giovedì 6 marzo 2014

III Appuntamento del seminario “Il reddito rende liberi”

Osservatorio Peppino Impastato Frosinone.

Sabato 8 febbraio a partire dalle ore 16,30 si terrà il 3° ed ultimo appuntamento del seminario “Il reddito rende liberi”.  L’incontro, a cura della Scuola di formazione sociale e politica Don Gallo e dell’Osservatorio Peppino Impastato di Frosinone,    avrà luogo, come al solito,  presso la saletta dei soci Coop, affianco al supermercato Coop, in Via dei M.ti Lepini a Frosinone . Dopo aver percorso la storia dei rapporti fra lavoro e società, dalla Rivoluzione Francese ad oggi, con i  sistemi di welfare connessi.  Dopo aver analizzato diverse proposte avanzate da analisti ed economisti   relative    all’adozione  di un reddito minimo, o di un reddito di cittadinanza, o ancora di  un  programma  redistributivo  del lavoro,   in  questo terzo appuntamento vaglieremo alcune ipotesi di finanziamento per un  sostegno al reddito.  Tale  analisi verrà inserita in  un quadro generale di politiche fiscali maggiormente rivolte a supportare la spesa sociale. Percorreremo  poi,  in un viaggio virtuale, i sistemi di welfare dei Paesi europei che già adottano il reddito minimo ed altre forme di protezione sociale.  Dall’Europa arriveremo in Italia  per capire che tipo di esperimenti sono stati effettuati in passato in merito all’adozione di un reddito minimo, sia a livello nazionale che regionale. Infine descriveremo la proposte che partiti politici e movimenti hanno avanzato rispetto a questa misura .  Nel dibattito che seguirà, illustreremo la nostra proposta  e la confronteremo con le diverse idee che verranno avanzate dai partecipanti.

Come è consuetudine pubblichiamo i video del secondo appuntamento. Una confronto animato si è aperto  sulle implicazioni morali di un reddito di cittadinanza. E’ moralmente giusto destinare una parte dei guadagni di un lavoratore per erogare un reddito a chi non lavora?  Oppure il reddito di cittadinanza rovescia il vantaggio della flessibilità in favore di una  persona che avendo un minimo di che vivere può affrancarsi dal ricatto di un’occupazione necessaria solo alla sussistenza  e scegliersi un lavoro più adatto alle proprie attitudini? E ancora, non c’è il rischio che accettando la pratica del reddito minimo si rinuncia alla lotta per un redistribuzione del lavoro e per un sistema economico e sociale più giusto?  La discussione è stata animata e stimolante. Di seguito i video che hanno accompagnato il seminario: Il primo mette in contrasto la tranquillità di un reddito sicuro con le attuali condizioni di  incertezza  e precarietà nella quale vive gran parte della popolazione. Il  secondo è  un intervista al giurista Stefano Rodotà sulla  opportunità di un reddito di cittadinanza. Il terzo è un piccolo documentario sul  reddito minimo in Europa.



Teatri Fantasmi

Luciano Granieri

Con la cultura a Frosinone non si mangia perché  la cultura è eterea, volatile. E’ un vento malefico che ti spira accanto con i suoi effluvi terrificanti.  Esiste un fantasma a Frosinone che da anni terrorizza chiunque  voglia fare teatro o minimamente organizzare una recita.  Trasformismi inquietanti hanno interessato il Cinema Teatro Nestor,  il  teatro storico della Città.  Su quelle tavole sono passati fior di attori ed artisti. Ma poi il degrado, il fallimento . I soldi finiti,  finite la programmazioni.  Tutto per sottostare alle esigenze del mercato delle multisala. Il mega impianto, la sala Sisto,    interrompeva  con prepotenza lo skyline fra Ceccano e Frosinone.  Sale tre D, centro commerciale annesso, sale giochi, bar. Il  Nestor, per tenere il passo  era costretto al trasformismo   sono spuntate sale di proiezione anche nei sottoscala.  

Sul teatro storico di Frosinone  incombeva lo stesso destino del  Cinema Excelsior e del  Delle Vittorie,  cinemetti lasciati a marcire in pieno centro storico, così come era accaduto per l’auditorium sotto il grattacielo, struttura che aveva conosciuto tempi migliori, quando sul suo palco si esibivano Chet Baker o gli Art  ensemble of Chicago.  Ai malati terminali non è concesso l’accanimento terapeutico, per cui anziché adoperarsi a rianimare zombie,  si preferì far  nascere nuovi virgulti.  

