Presidente avremmo potuto fare di più e meglio con una collaborazione fra “Ciociaretti” e Regione, con migliori risultati e meno contrapposizioni.
Ora siamo qui a rincorrere lo scaricabarile fra Regione-Direzione Generale, Politici del territorio e pseudo-Primari “referenti”, utili solo come “yes man” per non essere sostituiti. Tutti fatalmente a complicare la vita e il lavoro ai pochi Medici rimasti, affaticati e stressati fino ad una situazione esplosiva.
State adottando una tattica medievale, indegna di un paese civile, reparti servizi e Ospedali chiuderanno per sfinimento, litigando fra turni, reperibilità e guardie continuative; anche se in D.G. fa finta di non saperlo. Medici precettati dalla Dir. Sanitaria per altre 12 ore in P.S., dopo 24 ore di guardia attiva continuativa per tutti i reparti. Ormai lo abbiamo capito, volete chiuderci senza inviare lettere di chiusura; le responsabilità politiche Vi saranno accreditate tutte. Spiegheremo alla popolazione che Ci guidate verso l’autodistruzione dei nostri “Ospedaletti” per rifornire Tor Vergata e le cliniche private di maggiori fondi.
Ci raccontate che non si può assumere se non uscendo dal commissariamento ma spendete milioni di euro per ristrutturazioni e progetti inutili o superflui.
Latina assume 32 sanitari fra cui 20 specialisti!!!
Roma H ne assume 10 (Albano, Velletri)!! Roma G, 9 Medici.
Mentre noi non possiamo assumerli? Anzi licenziamo 16 Medici con contratti a 6 mesi, anche se rinnovati da molti anni? Eppure stanno vincendo le cause, verranno pagati senza aver lavorato!. Nel frattempo si chiedono 2 o 3 deroghe, basate su graduatorie inaffidabili, presenti solo sulla carta, con medici già assunti altrove?
Frosinone non funziona, non è pensabile trasformarlo da buco nero in clinica efficiente in poco tempo. I gioielli da cui partire sono Alatri e Sora.
Nei prossimi giorni partirà un referendum popolare sul gradimento dei vari Ospedali provinciali oltre a indicare se condividono la strategia dei tagli per il rientro dei conti oppure la richiesta di salvaguardia e potenziamento dei nostri Ospedali.
Siamo pronti per iniziare la guerra, o ci ascoltate o ne vedremo delle belle, i Ciociaretti sono pronti a lavorare per correggere gli errori di chi è andato oltre il mandato, sbagliando tempi e modi. Non dedicando alcuna attenzione al morale dei dipendenti con visite e concertazioni che non costavano niente.
Oggi non ci accontentiamo della sfilata Istituzionale o qualche risposta sibillina.
Vogliamo risposte semplici e garanzie, senza se e senza ma, altrimenti strapperemo le nostre tessere elettorali e faremo anche altro. Non verseremo altro sangue e sacrifici per Roma, che ha dimostrato di non meritarselo.
La delibera Regionale sugli accorpamenti dei reparti per aree funzionali e per intensità di cura sono un salto nel vuoto. I Primari che hanno letto le indicazioni Regionali sono cosi confusi che hanno chiesto aiuto al D.S. che in una riunione congiunta dell’area Medica e Chirurgica ha ammesso che alcune parti sono confuse. A Cassino è stata creata un’area funzionale di 80 posti letto e gli infermieri non anno in tempo a somministrare nemmeno la terapia ordinaria.
Per l’intera Sanità Provinciale necessita:
1) il recupero dei 16 Medici a 6 mesi,
2) l’assunzione a tempo indeterminato di almeno 12 medici specialisti, (2 Cardiologi, 2 Ginecologi, 2 medicina interna, 2 Pediatri etc).
3) il rinnovo di tutti i contratti in essere.
Ad unanimità Provinciale chiediamo la promozione a Roma della Mastrobuono, tanto capace e determinata.
Il tutoraggio del Direttore Sanitario Aziendale con un primario anziano del nostro territorio.
- L’istituzione di un tavolo tecnico settimanale, alla ASL o a Roma, compresi due Sindaci (eletti a turno per 3 mesi) e due rappresentanti dei Comitati, per le questioni di indirizzo principale.
I Sindaci di : Alatri, Veroli, Vico Nel Lazio, Torre Cajetani, Guarcino, Paliano, Piglio, Collepardo, Trevi Nel Lazio, Filettino e Boville Ernica, Trivigliano, Fumone.
