sabato 6 dicembre 2014

L’Instabilita’ Economica Globale

Un’Intervista Con Jack Rasmus, Parte 1 Da Z Net Italy
Di Taylan Tosun
TAYLAN TOSUN: Nel tuo nuovo libro , che sta per uscire nel 2015, Transitions to Global Depression, tu proponi che ci stiamo muovendo verso la depressione globale. Che cosa e’ cambiato dalla fine degli anni ’70 che ti fa pensare che il sistama si stia spostando dagli investimenti produttivi verso investimenti puramente speculativi, su base finanziaria,  e che tu ritieni fondamentale per l’instabilita’ dell’economia globale?

RASMUS: Il decennio degli anni ’70 fu un decennio di crisi economica intensissima. La dominazione dell’economia USA, durata un quarto di secolo, e la facile crescita economica dal 1945 stava terminando. La competizione tra le economie capitalistiche con il riassestamento delle economie in Europa e in Giappone, si stava intensificando. Sul fronte interno i sindacati e i partiti di sinistra chiedevano una fetta piu’ grande della ricchezza nazionale, con un certo successo.  I paesi comunisti di allora stavano avendo successo in cio’ che adesso chiamiamo le economie dei mercati emergenti. In risposta, settori capitalistici chiave insieme a certi politici cominciarono a ristrutturare e a sviluppare nuove strategie che avrebbero rifinito ancora di piu’ in seguito, nel corso dei tre decenni successivi.
La prima consequenza fondamentale fu l’abbandono , da parte degli USA, del vecchio sistema monetario internazionale di Bretton Woods, dove il dollaro USA era legato all’oro e le altre monete erano legate al dollaro, anche se in maniera un po’ meno stretta. Questo causava una costante emissione di moneta “fiat” – valuta dichiarata a corso legale o, anche, cartamoneta di carta igienica- da parte delle banche centrali delle economie capitalistiche- e in particolare da parte della Federal Reserve degli USA- nell’economia USA e globale. Piu’ tardi questo fatto porto’ alla creazione di mercati per nuove attivita’ finanziarie, altamente fluide, e a nuove forme di scambio di titoli finanziari in questi mercati e alla comparsa di una nuova elite globale finanziaria con un enorme potere economico e eventualmente anche politico senza precedenti nella storia. Subito dopo il collasso di Bretton Woods e la comparsa delle politiche di eccesso di liquidita’ da parte delle banche centrali, che, fino ad allora, avevano subito dei controlli sui flussi di capitali e valuta internazionali,  questi controlli furono eliminati, per primi dagli USA e presto seguiti da tutti gli altri paesi capitalisti. Questo accelero’ lo sviluppo della finanza speculativa globale, dato che getto’ le fondamenta per la vera e propria globalizzazione. I controlli sulle attivita’ delle banche furono eliminati, specialmente negli USA, per far si’ che tutto questo potesse realizzarsi.
La maggior parte di questo processo avvenne negli anni ’80. E questo fu seguito negli anni ’90 da una rivoluzione nella tecnologia digitale e nell’Internet che contribui’ ancora di piu’ alle nuove forme del capitale finanziario globalizzato. Ideologie assurde per il “libero mercato” giustificarono il tutto. Una rivoluzione economica creditizia che esplodeva all’interno si accompagno’ all’esplosione dell’emissione di soldi fiat (fasulli Ndt) da parte delle banche centrali.  Questi due processi insieme resero possibile l’eccesso di liquidita’ globale che alimento’ gli investimenti sulle attivita’ finanziarie e la speculazione che, a loro volta, portarono a eventi di instabilita’ finanziaria sempre piu’ frequenti e allargati e quindi a crolli finanziari. I capitalisti che investono scoprirono che era piu’ facile far soldi creando moneta fasulla e speculando sulle attivita’ finanziarie che essi stessi avevano creato piuttosto che costruire (produrre) beni e assetti reali. I profitti derivanti dagli investimenti sulle attivita’ finanziarie si rivelarono molto piu’ alti a breve termine, richiedono costi minimi di produzione e delle merci; il turnover del profitto e’ molto piu’ veloce ed e’ piu’ facile uscire dai mercati altamente fluidi una volta che il profitto sia stato realizzato.
Gli investimenti sulle attivita’ finanziarie erano relativamente piu’ redditizi degli investimenti sui beni reali e sui servizi- di nuovo, perlomeno nell’ AE (Aggregate Expenditure, una misura del prodotto nazionale Ndt), dove praticamente tutte le finanze, fino a ora, hanno avuto origine. Cio’che nel mio libro definisco come la parata della valuta globale e’ la miscela di un mercato globale di attivita’ finanziarie altamente fluide- i nuovi titoli finanziari che vengono costantemente creati per operare in quei mercati altamente fluidi- e le nuove istituzioni finanziarie, create anch’esse per investire in quegli stessi titoli e mercati, per conto della nuova elite globale del capitale finanziario- questi ultimi identificati talvolta da investimenti con altissime rendite, con un flusso di guadagni di almeno 30 milioni di dollari di investimenti e re-investimenti annuali. Oggigiorno si stima che ci siano 200.000 persone di questo tipo in tutto il mondo ed essi controllano attivita’ finanziarie di circa 30 trilioni di dollari; questa somma aumentera’ di 10 trilioni di dollari ogni 2-3 anni in questo prossimo decennio. La loro ricchezza e i loro profitti continuano ad aumentare con la speculazione azionaria, i buoni del tesoro, le quote di cambio delle valute estere, i derivati finanziari di tutti i tipi, certi tipi di fondi d’investimento valutati in borsa, le proprieta’ immobiliari e di altro tipo e altre attivita’ finanziarie. Questa gente costituisce la nuova elite della finanza capitalistica globale, sempre piu’ dominante,il cui potere economico e politico continua ad aumentare esponenzialmente anno dopo anno. Altri capitalisti industriali e piccoli investitori li stanno seguendo, investendo sempre di piu’ nella speculazione finanziaria invece di reinvestire nella produzione di beni e merci. Gli investimenti su attivita’ finanziarie quindi stanno prendendo sempre di piu’ il posto degli investimenti sui beni reali a poco a poco in tutto il mondo- con l’eccezione, forse, dei mercati emergenti dove le opportunita’ per lo sviluppo delle infrastrutture e dell’espansione di produzione di beni primari esistera’ ancora per qualche tempo.
Il capitalismo globale sta diminuendo la sua quota di investimenti reali. Questa e’ la ragione per cui sta avendo problemi nel creare nuovi posti di lavoro e generare salari per il resto della popolazione. Questa e’ anche la ragione per cui il consumo e’ stagnante nell’occidente e perche’ i debiti dei consumatori vengono offerti come sostituto alle famiglie il cui introito non riesce a crescere. E questa e’ anche la ragione per cui gli AE (Aggregate Expenditure) stanno attraversando questa crescita economica con fermate e ripartite a singhiozzo , senza interruzioni. C’e’ una mancanza di investimenti reali. Ma questo processo ha le sue radici negli investimenti speculativi che offrono un profitto molto maggiore alle elite della nuova finanza capitalistica.
Gli economisti che si riconocono nel sistema capitalistico occidentale e negli AE, anche quelli vincitori di premi Nobel come Paul Krugman e George Stiglitz e altri, non riescono a capire questo processo perche’ essi non concepiscono gli investimenti sulle attivita’ finanziarie e la loro relazione con gli investimenti reali. Questa gente e’ stata educata a guardare solo ai dati contenuti nel loro National Income Accounts, e su questi dati essi costruiscono i loro modelli.
In modo simile molti economisti marxisti ( anche se non tutti) sono feticisti riguardo alla produzione reale e al plusvalore che deriva dalla produzione reale, che costituisce il punto centrale del primo volume de Il Capitale di Marx. Queste stesse persone non capiscono dove Marx stava andando a parare con le sue note, non pubblicate, sul terzo volume del Capitale, sul sistema bancario e creditizio. Marx non riusci’ mai a formulare un’analisi piu’ completa di cio’ che egli chiamo’ valore di scambio sotto forma di capitali.  Quindi, molti economisti marxisti pensano che il primo volume, la produzione del valore (e il concetto concatenato della tendenza della Quota di Declino del Profitto) costituisce la parola definitive di Marx per spiegare l’instabilita’ del capitalismo. Ma non lo e’. Questa gente pero’ si rifiuta di guardare in faccia la realta’. E quindi anch’essi, come gli economisti capitalisti che vanno per la maggiore come Krugman e altri, non riescono a capire il ruolo della finanza nell’instabilita’ capistalistica globale.