Una ex palestra della scuola media Umberto Primo, grazie al trasformismo di cui sopra, diventava un auditorium,  ma ciò non bastava per salvare una stagione teatrale che pure aveva avuto successo in ere precedenti. Per anni nella nostra città gli attori sono mancati. 

Poi  la svolta di un sindaco il quale solennemente prometteva un teatro di mille posti  per la lirica, con un’acustica degna della Scala.  Secondo la massima, meglio la gallina domani che l’uovo oggi, il sindaco Michele  Marini (centro sinistra), affiancato in pompa magna dall’allora presidente del consiglio della regione Mario Abruzzese (centro destra) , invitava Gigi Proietti e Carla Fracci alla posa della prima pietra di un’opera da  10 milioni di euro che doveva sorgere in zona Casaleno, il pre-dissesto era  ancora al di là da venire. 

Peccato che l’incauto sindaco pretendeva di costruire un teatro su un terreno che non si era curato di espropriare, e i legittimi proprietari non avevano nessuna intenzione di cedere neanche una zolla  per mettere su un teatrino delle marionette.  Si manifestò dunque il fantasma di un aborto, di un feto dalla vita infranta    su una pietra inaugurale. Questi fantasmi  che ritornano!!!! 

La giunta del sindaco Marini va in crisi, gli succede il mago degli effetti speciali, l’uomo solo al comando Nicola Ottaviani. Uno che considera le riunioni del  consiglio comunale un spreco di denaro pubblico, tanto se c’è da decidere qualcosa ci pensa lui senza se senza ma. Maggioranza e opposizione sono monolite unico scalfito solo un po’  dallo scandalo dei rifiuti.  

Il nuovo sindaco  Inizia il suo mandato,  a  colpi di predissesto , frane, ma anche di botte nazional-popolari: l’asfalto rosso, le fontane tricolori, gli sbandieratori,  il cinema estivo  alla stazione, la macchina  di San Silverio. Ma erano  solo azioni di depistaggio a cui contribuiva anche il ventilato riciclaggio del Cinema  Delle Vittorie. 

In gran segreto arriva il colpo da maestro . A fari spenti il sindaco si è inserito nell’asta fallimentare che aveva posto in vendita il fantasma del Nestor  e ne  ha acquistato  le mura (valore 5 milioni di euro) per la modica somma di 640 mila euro.  Il tutto è stato portato a termine a fari spenti, in gran segreto. Talmente in gran segreto che neanche il giudice fallimentare lo è venuto a sapere.  Dopo i proclami trionfalistici della prima ora,  lo stesso Sindaco Ottaviani ha ammesso di non sapere bene neanche lui come fossero  andate le cose. Un segreto così ermetico da essere ignoto anche a colui che lo ha architettato è veramente da effetti speciali.  Torna dunque ad aleggiare di nuovo il fantasma del teatro.  Un teatro fantasma che comunque è tornato a respirare con una nuova stagione di tutto rispetto.  Resterà fantasma il  buon vecchio Nestor?

Lavoratrici o madri? La scelta è solo delle donne

Laura Sguazzabia (*)