Il sindaco, mastro necroforo, si appresta all’ennesimo
funerale. Forse il più importane e più difficile della sua carriera, perché altri hanno provato ad officiare questa sepoltura, ma nessuno fino ad oggi è
riuscito nell’intento. Così il Re dell’edilizia funeraria frusinate, proprio
per la difficoltà di seppellire un cadavere così riottoso a morire, aveva
dovuto rinunciare a costruire il mausoleo tombale più grande e sontuoso che area cimiteriale abbia
mai ospitato. Ma l’attuale sindaco
mastro necroforo ha dimostrato di saper svolgere al meglio il suo mestiere. Si
ricordano toccanti cerimonie per la sepoltura della sanità pubblica e dell’acqua
pubblica. Come non evocare le memorabili esequie del diritto al lavoro, con gli
ex dipendenti Multiservizi, segregati nella bara-camping. Ma anche le cerimonie
funebri del parco delle fontanelle e della struttura geodetica dell’Unitalsi, hanno
lasciato indelebile testimonianza. Con un imbalsamatore così non poteva non riproporsi l’opportunità
di porre finalmente fine alla strenua battaglia. La serrata lotta posta in essere dai
reperti archeologici delle Terme Romane,
che già sotto terra giacciono, ma che pugnano, con il cittadino Volsco, affinchè
non giunga alfine il mausoleo da 40mila metri cubi della premiata ditta di
edilizia funeraria a precludere definitivamente la possibilità di poter tornare
a vedere le stelle. Il sindaco, mastro
necroforo, ci riprova a scavare la fossa alle terme romane, anche grazie alla
robusta pala offerta dal governo Renzi sottoforma di articolo 28 bis per l’edilizia
convenzionata presente nel decreto sblocca Italia. Dunque si avvicina la data
delle esequie per i reperti archeologici situati vicino la Villa Comunale. La certificazione di morte verrà redatta nel
prossimo consiglio comunale di lunedì 29 giugno alle ore 18,30. Siamo ancora in
tempo per impedire questo funerale. Infatti
gli stessi becchini assessori e consiglieri, sodali del sindaco mastro
necroforo, non sono convinti, della pala,
della buca, del mausoleo, e noi non siamo affatto disposti a vedere morire
sotto i nostri occhi l’ennesima eccellenza di questa città. Per cui saremo
tutti li per evitare che il funerale possa tenersi . Sicuramente il main sponsor del Comune non sarà contento e l’edile
funerario rischia di lasciare i marmi per il mausoleo ad ammuffire
nel deposito. Ci hanno sotterrato il lavoro, la salvaguardia della salute, l’acqua,
l’aria, non permettiamo che anche la risorsa archeologica , finisca nelle mani
necrofile del sindaco e del campione ciociaro dell’edilizia funeraria. Siamo stanchi di fare le condoglianze.
La ampia, forte e chiara reazione della popolazione frusinate alla cementificazione dell’area delle Terme Romane ha messo all’angolo tutti coloro che pensavano e pensano di continuare ad usare il bene pubblico cittadino per interessi di parte e per di più speculativi.
La massiccia ondata di “persuasione” dei consiglieri comunali scatenata anche a mezzo stampa evidenza sudditanza e colpevolezza di non riuscire a conseguire il risultato previsto.
Approvare la delibera da parte del Consiglio costituirebbe una GRAVE MANCANZA verso le proprie competenze, sia amministrative che politiche; verso una larga fetta di richieste di cittadini e associazioni che rivendicano la salvaguardia di un BENE COMUNE; e significherebbe dare il via ad uno scempio come quello commesso negli anni ’60 nella costruzione sull’anfiteatro di viale Roma.
Il procedimento messo in piedi è teso esclusivamente alla salvaguardia di “altri” beni, di certo NON della comunità. Come si è avuto modo di argomentare vi sono tante “contraddizioni” di carattere tecnico che confermano i tanti dubbi e che porterebbe in libera coscienza a non votare questa delibera. Gli aspetti che si definiscono tecnici, in realtà producono un effetto politico, perché riguardano la questione dell’ INTERESSE PUBBLICO della proposta. In tal senso, quindi, non tenerne conto ci si esporrebbe, ora sì, ad una MANCANZA DI RESPONSABILITA’ verso la cittadinanza.
Inoltre bisogna considerare e sottolineare il fatto che per far passare tale cementificazione si ha necessità di modificare le linee guida già approvate dal Consiglio il 27/02/2015: questa delibera propone una SOSTITUZIONE delparagrafo 5 del procedimento ex art. 28 bis del TU Edilizia.