Perche’ tu definisci l’ultima crisi finanziaria come una recessione epica, come un fenomeno diverso dalle altre recessioni, quelle normali?
Io ho scelto il termine di recessione epica per distinguerla da quella che viene chiamata la grande depressione che avvenne nel 2007-2009. Ho un problema con quest’ultima definizione. Essa fu creata dagli economisti capitalistici nel 2009 per cercare di spiegare come quella recessione fosse differente dalle dieci recessioni precedenti negli USA, dal 1948, definite normali. Ma il concetto di grande depressione usato da Krugman e altri significa semplicemente che era peggiore di una recessione normale ma non tanto quanto una depressione. E questo non ci dice praticamente niente.
Se dovessimo spiegare le differenze della recessione del 2007-2009 da quelle precedenti allora dovremmo esaminare una lista di variabili che contribuiscono a definire una recessione epica e che ho riportato nei primi due capitol del mio libro Epic Recession (2010). Perdippiu’ queste variabili non sono statiche ma si influenzano a vicenda. Il mio concetto di recessione epica considera il problema che le recessioni non si concludono solo perche’ il prodotto nazionale lordo smette di decrescere. Una recessione finisce quando una lunga lista di indicatori economici chiave, come minimo, risalgono ai livelli precedenti la recessione stessa e prima che la discesa iniziasse. Deve chiudersi un ciclo completo, non solo un mezzo ciclo. Fino a questo momento molte delle variabili chiave negli USA si sono stabilizzati solo parzialmente e quindi la recessione epica continua, sebbene in una forma meno intensa.
In Europa e Giappone, che hanno attraversato una doppia recessione e le cui economie sembrano indirizzate verso ulteriori contrazioni nel 2014, il recupero e’ stato meno completo. Le differenze tra gli USA e l’Europa/Giappone sono dovute al grado delle risposte fiscali-monetarie da parte di ciascun paese e dal fatto che gli USA, con le sue reserve di moneta globale, ha la capacita’ di determinare influssi globali di capitale dal resto del mondo e dai vantaggi della sua banca centrale che, insieme, hanno reso possibile il sostegno del suo ricovero meglio di quanto abbiano potuto fare gli Europei e i Giapponesi.
Ritornando al problema della recessione normale verso quella epica, mi sono sempre sorpreso per quanto poco accordo ci sia, tra gli economisti capitalisti, intorno alla teoria della recessione e ancor di piu’ quando consideriamo il consenso su cio’  che causa le depressioni.  Le depressioni sono considerate solo come normali recessioni, solo un po’ piu’ grandi.
Ovviamente si tratta di baggianate. Le dinamiche di una depressione sono molto diverse da quelle di una normale recessione; ma gli economisti accademici non riescono a mettersi d’accordo su cio’ che causa una depressione. Le loro spiegazioni vanno dappertutto, enfatizzando questa o quella variabile particolare come la causa principale, ma nessuna di queste spiegazioni risulta convincente. Le recessioni normali, diverse dalle depressioni, sono determinate in maniera tipica da shock esterni- shock di disponibilita’ o shock di domanda. E gli economisti pensano che il tutto stia in questo fatto. Dato che le recessioni normali sono dovute a shock che destabilizzano l’economia, le politiche tradizionali fiscali-monetarie delle economie capitalistiche dal 1948 sono state capaci di ripristinare la stabilita’. Le depressioni pero’ non rispondono molto bene alle politiche fiscali-monetarie. E lo stesso fanno le recessioni epiche di tipo II che costituiscono l’anticamera di eventuali e possibili depressioni. Le recessioni epiche di tipo I, d’altro canto, non sono cosi’ gravi e possono rientrare verso condizioni di una recessione normale. Le recessioni di tipo II invece tendono a trasformarsi direttamente in depressioni.
Tu descrivi le dinamiche interne di tre fasi successive: il debito- la deflazione – il fallimento. Come fa questa sequenza di eventi a portare alla grande crisi finanziaria?
L’esplosione di eccesso di liquidita’ globale da parte delle banche centrali con in piu’ l’espansione del credito interno da parte del sistema bancario privato significa che adesso c’e’ un credito totale massiccio disponibile per il prestito- enormemente di piu’ di quanto sia necessario per finanziare gli investimenti su beni reali. Gli investitori e gli speculatori finanziari investono parte dei loro capitali ma ne prendono anche a prestito una grossa fetta.  Si chiama leveraggio .
Se guardiamo alla situazione del debito globale nell’AE, cio’ che e’ aumentato di piu’ e piu’ velocemente e’ stato il debito derivante da scambi e, in particolare, il debito delle istituzioni finanziarie. Il debito del governo, quello pubblico, non e’ aumentato perche’ questo aumenta quando c’e’ bisogno di rivitalizzare il sistema periodicamente, quando la crescita economica reale e’ lenta e per le riduzioni ripetute delle tasse, normalmente per favorire le industrie, che vanno a peggiorare il debito pubblico. Quindi il debito pubblico e’ la conseguenza delle crisi che diventano sempre piu’ frequenti e gravi.
Il debito dei consumatori e delle loro famiglie cresce anch’esso nel tempo, ma non in modo cosi’ repentino come quello affaristico/finanziario. E’ la conseguenza del blocco dei salari per decenni dovuto a cause diverse, alcune connesse alle crisi ripetute e altre dovute a politiche capitalistiche di libero commercio, scomparsa dei sindacati, cambiamenti nel mercato del lavoro e cosi’ via. Quindi il maggior colpevole del debito pubblico e’ il debito affaristico. Anche i dati del governo lo mostrano in modo molto chiaro. Il sistema dei valori gioca un ruolo fondamentale nell’escalation del debito, specialmente il debito derivante dalla speculazione finanziaria da parte di banche, investitori e le agenize di investimento.  Ma non c’e’ niente che corrisponda a un sistema di prezzi, piuttosto ci sono molti sistemi che si comportano in maniera diversa, e questo non e’ concepibile per gli economisti capitalisti.  Quando le attivita’ finanziarie collassano in un disastro del sistema bancario, come successe nel 2008, allora ne consegue una deflazione delle attivita’ finanziarie. La deflazione delle attivita’ finanziarie poi diventa inflazione dei beni, perche’ i prestiti delle banche alle industrie non bancarie si esauriscono e queste industrie devono licenziare milioni di lavoratori. I licenziamenti di massa vogliono dire una diminuita disponibilita’ monetaria per acquistare beni reali e servizi. Questo, a sua volta, porta ad aumentare la disponibilita’ dei beni invenduti e quindi a una diminuzione dei prezzi dei beni reali- quindi alla deflazione. Quindi, il costo delle attivita’ finanziarie determina una crisi dei valori dei beni reali. La deflazione a sua volta porta a un aumento dei fallimenti perche’ le industrie non riescono a generare i guadagni che sono necessari per pagare i debiti che hanno contratto in precedenza. Un simile processo avviene anche nelle famiglie dei consumatori. La perdita di salario e di lavoro porta all’impossibilita’ di pagare i debiti  (interessi e i debiti veri e propri), quali il muturo della casa, l’automobile, i debiti contratti dagli studenti e cosi’ via. I governi locali possono essere incapacitati a loro volta a pagare i loro debiti, specialmente le citta’, i distretti scolastici e cosi’ via. Forse anche alcuni stati. I governi Federali non falliscono perche’ essi possono, e lo fanno, semplicemente stampare carta moneta che non corrisponde ne’ a beni reali ne’ a riserve auree, se sono costretti, per ripagare i debiti.