Come una cartina al tornasole, l’aborto, il momento più esclusivo di affermazione di volontà da parte di una donna, dà l’esatta misura del livello di oppressione delle donne nel sistema capitalistico: la legislazione borghese (che sull’argomento riesce a sbizzarrirsi in restrizioni e tempistiche ai limiti del ridicolo) lo rende strumento ideale per relegare maggiormente la donna nella sua funzione riproduttiva, soprattutto in questo momento in cui per la crisi economica è necessario “liberare” posti di lavoro in favore degli uomini e sopperire ai tagli ai servizi sociali con manodopera gratuita.
In molti Paesi è ancora una pratica illegale, in altri si sta cercando di ridurne fortemente l’applicazione, come ad esempio in Italia dove è ostacolato dalla massiccia diffusione dell’obiezione di coscienza: l’analisi di alcune situazioni recenti dimostra come sia funzionale all’oppressione femminile, quanto qualsiasi altra forma di violenza.    
Spagna: il ritorno della destra
Il primo febbraio al grido di "no penar para abortar" (non soffrire per abortire), migliaia di persone provenienti da varie città della Spagna si sono mobilitate a Madrid contro il restrittivo progetto di riforma della legge sull’aborto, approvato lo scorso dicembre dal governo conservatore di Mariano Rajoy. A partire dal mattino, i manifestanti sono giunti su alcune decine di treni e autobus alla stazione di Atocha, per partecipare all’iniziativa “Un treno per la libertà”, indetta da due associazioni di donne delle Asturie, alla quale hanno aderito oltre un centinaio di associazioni sul territorio nazionale. Primo appuntamento di un fitto calendario di mobilitazioni, non ancora concluso, contro l’approvazione della riforma che cancellerebbe il diritto di scelta delle donne e riporterebbe la legislazione spagnola indietro di quasi trent’anni.
La riforma di Gallardón prevede l’aborto soltanto nei casi di stupro (entro la 12 settimana e dopo denuncia e accertamento delle forze dell’ordine) e di rischio per la salute fisica o psichica della donna (entro la 22 settimana), sempre che questo rischio sia “permanente o duraturo nel tempo”. Non sarà possibile ricorrere all’aborto in caso di anomalia fetale grave a meno che non si accerti che partorire un figlio con “malformazioni incompatibili con la vita” danneggi la salute mentale della donna: in questo caso servono comunque due certificati medici ed un periodo di riflessione di sette giorni.
Il testo presentato tratta le donne come esseri immaturi senza giudizio o senza coscienza. Mette in relazione la decisione di abortire con l’infermità mentale e antepone il criterio della salute al diritto della donna di decidere. Considerando inoltre l’estesa diffusione dell’obiezione di coscienza tra il personale medico, infermieristico e ausiliario, il ritiro di molti contraccettivi dalla lista dei farmaci gratuiti e il forte ridimensionamento dell’educazione sessuale nelle scuole, le donne spagnole si troveranno, nel caso di approvazione del progetto di legge, in una sorta di percorso espiatorio che le obbligherà a rendere ragione della loro scelta.
A farne le spese saranno ovviamente le donne delle classi sociali più deboli che, sprovviste di mezzi e spesso di conoscenze, saranno costrette a ricorrere alla clandestinità mettendo a serio rischio la propria vita, così come le ragazze minorenni che dovranno ora ricorrere al consenso dei genitori, contrariamente alla legge precedente che consentiva loro, a partire dai 16 anni, di decidere autonomamente.
La riforma non risponde solo a questioni ideologiche sottese all’attuale governo ultra conservatore spagnolo (controllo dell’ordine sociale e imposizione della morale cattolica), ma anche a ragioni economiche: le condizioni pattuite con la Troika e la Ue, impongono alla Spagna un drastico taglio della spesa pubblica, realizzato in particolare nell’ambito socio-sanitario.
India: la fatica di essere donna
