoratori (e le famiglie) della Multiservizi». E' la proposta che fanno i consiglieri comunali del Pdl di Frosinone Gianfranco Pizzutelli e Fulvio De Santis.
«Per anni i lavoratori della Multiservizi - di cono i due amministratori - hanno garantito al Comune l’espletamento di servizi fondamentali e adesso, con l’occupazione dell’aula consiliare, stanno manifestando un disagio vero, profondo, radicato, di fronte al quale è impossibile restare inerti. Per questo motivo i consiglieri comunali di Frosinone, tutti, nessuno escluso, dovrebbero dare un segnale concreto per un sostegno subito. Perché se è difficile vivere con 600-700-800-900 euro al mese, è impossibile vivere con il...nulla. Abbiamo intenzione di presentare al più presto una proposta in tal senso. Una proposta concreta, che non è demagogia e neppure populismo. Chi lo pensa, lo diciamo immediatamente, è in malafede politica e dimostra di non voler effettuare nessun piccolo ‘sacrificio’ per una causa nobile e giusta. La solidarietà è vuota se dimostrata a parole, mentre si riempie di contenuti se avallata dai fatti. E già che ci siamo avanzeremo altresì la proposta che il sindaco e gli assessori comunali devolvano alla stessa causa almeno il 50% delle indennità percepite mensilmente. In attesa che possa davvero essere trovata una soluzione vera e concreta, questo darebbe un segnale enorme a lavoratori e famiglie che meritano gesti del genere. Dunque, nessuna titubanza. E’ l’ora dei fatti».
Se devolvo i gettoni di presenza al consiglio comunale ai lavoratori della Multi servizi.... mi chiamano benefattore.
Se occupo il comune insieme con i lavoratori,
chiedendo che questi vengano stabilizzati, ottenendo un risparmio per le dissanguate casse
comunali, che contestualmente si liberebbero di
costose esternalizzazioni, .......NON MI CAPISCONO O AL MASSIMO MI CHIAMANO
COMUNISTA.
VERGOGNA!!!!!! RISPETTATE LA DIGNITA' DI CHI LAVORA SODO PER LA NOSTRA CITTA'
Luciano Granieri
Arte disobbediente
Luc Girello - Barbara Ferrante
Si continua a lottare in Val di Susa, le cancellate a difesa dei cantieri si alzano tetre verso il cielo presidiate dalle guardie . Da qualche giorno le barriere stanno subendo una attacco molto particolare. ARMATE ed ARMATI di tutto punto ... ARMI MICIDIALI! Colori e pennello, gli attivisti No Tav hanno dipinto strada new jersey e addobbato le scure inferriate per ribadire che le GRANDI OPERE a cui aspirano e aspiriamo, sono le opere d’arte !!!
Ringraziamo
Barbara Ferrante per le foto
Musiche di Altan
I Brani:
E’lrigh’ s Cuir Ort Do Cuid E’adaigh
The Wind and The Rain
The Homour’s of Castelfin-Nias Dance-Aan Dùdìn
Non è arabo gli Altan sono un gruppo di Musica Celtica Irlandese. Niente paura la lega non c’entra nulla, ‘azzo ne sanno loro della musica celtica!!!! . La musica popolare e tradizionale degli Altan è nata nella contea Irlandese del Donegal. Dalla piccola contea questa si è diffusa in tutto il mondo da Seattle fino a Tokyo . Così come le modalità di lotta locali, quali quelle della Val di Susa, possono diventare globali , tanto da costituire un esempio per quei territori che stanno subendo lo stesso tipo di aggressione.
Il gruppo è composto da:
Ciarán Curran, bouzouki;
Ciaran Tourish, violino fiddle e violino classico,
Mark Tourish, chitarra
Bermot Byrne, fisarmonica
Dáithí Sproule, chitarra
Egitto: una rivoluzione in corso
di Gloria Ferreira e Clara Saraiva, dall'Egitto
Tra il 3 e il 6 giugno, una delegazione di brasiliani ha partecipato in Egitto alla Conferenza di Solidarietà alla Rivoluzione Araba. Facevano parte della delegazione Dirceu Travesso, in rappresentanza della Csp Conlutas, Clara Saraiva, della Anel (Associazione Nazionale degli Studenti – Libera), e Gloria Ferreira, del Pstu. Questo testo costituisce un’informativa delle compagne Gloria e Clara sulla situazione in Egitto.
I venti della rivoluzione soffiano ancora sul Cairo Le conversazioni con i lavoratori e gli attivisti hanno messo in chiaro che i venti della rivoluzione soffiano ancora in Egitto. Il processo che è iniziato il 25 gennaio continua a porre in ogni momento l’alternativa fra rivoluzione e controrivoluzione.
La città respira rivoluzione. Il Cairo ha 7,9 milioni di abitanti e 2 milioni stavano in piazza Tahrir durante lo svolgersi dei grandi eventi di febbraio. Guardando i numeri è facile da capire: la consapevolezza che la rivoluzione è stata fatta dalla forza di milioni di persone nelle strade è ampiamente condivisa. Il tassista, il portiere, l’operaio, lo studente, la giovane disoccupata... tutti sono stati in piazza, hanno visto il potere delle masse in movimento, sanno che dopo il 25 di gennaio, il Paese non è più lo stesso. Se si domanda cosa sia cambiato dopo la caduta di Mubarak, Ahmed, un giovane tassista, ha risposto categoricamente: “Tutto”.
La città respira rivoluzione. Il Cairo ha 7,9 milioni di abitanti e 2 milioni stavano in piazza Tahrir durante lo svolgersi dei grandi eventi di febbraio. Guardando i numeri è facile da capire: la consapevolezza che la rivoluzione è stata fatta dalla forza di milioni di persone nelle strade è ampiamente condivisa. Il tassista, il portiere, l’operaio, lo studente, la giovane disoccupata... tutti sono stati in piazza, hanno visto il potere delle masse in movimento, sanno che dopo il 25 di gennaio, il Paese non è più lo stesso. Se si domanda cosa sia cambiato dopo la caduta di Mubarak, Ahmed, un giovane tassista, ha risposto categoricamente: “Tutto”.
I giovani in prima linea In quei giorni ricorreva il primo anniversario del giorno in cui Khaled Said, un giovane della classe media, è stato arrestato, torturato e ucciso dalla polizia nella dittatura di Mubarak. Tutti sono stati molto colpiti da questa terribile ingiustizia, pensando che la stessa sorte sarebbe potuta toccare a uno di loro o al proprio figlio. L’evento si è trasformato in un grande simbolo della lotta e, nel 2010, in migliaia sono scesi in piazza con la sua foto: “Siamo tutti Khaled Said!”.
Abbiamo parlato con molti giovani in questo viaggio, i protagonisti della Rivoluzione. Quasi tutti erano già stati detenuti o avevano da raccontare una qualche storia della repressione subita nell’epoca Mubarak. Molti hanno anche un amico che è stato ucciso. Quando siamo entrati l’Università americana del Cairo, c’era un’esposizione di fotografie di studenti uccisi durante la Rivoluzione.