Si possono proporre, in corso d’opera, modifiche a regolamenti senza lasciare il dubbio che ciò avvenga per conseguire ad ogni costo il risultato della costruzione sulle area delle terme? Come considerare che la stessa struttura tecnica dell’Ente proponeva di estendere il vincolo di tutela dell’area in questione, anche alla luce degli ulteriori ritrovamenti degli anni 2011 e 2012 e che oggi, sulla stessa area, invece ci si accingerebbe a rilasciare un Permesso di Costruire per 40.000 metri cubi?
APPROVARE QUESTA DELIBERA NON E’ UN ATTO DOVUTO! Di altri “doveri” deve curarsi un Consiglio Comunale ed i propri consiglieri, a cominciare, come recita lo Statuto Comunale, dalla cura degli interessidella propria comunità; dal soddisfacimento dei bisogni collettivi. Essi devono cominciare a capire di essere parte decisiva di un consesso che indirizza la parte politico – amministrativa della città e non ridursi ad un ruolo subalterno per difendere interessi altri.Chi non si opporrà si renderà complice, altro che risarcimento danni da parte del privato, dell’ennesimo SACCO della Città di Frosinone, con la DISTRUZIONE DI UN BENE PUBBLICO DI INESTIMABILE VALORE che caratterizza la ricerca di quella civiltà di comportamento e di dignità da decenni introvabile in questo capoluogo.
Costruire una mobilitazione radicale e ad oltranza
per cacciare il governo Renzi!
Giovedì 25 giugno il Senato ha dato la fiducia al maxiemendamento sulla “buona scuola” presentato due giorni prima alla commissione istruzione dai relatori Francesca Puglisi del Pd e Franco Conte di Ap. Il governo ha ottenuto l'ok a Palazzo Madama con un largo margine ed il 7 luglio il provvedimento arriverà alla Camera per la definitiva approvazione.
Nonostante le massicce mobilitazioni promosse in queste settimane da studenti e lavoratori della scuola, che hanno avuto i momenti di punta nel 5 maggio scorso, in occasione del partecipatissimo sciopero generale, e poi nel blocco degli scrutini di fine anno, il governo del bullo fiorentino continua imperterrito sulla sua strada. Il pesante calo di consensi registrato dal Pd alle recenti elezioni regionali (1), frutto di una crescente e diffusa sfiducia verso un esecutivo che ha promosso politiche violentemente antipopolari (2), non ha mutato dunque l'approccio di Matteo Renzi che non ha alcuna intenzione di tradire la fiducia riposta in lui dall'alta borghesia e dai poteri forti internazionali. E mostrando come al solito una totale assenza di senso del pudore, i carnefici della scuola pubblica – dopo il voto di fiducia a favore – hanno espresso la loro gioia per avere salvato la poltrona (pur intuendo che in realtà non esistevano rischi concreti, per i motivi che vedremo fra poco). Abbiamo assistito ai soliti trionfalismi dei membri del governo, dalla ministra dell'istruzione Giannini al ministro dell'interno Alfano (quest'ultimo fra gli artefici in passato della controriforma Gelmini) che su twitter ha salutato festante il via libera a un provvedimento che offre “sostegno alle paritarie”, cioè che regala fiumi di soldi alle scuole private dei ricchi, mentre si continua a tagliare la spesa sulla scuola pubblica. Linea seguita in questi anni indistintamente da tutti i governi, di centrodestra come di centrosinistra.