L’India, nazione emergente tra i colossi del capitalismo globale, è tra i primi 6 Paesi al mondo dove è pericoloso essere donna, fin dalla nascita, anzi fin dal concepimento. La nascita di una figlia non è di buon auspicio a causa del costo della futura dote (illegale dal 1961, però tuttora pretesa dalle famiglie dei mariti): con l’introduzione dell’accertamento pre-natale del sesso attraverso l’uso dell’ecografo ha preso avvio la pratica dell’aborto selettivo. Ma non è solo la vita delle potenziali bambine a essere in pericolo: poiché illegali, gli aborti selettivi vengono spesso praticati in condizioni non igieniche da operatori non qualificati o professionisti che ricorrono a mezzi tradizionali e rudimentali, al punto che ogni due ore una donna indiana muore a causa di un aborto praticato in circostanze non sicure.
In generale, comunque, nelle zone rurali soprattutto e quindi rispetto alle fasce sociali più deboli, le strutture sanitarie sono assolutamente incapaci di assolvere il loro compito costringendo le donne, anche nei casi previsti dalla legge, a ricorrere ad alternative rischiose. Se a ciò si somma il mancato investimento in programmi di educazione sessuale e di promozione dei contraccettivi tra i giovani, oltre alla possibilità dei medici di decidere se praticare o meno l’aborto sulla base di questioni “culturali” (come nel caso di donne sole seppure vittime di stupro: in India ogni venti minuti una donna viene violentata), è chiaro che per le donne la possibilità di scelta rispetto all’interruzione di gravidanza è assolutamente inesistente o pericolosa. Anche in questo caso le ragioni ideologico-culturali si intrecciano fortemente con quelle economiche: si pensi che il governo indiano investe nella spesa sanitaria in modo assolutamente irrisorio il 3,9% del Pil.
Usa: no comment
Nel Paese simbolo del capitalismo, nella sua forma più aggressiva ed esasperata, l’aborto è veramente al centro di un dibattito feroce e di una battaglia politica senza limiti. A seguito di una decisione della Corte Suprema nel 1973, l’aborto è un diritto garantito negli Usa durante il primo trimestre di gestazione, anche se gli Stati possono imporre regole a partire dal secondo trimestre o addirittura vietare l’aborto nell’ultimo trimestre, quando il feto è vitale al di fuori dell’utero.
Tuttavia da alcuni anni gli Stati Uniti assistono ad un’esplosione di misure restrittive al diritto all’aborto che, attraverso la legislazione statale, sta causando la chiusura di numerose cliniche e limitando gradualmente l’accesso delle donne a questa pratica: solo nel 2013 sono stati 70 gli atti restrittivi in tema di interruzione di gravidanza. Nel corso del 2013, l’Arkansas ha approvato una legge per vietare senza eccezioni l’aborto dopo dodici settimane di gestazione. In North Dakota vige il provvedimento più severo: il divieto di aborto non appena il battito cardiaco del feto viene rilevato, a circa 6 settimane di gestazione. In Texas i medici che praticano l’aborto devono ricevere l’autorizzazione di un ospedale situato ad una distanza massima di 48 chilometri, cosa che obbligherà molti centri a chiudere per la mancanza di questi permessi.
Denominatore comune
Limitare la libertà di scelta delle donne, o azzerarla come accade in molti Paesi, è un ottimo strumento di controllo dell’ordine sociale per cui una classe riesce a dominarne un’altra.
Le donne del Pdac, in previsione della prossima ricorrenza dell’8 marzo, pongono all’ordine del giorno la questione dell’oppressione femminile in tutte le forme in cui essa si manifesta e propongono la creazione di un coordinamento di lotta delle proletarie italiane per il pieno impiego contro flessibilità e precarizzazione, per servizi pubblici sotto il controllo delle donne e degli operatori, per consultori pubblici con libero accesso (senza limite di età), per una educazione sessuale libera, accessibile a tutti e diffusa nelle scuole, in difesa della legge 194 sull'aborto e per la sua piena applicazione anche con l'uso della pillola RU486.
(*) responsabile Commissione Donne Pdac