Siamo riusciti ad avere un incontro con i rappresentanti del Movimento 6 aprile che, sebbene non abbia un programma socialista e una chiara strategia del potere, ha avuto un ruolo centrale nella Rivoluzione. Sono giovani che, nel 2006, si sono organizzati a partire da uno sciopero dei lavoratori di Mahalla, nel nord dell’Egitto, quando i lavoratori hanno occupato le fabbriche. Questi giovani, molti dei quali studenti, si sono identificati nella lotta dei lavoratori, di cui hanno percepito l’importanza per tener testa alla dittatura. Hanno cominciato ad avere una maggiore proiezione nel 2007, con un grande ascolto conquistato attraverso internet.
Abbiamo parlato con molti giovani in questo viaggio, i protagonisti della Rivoluzione. Quasi tutti erano già stati detenuti o avevano da raccontare una qualche storia della repressione subita nell’epoca Mubarak. Molti hanno anche un amico che è stato ucciso. Quando siamo entrati l’Università americana del Cairo, c’era un’esposizione di fotografie di studenti uccisi durante la Rivoluzione.
Siamo riusciti ad avere un incontro con i rappresentanti del Movimento 6 aprile che, sebbene non abbia un programma socialista e una chiara strategia del potere, ha avuto un ruolo centrale nella Rivoluzione. Sono giovani che, nel 2006, si sono organizzati a partire da uno sciopero dei lavoratori di Mahalla, nel nord dell’Egitto, quando i lavoratori hanno occupato le fabbriche. Questi giovani, molti dei quali studenti, si sono identificati nella lotta dei lavoratori, di cui hanno percepito l’importanza per tener testa alla dittatura. Hanno cominciato ad avere una maggiore proiezione nel 2007, con un grande ascolto conquistato attraverso internet.
La Rivoluzione Ci hanno fornito il più bel racconto della Rivoluzione: “Dopo l’ascesa del movimento in Tunisia che ha rovesciato Ben Alì, combinata con l’enorme ripudio (un vero e proprio odio) della popolazione verso la polizia di Mubarak, spuntò l’alba del 25 gennaio. A partire da queste due condizioni, una riunione del Sindacato degli ingegneri organizzò una manifestazione per quello stesso giorno, tradizionalmente una giornata di commemorazione istituzionale della polizia egiziana. Quando abbiamo fatto quell’appello, però, non avevamo idea di come questa data avrebbe fatto storia. La manifestazione fu un successo e, in diversi punti della città, si riunirono migliaia e migliaia di lavoratori e giovani che poco a poco si univano. Le persone in marcia cantavano: ‘Venite, venite, unite a noi le vostre famiglie’. Nel frattempo, la polizia aveva una risposta sempre più violenta contro i manifestanti e i semplici spettatori. Ma ciò provocava l’effetto opposto: sempre più persone in piazza. Giungevano notizie da altre città d’Egitto, dove pure si occupavano le piazze e le strade, e ciò aumentava la fiducia di resistere. ‘Ok, abbiamo una rivoluzione. Che dovremmo fare?’, pensavamo. Mezzo milione di persone occupava la piazza, e continuavano ad arrivarne altre, come parte di un unico movimento nazionale, sempre più convinto che si sarebbe fermato con la caduta di Mubarak”.
Non c’era altra conclusione da trarre: si trovavano di fronte a una rivoluzione.
La repressione si intensificò di parecchio. Vennero arrestate migliaia di dimostranti e alcuni furono uccisi. Ma ciò produsse solo più abnegazione e disponibilità alla lotta fino alla fine. Contemporaneamente, cresceva il sentimento di uguaglianza tra i presenti. Uomini e donne, musulmani e cristiani, giovani e vecchi, tutti insieme erano uguali e rivoluzionari.
È iniziata l’autorganizzazione delle masse. Si sono formate commissioni per garantire la sicurezza, l’alimentazione e la pulizia. In milioni, in un’armonia inspiegabile, vivevano in quel momento ciò che cercavano di costruire per il futuro del loro Paese. “La piazza era il luogo più perfetto del mondo in quel momento”, ci dice uno dei dirigenti.
Mubarak cercava di demoralizzarli dicendo che era un movimento isolato in Piazza Tahrir e che si riduceva ai giovani. Lanciava minacce terribili, bloccando internet in tutto il Paese per evitare la comunicazione attraverso i social network. In uno degli incontri, ci hanno detto che è stato in questo momento che discussero della necessità di allargare agli operai la rivoluzione. E che questo è risultato decisivo. I tentativi di Mubarak di isolare la rivoluzione in Piazza Tahrir non hanno funzionato: lavoratori di fabbriche e imprese sono scesi in sciopero, come fu reso evidente nei tre giorni di chiusura del Canale di Suez, così importante economicamente per l’imperialismo. La rivoluzione si rafforzò fino a che, l’11 febbraio 2011, Mubarak è caduto.
Non c’era altra conclusione da trarre: si trovavano di fronte a una rivoluzione.
La repressione si intensificò di parecchio. Vennero arrestate migliaia di dimostranti e alcuni furono uccisi. Ma ciò produsse solo più abnegazione e disponibilità alla lotta fino alla fine. Contemporaneamente, cresceva il sentimento di uguaglianza tra i presenti. Uomini e donne, musulmani e cristiani, giovani e vecchi, tutti insieme erano uguali e rivoluzionari.
È iniziata l’autorganizzazione delle masse. Si sono formate commissioni per garantire la sicurezza, l’alimentazione e la pulizia. In milioni, in un’armonia inspiegabile, vivevano in quel momento ciò che cercavano di costruire per il futuro del loro Paese. “La piazza era il luogo più perfetto del mondo in quel momento”, ci dice uno dei dirigenti.
Mubarak cercava di demoralizzarli dicendo che era un movimento isolato in Piazza Tahrir e che si riduceva ai giovani. Lanciava minacce terribili, bloccando internet in tutto il Paese per evitare la comunicazione attraverso i social network. In uno degli incontri, ci hanno detto che è stato in questo momento che discussero della necessità di allargare agli operai la rivoluzione. E che questo è risultato decisivo. I tentativi di Mubarak di isolare la rivoluzione in Piazza Tahrir non hanno funzionato: lavoratori di fabbriche e imprese sono scesi in sciopero, come fu reso evidente nei tre giorni di chiusura del Canale di Suez, così importante economicamente per l’imperialismo. La rivoluzione si rafforzò fino a che, l’11 febbraio 2011, Mubarak è caduto.
I nuovi compitiUn giovane attivista ci chiede dell’esperienza brasiliana ponendo il problema: “Abbiamo tutti meno di 30 anni, nessuno ha mai militato prima della dittatura di Mubarak. Non sappiamo cosa significhi militare apertamente”.
Un ampio processo di riorganizzazione politica e sindacale è in corso. Scioperi si sono diffusi in tutto il Paese, nelle università c’è un diffuso processo di mobilitazione contro le direzioni e le amministrazioni locali, gli attivisti discutono la formazione di sindacati, associazioni studentesche indipendenti e partiti politici.