Quindi siamo di fronte a una reazione a catena, dall’eccesso di debito creato durante un boom dei costi delle attivita’ finanziarie che, quando la bolla scoppia e i prezzi di queste attivita’ collassano, si trasferisce sui prezzi dei beni reali e, eventualmente, sui salari ( o sul costo del lavoro). Dietro al processo di debito-deflazione-fallimento c’e’ un sistema di tre costi che tiene insieme il processo. Il valore delle attivita’ finanziarie, il cui valore e’ stato aumentato artificialmente durante la fase di espansione finanziaria costituisce il motore trainante quando inizia la fase della crisi finanziaria. Il processo, nel suo insieme, non e’ lineare perche’ ci sono molti effetti di rimbalzo che avvengono simultaneamente, causando il fallimento di un numero sempre piu’ grande di attivita’ finanziarie. Il prospetto della deflazione puo’ determinare l’assunzione di debiti ancora piu’ grandi per evitare il fallimento quando le industrie licenziano ancora altri lavoratori, determinando una maggiore deflazione dei valori dei beni reali e cosi’ via. Si tratta di un processo molto dinamico dove il debito, la deflazione e il fallimento –delle industrie e delle economie familiari- interagiscono e si influenzano a vicenda. Il fallimento di settori governativi avviene in momenti successivi. Gli economisti del sistema non capiscono le relazioni tra i cambiamenti nel valore delle attivita’ finanziarie,  quelli nel mercato dei beni reali e i cambiamenti nel valore del mercato del lavoro (i salari).  Una teoria dei valori del diciannovesimo secolo detta a questa gente la spiegazione che c’e’ una sola teoria dei prezzi e valori per tutti questi settori e che il costo si aggiusta sempre sulla base della domanda e dell’offerta nel lungo andare. Si sbagliano completamente. Ci sono diversi sistemi di prezzi e valori che non rispondono allo stesso modo alla domanda e all’offerta. I valori delle attivita’ finanziarie, per esempio, sono determinati largamente dalla domanda – in tutte e due le fasi  di crescita e di crisi- e l’offerta e’ una forza minuscola per quanto riguarda la determinazione del valore delle attivita’ finanziarie.  Keynes e pochi altri concepirono la possibilita’ di un sistema con due valori, ma io credo che esista un sistema di tre prezzi/valori (attivita’ finanziarie, beni e servizi e valori) che interagiscono nella fase di contrazione dopo un disastro del sistema bancario. Piu’ grande il disastro iniziale  e piu’ profondo e lancinante la contrazione delle attivita’ finanziarie. Piu’ grande il fallimento delle industrie, delle economie familiari e anche dei governi locali e piu’ veloce sara’ la deflazione, perche’ l’economia reale si contrae in maniera decisiva e la deflazione inizia. Lo vediamo oggi in Europa, per esempio, e prima lo abbiamo visto in Giappone.  L’aumento incredibile nel debito privato e familiare non fu definito  dopo il disastro finanziario. Gli investimenti non si riprendono. I salari e le entrate finanziarie non si riprendono. E la deflazione dei beni prende piede lentamente ma senza interruzione. Negli USA  la deflazione delle attivita’ finanziarie e’ stata superata piu’ velocemente tramite l’iniezione di enormi, multimiliardari iniezioni di denaro liquido da parte della Banca Centrale degli USA, la Federal Reserve. Questo ha attutito la deflazione delle attivita’ finanziarie e ha gettato una ciambella di salvataggio alle banche e alle industrie finanziarie per evitare un fallimento generale. L’Europa e il Giappone non hanno fatto lo stesso in modo cosi’ tempestivo, efficiente o massiccio come gli USA. Perdippiu’, il taglio del deficit USA (austerita’) da parte del governo USA non e’ stato cosi’ profondo come in Europa.
L’accumulazione di eccesso di debito quale consequenza di un crack finanziario accelera i processi deflattivi, determina il fallimento, mentre allo stesso tempo la deflazione e il fallimento si riflettono sul debito e mantengono in movimento il processo di debito-deflazione-fallimento. I governi devono intervenire velocemente per fermare la deflazione-fallimento e rimuovere il debito. Incece essi si fanno invischiare in politiche fiscali-monetarie tradizionali e superficiali che non correggono in modo fondamentale il problema a lungo termine o lo peggiorano, come nel caso delle politiche di austerita’ o delle immissioni parziali di moneta per riscattare le banche, politiche che vengono perseguite mentre scriviamo nell’Eurozona.
Nel tuo libro tu fai rifermento al sistema bancario ombra quale veicolo della crisi finanziaria. Come si differenzia questo sistema dal sistema bancario classico e come le banche ombra contribuiscono al tracollo finanziario?              
Le banche ombra costituiscono le istituzioni finanziarie di investimento privilegiate dall’elite finanziaria capitalistica perche’ sono completamente al di fuori di qualsiasi regolamentazione legale. Quando succede una crisi e lo Stato interviene per riscattare il sistema bancario con versamenti massicci di liquidita’,  ne segue sempre un periodo in cui lo Stato impone un qualche grado di regolamentazione finanziaria del sistema bancario, che include le banche ombra. Ma gli investitori capitalisti eventualmente trovano la scappatoia per evitare il sistema bancario regolato da leggi e creano nuove istituzioni e strumenti finanziari, senza regolamentazione. Questa gente preferisce le istituzioni senza regolamentazione perche’ le banche ombra permettono loro, agli investitori, di correre rischi enormi e di speculare alla grande.
Grossi rischi significa grossi profitti. Gli investitori normali non sono ammessi alla partecipazione nelle banche ombra perche’ ci vogliono miliardi di dollari solo per avere il privilegio di partecipare. Quindi, dopo la crisi gli investitori ricostituiscono il loro sistema bancario ombra.
Mentre tutto cio’ accade, il sistema bancario regolato, precedente, richiede che lo Stato lo autorizzi a partecipare agli investimenti rischiosi con alto ritorno speculativo. Essi si lamentano che non riescono a competere con le banche ombra. Vogliono una fetta dell’attivita’ speculativa. Il problema e’ che il sistema bancario commerciale (es: quello pubblico), ha in deposito i risparmi del risparmiatore medio. Per questo motivo essi non vengono ammessi a partecipare alle banche ombra i cui azionisti sono solo i super ricchi. I sistemi commerciali chiedono allora la deregolamentazione finanziaria. Ad un certo punto la ottengono dallo Stato, e allora i due sistemi, quello commerciale regolato e quello ombra senza leggi, si fondono in diversi modi diversi.
Per esempio, una delle prime istituzioni ombra, gli hedgefunds, prima del 2007 costituivano un posto privilegiato dai super ricchi per depositare i propri soldi e speculare. Tuttavia la deregolamentazione delle banche negli USA diede loro la possibilita’ di prestare soldi alle banche ombra e quindi di creare i loro propri hedgefunds interni, cio’ che furono chiamati fondi di investimento, SIV, che erano autorizzati a mantenere i libri contabili degli investimenti rischiosi separati dagli investimenti commerciali delle banche pubbliche, quali per esempio i mutui delle abitazioni a rischio e i valori garantiti da attivita’ ecc… Quindi i due settori col tempo si fondono, diventano sempre piu’ deregolarizzati, investono sempre di piu’ in attivita’ rischiose che, a loro volta, sono legate a prestiti, non a rischio, delle banche e agenzie di investimento non bancarie, di famiglie e governi locali. Cosi’, quando il crollo finanziario diventa una realta’, tira giu’ con se’ le banche ombra (che prestano soldi l’una all’altra), le banche pubbliche (che creano le proprie banche ombra e prestano soldi ad altre banche ombra) e quindi anche i governi locali e le famiglie con i mutui delle case e altri debiti.
Dato che le banche ombra sono legate alle banche commerciali e, anche, ai settori dell’economia reale, quando le banche ombra vanno gambe all’aria in un crollo, gli effetti si propagano all’intero sistema finanziario e portano giu’ tutto l’edificio. Il sistema bancario allora, sull’onda del crollo, si congela e nessuno riesce piu’ a ottenere credito- incluso le industrie che non hanno niente a che fare con il sistema bancario, le famiglie o i governi locali.
Piu’ grande e’ il sistema ombra e maggiore sara’ la percentuale degli investimenti totali presenti nelle attivita’ di investimento speculativi e, di consequenza, maggiori saranno anche i rischi di quegli investimenti;  piu’ grande il debito contratto usato per finanziare le speculazioni e piu’ grandi gli effetti del crollo, quando questo avviene. Questo significa anche che quanto piu’ velocemente e profondamente collassano i valori delle attivita’ finanziarie, piu’ velocemente gli effetti della deflazione delle stesse attivita’ vengono propagate al resto del sistema bancario e quindi al resto dell’economia non bancaria.
Il ruolo delle banche ombra e’ critico nella generazione di un’esplosione speculativa eccessiva e quindi nella trasmissione degli effetti negativi della crisi al resto dell’economia. Per esempio, alcune fonti finanziarie stimano che il sistema bancario ombra controlli adesso piu’ di settanta trilioni di dollari di assetti investibili. La meta’ circa del totale e’ di proprieta’ di quegli investitori ricchissimi di cui si e’ parlato in precedenza, per esempio coloro che posseggono almeno  un minimo di trenta milioni di assetti investibili annuali. Il sistema ombra oggi e’ piu’ grande, in termini economici, del sistema bancario commerciale.
Taylan Tosun e’ un membro del Partito dell’Uguaglianza e Democrazia in Turchia e un membro dell’IOPS (International Organization for Partecipary Society).
 Lo Spirito Della Resistenza e’ Vivo