martedì 4 marzo 2014

L’aeroporto di Frosinone è interessante solo in sede giudiziaria

Rete per la Tutela della Valle del Sacco

In merito alle dichiarazioni dell’on. Scalia comparse oggi sulla stampa, secondo cui il progetto dell’aeroporto di Frosinone è ed è sempre stato sostenibile tecnicamente ed economicamente, «la nostra associazione le considera, più che irriguardose nei confronti della cittadinanza, preoccupanti in quanto sembrano denotare, almeno sul tema, scarse capacità di compiere quello che in psicologia si definisce “esame di realtà”.
L’interesse della questione risiede ormai unicamente nella valutazione del potenziale danno erariale e delle eventuali responsabilità ricadenti sugli ex amministratori della società AdF, in primis lo stesso Scalia.
Confidiamo sul fatto che gli inquirenti, tra l’altro, valuteranno se non ci siano estremi per procedere anche contro chi ha firmato i progetti di fattibilità magnificati da Scalia (in particolare lo studio relativo alla VAS), tanto costosi per le finanze pubbliche quanto inutili e, a nostro avviso, di qualità tecnica assai discutibile».

L'elefante di Géménos



lunedì 3 marzo 2014

Venezuela: una nuova lezione di democrazia

Di Carlos Fernandez Liria fonte: http://znetitaly.altervista.org/

La complicità dei media spagnoli con il golpismo venezuelano, non è stata mai così esplicita e  convinta come nel 2002, ma è stata ugualmente ripugnante. Le stesse bugie di sempre, gli stessi argomenti, la stessa spazzatura. Però, secondo me, quello che risalta più di tutto, è  il silenzio degli intellettuali di più alto profilo circa quello che mi sembra il fenomeno più notevole nella storia della democrazia moderna. In Venezuela, fino dal 1999, cioè l’anno cui Chavez è diventato presidente, i poveri hanno vinto le elezioni 17 volte di fila (nota della traduttrice: in effetti hanno perduto un’elezione nel 2008, un referendum costituzionale, ma questo è tutto].
Nel 2006  ho pubblicato, insieme a Luis Alegre Zahonero, un libro intitolato: ‘Understand Venezuela, Think Democracy  [Capite il Venezuela, pensate democrazia]. Il principale argomento che difendevamo deve sembrare un’esagerazione retorica che non avevamo bisogno di tenere in considerazione. Tuttavia parlavamo seriamente. Difendevamo il fatto che le vittorie elettorali di Chavez  erano l’evento più importante e interessante fin dalla Rivoluzione francese. E mi sembra ancora così. Dal punto di vista della fedeltà ai principi della democrazia e dello stato di diritto, non c’è un esempio analogo, e se avessero un pochino di vergogna, tutti gli intellettuali che si dichuaravano democratici e liberali avrebbero dovuto rimanere a bocca aperta, ammirando la bellezza del processo bolivariano.
Nell’intera storia della democrazia, mai i poveri avevano vinto le elezioni (per 17 volte), e senza che questo risultato venisse seguito da un colpo di stato, da un’invasione, o da una guerra che mettesse fine all’ordine costituzionale. E’ vero che molte volte i poveri hanno votato massicciamente per la destra, ma la caratteristica del processo bolivariano è che questa volta hanno votato per la sinistra. Per essere più precisi: quello che prima non era mai accaduto è che l’oligarchia di un paese ha perduto le elezioni ed è stata obbligata a restare nell’ordine costituzionale. La norma generale nella storia della democrazia è stata sempre molto diversa. In Spagna lo sappiamo meglio che in qualunque altro posto:  l’ultima volta che l’oligarchia ha perduto le elezioni lo abbiamo pagata con  un golpe, una guerra civile, 40 anni di franchismo, e migliaia di persone torturate e scomparse.
Nel libro citato abbiamo esaminato altri casi del 20° secolo: il Guatemala dal 1944 al 1950 (La United Fruit Company ha finanziato 32 tentativi di golpe contro il governo costituzionale di José Arevalo), il Guatemala nel 1954: (invasione contro il governo costituzionale di Jacobo Arbenz), l’Indonesia nel 1965 (circa un milione di morti per pagare il passo  falso elettorale che ha dato la vittoria a Sukarno, il Brasile nel 1964 (colpo di stato contro l’ordine costituzionale di Joao Goulart che aveva osato fare una legge sul salario minimo, il Cile nel 1973 (golpe contro l’ordine costituzionale presieduto da Allende). In tutti questi casi la storia ripete se stessa: l’oligarchia accetta la democrazia quando coloro che difendono i loro interessi, vincono. Se ne liberano quando quelli  che vincono li danneggiano. La lista è istruttiva: Iran 1953, Repubblica Dominicana 1963, Haiti 1990, Haiti 2004, Bolivia 1980, Russia 1993. In  Nicaragua hanno pagato le due vittorie sandiniste con una guerra durata dal 1979 al 1990. In Colombia sono stari più prudenti. Prima che l’Unione Patriottica potesse vincere le elezioni, hanno ucciso, uno per uno, tutti i loro portavoce elettorali.
Neanche in Europa la storia della democrazia è stata molto encomiabile. Non soltanto per i casi più ortodossi della Spagna nel 1936, della Grecia nel 1967, o della Russia nel 1993. Il problema è che il fascismo europeo era stata l’ultima risorsa dell’oligarchia per disfarsi della democrazia quando metteva i loro interessi a rischio in modo grave. E dopo la seconda guerra mondiale, dopo una sconfitta del fascismo in cui i partiti comunisti avevano avuto un ruolo da protagonisti, la democrazia è stata