Tuttavia, anche dal punto di vista democratico ci sono ancora molti compiti in sospeso. L’esercito è alla guida del Paese, la stessa polizia è ancora nelle piazze, i funzionari del vecchio regime non sono stati puniti, le nuove regole richiedono che si raccolgono 160.000 dollari per creare un partito, ecc.
Un ampio processo di riorganizzazione politica e sindacale è in corso. Scioperi si sono diffusi in tutto il Paese, nelle università c’è un diffuso processo di mobilitazione contro le direzioni e le amministrazioni locali, gli attivisti discutono la formazione di sindacati, associazioni studentesche indipendenti e partiti politici.
Tuttavia, anche dal punto di vista democratico ci sono ancora molti compiti in sospeso. L’esercito è alla guida del Paese, la stessa polizia è ancora nelle piazze, i funzionari del vecchio regime non sono stati puniti, le nuove regole richiedono che si raccolgono 160.000 dollari per creare un partito, ecc.
La disoccupazione, la miseria e la povertà continuano Alla domanda sulle condizioni di vita, quel tassista ci ha risposto: “Ah! Da questo punto di vista tutto continua allo stesso modo”. Le condizioni strutturali che hanno portato alla rivoluzione rimangono: la crisi economica, l’inflazione dei prezzi degli alimenti, la disoccupazione e la povertà.
Un attivista ha espresso bene l’ira della gente: “Hai capito? Un chilo di carne qui costa circa 15 dollari. Migliaia di egiziani non conoscono il sapore della carne”.
Il cambiamento nella vita della popolazione, nonché le conquiste democratiche, dipendono dalla rottura con l’imperialismo e si scontrano con i limiti del capitalismo nella regione. Dimostrando la sua totale subordinazione all’imperialismo, il governo militare ha recentemente firmato un accordo con l’Fmi, che prevede un prestito di tre miliardi di dollari. Presumibilmente un “aiuto” per “garantire la transizione verso la democrazia e la libertà”.
Infatti, esso verrà elargito a condizione che il nuovo governo mantenga l’Egitto entro le regole neoliberali e in linea con la ricetta del Fmi, con misure come privatizzazioni, aperture agli investimenti stranieri e libera circolazione dei capitali.
Un attivista ha espresso bene l’ira della gente: “Hai capito? Un chilo di carne qui costa circa 15 dollari. Migliaia di egiziani non conoscono il sapore della carne”.
Il cambiamento nella vita della popolazione, nonché le conquiste democratiche, dipendono dalla rottura con l’imperialismo e si scontrano con i limiti del capitalismo nella regione. Dimostrando la sua totale subordinazione all’imperialismo, il governo militare ha recentemente firmato un accordo con l’Fmi, che prevede un prestito di tre miliardi di dollari. Presumibilmente un “aiuto” per “garantire la transizione verso la democrazia e la libertà”.
Infatti, esso verrà elargito a condizione che il nuovo governo mantenga l’Egitto entro le regole neoliberali e in linea con la ricetta del Fmi, con misure come privatizzazioni, aperture agli investimenti stranieri e libera circolazione dei capitali.
I giovani continuano a lottare contro il governo autoritario
Dal 25 gennaio, i venerdì sono diventati una giornata di proteste: la piazza, interessata da manifestazioni più o meno grandi, non è mai rimasta vuota, occupata da giovani lavoratori, disoccupati, molti appena laureatisi all’università, senza nessuna prospettiva per il futuro. Il governo della giunta militare cerca di controllare e, se necessario, reprimere il loro movimento. Ma si scontra con una generazione di attivisti che si è formata in questa rivoluzione. Il governo ha represso una marcia a sostegno dei palestinesi diretta verso la frontiera con Gaza nella data della commemorazione della Nakba.
L’esercito, l’istituzione più forte del nuovo regime ha continuato a commettere ogni tipo di abuso ed è stato coinvolto in uno scandalo recente. Un ufficiale militare ha sostenuto di aver fatto un “test di verginità” alle attiviste arrestate durante le proteste in piazza Tahrir, per avere la garanzia che in seguito non vi fossero accuse di stupro. Un’autentica aggressione alle donne, che ha profondamente turbato la popolazione.
I giovani hanno fatto molti passi avanti nella loro organizzazione, anche nei quartieri e insieme ai lavoratori. Nelle università stanno realizzando, per la prima volta nella storia dell’Egitto, libere elezioni nei sindacati degli insegnanti e degli impiegati. Per parte nostra, percepiamo la loro forte sfiducia nei confronti dell’attuale regime, retto dai militari.
Pochi giorni fa, un giornale ha pubblicato un articolo secondo cui c’era la possibilità di liberare Mubarak senza processo. C’è stata una forte reazione dalla popolazione, che si è indignata per quest’eventualità, sicché il governo ha rilasciato una dichiarazione attribuendo la responsabilità solo al quotidiano e precisando che da, quel momento, per la pubblicazione di ogni articolo sarebbe stata necessaria la preventiva autorizzazione. C’è ancora paura della forza delle masse e, soprattutto, l’abnegazione e la radicalità dei giovani egiziani.
Dal 25 gennaio, i venerdì sono diventati una giornata di proteste: la piazza, interessata da manifestazioni più o meno grandi, non è mai rimasta vuota, occupata da giovani lavoratori, disoccupati, molti appena laureatisi all’università, senza nessuna prospettiva per il futuro. Il governo della giunta militare cerca di controllare e, se necessario, reprimere il loro movimento. Ma si scontra con una generazione di attivisti che si è formata in questa rivoluzione. Il governo ha represso una marcia a sostegno dei palestinesi diretta verso la frontiera con Gaza nella data della commemorazione della Nakba.
L’esercito, l’istituzione più forte del nuovo regime ha continuato a commettere ogni tipo di abuso ed è stato coinvolto in uno scandalo recente. Un ufficiale militare ha sostenuto di aver fatto un “test di verginità” alle attiviste arrestate durante le proteste in piazza Tahrir, per avere la garanzia che in seguito non vi fossero accuse di stupro. Un’autentica aggressione alle donne, che ha profondamente turbato la popolazione.
I giovani hanno fatto molti passi avanti nella loro organizzazione, anche nei quartieri e insieme ai lavoratori. Nelle università stanno realizzando, per la prima volta nella storia dell’Egitto, libere elezioni nei sindacati degli insegnanti e degli impiegati. Per parte nostra, percepiamo la loro forte sfiducia nei confronti dell’attuale regime, retto dai militari.
Pochi giorni fa, un giornale ha pubblicato un articolo secondo cui c’era la possibilità di liberare Mubarak senza processo. C’è stata una forte reazione dalla popolazione, che si è indignata per quest’eventualità, sicché il governo ha rilasciato una dichiarazione attribuendo la responsabilità solo al quotidiano e precisando che da, quel momento, per la pubblicazione di ogni articolo sarebbe stata necessaria la preventiva autorizzazione. C’è ancora paura della forza delle masse e, soprattutto, l’abnegazione e la radicalità dei giovani egiziani.