Grecia. Migliaia in piazza contro la brutalità della polizia

Fonte http://actualidad.rt.com/


Quasi 10.000 persone hanno preso in piazza in Grecia, per ricordare ai giovani Alexis Grigoropoulos sei anni fa è stato ucciso dalla polizia. Le manifestazioni sono state guidate da organizzazioni di sinistra e movimenti anarchici.






La polizia ha usato gas lacrimogeni per disperdere i manifestanti, concentrati nella piazza principale della capitale greca, Atene. Nella capitale e in altre città greche  come Salonicco e Patrasso ci sono stati cortei di massa. Ad Atene circa 4.000 manifestanti hanno marciato attraverso il centro della città con striscioni. Questa azione, che si è volta sotto il massiccio controllo della polizia, si è conclusa pacificamente.





A Salonicco sono state coinvolte  circa 6.000 persone Piccoli sporadici scontri  sono stai sedati dalla  polizia  in tenuta antisommossa con l'uso  gas lacrimogeni. A seguito degli scontri, negozi e filiali bancarie sono state danneggiate. La polizia ha arrestato diversi manifestanti.


 




Nella città portuale di Patrasso, terzo paese più grande della Grecia , si sono verificati  scontri con la polizia in tenuta  antisommossa. 



 
L'omicidio di Grigoropoulos nel 2008 ha scatenato scontri senza precedenti, tra polizia e giovani, per tre settimane in tutto il paese. Poi sono state bruciate centinaia di negozi, banche e stazioni di servizio.



Il processo contro i due ufficiali coinvolti nell'omicidio dell' adolescente è durato quasi un anno. Dall'esame  balistico è emerso che il proiettile ha colpito il cuore di Grigoropoulos dopo  aver rimbalzato. Tuttavia, secondo i testimoni, uno dei poliziotti ha sparato contro un gruppo di adolescenti che avevano bloccato una macchina della polizia. L'ufficiale è stato condannato per omicidio premeditato  nell'ottobre 2010 e deve  scontare la pena del carcere a vita. Un altro poliziotto è stato condannato a dieci anni di carcere per complicità nel crimine.  






Ogni anno, il 6 dicembre le organizzazioni che rappresentano i movimenti di sinistra e anarchici organizzano  manifestazioni in memoria del defunto giovane, chiedendo "resistenza alle autorità" e   "solidarietà con i prigionieri politici".  





venerdì 5 dicembre 2014

Slum riot

Luciano Granieri

Cari amici di Tor Sapienza, di Corcolle, dell’Infernetto e di tutte le periferie d’Italia. E’  chiaro ora chi sono i colpevoli del nostro disagio?  La vergogna maggiore che emerge con forza dalla cloaca affaristica  romana, è che proprio coloro i quali facevano a gara nel farsi immortalare accanto a gente disperata, accecata   dalla rabbia verso il  nemico sbagliato, si sono arricchiti alimentando quella disperazione. Una indebita appropriazione che per diventare sempre più fruttuosa doveva attizzare   l’intolleranza  verso il nemico più povero.   Quel nemico  considerato ostile solo per il   colore della  pelle e per  una storia diversa dalla nostra,   ma sempre con le radici piantate nella disperazione.  Quel nemico che come noi è stato  sfruttato ed annientato dai loschi affari del terrorista nero   Carminati,   del terrorista rosso Buzzi e dalla cosca costruita attorno a loro  .  Criminali con i tentacoli ben saldi su tutti i loschi  affari forniti  dall’elefantiaca macchina burocratica romana a danno della comunità. Un mostro  che rendeva il business sulla disperazione (  speculazione sui fondi  per  gli immigrati e  gli sfrattati) più ricco del traffico di droga. Una cosca che aveva reclutato amministratori, politici, mezze figure e portaborse utili a tutelare i propri interessi, la cui figura predominante è stato il sindaco, cresciuto  dalla melma fascista, Alemanno, ma che ha annoverato nelle sue fila tutta una schiera di amministratori  di provenienza bipartisan.  Sgherri pronti a vendersi e a svendere la città alla cosca che ben li ripagava. Cari amici di Tor Sapienza, di Corcolle, dell’Infernetto e di tutte le periferie d’Italia, è  chiaro a chi bisogna fare la guerra? E’ chiaro che in questa lotta  di sopravvivenza il miglior alleato è quello che fino a ieri avevamo considerato nemico ?   Non è dunque giunto il momento di unire e  indirizzare le forze verso chi veramente ci vuole tenere sempre nella disperazione più nera? Svegliamoci da questo sonno infinito. Usciamo da questo torpore di odio reciproco .   E’ necessario farlo se si vuole continuare a vivere. 

IN MEZZO A QUALE MONDO VIVIAMO

Confederazione COBAS Frosinone

NEL “MONDO DI MEZZO”: LA POLITICA-PARTITICA VIVE PER SCOVARE IL PROFITTO, I LAVORATORI E I CITTADINI MUOIONO NELL’INSEGUIRE LE TRACCE DEL LORO ESSERE IN COMUNITÀ. LE FANTASIE DEL DECRETO COTTARELLI E LA REALTÀ DEI SERVIZI PUBBLICI LOCALI