Cosa prefigura la controriforma della scuola Come abbiamo detto più volte, la controriforma renziana sulla scuola - così come in generale la politica di questo esecutivo - è pienamente in linea con le scelte antipopolari operate dai governi precedenti. Molto significativo, ad esempio, quanto dichiarato qualche tempo fa dalla Gelmini, ex ministra dell'istruzione nel governo Berlusconi IV, che ha descritto la “buona scuola” renziana come la definitiva realizzazione del progetto scolastico berlusconiano (3). Più precisamente, diremmo che le politiche renziane come quelle berlusconane rispondono agli interessi del padronato, ma di certo non possiamo stavolta dar torto alla Gelmini (diventata ormai celebre per la selvaggia controriforma che tagliò quasi 10 miliardi di euro a scuola e università pubbliche) quando rimarca evidenti convergenze, nello specifico in materia scolastica. E infatti, portando a compimento il progetto della berlusconiana Aprea (ai tempi non andato in porto) la “buona scuola” renziana consacra la figura del preside-sceriffo che assume, licenzia e premia come “meritevoli” le persone che lui preferisce. E poco importa se, per guadagnare tempo e attenuare momentaneamente i malumori generali, il governo ha deciso di rimandare al prossimo anno la chiamata diretta dei docenti da parte dei presidi, uno dei punti della “riforma” su cui più diffusi sono il disappunto e lo sconcerto. Per il resto, si continuano a foraggiare le scuole private, per la gioia di clero e mafia; si cerca di soffocare il conflitto sui luoghi di lavoro attraverso la figura del preside-sovrano onnipotente, parallelamente al processo di smantellamento dei diritti sindacali promosso dal governo su altri fronti; si aprono le porte degli istituti ai privati, si porta avanti la trasformazione delle scuole in aziende, sulla base della logica del profitto; si accentua la discriminazione fra gli alunni e fra le scuole; si punta sullo sfruttamento degli studenti attraverso la tanto sbandierata “alternanza scuola-lavoro” (lavoro gratuito, si intende: con sommo gaudio dei padroni); si continua a chiudere gli occhi davanti alle esigenze dei ragazzi disabili e alla gravissima problematica dell'inadeguatezza e pericolosità degli edifici scolastici, rispetto alla quale gli investimenti promessi dal governo risultano del tutto inconsistenti. E si nasconde questo disastro con la vuota retorica - cui fanno da cassa di risonanza i giornali di sistema (4) - della “meritocrazia”, della lotta ai “corporativismi” (per citare le parole del renziano Faraone, sottosegretario all'istruzione) e della “campagna di assunzioni” dei precari (5). Demagogia finalizzata a screditare i lavoratori della scuola agli occhi delle masse popolari.
Le “opposizioni” al governo Renzi Come se non bastasse l'attacco violento del governo alla scuola pubblica, è agghiacciante constatare da chi è incarnata – in parlamento e fuori – la sedicente “opposizione” alle politiche renziane. Non solo per quello che (non) rappresentano questi gruppi, quanto per la fiducia che larghi settori popolari nutrono ancora verso costoro. Si tratta infatti di forze politiche che si limitano a contestare strumentalmente il singolo provvedimento, e magari anche altri, ma che non escono minimamente dalle logiche di sistema. Quali sono infatti le forze politiche che, con lumini cimiteriali, cartelloni e fischietti, hanno contestato e votato al Senato contro la “buona scuola”? In primo luogo i vendoliani di Sel, quelli che in questi anni – al di là della fabbrica di parole di Nichi – hanno portato avanti politiche di sistema (proverbiale la mattanza della sanità pubblica operata in Puglia da Vendola), andando spesso a braccetto con quel Pd che adesso fingono di contestare, e che anche alle recenti elezioni hanno appoggiato in diverse regioni. In secondo luogo, il Movimento 5 stelle, forza populista reazionaria che ha costruito i suoi consensi (comunque oggi in netto calo rispetto a ieri) sul richiamo all'antipolitica e sulla visibilità mediatica del suo leader guru (6). E' paradossale che il M5s, che sulla scia dei berlusconiani ha inserito nel suo programma l'abolizione del valore legale del titolo di studio, che difende polizia, padroni che delocalizzano e grandi evasori, dando addosso ai migranti, cerchi oggi di capitalizzare il malcontento dei lavoratori della scuola (per strapparli alla concorrenza elettorale del Pd, che in quel settore ha storicamente un notevole bacino elettorale) e di ergersi a paladino della difesa della scuola pubblica. Altra “opposizione” parlamentare al governo Renzi che ha votato contro la “buona scuola” è la Lega di Salvini, una “opposizione” da destra, da parte di una forza politica che negli ultimi anni è stata al governo con Berlusconi votando tutte le leggi più antipopolari, inclusa la controriforma della scuola targata Gelmini (sebbene oggi la Lega sbraiti contro la “buona scuola” renziana, che corre sugli stessi binari), e che sta contribuendo a diffondere – assieme ad altri gruppi gemelli dell'estrema destra – un'odiosa propaganda razzista e xenofoba contro i migranti. E restando a destra, fra coloro che hanno votato contro la “buona scuola” renziana, ci stanno anche i senatori di Forza Italia (tragicomico!), su cui c'è poco da aggiungere (ha sostenuto il governo, invece, l'ex forzista Sandro Bondi, fino a ieri berlusconiano irriducibile ma da qualche settimana folgorato sulla via di Firenze). Quanto all'opposizione interna al Pd, la cosiddetta “minoranza di sinistra”, ci si è limitati da parte dei suoi membri ad una polemica a beneficio delle telecamere, polemica seguita, nei giorni che hanno preceduto il voto di fiducia, dall'assunzione della responsabilità di votare a favore del ddl per “disciplina di partito”! Con l'eccezione di qualcuno che non ha partecipato al voto (che opposizione radicale! 7) o di qualcun altro che, come Fassina, ha rotto in questi giorni col Pd per... costruire assieme a Civati e soci l'ennesimo contenitore socialdemocratico che occupi lo spazio elettorale a sinistra del Pd! (8)
Che fare? Anche sul fronte sindacale, come su quello politico, sembra ad oggi assente una risposta adeguata alla gravità dell'attacco portato alla scuola pubblica dal governo Renzi. La Cgil della Camusso si limita, sotto la pressione della sua base, a criticare a parole l'operato dell'esecutivo, mentre le dirigenze delle forze del sindacalismo “di base” risultano disunite e chiuse nei propri recinti autoreferenziali, alternando proclami combattivi ad azioni che vanno nella direzione diametralmente opposta (9). Nessuno finora intende mettere in campo uno sciopero generale e muoversi in direzione di una mobilitazione radicale e ad oltranza. Noi, al contrario, riteniamo necessario che i lavoratori della scuola e gli studenti proseguano la mobilitazione messa in campo in queste settimane lungo la direzione su indicata, unendo la loro lotta a quella dei settori mobilitati su altri fronti, fino alla cacciata del governo Renzi e al ritiro del ddl sulla “buona scuola”. Come Pdac lavoriamo infatti alla costruzione di un'opposizione radicale e di classe all'attuale governo, così come a tutti i governi borghesi, che superi gli ostacoli frapposti dalle (micro e macro) burocrazie politico-sindacali, interessate unicamente ai loro orticelli piuttosto che ad alimentare il conflitto sociale. Nel frattempo, ci rendiamo conto che una netta inversione di rotta, ovverosia una politica orientata verso lo sviluppo di una scuola laica, democratica e interculturale (distante anni luce dunque dalla scuola pensata ad esempio dalla mente xenofoba di Grillo), libera dall'influenza degli interessi privati, sarà possibile soltanto attraverso l'edificazione di una nuova società, governata dai lavoratori per i lavoratori. E questo risultato non potrà essere raggiunto limitandosi alla sterile “opposizione” e alle patetiche sceneggiate dentro i palazzi, nel quadro di una logica di sistema, ma soltanto costruendo – nelle piazze, nelle fabbriche, nelle scuole - un'organizzazione politica rivoluzionaria internazionale e internazionalista, capace di portare alle estreme conseguenze le contraddizioni del sistema capitalista: il responsabile ultimo – al di là delle forze politiche borghesi contingenti che ne attuano i diktat a qualsiasi coordinata geografica – della devastazione sociale che sta lacerando profondamente un mondo tremendamente sofferente sotto il suo giogo.
Note 1 Consultare in merito: http://www.alternativacomunista.it/content/view/2165/47/ 2 Dal jobs act al piano casa, dallo sblocca italia alla buona scuola, il governo Renzi ha varato una serie di misure reazionarie su cui ci siamo soffermati analiticamente negli ultimi tempi. Per conoscere la nostra analisi in merito a queste controriforme, rimandiamo al documento politico votato al recente IV Congresso del Pdac:http://www.alternativacomunista.it/dmdocuments/IV%20CONGRESSO/Atti%20IV%20Congresso.pdf 3 http://ilmanifesto.info/scuola-gelmini-la-riforma-renzi-e-una-vittoria-di-berlusconi/Lo stesso concetto è stato ribadito in questi giorni dalla forzista Centemero, che ha dichiarato: “in questo ddl ci sono alcune battaglie storiche del centrodestra, e in particolare di Forza Italia, come il rafforzamento dell'autonomia e del ruolo del dirigente, l'organico dell'autonomia, la valutazione, l'alternanza scuola-lavoro”. 