La contraddizione: le masse hanno ancora fiducia nel governo della giunta militare La grande contraddizione è che la maggior parte della popolazione nutre illusioni nell’attuale governo. Il Consiglio Superiore delle Forze Armate (Hcaf) si proclama parte della rivoluzione del 25 gennaio quando, in realtà, fa parte della controrivoluzione. Ha sostenuto il regime fino all’ultimo istante cambiando atteggiamento solo di fronte all’intransigenza delle masse, quando era indispensabile cambiare per mantenere l’ordine sociale. Ma ciò non è stato chiaro a tutti: le forze armate godono di grande prestigio nel Paese. Inoltre, quantunque la rivoluzione abbia fatto vivere loro una crisi, hanno attraversato il processo senza dividersi, perché sebbene siano state conniventi autorizzando la repressione da parte della polizia, le loro truppe non furono in essa direttamente implicate.
È stata la polizia ad attaccare apertamente sparando contro i manifestanti, motivo per cui si è inimicata le folle, ha dovuto lasciare la piazza ed è stato formalmente disciolta dopo la caduta di Mubarak, benché i suoi quadri siano stati trasferiti ad altri compiti e continuano a far parte della schema repressivo.
Perciò la situazione del Paese è complessa: c’è enorme confusione nella coscienza dei lavoratori circa l’attuale governo guidato dalle forze armate, e forti dubbi sul futuro. Ma secondo i giovani con cui abbiamo parlato, la gente ha la chiara consapevolezza che la rivoluzione è stata fatta dagli operai e dal popolo, e non dai militari, benché si aspetti che l’esercito gestisca la transizione verso la democrazia e il cambiamento nel Paese.
Il recente referendum sulle riforme costituzionali proposte dal governo era un modo per incanalare la rivoluzione verso piccoli cambiamenti costituzionali che dessero l’illusione che c’è un reale cambiamento nella vita delle persone. Il Movimento 6 Aprile ha sostenuto le ragioni del NO. Ci hanno detto che la stragrande maggioranza dei giovani ha votato NO, soprattutto al Cairo. Le regioni interne, che sono state meno raggiunte dalla Rivoluzione e sono più sensibili alla propaganda ideologica dell’esercito, hanno consentito che il SI raggiungesse il 77%.
È stata la polizia ad attaccare apertamente sparando contro i manifestanti, motivo per cui si è inimicata le folle, ha dovuto lasciare la piazza ed è stato formalmente disciolta dopo la caduta di Mubarak, benché i suoi quadri siano stati trasferiti ad altri compiti e continuano a far parte della schema repressivo.
Perciò la situazione del Paese è complessa: c’è enorme confusione nella coscienza dei lavoratori circa l’attuale governo guidato dalle forze armate, e forti dubbi sul futuro. Ma secondo i giovani con cui abbiamo parlato, la gente ha la chiara consapevolezza che la rivoluzione è stata fatta dagli operai e dal popolo, e non dai militari, benché si aspetti che l’esercito gestisca la transizione verso la democrazia e il cambiamento nel Paese.
Il recente referendum sulle riforme costituzionali proposte dal governo era un modo per incanalare la rivoluzione verso piccoli cambiamenti costituzionali che dessero l’illusione che c’è un reale cambiamento nella vita delle persone. Il Movimento 6 Aprile ha sostenuto le ragioni del NO. Ci hanno detto che la stragrande maggioranza dei giovani ha votato NO, soprattutto al Cairo. Le regioni interne, che sono state meno raggiunte dalla Rivoluzione e sono più sensibili alla propaganda ideologica dell’esercito, hanno consentito che il SI raggiungesse il 77%.
“Rivoluzione in Egitto: Sì o No?” Nei giovani che hanno partecipato alle manifestazioni, l’esperienza è più avanzata: per esempio, abbiamo conosciuto un giovane che ha scritto su un muro di fronte a piazza Tahrir, “Rivoluzione in Egitto: Sì o No?”.
Quando gliene abbiamo chiesto il significato, ha parlato dell’indignazione verso le piaghe sociali del Paese ed il governo militare. Voleva con ciò dire che la rivoluzione in Egitto non era giunta al termine, che non si poteva festeggiare un risultato del genere e che le parole d’ordine agitate a piazza Tahrir non erano ancora state realizzate. Ha criticato pesantemente l’attuale governo, dicendo che le condizioni di vita della popolazione non erano cambiate. Ha lamentato il fatto che le manifestazioni non continuassero con la stessa forza, ma ha mostrato di sperare che esse portino ancora avanti le rivendicazioni socio-economiche, così come quelle democratiche. Era un architetto neolaureato, disoccupato. Era il volto della Rivoluzione. La critica al governo è stata un tema ricorrente nelle conversazioni con i giovani: è possibile dire che i giovani guardino con più diffidenza al Consiglio superiore delle Forze Armate.
L’avanguardia giovane della rivoluzione non si sente rappresentata dalle figure che dirigono il Paese. Venerdì 27 maggio, diverse organizzazioni giovanili, con alla testa il Movimento 6 Aprile, hanno convocato una giornata di manifestazioni. Si sono mobilitate circa 500.000 persone nella più grande protesta dalla rivoluzione. La principale rivendicazione era il processo a Mubarak e l’insediamento immediato di un governo civile.
È stata una grande mobilitazione, nonostante il boicottaggio da parte dei Fratelli Musulmani, che, coerenti con il loro ruolo di principale sostegno politico del governo e del Consiglio delle Forze Armate, si è espresso contro le proteste.
La manifestazione ha messo in chiaro che il processo rivoluzionario continua e, nonostante le loro direzioni tradizionali, i lavoratori stanno cercando il cammino e costruendo le loro organizzazioni indipendenti. Il governo delle forze armate tenta di trovare il modo per ostacolarli. I lavoratori ei giovani egiziani, intanto, sono consapevoli del profondo cambiamento che si è prodotto: Mubarak è caduto. Le masse sono entrate in scena e si sono imposte con una forza impressionante. Quando i lavoratori ei giovani si uniscono e si pongono il compito di cambiare le loro vite non c’è forza che possa fermarli.
Quando gliene abbiamo chiesto il significato, ha parlato dell’indignazione verso le piaghe sociali del Paese ed il governo militare. Voleva con ciò dire che la rivoluzione in Egitto non era giunta al termine, che non si poteva festeggiare un risultato del genere e che le parole d’ordine agitate a piazza Tahrir non erano ancora state realizzate. Ha criticato pesantemente l’attuale governo, dicendo che le condizioni di vita della popolazione non erano cambiate. Ha lamentato il fatto che le manifestazioni non continuassero con la stessa forza, ma ha mostrato di sperare che esse portino ancora avanti le rivendicazioni socio-economiche, così come quelle democratiche. Era un architetto neolaureato, disoccupato. Era il volto della Rivoluzione. La critica al governo è stata un tema ricorrente nelle conversazioni con i giovani: è possibile dire che i giovani guardino con più diffidenza al Consiglio superiore delle Forze Armate.