La difesa dei servizi pubblici dal pensiero unico della privatizzazione ad ogni costo deve segnare, con l’inchiesta  Mafia capitale, una riflessione profonda in merito alla gestione della cosa pubblica, soprattutto a Frosinone protagonista di una accelerazione nella gestione privatistica dei servizi, scelte attraversate dai lampi delle inchieste amministrative e penali. 
Il “ramificato sistema corruttivo” in vista dell’assegnazione di appalti e finanziamenti pubblici dal Comune di Roma non si determina appunto soltanto con gestioni truffaldine, ma come sistema che trova la sua ragion d’essere proprio nella ricerca in tutti i settori della nostra vita quotidiana di un possibile ritorno economico. Niente di nuovo quindi: il capitale tenta da sempre di ridurre tutto al profitto, di abbordare la nave pubblica in difficoltà; di riuscire a capitalizzare ciò che i cittadini, gli operatori e le organizzazioni civili e sociali hanno nel tempo ottenuto e costruito come i servizi di natura pubblica e per tutti.
Il profitto che si chiama "utile d’impresa"", previsto anche per le cooperative sociali, è il primo step, non necessariamente il più importante, nelle esternalizzazioni. Intanto si introduce una mission, quella del profitto appunto, del tutto estranea e contraria al concetto di servizio pubblico. 
 A seconda delle convenienze e delle dimensioni del potere in essere presso i territori, si spacchettano servizi e parti di essi, rendendoli appetibili dalle piccole società o cooperative, agendo in primis proprio nei confronti dei servizi pubblici privi di rilevanza economica che si finanziano principalmente attraverso la fiscalità generale a fronte di un interesse generale alla fornitura di certi servizi. (nel caso di Roma la gestione dei centri di accoglienza per gli stranieri e campi nomadi e nella manutenzione del verde pubblico, ecc):
A ciò si aggiunge, quasi inconsciamente, la precarizzazione del lavoro e il conseguente sfruttamento che ampia “l’utile d’impresa”.  Va da sé che inizia un peggioramento dei servizi. Essi diventano per la cittadinanza non convenienti; non efficienti; non flessibili organizzativamente: si deve ricorrere ad altre indispensabili attività collaterali che a loro volta dovranno essere appaltate all’esterno con maggiori costi per l’ente.
Contestualmente si riduce l’autonomia di gestione per gli enti locali, che non controllano più l’efficacia e l’efficienza del servizio, e non operano nella redistribuzione di risorse e reddito attraverso il lavoro. Si alimenta un metodo clientelare e corrotto che selezione a sua volta personale politico senza scrupoli.
Viene introdotto l’idea di una esternalizzazione che serve a costruire, dunque, non solo un utile dove prima non c’era ma anche un “consenso politico”, vero scambio della esternalizzazione. Spesso ci si avvale di imprese che gravitano negli entourage della politica e che fanno imprenditoria con soldi pubblici, da gestire anche senza alcuna capacità e mezzi. Più si abbassa la richiesta di qualità e di professionalità più il terreno di competizione è minato. Si crea ulteriormente quel personale, amorfo, “cuscinetto amministrativo” pronto ad obbedire a qualsiasi disegno del potere replicando, quindi con doppi costi, strutture amministrative pubbliche già esistenti. Questo personale “lavora sporco” con un target preciso: pressioni sui dipendenti al fine di ridurre il salario e/o aumentare le ore lavorative a parità dello stesso.
Con l’esternalizzazione si apre lo spazio alla privatizzazione del servizio a totale carico dei cittadini. Si elevano i costi (prezzi) dei servizi, tendenzialmente a carico dell’utente, per renderli appetibili al mercato. In questo caso l’azione di scambio tra amministrazione e consenso attraverso l’“utile d’impresa”, alimentata e sperimentata con soldi pubblici, genera il mostro del servizio che rimane pubblico ma su cui il privato genera un profitto tendenzialmente a totale carico del cittadino. Con la privatizzazione lo scambio politico non è più una opportunità ma una condizione senza ritorno: il pubblico si priva nel tempo di risorse, mezzi e professionalità impedendo il rientro nella sfera pubblica del servizio.
Nel frattempo la politica e il profitto, che hanno per definizione la necessità di sempre di nuovo ossigeno, si preparano alla strada per la esternalizzazione di altri servizi, anche oramai quelli tradizionalmente in carico ancora alla pubblica amministrazione e che fino  a qualche tempo fa si pensava intoccabili (la gestione dei tributi ad esempio).
Si tenta di divaricare in maniera irreversibile il percorso di offerta gratuita e universalistica dei servizi, incanalandoli sul terreno di un non ben definito utilitarismo economico, come chiarisce bene il decreto Cottarelli, Programma di razionalizzazione delle partecipate locali, strumento del pensiero unico delle esternalizzazioni e delle privatizzazioni, che individua principalmente i cinque tradizionali servizi pubblici di rilevanza economica a rete (elettricità, acqua, gas, rifiuti, trasporto pubblico locale – TPL).  Esso propone due piani di intervento: induce alla riduzione dei servizi gestiti in proprio o attraverso socetà in house degli enti locali; lavora per l’efficientamento della loro gestione, anche attraverso la comparazione con altri operatori che operano a livello nazionale e internazionale individuando “gli ambiti ottimali (ATO) per lo svolgimento delle rispettive attività”. Cottarelli (o Renzi) senza nascondersi afferma che ci sono troppi servizi a costo zero per tutti, che invece devono essere messi sul mercato e non più soltanto su quello locale, ma su quello internazionale:  insomma debbono far gola alle multinazionali, creando un profitto ancora maggiore.
La gestione di servizi con l’esternalizzazione, con la privatizzazione, con la svendita di risorse e professionalità, con l’alienazione dei beni, solo negli ultimi venti anni, ha visto sfuggire il controllo delle politiche universalistiche sia statali e soprattutto locali disegnando sempre più servizi che vanno nell’interesse dei privati e della loro principale mission, quella del profitto, piuttosto che le esigenze delle comunità. Non a caso sono aumentati il costo dei servizi, gratuiti qualche tempo fa, le tasse e le bollette;  si è distrutto il territorio, alienato il patrimonio, contratto debiti…
Risultano irrintracciabili: politiche sociali di redistribuzione del reddito (il numero delle famiglie con risorse scarse è 1/3 in più di 15 anni fa, arrivando quasi al 45% della popolazione, fonte ISTAT), reddito che invece si è trasferito verso i piani alti delle amministrazioni e verso i privati; politiche volte all’espansione della spesa (salute e sanità prima di tutto), nonostante l’aumento vertiginoso delle tasse; trasferimenti di risorse ai territori per far fronte al welfare, sostituiti da investimenti pubblici per  speculazioni private attraverso le grandi opere pubbliche; politiche in difesa dell’occupazione – le persone senza lavoro sono raddoppiate negli ultimi 7 anni -, con uno sfilacciamento delle istituzioni e degli spazi di prossimità in difesa del lavoro.
Le vicende raccontate a "Mafia capitale" sono facilmente sovrapponibili a molte, moltissime, città della perversa Italia. La magistratura farà il lavoro, forse troppo lentamente e contraddittoriamente; la politica accuserà altri e alzerà a barriera i luoghi comuni della colpa di alcuni; gli amministratori locali correranno a mettere pezze ai buchi dei loro inconfessabili raggiri; rimangono le realtà sociali e civili già impegnate strenuamente nel difendere il diritto di tutti e di ognuno alla fruizione dei servizi contro il saccheggio di risorse, di territorio, di ambiente.
C’è bisogno di fare rete, per imporre un’altra etica nella gestione delle nostre comunità e per ridefinire correttamente i campi dell’agire politico. Di tempo non c’è molto, prima che il capitale ce lo sottragga del tutto.

mercoledì 3 dicembre 2014

Incontro dibattito: Sanità 2.0

Il Coordinamento provinciale della sanità terrà un incontro-dibattito sabato 6 dicembre 2014, alle ore 15,30, presso l’aula consiliare del Comune di Alatri, in Piazza S Maria Maggiore.
L’evento che avrà come tema: “ Sanità 2.0 – Il vero e il falso” sarà anche l’occasione per ringraziare i sindaci che hanno votato NO all’atto aziendale della ASL, scelta che il Coordinamento valuta coerente, intelligente e responsabile verso il bisogno di salute dei loro concittadini in una visione lungimirante nella difesa degliinteressi dell’intera provincia.
La manifestazione, alla quale saranno invitati tutti i sindaci, è aperta alla partecipazione dei cittadini e delle associazioni.


Frosinone 27 novembre 2014

Video di Luciano Granieri

LETTERA AI SINDACI

Ai Sindaci della provincia di Frosinone
LORO SEDI


Oggetto: incontro sabato 06.12.2014 sulla situazione sanitaria provinciale

Com’è noto, una piccola minoranza di primi cittadini (22) ha approvato l’Atto Aziendale della ASL.  Il non aver partecipato a tutti i momenti del dibattito  nelle assemblee della Conferenza locale della sanità  ed a tutti i momenti di confronto messi in atto dal Coordinamento provinciale della sanità non ha permesso a tutti Voi di essere protagonisti coscienti di una decisione che ha danneggiato fortemente l’organizzazione della sanità e gli interessi generali del nostro territorio e delle sue popolazioni.
La nostra provincia sta morendo. Chiudono fabbriche, scuole e ospedali. Cresce la povertà e l’indigenza mentre aumenta sempre più il costo dei servizi primari. Purtroppo, crescono anche tumori e malattie respiratorie, per l’elevatissimo inquinamento atmosferico, delle acque e del terreno, dalla Valle del Sacco alla media e bassa Valle del Liri. Dobbiamo ancora registrare la presenza di discariche ed inceneritori che da Colleferro a San Vittore del Lazio ci preoccupano fortemente.
Questa realtà impone, con urgenza, la necessità di un’organizzazione sanitaria efficiente e di qualità  per potere difendere seriamente il nostro diritto alla salute.
Grazie alla coerenza ed al forte impegno dei 17 Sindaci che hanno votato NO all’Atto Aziendale ed alla mobilitazione di associazioni e cittadini che hanno manifestato in ogni angolo di questa provincia, è rimasta aperta una possibilità per poter imprimere una svolta decisiva ai servizi sanitari rilanciando efficienza, qualità, organizzazione e crescita gestionale, unite alla trasparenza ed alla partecipazione.
Per poter discutere insieme di tutto ciò e di ogni altro argomento che si riterrà opportuno porre all’attenzione della pubblica opinione, i Sindaci sono invitati a partecipare all’incontro di Alatri, del quale si allega la locandina, che avrà luogo SABATO 6 DICEMBRE 2014, alle ore 15,30 presso l'Auditorium Universitario “Conti Gentili” in Piazza S. Maria Maggiore.
Confidando in una partecipazione impegnata con l’obiettivo di concordare un percorso comune di atti ed eventi da realizzare nelle prossime settimane, si porgono cordiali saluti.
30.11.2014

Coordinamento Provinciale  Sanità

martedì 2 dicembre 2014

La legge giusta

Luciano Granieri



Quand’è che una legge è giusta? Quando tutela i cittadini e assicura un equilibrio fra i diritti e i doveri  di ognuno, determinati  dalla  variegata composizione sociale della collettività? Probabilmente si ma non è detto. 