4 Non è mancato addirittura qualche pennivendolo che ha invitato la polizia a “riempire di botte” gli insegnanti che protestano. Come Fabrizio Rondolino, ex responsabile della comunicazione di D'Alema: http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/06/26/scuola-proteste-insegnanti-rondolino-perche-la-polizia-non-li-riempie-di-botte/1816950/ Una dichiarazione inquietante, che però trova ampi consensi nell'alta borghesia, impaurita dal rischio di mobilitazioni di massa, e che dà il polso del clima che si respira in Italia. Proprio nelle stesse ore, ad esempio, il segretario della Lega Matteo Salvini partecipava alla manifestazione romana promossa dalla polizia contro l'introduzione del reato di tortura, difendendo il diritto della polizia a “fare il suo lavoro”. 5 A che prezzo avverrà la tanto sbandierata “assunzione” dei precari della scuola? Abbiamo scritto diffusamente su questo argomento in parecchi articoli pubblicati sul nostro giornale e sul nostro blog. Rimandiamo in particolare a:http://www.alternativacomunista.it/content/view/2157/1/ 6 Quel Beppe Grillo che proprio nei giorni scorsi, in un tweet sconcertante, esplicitava la sua vocazione reazionaria e xenofoba arrivando – nel tentativo di attaccare il sindaco di Roma Marino - ad accostare “topi, spazzatura e migranti” che a suo dire invaderebbero la capitale. Un post disgustoso, che, dopo feroci polemiche, Grillo ha rimosso e su cui poi ha fatto il consueto e ambiguo dietrofront. Insomma, il leader maximo pentastellato continua la gara con Salvini per chi sta più a destra. A proposito della “invasione” paventata da grillini e leghisti: http://www.alternativacomunista.it/content/view/2173/1/ 7 Questa ad esempio la posizione assunta da Corradino Mineo, della “minoranza dem”, che fuori da Palazzo Madama è stato pesantemente contestato, e bersagliato di monete e insulti, da parte della folla inferocita che gli ha rinfacciato per l'appunto di essersi astenuto dal voto piuttosto che di avere votato contro il provvedimento:http://tv.ilfattoquotidiano.it/2015/06/25/buona-scuola-dura-contestazione-a-mineo-monetine-e-insulti-i-docenti-buffone-ti-sei-astenuto/388458/ 8 Nel frattempo Fassina, da consumato politicante organico al sistema, ha fatto una (significativa) sviolinata al clero, indicando in Papa Francesco il principale punto di riferimento della sinistra!http://www.repubblica.it/politica/2015/06/25/news/stefano_fassina-117665554/ 9 Nei giorni scorsi, ad esempio, abbiamo dato conto della vergognosa capitolazione dei dirigenti dell'Usb all'accordo vergogna sulla rappresentanza sindacale: http://www.alternativacomunista.it/content/view/2161/78/
Giovedì scorso, 25 giugno si è svolto il 4° incontro del
programma di dibattiti organizzato dall’Osservatorio
Peppino Impastato e dall’Associazione “Oltre L’Occidente” . Sotto l’emblematico titolo “Frosinone per una città di serie A” si sono svolte assemblee estremamente interessanti,
che forse per la prima volta, hanno chiamato i cittadini, magari quelli un po’
più consapevoli, ad esporre la propria idea di democrazia, di città, di futuro,
di lavoro e progresso economico. Proprio
di quest’ultimo tema si è discusso nell’ultimo incontro intitolato “Occupazione
e reddito le uniche cose che non aumentano”.
Un piccolo rilievo. Proprio nella
sera in cui si discettava di lavoro, l’associazione Società Operaia pensava bene di precluderci,
senza avvisare, il luogo dove avevamo tenuto gli altri incontri e dove si sarebbe
dovuto svolgere anche quest’ultimo. Poco male, a parte il disagio di avvisare i
partecipanti all’ultimo momento, la serata si è svolta senza ulteriori intoppi
presso la sede di “Oltre l’Occidente”.
Le modalità di svolgimento delle tematiche
sono state quelle consuete. Un moderatore, in questo caso Ivan Di Santo, un
relatore, il sottoscritto, ed ospiti
invitati a discutere sui temi posti dal relatore. Nella serata di giovedì a svolgere questo
compito erano stati invitati, Fiorenzo Fraioli, Aniello Prisco, e Ivano Alteri. Come di consueto dopo gli
interventi programmati si è sviluppato il dibattito che ha visto la partecipazione
anche del consigliere regionale Daniela Bianchi (Pd) e del consigliere comunale Stefania
Martini (Pd).
A seguito della mia
relazione, Fiorenzo Fraioli ha illustrato i danni che tutto il processo di
adesione al mercato unico e all’euro ha prodotto in termini di crisi economica,
perdita di salario e lavoro, Aniello Prisco si è soffermato sul reddito di
cittadinanza, accennando alla proposta del M5S, e Ivano Alteri ha focalizzato
il problema della disoccupazione inserito nel contesto locale. Nel dibattito conseguente Daniela Bianchi ci riferito
sui destini della legge regionale 4 del
20 marzo 2009 sul reddito minimo. Proposta che arenatasi per mancanza di
finanziamenti, deve essere oggi riadattata alle mutate condizioni operativa, e
presto sarà discussa in regione. Francesco Notarcola ha posto l’accento sulla
necessità di un confronto, anche aspro con la classe politica, ma finalizzato alla proposta, e
ha ribadito l’assoluta necessità che le priorità dei rappresentanti istituzionali debbano
essere rivolte al benessere dei cittadini e non alla salvaguardia propri
interessi personali.