ripristinata per la minaccia della dottrina Truman: gli Stati Uniti avevano  avvertito che ci avrebbero invaso se i comunisti avessero vinto le elezioni in Europa. Tra il 1970 e il 1980, l’Operazione Gladio ha vigilato, senza risparmiare su tutte le misure terroriste, che questa eventualità non divenisse mai una realtà.
Non insisterò più su quello che ho già detto così tante volte: sotto il capitalismo nessun ordine costituzionale ha resistito all’esperimento elettorale di danneggiare gli interessi dell’oligarchia. Ogni volta che è stato necessario scegliere tra gli interessi del capitale e gli interessi della democrazia, si è chiuso con la costituzione, il parlamento e la democrazia in generale. Il capitalismo è assolutamente incompatibile con la democrazia. La democrazia viene rispettata quando vince la destra oppure quando i partiti di sinistra fanno politiche di destra. Quando le cose non vanno così, la democrazia è spacciata.
Per ora, c’è stata un’eccezione gloriosa e ammirevole: il Venezuela e la successiva rivoluzione bolivariana in America Latina. Da allora è stata quasi un’eccezione che conferma la regola, dato che la minaccia di colpi di stato c’è stata sempre e, inoltre essa è stata sempre applaudita e appoggiata dai media europei e statunitensi e dalle classi politiche. La differenza, però, è che il popolo venezuelano è riuscito, nel 2002, a far fallire un golpe, e da allora non ha smesso di vincere elezioni senza che il golpismo fosse in grado di cambiarle.
Leopoldo Lopez  è  un capo di un colpo di stato nel 2002, come Capriles. La cosa più logica in un ordine costituzionale è che dovrebbero andare in prigione, ma la separazione dei poteri che c’è in Venezuela, li ha favoriti in quel periodo, dato che c’era anche un sacco di golpismo nel potere giudiziario. Paradossalmente, l’ordine costituzionale che loro stessi avevano attaccato, li ha salvati. E’ inutile credere che gli equivalenti di Leopoldo e di Capriles in qualsiasi delle nostre celebri democrazie costituzionali sarebbero in prigione. E’ quello che ci piace credere, ma non è vero. La regola storica è che i Leopoldo e i Capriles hanno sempre sistemato le cose in modo da porre fine all’ordine costituzionale quando il risultato delle elezioni non gli conveniva. La norma è che vincano sempre. Se in Venezuela non è successo così ,  è stato grazie alla maturità rivoluzionaria di un popolo impegnato, eroico, intelligente, un popolo che ha sempre saputo come difendere la sua democrazia in modo pacifico (ma armato), con ammirevole prudenza e buon senso.
La insolita e magnifica eccezione la dobbiamo senza dubbio a Chavez e al popolo venezuelano. L’oligarchia golpista ha dovuto ingoiare già per 17 volte una vittoria elettorale a suo sfavore.  Nulla del genere è accaduto nella storia della democrazia. I filosofi dovrebbero pensarci; questo è uno di quegli eventi di cui Alain Badiou (filosofo francese, n.d.t.) parlerebbe. Inoltre, in Venezuela c’è qualcosa che rende questa eccezione anche più bella ed eroica. La sconfitta del golpismo è, soprattutto, la sconfitta del razzismo. Infatti, anche se ci sono in gioco molti interessi economici, si deve dire che all’oligarchia venezuelana  non è andata troppo male con la Rivoluzione bolivariana, come dimostra l’esistenza di “Boliborghesia” soddisfatta. Il problema fondamentale credo che sia stato un problema di razzismo. Ciò che è  diventato intollerabile per l’oligarchia venezuelana è che coloro che continuano a vincere le elezioni sono di colore, mulatti, indigeni, poveri. Questo è il motivo per cui chiamavano Chavez la “scimmia”. Deve essere terribile vedere che qualcuno che chiamavate “scimmia” vi batte alle elezioni dieci volte di fila. I sanculotti non avevano mai vinto tante volte e per un periodo così lungo. E in modo così pulito: tramite le elezioni.
L’eredità è stata impressionante. La vittoria di Evo Morales in Bolivia di Rafael Correa in Ecuador, di Cristina Kirchner in Argentina, di Josè Mujica in Uruguay…la mappa politica dell’America Latina è totalmente cambiata e indica la strada per resistere al neoliberalismo in Europa. Non ci eravamo trovati  davanti a un’esperienza così interessante, far funzionare lo stato di diritto ai margini di una dittatura economica capitalista. Non abbiamo mai avuto uno spettacolo così bello in cui un popolo fa mordere la polvere all’oligarchia per mezzo delle elezioni (senza morti, guerra, bagni di sangue o stati di emergenza). E’ stata la situazione più simile a un vero stato di diritto che si sia avuta nella storia. E’ totalmente il contrario di quello che abbiamo qui in Europa dove chiamiamo  ‘stato di diritto’ un modello politico dove i risultati elettorali sono rispettati soltanto quando coloro che vincono hanno già il potere economico. E’ patetico vedere come, con una completa dittatura di banchieri, i media Europei osano ancora dare lezioni di democrazia.
In ogni caso, c’è il popolo venezuelano a ricordarci che, malgrado tutto, la democrazia è possibile e che la posta in gioco per lo stato di diritto merita lo sforzo.