L’avanguardia giovane della rivoluzione non si sente rappresentata dalle figure che dirigono il Paese. Venerdì 27 maggio, diverse organizzazioni giovanili, con alla testa il Movimento 6 Aprile, hanno convocato una giornata di manifestazioni. Si sono mobilitate circa 500.000 persone nella più grande protesta dalla rivoluzione. La principale rivendicazione era il processo a Mubarak e l’insediamento immediato di un governo civile.
È stata una grande mobilitazione, nonostante il boicottaggio da parte dei Fratelli Musulmani, che, coerenti con il loro ruolo di principale sostegno politico del governo e del Consiglio delle Forze Armate, si è espresso contro le proteste.
La manifestazione ha messo in chiaro che il processo rivoluzionario continua e, nonostante le loro direzioni tradizionali, i lavoratori stanno cercando il cammino e costruendo le loro organizzazioni indipendenti. Il governo delle forze armate tenta di trovare il modo per ostacolarli. I lavoratori ei giovani egiziani, intanto, sono consapevoli del profondo cambiamento che si è prodotto: Mubarak è caduto. Le masse sono entrate in scena e si sono imposte con una forza impressionante. Quando i lavoratori ei giovani si uniscono e si pongono il compito di cambiare le loro vite non c’è forza che possa fermarli.
“Gheddafi e Assad sono dittatori” Fra gli attivisti egiziani non c’è dubbio che la rivoluzione iniziata il 25 gennaio è stata possibile solo grazie alla vittoria in Tunisia, con il rovesciamento di Ben Alì. La consapevolezza che le manifestazioni in tutti i Paesi (Egitto, Siria, Libia, Yemen, ecc.) sono parte di un unico processo rivoluzionario in tutto il mondo arabo è indiscutibile.
Inoltre, c’è una chiara identificazione tra il popolo arabo e la sua cultura. Questa identificazione ha un aspetto politico fondamentale che si concreta nel ripudio dello Stato di Israele. Soprattutto tra gli attivisti, e anche in un settore più ampio della popolazione, c’è un enorme rifiuto dello Stato di Israele e del ruolo nefasto che esso svolge per i palestinesi. Sanno che si tratta di uno Stato completamente controllato e finanziato dall’imperialismo e, perciò, le rivoluzioni hanno necessariamente un significato anti israeliano e contro il genocidio dei palestinesi.
Pertanto, la questione della Palestina, combinata con la consapevolezza che tutte le mobilitazioni sono parte di uno stesso processo, mette in chiaro che il ruolo di Gheddafi e Assad in Libia e Siria è lo stesso degli altri dittatori del mondo arabo. In tutti gli incontri che abbiamo avuto in Egitto, gli attivisti mostravano grande consapevolezza che, per costruire e rafforzare la rivoluzione araba, la lotta deve essere rivolta contro questi dittatori e l’imperialismo.
Inoltre, c’è una chiara identificazione tra il popolo arabo e la sua cultura. Questa identificazione ha un aspetto politico fondamentale che si concreta nel ripudio dello Stato di Israele. Soprattutto tra gli attivisti, e anche in un settore più ampio della popolazione, c’è un enorme rifiuto dello Stato di Israele e del ruolo nefasto che esso svolge per i palestinesi. Sanno che si tratta di uno Stato completamente controllato e finanziato dall’imperialismo e, perciò, le rivoluzioni hanno necessariamente un significato anti israeliano e contro il genocidio dei palestinesi.
Pertanto, la questione della Palestina, combinata con la consapevolezza che tutte le mobilitazioni sono parte di uno stesso processo, mette in chiaro che il ruolo di Gheddafi e Assad in Libia e Siria è lo stesso degli altri dittatori del mondo arabo. In tutti gli incontri che abbiamo avuto in Egitto, gli attivisti mostravano grande consapevolezza che, per costruire e rafforzare la rivoluzione araba, la lotta deve essere rivolta contro questi dittatori e l’imperialismo.
“Chávez non è dalla nostra parte” In questo quadro, gli attivisti ripudiano profondamente la posizione di Chávez e Castro. Benché le rivoluzioni dell’America Latina costituiscano per loro un punto di riferimento, l’impressione che abbiamo avuto parlando con loro è che la posizione di sostegno a Gheddafi e Assad ha rappresentato un vero e proprio spartiacque, sicché oggi non nutrono speranze in questi governanti che non sono il loro riferimento.
In un incontro, stavamo spiegando il processo che vive attualmente l’America Latina quando abbiamo chiesto a un compagno di illustrarci la sua posizione su Chávez. Ci ha risposto: “Sta con Gheddafi, non dalla nostra parte”. Crediamo che questa sia la posizione maggioritaria fra i militanti di sinistra in Egitto.
Oltre al ripudio di questi dittatori, non accettano neanche l’intervento militare imperialista, poiché non si sbagliano: l’interesse è rappresentato dalle risorse naturali e dalla sottomissione di quel Paese. A partire da questa discussione, è stato molto semplice spiegare che questi governanti oggi non svolgono alcun ruolo nella direzione del miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori; al contrario, stanno pure dalla parte dell’imperialismo.
Un’impressione che abbiamo avuto è che un settore un po’ più ampio che ha partecipato alla rivoluzione tenda ad accettare l’intervento dell’imperialismo, dicendo: “I libici vengono assassinati dalle truppe di Gheddafi, bisogna sostenerli”. Tuttavia, questa posizione non è accompagnata da un sentimento di fiducia politica nell’imperialismo. Al contrario, per il rapporto con lo Stato d’Israele, questi attivisti conoscono i loro veri interessi, ma tendono a sostenere l’intervento militare perché temono ciò che potrebbe accadere al popolo libico. Sottovalutano quanto l’intervento imperialista possa essere dannoso per gli interessi della rivoluzione. Ma a nessuno in Egitto passa per la testa di sostenere Gheddafi. Perciò la posizione di Chávez e Castro non ha nessun ascolto nel Paese.
In un incontro, stavamo spiegando il processo che vive attualmente l’America Latina quando abbiamo chiesto a un compagno di illustrarci la sua posizione su Chávez. Ci ha risposto: “Sta con Gheddafi, non dalla nostra parte”. Crediamo che questa sia la posizione maggioritaria fra i militanti di sinistra in Egitto.
Oltre al ripudio di questi dittatori, non accettano neanche l’intervento militare imperialista, poiché non si sbagliano: l’interesse è rappresentato dalle risorse naturali e dalla sottomissione di quel Paese. A partire da questa discussione, è stato molto semplice spiegare che questi governanti oggi non svolgono alcun ruolo nella direzione del miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori; al contrario, stanno pure dalla parte dell’imperialismo.
Un’impressione che abbiamo avuto è che un settore un po’ più ampio che ha partecipato alla rivoluzione tenda ad accettare l’intervento dell’imperialismo, dicendo: “I libici vengono assassinati dalle truppe di Gheddafi, bisogna sostenerli”. Tuttavia, questa posizione non è accompagnata da un sentimento di fiducia politica nell’imperialismo. Al contrario, per il rapporto con lo Stato d’Israele, questi attivisti conoscono i loro veri interessi, ma tendono a sostenere l’intervento militare perché temono ciò che potrebbe accadere al popolo libico. Sottovalutano quanto l’intervento imperialista possa essere dannoso per gli interessi della rivoluzione. Ma a nessuno in Egitto passa per la testa di sostenere Gheddafi. Perciò la posizione di Chávez e Castro non ha nessun ascolto nel Paese.