La serata si è svolta in modo sereno, ma non privo di
contrapposizioni, così come deve essere in un contesto dialettico democratico.
In ogni caso anche giovedì sera la parola è stata data a noi cittadini. Abbiamo dimostrato ,scusate l'immodestia, elevata consapevolezza
e competenza. E’ stata una partecipazione qualificata che ha reso l’immagine di una cittadinanza
matura, pronta a partecipare alle decisioni politiche inerenti la propria vita
e altrettanto pronta a controllare l’attuazione delle norme pianificate.
Insomma, siamo pronti, e di questo non nutrivo il minimo dubbio, a riprenderci la scena politica di una città
che si sta disgregando sotto i colpi della cementificazione selvaggia e le
nefandezze della speculazione fondiaria e finanziaria alimentata dal sordido
rapporto politica-affari. Se ci
sbrighiamo siamo ancora in tempo. Di
seguito pubblico la relazione che ho illustrato nel corso del dibattito con il
video del mio intervento. Ringrazio Fiorenzo Fraioli per le riprese.
Spiegare
perché l’occupazione e il reddito sono le uniche cose che non aumentano non è
questione semplice. Intanto perché le cause partono da lontano e perché hanno a
che fare con un profondo mutamento dei rapporti sociali e di produzione fra
capitale e lavoro. L’articolo 1 della Costituzione “L’Italia è una repubblica
fondata sul lavoro” esplicita chiaramente che dal lavoro devono dipendere le
politiche economiche e l’economia, non viceversa. Assodato ciò si rende
necessario riequilibrare la debolezza
del lavoratore rispetto alla forza contrattuale del detentore dei mezzi
di produzione. A ciò dopo decenni di lotte
si era giunti con l’approvazione della legge 20 del 1970 (lo statuto dei
lavoratori). Tale normativa agiva sulla tutela della variabili che, se non
legislativamente protette, avrebbero determinato la completa subordinazione del
lavoratore nei confronti del datore di lavoro. Cioè, un salario dignitoso,
vincoli al licenziamento ingiustificato, rispetto delle prerogative
professionali del lavoratore. Su queste macroaree si concentravano gli effetti
della legge 20. Lo Statuto dei lavoratori era lungi dal definire un inamovibile
posto di lavoro durevole fino alla
pensione. Disporre di un lavoro stabile
significava semplicemente avere la certezza di poter contare su un rimedio efficace contro eventuali soprusi e
angherie del datore di lavoro, significava poter rivendicare, nella concretezza dei
rapporti di lavoro, il diritto a una retribuzione equa o alla tutela della
professionalità, della salute o della sicurezza sul lavoro. Significava potersi
organizzare collettivamente senza temere che ciò potesse costituire un biglietto di sola andata dentro
una lista di nomi coinvolti in una procedura di riduzione di personale o in un
trasferimento di ramo d’azienda. Tutto
ciò per garantire pari dignità sociale ai cittadini attraverso la rimozione
degli ostacoli di ordine economico e sociale che ne limitano la libertà e
l’eguaglianza, impedendo il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva
partecipazione all’organizzazione politica così come sancito dall’art. 3 della
Costituzione. Le conseguenze di queste politiche in termini economici avevano
stabilito un equa distribuzione del reddito fra quota salariale e quota
derivante dal profitto. Dalla metà degli
anni ’80 è iniziata la decisa controffensiva capitalista, tesa a distruggere
questo equilibrio e a spostare una parte sempre più significativa del reddito
dal salario al profitto. Capovolgendo completamente il compito del legislatore
così come definito nella costituzione. E attivando processi legislativi atti
non più a difendere il debole, ma il forte nel rapporto capitale lavoro. Le
linee su cui si sono sviluppate queste politiche hanno camminato sui binari per
cui la libertà sindacale e il controllo giudiziario, garanzia di uguaglianza e
democrazia, dovevano essere ridotti se non eliminati perché fastidiosi
ostacoli alle discrezionalità
imprenditoriali, alla loro libertà di disporre a piacimento della mano d’opera
. Si è stravolto il concetto di lavoro,
passato, da elemento distintivo della
propria cittadinanza e appartenenza alla comunità, a variabile sui costi di
produzione, a fattore di mercato. In pratica la legislazione sul lavoro si è
trasformata, da strumento di garanzia di diritti delle persone, in strumento di garanzia della flessibilità
del processo produttivo.
LE
LEGISLAZIONI
A partire dagli anni ’90
Italia tutti i governi, di centro destra e centro sinistra succedutesi al potere,
con la scusa di sconfiggere la disoccupazione giovanile, hanno introdotto
notevoli cambiamenti nella legislazione del lavoro tali da soddisfare la
visione neoliberista per cui il lavoro è una merce da scambiare sul mercato.