domenica 2 marzo 2014

Il sindaco d'Italia alla conquista di Roma

Luciano Granieri

Si è detto molte  volte che Matteo Renzi, più che Presidente del Consiglio, è diventato sindaco d’Italia. E ciò corrisponde al vero. Infatti una delle prime mosse, reali e non frutto delle grandi e funamboliche promesse propinateci fino adesso,  è stata quella di conquistare Roma, esautorando di fatto il sindaco Ignazio Marino. Con la riproposizione del decreto Salvaroma 3.0 Il nuovo governo del fare ha restituito un po’ dei soldi sborsati dai cittadini romani (538 milioni  euro) alla Capitale, ma in cambio ha preteso il commissariamento dell’amministrazione Marino,   ponendo di fatto alla guida della città eterna il turbo Presidente del Consiglio, il quale ha già in serbo qualche regaluccio  per gli amici privati. 

Ad esempio all’ex sindaco di Firenze, neo sindaco di Roma, la gestione partecipata del teatro Valle non va giù neanche un po’. Non è così che si salvano i teatri del demanio, ha affermato qualche tempo fa, molto meglio affidarli a fondazioni pubblico-private,  associazioni spartitorie di poltrone e laute prebende, piuttosto che la asciarli ad una gestione partecipata   espressione della cultura come bene comune. 

Dopo l’uscita precipitosa e irriguardosa verso il segretario  del sindaco Marino, provocata dalla mancata conversione del Salvaroma 2.0, sembra che nell’entuorage renziano sia bell’e  pronto l’ hashtag  marinostaisereno.  Se si può defenestrare un presidente del consiglio del proprio partito, figuriamoci  un sindaco! A  Matteo Renzi, sodale dello squalo Serra, capobastone dell’associazione a delinquere Algebris,  non ha dato fastidio la reazione piccata di Marino, il quale,   pretendeva semplicemente che  i soldi  delle tasse pagate dai Romani si trasferissero,  dal gruzzolo destinato al pagamento di debiti contratti dalle passate amministrazioni, agli stanziamenti necessari per far funzionare la macchina amministrativa. (Stiano tranquilli gli evasori della lega e il sindaco Pisapia  in quella somma non ci sono soldi lombardi né di altre parti d’Italia). 

 In realtà  Matteo Renzi e la schiera di speculatori finanziari al seguito ,  non  hanno digerito  che il sindaco Marino abbia stigmatizzato  l’iperattività speculativa di Acea, quando, in veste di maggior azionista della società che assicura acqua e luce a Roma, oltre che l’acqua nel nostro territorio, ha preteso un impegno maggiore nella  fornitura dei servizi ai cittadini  invece di industriarsi nello scambio di  quote azionarie con la multinazionale Gdf Suez.  Ricordiamo l’operazione comunque accettata alla fine dal Comune di Roma.  Mentre i cittadini romani erano alle prese con le bollette pazze, i cittadini della provincia di Frosinone ormai da anni vengono truffati da Acea,  accade che  Gdf Suez azzera la sua partecipazione del  4,991% in  Acea . Cede questa quota alla sua consorella Suez Eniviroment, la quale attraverso l’Ondeo Italia Spa, rientra nei capitali di Acea con un impegno  ben più cospicuo  12,5%,  rendendo così  Gdf Suez una delle maggiori multinazionali private nel campo dei servizi idrici e nell’erogazione dell’energia.  