Ad esempio, è giusto che un Consiglio comunale voti l'inserimento in bilancio di   una  spesa necessaria   a garantire l’assistenza ai minori nelle case famiglia?  Che diamine! Certo che si.  Bisogna essere dei  senza cuore per non garantire una vita decente ad un’infanzia non propriamente fortunata! Eppure non è così scontato. 

Nel Consiglio comunale di Frosinone, quattro giorni fa, questa legge, inserita in un più ampio contesto riferito ad  aggiustamenti di bilancio, non era giusta, non perché non fosse giusta in se, ma per il semplice motivo che gli assessori, componenti la giunta del sindaco Ottaviani, non erano graditi ai consiglieri di maggioranza. Ergo la legge, in questo caso ingiusta, non è passata e il sindaco è andato sotto. Si cambia la norma?  I  fondi stanziati sono insufficienti?  Si prevede una diversa allocazione delle voci di spesa per garantire questa sacrosanta tutela sociale? Insomma si discute nel merito? 

Nient’affatto il problema non è  il dispositivo ma la squadra che lo presenta. Dunque si rimuove la squadra. Così a quattro giorni dal primo flop, il sindaco Ottaviani elimina l’ostacolo, avoca a se tutte le deleghe assessorili, azzera la giunta e ripresenta il tutto  motu proprio. Improvvisamente la legge da ingiusta diventa giusta e passa ad ampia maggioranza. 

Bello però questo sistema degli assessori precari!  Quando la giunta, per mutate condizioni di schieramenti,  non rispetta   più la  distribuzioni delle poltrone, come  da manuale Cencelli,  e per questo è  di ostacolo all’approvazione di una legge, si  azzera.  

Dopodiché se ne  promuove un’altra che rimane in carica fino a quando anch’essa, per un motivo  o per un altro, diventa d’intralcio, pronta ad essere sostituita  da un’altra  ancora  più  confacente alle esigenze del caso, e così via.  

Un sistema un tantino despota, da podestà di regime, ma sicuramente efficiente ad assicurare la durata della consiluatura.  Un sistema, per altro, che dovrebbe suscitare la rivolta delle opposizioni, ma si sa nella nostra città l’opposizione non è pervenuta, non ci risulta.

Resoconto incontro Commissione statutaria del Consiglio provinciale

Luisa Montoni Comitato  Provinciale Acqua Pubblica Frosinone


Ieri si è svolto l'incontro tra il Comitato provinciale acqua pubblica e la Commissione statutaria del Consiglio provinciale nelle persone del presidente della commissione Di Carlo e dei due consiglieri Quadrini e Amata.
Con un atteggiamento particolarmente interessato ed aperto al confronto da parte dei nostri interlocutori (l'incontro si è prolungato per più di un'ora) abbiamo condiviso il preoccupante quadro generale che da una parte vede una crisi della stessa democrazia formale rappresentativa con la Provincia diventata ente di secondo livello mantenendo però le stesse competenze (e gli enti locali di prossimità che si svuotano della loro sovranità a favore delle unioni dei comuni) dall'altra vede gli enti strozzati dai tagli delle politiche finanziarie statali nel ricatto di ulteriori privatizzazioni e finanziarizzazioni dei servizi pubblici. Si assiste, quindi, in modo sostanziale ad un riordino del governo del territorio che significa servizi pubblici e godimento di diritti (all'acqua, alla salute, alla qualità dell'ambiente...) che allontana dal suo controllo e dalla sua gestione in primo luogo i cittadini. 
Proprio noi cittadini dell'Ato5 sappiamo cosa significa organizzare il governo e la gestione di un servizio pubblico essenziale come quello idrico all'interno di una 'zona omogenea' governata da un organismo di secondo (terzo?) livello come l'autorità d'ambito con l'assemblea dei sindaci senza vincolo di mandato ( diventerà l'assemblea dei presidenti delle unioni dei comuni?) con la gestione nelle mani di un gestore del tutto privato (in Italia ci sono solo 4 casi di gestione al 100%privata) che per sua natura fa profitto e non collega il servizio che vende  ad un diritto essenziale alla vita. 
Con tutte queste premesse abbiamo presentato la nostra proposta evidenziando in particolare la questione del governo e gestione dei servizi pubblici, della democrazia partecipativa e della garanzia del minimo vitale garantito all'interno dell'articolo sul diritto all'acqua.
I consiglieri con i documenti sul tavolo ci hanno assicurato che il 90% delle nostre richieste è già stato inserito nella proposta di statuto (compreso l'isitituto del referendum propositivo non previsto dallo statuto tipo dell'Unione delle province) e che quanto presentato e messo in particolare rilievo sarà portato all'attenzione della prossima seduta della Commissione statutaria.        


In merito alle richieste fatte dalla delegazione delle varie associazioni e movimenti martedì scorso alla presenza di Di Carlo ci è stato risposto che il Presidente Pompeo si è impegnato a chiedere ad Acea di sospendere gli atteggiamenti estorsivi nei confronti degli utenti. Non soddisfatti della risposta abbiamo insistito per un incontro con Pompeo. I consiglieri si sono impegnati a farci avere un incontro con lui entro due/tre giorni. 
Vi informerò tempestivamante non appena ci comunicheranno la data.

lunedì 1 dicembre 2014

Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire e peggior cieco di chi non vuol vedere

Renato Caputo

Illustrazione di Luciano Granieri


Venerdì 28 novembre: sit in degli autoconvocati a via Pianciani, davanti alla sede dell’ufficio Scolastico Regionale del Lazio. Come era già accaduto venerdì 14 novembre scorso, in occasione del sit in al Ministero dell’Istruzione, troviamo un nutrito schieramento di sicurezza a presidiare e difendere gli ingressi, blindato e polizia in tenuta antisommossa.
Tanto per accoglierci con il solito, inequivocabile biglietto da visita.
Alle 17.30 il Direttore Generale dell’USR, dr Gildo De Angelis, accoglie una delegazione, incaricata di consegnare le centinaia di documenti prodotti nei collegi dei docenti, nelle assemblee sindacali e in tutte le occasioni di confronto collettivo sui temi della proposta “La Buona Scuola”, in ottemperanza alla richiesta governativa di consultazione pubblica del documento e delle circolari della Direzione Generale dell’USR del Lazio.
Da subito, la nostra richiesta di protocollare e consegnare le mozioni viene fermamente respinta dal dirigente, che esprime apertamente un totale disinteresse per i documenti prodotti e che,nell’ordine, ci comunica quanto segue:
a)                           Negli incontri che si sono svolti nelle scuole del Lazio, le reazioni dei docenti e dei dirigenti sono state globalmente molto positive. Alla nostra richiesta di citarci almeno una scuola che abbia espresso pareri positivi o mostrarci almeno un documento che contenga apprezzamenti nei confronti de “La Buona Scuola” non ha saputo rispondere. Alla nostra rilevazione della evidente mancanza di trasparenza in merito alle modalità della consultazione on line non ha saputo dare alcun tipo di chiarimento.
b)                           È convinto, senza tuttavia volerne leggere neanche uno, che nei numerosissimi documenti presentati ci siano solo critiche negative di tipo pregiudiziale, prive di qualunque proposta alternativa. Alla nostra lettura di una mozione scelta a caso, nella quale si individuano concrete soluzioni ai problemi della scuola e si fa riferimento alla Legge di Iniziativa Popolare “Per la buona scuola per la Repubblica”non ha saputo controbattere
c)                           Alla nostra insistenza in merito all’importanza dei documenti che vogliamo consegnare, per suo tramite, al MIUR, che testimoniano lettura attenta e riflessione accurata di un campione significativo di docenti italiani che ha accolto, evidentemente, l’invito del Governo a tutti i cittadini ad esprimersi nel merito, invito reiterato per due mesi in tutti i siti e i canali di comunicazione istituzionali, reagisce con evidente fastidio e una inaccettabile dose di sprezzante cinismo, adducendo la giustificazione che ha solo quattro lavoratori a disposizione per la lettura e l’analisi di tutte le note e i documenti che sono arrivati in queste ultime settimane ai suoi uffici.

Se c’era bisogno di una prova ulteriore che la consultazione pubblica su “La Buona Scuola” è una colossale mistificazione ad uso e consumo di tutti gli italiani inutilmente chiamati a esprimersi possiamo affermare che venerdì pomeriggio se ne è avuta una dimostrazione plastica inequivocabile.