Casa Dell'Acqua
Città di Frosinone
Assessorato all´Ambiente - Settore G
CASA DELL´ACQUA A FROSINONE
INAUGURAZIONE SABATO 23 LUGLIO 2011 ORE 10.00
Via Marco Tullio Cicerone(Parcheggio antistante l´ingresso principale della Villa Comunale)
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giovedì 21 luglio 2011
Into the fire of the "Deeper"
Luciano Granieri
MARIO INSENGA batterista cantante e mattatore dei Blue Stuff, notava qualche sera fa come sia cambiato il concetto di creatività e originalità nel panorama delle giovani band che calcano i palchi di club e piazze. Insenga sosteneva come i “complessi” (così si chiamavano allora) che nascevano negli anni settanta alla dovevano proporsi con brani loro . Sicuramente le influenze dei gruppi che andavano per la maggiore erano ben identificabili, ma il progetto musicale doveva essere comunque originale. Il dilagare delle cover band e delle tribute band , ovvero gruppi che ripropongono per intero il repertorio di altri ha cambiato il modo di considerare la qualità creativa di un ensemble . Oggi le cover band di Ligabue, dei Beatles , di Bruce Springsteen e di altri autori, dilagano e godono di grande successo, quasi che mettersi davanti ad uno strumento e creare musica propria possa essere del tutto superfluo . Sono assolutamente d’accordo con il bluesman napoletano. Aggiungo che il numero delle cover band in attività è inversamente proporzionali alle difficoltà tecniche che il gruppo del quale si vuole riproporre i brani presenta. Più un gruppo ha nel suo interno musicisti virtuosi, meno sono le cover band che ne ripercorrono la strada creativà. Ecco perché assistere al concerto dei Deeper, nell’ambito della rassegna FROSINONE ROCK CULTURE mi ha fatto superare la ritrosia che nutro verso le cover band. I Deeper come qualcuno avrà intuito sono una tribute band dei Deep Purple , il mitico gruppo di Smoke on the Water che negli anni ’70 ha costituito, insieme con i Led Zeppelin, la colonna portante dell’Hard Rock. La line up dei Deep Purple era composta da musicisti formidabili: Jon Lord alle tastiere, signore assoluto dell’ Hammond, inventore del Leslie un aggeggio che riesce a distorcere il suono dell’organo quasi fosse una chitarra elettrica . Ian Paice, un batterista dalla tecnica straripante, protagonista assoluto assieme a Carl Palmer del panorama rock passato e presente, Ritchie Blackmore l’assoluto nella chitarra rock, i suoi riff, in Higway Star, Smoke on the Water hanno fatto la storia dello strumento. Attorno a questo nocciolo si sono alternati( fino al 1974) il bassista Roger Glover e Ian Gillan, un cantante dall’escursione vocale incredibile, la sua voce poteva essere oggetto di studio scientifico, in seguito dal disco Burn poi il bassista Glenn Huges e il vocalist Dave Coverdale shouter bianco dalla voce nera . Misurarsi con cotanta abbondanza di tecnica musicale non è facile per nessuno. E comunque dobbiamo ammettere che Giovanni Russo alla chitarra , Gianluca Sabbi alle tastiere, Ivano Salvatori al basso, Roberto Sabbi alla batteria e Andrews Crudo voce, ci danno talmente dentro da rendere benissimo il clima di fuco della band di Hatford. Anzi rimaniamo stupiti dalla loro capacità di ricreare quell’atmosfera unica . I Deeper hanno il dna dei Deep Purple inscritto nel loro codice genetico, infatti sono nati nel luglio 2004 per accompagnare Ian Paice in un concerto del leggendario batterista al ToTem Village di Velletri. Dunque la loro genesi spiega molte cose. Detto che il gruppo si trova a suo agio tanto nel riproporre l’era GIllan che quella Coverdale, (Il vocalist Andrews Crudo è più vicino allo stile di quest’ultimo) , voglio abbandonare gli aspetti tecnici e parlare di cose un po’ più intime . Lo confesso, ho assistito al concerto dei Deeper perché la musica dei Deep Purple è stata la sigla della mia adolescenza. Per ore provavo e riprovavo le misure di charleston con cui Ian Paice dava inizio a Smoke on the Water oppure alcune sequenze dell’assolo che il funambolico batterista eseguiva in The Mule. L’hard rock dei Deep Purple ha segnato i primi movimenti del nostro “complesso” che impazzava rompendo i timpani a vicini del quartiere. Oggi il mio orientamento musicale è molto diverso, sono jezzemane dentro, MA NON POSSO NEGARE CHE LA MIA PERSONALE AVVENTURA NEL MONDO DELLA MUSICA E’ NATA DAL BEAT DELLA DOPPIA CASSA DI FIREBALL.
Ennesima vasta operazione nel Lazio
Giovanni Pizzuti responsabile Libera Frosinone
E' la prima volta - afferma Giovanni Pizzuti responsabile Libera Frosinone - che il Tribunale di Frosinone, su richiesta della DDA di Roma emette un provvedimento di confisca di primo grado per imprenditori che sono nati e che vivono nel nostro territorio. Questo smentisce quanti sostengono che sul nostro territorio non c'è la presenza delle mafie e quando sono presenti si tratta di mafie tradizionali che sono solamente di passaggio. Ci auspichiamo che l'ingente patrimonio, pari a circa 150 milioni di euro, proveniente da attività illecite giunga presto a confisca definitiva, in modo da poterli destinare ad attività sociali, e costruire così una società alternativa libera dai poteri mafiosi.
Ennesima vasta operazione della Direzione Investigativa antimafia di Roma che ha visto il sequestro sulla direttrice Cassino , Frosinone, Roma, di 41 immobili, un albergo, 22 terreni, 10 società, 2 imbarcazioni e 48 rapporti bancari intrattenuti con istituti di credito e intermediari finanziari della Capitale. Tutti i beni appartengono a due imprenditori di Cassino,Vincenzo e Luigi Terenzio già arrestati nell'anno 2008 nel corso dell'operazione anti camorra denominata Grande Muraglia in cui erano stati scoperti i presunti legami che i due avevano con il clan dei Casalesi, con la banda della Magliana e con criminali cinesi. L'operazione disposta dalla Dda di Roma e dalla Tribunale di Frosinone è la conferma - dichiara Antonio Turri responsabile regionale di Libera - di come le mafie tradizionali dapprima si infiltrano in un territorio,in questo caso nel Lazio,poi si radicano ed infine contaminano la criminalità locale ,trasformandosi in quinta mafia. Un più complesso e pericoloso fenomeno mafioso costituito da mafie italiane tradizionali ed autoctone, da mafie straniere e pezzi dell'imprenditoria e della politica.