Non giova  inoltre  alle possibilità di rimanere  in Campidoglio l’iperattività del sindaco Marino nel voler cambiare i vertici dell’Ama e di Atac, ignorando  del tutto gli interessi delle lobby politico-affaristiche che girano intorno a questi enormi buchi neri i quali  inghiottiscono miliardi di soldi pubblici per regalarli agli amici degli amici. Il povero Marino  pretendeva  di  selezionare i dirigenti passando semplicemente attraverso l’analisi dei curricula. Eh no Ignazio così non si fa!. Tornatene a fare il chirurgo e lascia questi affari in mano a chi sa manovrare. 

Ecco dunque  che in cambio di quegli    sporchi 500milioni  e dispari, Marino dovrà presentare un piano di rientro direttamente agli uomini di Renzi, un piano che prevede la svendita ai privati di gran parte della Città, Ama e Atac comprese, una pesante riduzione del personale che sicuramente ricadrà sui poveri cristi. Coloro i quali  non hanno santi in paradiso, figuriamoci se vanno a toccare i raccomandati!   

In compenso dal governo assicurano che blitz come quelli tentati dalla Lanzilotta di inserire nei piani di rientro anche la privatizzazione di Acea,  saranno scongiurati. Ma  l’hashtag  marinostaisereno incombe. Il decreto Salvaroma 3.0 corre notevoli rischi. Potrebbe essere dichiarato incostituzionale in quanto ripropone temi di un dispositivo già ritirato, ma soprattutto, sotto la spada di Damocle di un’ulteriore decadenza, potrebbe rientrare dalla finestra ciò che è uscito dalla porta, cioè la privatizzazione di Acea, oltre che la definitiva defenestrazione del chirurgo impiccione Ignazio Marino.  Ecco dunque. Il  piano del sindaco di’Italia per la conquista di Roma è bello che pronto.

21 marzo dalla dignità precaria al riscatto di tutto il mondo della scuola Diamo “il benvenuto” al neo-ministro Giannini

Il Coordinamento delle Scuole di Roma


Dal giorno dell’insediamento del ministro dell’istruzione Giannini al MIUR un sentimento profondo d’inquietudine e di disagio si sta diffondendo capillarmente nelle scuole. Mentre il presidente del consiglio Renzi comunicava enfaticamente all’opinione pubblica che la priorità del suo Governo sarebbe stata la scuola, il ministro montiano da lui stesso nominato si affrettava da subito in dichiarazioni pubbliche che esplicitavano in un articolato programma di Governo il senso preciso di questa priorità. Riduzione di un anno del ciclo scolastico, eliminazione degli scatti d’anzianità, reintroduzione dell’aumento dell’orario di lavoro,  esaltazione del “merito” concepito individualisticamente attraverso invalsi e chiamata diretta degli insegnanti (modello aprea) equiparazione tra scuole pubbliche e private con conseguente accrescimento dei finanziamenti a queste ultime.
Il disegno del ministro Giannini risulta chiaro: privatizzare, dequalificare la scuola pubblica impoverendola di contenuti e di professionalità; realizzare tale risultato parlando all’opinione pubblica, alle famiglie e agli studenti. La proposta di riduzione di un anno del ciclo scolastico, se non viene spiegata in tutta la sua pericolosità, oltre a falcidiare intere classi di concorso (filosofia, greco, latino) può trovare facili consensi ai quali si associa la proposta – in sé giusta ma concepita demagogicamente – d’investimento sull’edilizia scolastica.
Il mondo della scuola pubblica non può rimanere inerme di fronte ad un attacco di queste dimensioni.
Venerdì 21 Marzo ci sarà la giornata della dignità precaria. 
Il Coordinamento delle Scuole di Roma in quella stessa giornata, il pomeriggio, invita tutte le componenti della scuola a generalizzare la protesta ed a manifestare l’indignazione collettiva al Miur contro le politiche sull’istruzione dal  pericolosissimo ministro  Giannini.
Allo scopo di preparare al meglio la giornata del 21 marzo il Coordinamento delle Scuole di Roma invita gli insegnanti, le rsu, i sindacati tutti ad indire assemblee in ogni scuola, a sostenere la richiesta di ferie per i precari la mattina del 21 marzo e a partecipare massicciamente all’assemblea del 10 marzo al Cielo Sopra Esquilino (Via Galilei 57, Metro Manzoni) alle ore 16,30per valutare insieme la forma di protesta da attuare al miur il pomeriggio (presidio, assedio al ministero, corteo).