Sentenza storica per i precari della scuola. "E ora immissioni subito!"

Andrea Fioretti

Tanto tuonò che piovve. Alla fine la Sentenza della Corte di Giustizia europea è arrivata ed è perentoria. L’utilizzo strutturale di contratti precari per i docenti, che avviene da anni nel nostro paese, è illegittimo. Tutti i precari che lavorano da più di 36 mesi con un contratto a termine devono essere assunti a tempo indeterminato. Il Governo risponde di aver previsto già l’assunzione di 148mila precari più altri 40mila tramite concorso. Ma la sentenza apre una porta anche ad altre 100mila persone (tra docenti abilitati Tfa, Pas e personale Ata) che non verranno assunte pur avendo ottenuto l’abilitazione. Quindi si parla di assunzioni dovute per un numero oscillante tra le 250 e le 300mila persone a causa dell’ingiustizia colossale reiterata da tutti i governi negli ultimi 15 anni.
Intanto il mondo della scuola è in subbuglio. Sono partite le occupazioni degli studenti e CGIL, Cobas e lavoratori autoconvocati si stanno mobilitando con differenti iniziative per bocciare il Piano Scuola del Governo Renzi.
Proprio in questi giorni sono stati diffusi i risultati di un sondaggio intitolato “La vera scuola boccia la Buona Scuola” che è stato realizzato dagli autoconvocati della scuola e dal Coordinamento per la riproposizione della Legge di iniziativa popolare (Lip) “Per una buona Scuola per la Repubblica”, e che ha evidenziato un rifiuto sempre più largo nei confronti della riforma del Governo. In un mese sono state raccolte 160 tra delibere e mozioni dei collegi docenti che rovesciano le linee guida targate Renzi-Giannini. Ovviamente ora i precari, gli insegnanti ed il personale ATA si mobiliteranno anche perché questa sentenza non resti lettera morta, oltre che per bocciare la logica aziendalista della “Buona Scuola” di Renzi. Per loro la “Buona Scuola” in tutto questo non c'entra nulla e ritengono che nessuno possa chiedere “in cambio” di assunzioni dovute lo scippo degli scatti, la falsa meritocrazia, meno democrazia scolastica e la trasformazione degli istituti in fondazioni.
“Accogliamo con favore la sentenza della Corte di Giustizia della UE perché dimostra che abbiamo ragione a mobilitarci contro la reiterazione strutturale del precariato nella Scuola e per le immissioni subito. Oggi il governo è costretto alle assunzioni. Ma noi non siamo sicuri che questo avvenga veramente e quindi partiremo con assemblee e mobilitazioni perché la sentenza trovi applicazione. D’altra parte questa sentenza è stata possibile solo grazie alla mobilitazione di anni che c’è stata tra i precari della scuola e gli insegnanti. Vogliamo capire dal ministro Giannini se effettivamente tutti precari, insegnanti e ATA, verranno assunti e quali risorse investiranno. Altrimenti verrebbe confermata la logica della spending review che colpisce tutto il Pubblico Impiego. Troviamo assurdo, infatti, che il governo pensi di risolvere tutto questo con un piano che non prevede nemmeno un euro sulla didattica, imponendo quindi a quelli che verranno immessi in ruolo una dequalificazione impiegandoli in altre mansioni. Invece noi chiediamo la fine dei tagli e di tornare a investire nell’Istruzione per tutelare il diritto di tutti a un lavoro stabile, ma anche ad un insegnamento di qualità.” E’ quanto afferma Francesco Cori dei lavoratori autoconvocati della scuola al presidio davanti al Provveditorato di Roma.
Intanto il governo, i ministri e gli spot della propaganda RAI ci bombardano quotidianamente sulla presunta ineluttabilità e progressività delle istituzioni europee. Quando queste ci impongono di privatizzare i servizi, tagliare il welfare e cancellare i diritti dei lavoratori in nome delle politiche di austerità, politici egiornalisti embedded scattano sull'attenti: è l’Europa che ce lo chiede! Il PD ne ha fatto addirittura uno slogan con cui ha finito per sostenere tutti i governi delle larghe intese con il centro-destra in nome del rispetto dei dogmi liberisti della BCE.
E ora vedremo se i partiti di Governo ed il Parlamento aderiranno altrettanto “inevitabilmente” a questa nuova richiesta dell’Europa che impone di assumere tutti i precari della scuola e che prepara un’altra tempesta. Le motivazioni della Sentenza mettono in discussione, infatti, l’assetto portante del Jobs Act contenuto nel Decreto Poletti: la reiterazione infinita e senza causale dei contratti a tempo determinato.

Su questo precari della scuola, strikers dello sciopero sociale e sindacati conflittuali sono già sul piede di guerra. E con lo sciopero generale del 12 dicembre alle porte, se la CGIL non cede alle pressioni provenienti dal Nazareno, si potrebbe annunciare un percorso non facile per il Governo Renzi che comincia a “non stare sereno”.