A VOI IL TITANIC, A NOI L'INCROCIATORE AURORA
di Alberto Madoglio Lega internazionale dei lavoratori (LIT)
In questi giorni, in queste ore, sembra che la speculazione finanziaria internazionale abbia deciso di farla finita con gli scherzi e si sia decisa a puntare il bersaglio grosso.
Dopo Grecia, Irlanda e Portogallo, oggi tocca all’Italia subire gli attacchi dei vari fondi pensione, assicurativi, speculativi (conosciuti anche come fondi “locusta”) e vedere il proprio sistema finanziario traballare nel suo insieme.
Come in ogni guerra, il casus belli è stato un atto di per sé non molto significativo: un’intervista, rilasciata al quotidiano la Repubblica venerdì 8 luglio dal premier Berlusconi, ha dato il via a una giornata che è passata alle cronache col nome, in verità poco originale, di “venerdì nero”.
Per molte ore, almeno fino al lunedì successivo, gli analisti economici, i politici e tutti i commentatori borghesi hanno temuto il peggio: il rischio di un default del Paese con la conseguente uscita dell’Italia dalla zona dell’euro. Una riedizione, moltiplicata per cento, di quanto accadde nel 1992, quando la speculazione costrinse la lira ad una pesante svalutazione e la conseguente uscita della moneta nazionale dallo Sme, antesignano della moneta comune europea.
Dopo Grecia, Irlanda e Portogallo, oggi tocca all’Italia subire gli attacchi dei vari fondi pensione, assicurativi, speculativi (conosciuti anche come fondi “locusta”) e vedere il proprio sistema finanziario traballare nel suo insieme.
Come in ogni guerra, il casus belli è stato un atto di per sé non molto significativo: un’intervista, rilasciata al quotidiano la Repubblica venerdì 8 luglio dal premier Berlusconi, ha dato il via a una giornata che è passata alle cronache col nome, in verità poco originale, di “venerdì nero”.
Per molte ore, almeno fino al lunedì successivo, gli analisti economici, i politici e tutti i commentatori borghesi hanno temuto il peggio: il rischio di un default del Paese con la conseguente uscita dell’Italia dalla zona dell’euro. Una riedizione, moltiplicata per cento, di quanto accadde nel 1992, quando la speculazione costrinse la lira ad una pesante svalutazione e la conseguente uscita della moneta nazionale dallo Sme, antesignano della moneta comune europea.
La crisi italiana: speculazione passeggera? No, debolezze strutturali
In poche ore si sono palesate tutte le difficoltà dell’economia nazionale e, inoltre, si è visto che i presunti punti di forza del “sistema Paese”, tanto solidi non sono.
Per mesi si è detto, ad esempio, che le banche italiane, in possesso di ingenti somme del debito pubblico nazionale, erano meno soggette ai colpi della speculazione: ma quando a entrare in fibrillazione sono stati Bot e Btp, anche i campioni nazionali del risparmio, come Unicredit e Banca Intesa, hanno visto precipitare il loro valore di borsa.
Si è ripetuto che la "grande propensione al risparmio" degli Italiani era una garanzia di tenuta per il sistema economico nel suo complesso, salvo scoprire che la maggior parte di queste risorse sono investite prevalentemente nella rendita (immobili, titoli pubblici, obbligazioni) e molto poco, o non in maniera sufficiente, nel capitale di rischio (azioni). Ne consegue che le imprese nazionali sono “sotto-capitalizzate” rispetto ai loro concorrenti internazionali e quindi in un periodo di crisi sono meno in grado sia di difendersi che di competere sul mercato mondiale, col risultato di vedere aumentati in maniera esponenziale fallimenti, chiusure e ristrutturazioni aziendali, licenziamenti.
Il parlamento borghese accorre in difesa della "Patria in pericolo"
Come due decenni fa, sono immediatamente scattati gli appelli alla "unità nazionale", all’abbandonare gli “interessi di parte” (sic) per salvaguardare i cosiddetti "interessi generali della Nazione".
Questa fetida campagna patriottarda sta raggiungendo vette che non si vedevano da tempo, ma che non sono nuove.
Nel 1915 si è assistito ad una propaganda simile, quando l’Italia decise di entrare nel primo conflitto mondiale per partecipare alla nuova spartizione del mondo. Anche allora si diceva che i sacrifici immediati (vita di trincea, morte e disperazione, riduzione dei diritti e dei salari per chi non era al fronte) sarebbero stati ripagati alla fine del conflitto con l’inizio di una nuova era di prosperità e di ricchezza per tutti. Si è visto come è andata a finire.
Oggi si assiste allo stesso copione, allo stesso imbroglio. Una manovra finanziaria da 70 miliardi viene approvata in 48 ore, con plauso di tutti i partiti sia di governo che di opposizione, della Confindustria, del Vaticano.
Vengono, per l’ennesima volta, colpiti i settori più deboli della società, lavoratori, studenti, donne, disoccupati, coloro i quali, già in passato, hanno dovuto pagare il conto della crisi; vengono introdotti i ticket sulle prestazioni sanitarie, tagliate le riduzioni e le detrazioni fiscali, aumentando così le tasse a chi già le paga in abbondanza; aumenta l’età per andare in pensione; milioni di dipendenti pubblici avranno il salario bloccato fino al 2014; centinaia di migliaia di precari della scuola verranno licenziati; col taglio di oltre dieci miliardi agli enti locali si avrà un aumento delle tariffe su molti servizi pubblici (trasporti, asili, assistenza sociale) e un peggioramento della qualità (già scarsa) delle prestazioni fornite.
Col suo “atteggiamento responsabile” l’opposizione liberale del Pd, acquista ancora una volta titoli di merito davanti alle grandi famiglie capitaliste nazionali e non solo, candidandosi a governare il Paese nel loro interesse quando cadrà il governo Berlusconi (nel 2013 o prima)
Sindacati: tra burocrazie gialle e direzioni inadeguate
Particolarmente ripugnante è l’atteggiamento pusillanime delle direzioni sindacali e dei partiti della, sempre più fantomatica, sinistra radicale. Davanti a una manovra che impone misure pesantissime, invece di fare appello alla mobilitazione, proclamando lo sciopero generale ad oltranza fino al ritiro delle misure di austerità e alla cacciata del governo, si limitano a battere i piedi, a fare appelli a modifiche secondarie, "auspicare" la fine dei sacrifici. Il gruppo dirigente della Camusso appare sempre più come la quinta colonna di governo e borghesia tra i lavoratori.
Non diverso appare al momento l’atteggiamento del sindacalismo di base (a partire da Usb) quasi spaventato dall’opportunità che gli si presenta: quella cioè di riuscire finalmente a rompere l’egemonia della Cgil nel mondo del lavoro. Certo che per farlo bisognerebbe che avanzasse un programma realmente alternativo, non solo a parole ma anche nei fatti, a quello del sindacato della Camusso. Un programma su cui costruire una grande mobilitazione unitaria, al di fuori di piccole logiche settarie di conservazione di una micro-burocrazia, qualcosa di ben diverso dagli sciopericchi rituali.