Quando il razzismo porta un distintivo

Keeanga-Yamahtta   fonte: Z net Italy

L’agente di polizia di Ferguson Darren Wilson, ha trascorso più di 100 giorni nascosto mentre un gran giurì decideva se incriminarlo oppure no per qualsiasi accusa relativa all’uccisione dell’adolescente di colore Mike Brown. Dopo un lungo discorso arrogante in difesa dell’indifendibile, il Pubblico Ministero Robert McCulloch ha annunciato che non ci sarebbe stata nessuna incriminazione.
La decisione di non incriminare Wilson non è stata una sorpresa  ma la sua prevedibilità non ha fatto molto per disperdere la rabbia e la frustrazione che è diventata oramai parte del rituale di lutto per la perdita di un altro giovane afro-americano causata dalle forze dell’ordine che applicano la  legge americana. Non può esserci alcun dubbio che la vita di una persona di colore valga poco e sia sacrificabile agli occhi delle forze dell’ordine e del sistema di giustizia penale di cui fanno parte.
E tuttavia c’è un rifiuto ostinato di fare una conversazione di questo come punto di partenza per qualsiasi cambiamento significativo della pratica di mantenere  l’ordine in questo paese. Invece i media tradizionali e il presidente Barack Obama continuano a incentrare la loro attenzione sul potenziale di violenza tra gli attivisti contrari alla brutalità della polizia, particolarmente a Ferguson, Missouri.
Nelle scorse settimane, le forze dell’ordine e i media hanno lavorato in tandem per fare montare l’isterismo per le violente dimostrazioni all’indomani della prevedibile decisione di non processare Wilson.
Per mesi 1.000 poliziotti in tutta St Louis si preparavano per queste dimostrazioni. L’FBI ha diffuso un promemoria per le locali forze dell’ordine avvertendole della presenza di “agitatori esterni” e di violente proteste di solidarietà con Ferguson. Le scuole pubbliche di Boston hanno perfino fatto telefonate che si chiamano robo-calls (Cioè una telefonata che usa un congegno elettronico computerizzato che compone automaticamente i numeri di telefono per inviare un messaggio pre-registrato, come se venisse da un robot (http://en.wikipedia.org/wiki/Robocall), n.d.t.), che invitavano a dimostrazioni “pacifiche” subito dopo la decisione del gran giurì. Nella copertura data dai media circa la reazione alla decisione, gli inviati indossavano maschere antigas, preparavano le loro macchine fotografiche per riprendere oggetti che bruciavano, e inserivano loro stessi e la loro sicurezza personale nelle notizie della sera.
Ma in tutti gli articoli isterici sulle dimostrazioni violente, non c’è stata quasi nessuna discussione riguardo a che cosa avesse spinto a una reazione così violenta per la decisione del grand giurì. Non c’è stata alcuna discussione sulla violenza della polizia, sui maltrattamenti e, certo, sul terrorismo che è diffuso nelle comunità della gente di colore, in ogni città e stato di questo paese.
Invece il presidente Obama ha offerto la vacua osservazione: “Abbiamo fatto enormi progressi nei rapporti tra razze diverse nel corso dei recenti decenni.” Quei progressi sono decisamente difficili da misurare dato il persistere di omicidi di Afro-Americani per mano della polizia.
Proprio nei giorni precedenti alla decisione del gran giurì, la polizia di Cleveland ha ucciso una donna afro-americana, Tanish Anderson, spaccandole la testa sul cemento. Poi il dodicenne Tamir Rice, anch’egli di Cliveland  è stato colpito due volte con un’arma da fuoco da poliziotti bianchi,  e poi ucciso: aveva in mano una pistola giocattolo ad aria compressa. L’Afro-Americano Akai Gurley è stato ucciso dai poliziotti di New York City quando è entrato nel vano scala di un palazzo.
Questi casi graffiano soltanto la superficie dello scopo del controllo razzista negli Stati Uniti, ma argomento di quasi nessuna discussione al di fuori dei circoli radicali.
E’ 21 volte più probabile che  i poliziotti bianchi uccidano un uomo di colore che un bianco. E altri poliziotti  Afro-Americani non sarebbe di aiuto. I poliziotti di colore sono coinvolti soltanto nel 10% delle sparatorie della polizia, ma il 78% delle vittime a cui sparano sono afro-americane.
L’FBI ha calcolato che dal 2007 al 2012 i poliziotti bianchi hanno ucciso almeno due persone di colore ciascuno e ogni settimana – grosso modo 500 morti in tutto. Per mettere questo in prospettiva, considerate che nei 5 anni precedenti all’introduzione delle legislazione federale anti-linciaggio del 1922, c’erano 285 linciaggi di Afro-Americani. L’epidemia di razzismo sta infuriando in ogni istituzione connessa al sistema americano di giustizia penale.
La violenza della polizia è soltanto un aspetto di un sistema di giustizia penale generalmente razzista che trae energia dalla gente di colore. Tantissimi  Afro-Americani sono stati perseguitati dalla “guerra alle droghe” che ha provocato la criminalizzazione, in senso letterale delle  comunità afro-americane. Per considerare soltanto una statistica che illustra le disuguaglianze, gli Afro-Americani sono il 13% di coloro che assumono droga – grosso modo la stessa proporzione che che c’è nella popolazione totale – ma sono il 46% di quelli condannati per reati collegati alla droga.
I fanti nella guerra alle droghe sono i poliziotti  di ronda che prendono di mira le comunità Nere per fare i facili arresti sempre più richiesti dai funzionari municipali che li desiderano moltissimo,  come prova che stanno combattendo il crimine. E a Ferguson c’è anche un altro motivo le multe dei tribunali municipali, soprattutto per violazioni fatte riguardanti i veicoli, sono la seconda maggiore fonte di reddito per la città.
Leggendo la testimonianza di Darren Wilson che descrive Mike Brown nelle trascrizioni del gran giurì che sono state diffuse, ci si può rendere conto di quanto il razzismo della polizia sia radicato.
E’ infatti la disumanizzazione razzista di Brown che tiene insieme la storia di Wilson. L’unico modo di credere a Darren Wilson è sospendere la convinzione dell’umanità di Brown, il suo essere uomo in senso letterale. Secondo la testimonianza di Wilson, Brown diventa un animale selvaggio – o un “demonio”, come il poliziotto si riferisce a Brown – che ha  sbattuto giù  Wilson come una bambola di pezza, “ha  grugnito in modo aggressivo,” era  insensibile  alle ferite da arma da fuoco, e si è fermato soltanto quando gli ha sparato alla testa.
L’UNIVERSALITA’ del razzismo della polizia ha spinto migliaia di persone di tutto il paese a organizzare e a partecipare a dimostrazioni di solidarietà con Mike Brown, la sua famiglia e Ferguson. Si riconosce che abbiamo un enorme debito con gli abitanti di Ferguson che si sono rifiutati di smettere di organizzarsi e di fare la campagna contro questa ingiustizia. Così facendo hanno dato nuova vita a un movimento in crescita, contro la sorveglianza razzista e il sistema criminale dell’ingiustizia.
Il movimento di Ferguson si è basato su un movimento che ha radici nell’organizzazione per impedire l’esecuzione del prigioniero di colore che era nel braccio della morte,  Troy Davis,in  Georgia nell’autunno del 2011. Nasce certamente dall’attivismo che ha contribuito a fare arrestare George Zimmerman, arrestato per l’uccisione di Trayvon Martin, e che è riapparso dopo che Zimmerman è stato prosciolto.
Il movimento è rappresentato da un nucleo di giovani organizzatori che appartengono a una molteplicità di gruppi, compresi: Hands Up United (Unione Alzare le mani ), Organization for Black Struggle,  (Organizzazione per la lotta nera), We Charge Genocide (Accusiamo il genocidio), Black Lives Matter (Le vite dei Neri sono importanti),  Don’t Shoot Coalitio (Non uccidete la coalizione, Millennial Activists Unite (Attivisti del millennio uniti),  Black Youth Project 100 e oltre (Progetto Gioventù nera), e ancora altri.
Tramite l’attivismo, questo strato di leader in evoluzione,  ha aiutato  a capire che la “divisione” nell’America Nera tanto discussa, riguarda la politica molto più che la semplice generazione.
Sfuggirà a poche persone il fatto che gli stessi leader di colore tradizionali che all’inizio di novembre predicavano agli afro-americani di andare a votare contro i candidati democratici che hanno avuto pochissimo da dire sui problemi che hanno un impatto sulle comunità Nere, loro stessi ora hanno poco da dire su come reagire ai fatti di  Ferguson.
Non solo nessun preminente funzionario eletto si è dichiarato contrario alla mobilitazione della Guardia Nazionale e ai palesi tentativi di impaurire i dimostranti di Ferguson, ma pochissimi hanno richiesto politiche concrete intese a controllare la sorveglianza razzista nelle comunità Nere.
Naturalmente, fare questo metterebbe in discussione molte altre abitudini delle comunità Nere proprio adesso. La sorveglianza di tipo razzista non avviene in un vuoto, ma deve essere vista, al meno in parte come il rovescio della medaglia del saccheggio economico di quelle comunità.
I governi a livello locale, statale e federale hanno lentamente eroso i quartieri neri chiudendo le scuole pubbliche e gli edifici pubblici di proprietà del governo, chiudendo gli ambulatori e gli ospedali pubblici, e tagliando i finanziamenti per i programmi sociali. Erano stati in attesa mentre la crisi dei pignoramenti ha spianato la strada alla crisi degli sfratti. Hanno difeso la distruzione degli impieghi del settore pubblico che sono stati una fonte di introiti di livello medio per gli Afro-Americani, e hanno invece sostenuto la sottoccupazione pagata poco. Inoltre, la carcerazione di massa di centinaia di migliaia di uomini e donne di colore li ha lasciati impossibilitati a partecipare al mercato del lavoro, o, se vi sono riusciti, sono soltanto ai margini.
Nel complesso, questi fattori si uniscono per rendere vulnerabili le comunità Nere alla sorveglianza che aveva già criminalizzato e impoverito gli afro-americani.
Queste pratiche di controllo sono, di fatto, diventate una  forma di linea politica pubblica che complica quello che ha già criminalizzato e impoverito gli Afro-Americani. Infatti hanno pochissimi rimedi da offrire al di là degli studi, delle indagini e di vaghe richieste di giustizia.
Ci sono però domande molto chiare che il nostro movimento può mettere sul tavolo per incrementare la pressione sui leader ingannevoli che appoggiano l’applicazione della legge e aderiscono all’idea che il problema sono “poche mele marce,” invece che a quella  che il controllo è sistematicamente razzista.
Dovremmo chiedere commissioni civili di revisione che riflettano la composizione delle comunità dove la polizia è accusata di reati. Possiamo domandare una legge federale contro la schedatura in base alla razza. Possiamo chiedere che i poliziotti accusati e violenze e di omicidio vengano davvero arrestati e sottoposti a un procedimento legale, come si farebbe con qualsiasi altra persona. Infine, e questa non è affatto una lista esaustiva – dovremmo chiedere che le forze di polizia di tutto il paese vengano disarmate.
C’è un’epidemia di sparatorie contro Afro-Americani disarmati che si sta intensificando. Nello Utah, la polizia è responsabile di uno sconvolgente 15%  di tutti gli omicidi commessi nello stato. La decisione del gran giurì di non incriminare Darren Wilson fornirà la copertura alla polizia di tutto il paese per continuare a uccidere Afro-Americani disarmati – almeno che non togliamo di mano le armi alla polizia.
L’omicidio di Mike Brown ha creato una nuova urgenza di creare questo movimento. E’ chiaro che niente altro che un movimento di massa può fermare l’insensata uccisione di giovani Afro-Americani per mano della polizia americana.