Una cura che non guarirà il malato
L’amara medicina della Finanziaria difficilmente avrà l’effetto di guarire il malato. Forse i conti pubblici saranno messi in ordine, ma fino a quando?
L’enorme debito pubblico continuerà a crescere. Anzi, gli effetti recessivi della manovra, deprimendo ulteriormente il potere di acquisto di salari e pensioni, avranno come risultato quello di ridurre la già asfittica crescita economica, rendendo impossibile una riduzione dello stock del debito pubblico. Anche la politica della Bce, che da mesi ha deciso di aumentare il costo del denaro, renderà sempre più oneroso per lo Stato ottenere prestiti sul mercato finanziario.
La struttura del capitalismo italiano (enorme percentuale di imprese piccole o piccolissime e conseguente livello della produttività inferiore rispetto ai concorrenti esteri) farà sì che le imprese tricolori saranno sempre più in difficoltà nel competere sul mercato mondiale, con ulteriori conseguenze negative sulle prospettive di crescita economica. Ci vorrà altro che l’abolizione degli ordini professionali o una maggiore flessibilità del mondo del lavoro (che, detto di passata, con le molteplici forme di lavoro precario, atipico, ecc, rendo oggi sempre più facile per il Capitale liberarsi di quella manodopera che ritiene in eccesso, senza dover sostenere oneri aggiuntivi, ad esempio Tfr), per consentire alle imprese italiane di crescere a ritmi sostenuti.
Se a tutto questo si aggiunge il rischio concreto che dai primi di agosto gli Usa non siano più in grado di aumentare il loro debito pubblico, con conseguente dichiarazione di fallimento, ecco che il quadro è completo. Per una volta concordiamo con Obama: c’è il rischio di una vera e propria Apocalisse finanziaria ed economica di livello mondiale.
L’amara medicina della Finanziaria difficilmente avrà l’effetto di guarire il malato. Forse i conti pubblici saranno messi in ordine, ma fino a quando?
L’enorme debito pubblico continuerà a crescere. Anzi, gli effetti recessivi della manovra, deprimendo ulteriormente il potere di acquisto di salari e pensioni, avranno come risultato quello di ridurre la già asfittica crescita economica, rendendo impossibile una riduzione dello stock del debito pubblico. Anche la politica della Bce, che da mesi ha deciso di aumentare il costo del denaro, renderà sempre più oneroso per lo Stato ottenere prestiti sul mercato finanziario.
La struttura del capitalismo italiano (enorme percentuale di imprese piccole o piccolissime e conseguente livello della produttività inferiore rispetto ai concorrenti esteri) farà sì che le imprese tricolori saranno sempre più in difficoltà nel competere sul mercato mondiale, con ulteriori conseguenze negative sulle prospettive di crescita economica. Ci vorrà altro che l’abolizione degli ordini professionali o una maggiore flessibilità del mondo del lavoro (che, detto di passata, con le molteplici forme di lavoro precario, atipico, ecc, rendo oggi sempre più facile per il Capitale liberarsi di quella manodopera che ritiene in eccesso, senza dover sostenere oneri aggiuntivi, ad esempio Tfr), per consentire alle imprese italiane di crescere a ritmi sostenuti.
Se a tutto questo si aggiunge il rischio concreto che dai primi di agosto gli Usa non siano più in grado di aumentare il loro debito pubblico, con conseguente dichiarazione di fallimento, ecco che il quadro è completo. Per una volta concordiamo con Obama: c’è il rischio di una vera e propria Apocalisse finanziaria ed economica di livello mondiale.
A voi il Titanic, a noi l'Aurora!
Per parte nostra, come comunisti rivoluzionari, non abbiamo dubbi. A chi dice che è il tempo della responsabilità, noi rispondiamo: giusto. A chi dice che è tempo di realismo, rispondiamo: giusto. A chi dice che la priorità è la salvezza dell’economia, rispondiamo: giusto.
Siamo responsabili e realisti, per questo sosteniamo che questo sistema economico e sociale deve essere rovesciato. Chi crede che si possa salvare il capitalismo con qualche riforma più o meno radicale o è un illuso o è un imbroglione. Siamo concordi nel ritenere che si debba salvare l’economia mondiale, ma non per tutelare i profitti di poche multinazionali, ma per salvare la vita e garantire un futuro degno di essere vissuto a centinaia di milioni di lavoratori, contadini, disoccupati e sfruttati di ogni tipo che da questo sistema economico non ricevono altro che miseria, fame e guerre.
Per loro la salvezza non è venuta ieri da Zapatero, Lula, Chavez, Jospin e Prodi, così come domani non verrà da Bersani, Vendola, dai laburisti inglesi o dai socialisti francesi o tedeschi.
E’ dalle piazze in fiamme di Atene, Tunisi, Il Cairo, Damasco, dalle megalopoli della Cina sconvolte da scioperi e rivolte sempre più frequenti, che può arrivare la sola alternativa a questo sistema: solo una crescita delle lotte anche in Italia, capace di spezzare la cappa soffocante imposta dalle burocrazie, può riaprire una nuova prospettiva per i lavoratori e le masse subalterne.
Siamo responsabili e realisti, per questo sosteniamo che questo sistema economico e sociale deve essere rovesciato. Chi crede che si possa salvare il capitalismo con qualche riforma più o meno radicale o è un illuso o è un imbroglione. Siamo concordi nel ritenere che si debba salvare l’economia mondiale, ma non per tutelare i profitti di poche multinazionali, ma per salvare la vita e garantire un futuro degno di essere vissuto a centinaia di milioni di lavoratori, contadini, disoccupati e sfruttati di ogni tipo che da questo sistema economico non ricevono altro che miseria, fame e guerre.
Per loro la salvezza non è venuta ieri da Zapatero, Lula, Chavez, Jospin e Prodi, così come domani non verrà da Bersani, Vendola, dai laburisti inglesi o dai socialisti francesi o tedeschi.
E’ dalle piazze in fiamme di Atene, Tunisi, Il Cairo, Damasco, dalle megalopoli della Cina sconvolte da scioperi e rivolte sempre più frequenti, che può arrivare la sola alternativa a questo sistema: solo una crescita delle lotte anche in Italia, capace di spezzare la cappa soffocante imposta dalle burocrazie, può riaprire una nuova prospettiva per i lavoratori e le masse subalterne.
A Tremonti che ci descrive tutti sulla stessa barca, padroni e operai, un Titanic che sta affondando, noi rispondiamo: lasciamo a voi padroni il Titanic, l'unica nave su cui vogliamo imbarcarci noi è l'Aurora (*).
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(*) Nel suo intervento in parlamento per illustrare la manovra, il ministro Tremonti ha paragonato la situazione dell’Italia a quella del Titanic, affondato nel 1912. L'incrociatore Aurora, che noi preferiamo, è invece la nave che con colpi di cannone annunciò, nell'ottobre 1917, l'insurrezione rivoluzionaria che diede il potere ai soviet guidati dai bolscevichi di Lenin e Trotsky.