Alcuni esempi: la riforma del sistema pensionistico nel 1995 (legge 355/95) in
relazione al metodo di calcolo da retributivo a contributivo. La legge Treu del
1997 che introduce le prime forme di
flessibilità in entrata legittimando il lavoro interinale fino ad allora
proibito. Nel 2003, a seguito della pubblicazione del libro bianco sul mercato
e le politiche del lavoro del 2001, viene approvata la legge 30 detta anche
legge Biagi che introduce ancora più flessibilità nel mercato moltiplicando le
modalità di lavoro atipico. Nel 2012 e nel 2014 si consumano gli ultimi due
atti per trasformare il lavoro in merce: la legge Fornero e il Jobs Act, le
quali rendono maggiore la flessibilità
in uscita. La prima depotenziando gli effetti dell’articolo 18 dello statuto
dei lavoratori la seconda abolendolo del tutto. Ma con quali risultati? Le posizioni lavorative nel 1990 erano 21
milioni e mezzo nel 2014, dopo 24 anni di politiche lesive dei diritti dei
lavoratori, le posizioni sono aumentate
a 22 milioni e seicento mila, un aumento del 5% che dimostra come il risultato
dichiarato dai governi teso a liberalizzare il lavoro per ottenere aumenti
significativi di occupazione sia fallito. Inoltre nella dinamica di modesta
crescita i contratti a tempo determinato aumentano rispetto al 1990 del 56%
mentre quelli a tempo indeterminati solo dell’8%.
CAUSE DEL FALLIMENTO
C’è da notare un altro aspetto particolare di tale involuzione sopravvenuto negli ultimi
dieci anni e aggravatosi a partire dal 2008 anno d’inizio della crisi: L’enorme
contrazione dei lavoratori intermedi rispetto a quelli molto e poco
qualificati. Considerando la composizione in percentuale dell’occupazione
nell’ultimo anno disponibile (2013) l’Italia si colloca al di sotto della media
europea per percentuali di occupati nelle professioni più qualificate e pagate
(manager), assieme Spagna Portogallo e
Grecia, presenta oltre il 30% in più di lavoratori occupati in mansioni poco
qualificate e poco pagate. Perché dunque
insistere in politiche che non raggiungono l’obbiettivo di creare occupazione e
in più il lavoro che creano è sempre Più precario? La risposta ovvia la
motivazione sull’aumento dell’occupazione è falsa. In realtà gli scopi che si vogliono raggiungere sono uno di tipo
prettamente ideologico ultraliberista,
la sempre maggiore marginalizzazione del lavoro nella formazione del reddito, l’altro inerente alla svalutazione competitiva del costo del lavoro,
in sostituzione della svalutazione monetaria, non più possibile in regime di
moneta unica. Vediamoli meglio entrambi.
IL
LAVORATORE AI TEMPI DELL’ULTRALIBERISMO
L’idea ultraliberista, prefigura un lavoratore
imprenditore di se stesso. Un uomo che concepisce le proprie risorse come
capitale umano da valorizzare. Secondo Pierre Dardot e Christian Lavalle autori
del libro La nuova ragione del mondo, critica della razionalità neoliberista, è in
gioco la costruzione di un nuovo modello di soggettività quella che chiamiamo oggettivazione contabile
e finanziaria che altro non è che la forma più compiuta dell’oggettivazione
capitalistica. In altre parole si tratta di produrre nel soggetto individuale
un rapporto con se stesso omologo al rapporto con il capitale. Il soggetto è
abituato a vedere in se stesso un capitale umano da valorizzare, un valore da
aumentare sempre più. Una nuova ragione sociale del mondo e della vita
individuale al quale anche lo Stato
nelle sue pratiche e nei suoi principi è tenuto ad adeguarsi. L’economista
arriva a tipizzare un disoccupato “bohemien”
che sceglie di vendere le proprie abilità o le proprie competenze solo
per ristretti periodi della propria vita provvedendo da solo alla propria
formazione e alla continua promozione di se stesso per rispondere meglio alle
esigenze del mercato. Tutto quanto è nelle disponibilità del soggetto si mette
a valore anche le capacità economiche sottoutilzzate: da una stanza in più messa
in affitto, o il noleggio della propria macchina e delle proprie capacità lavorative, spesso
si mette a diposizione l’intera propria privacy omologando il tempo di vita a
quello del lavoro. Ciò su cui gli analisti liberisti sono concordi è che nel futuro,
se questo nuovo modello si affermerà, il contratto dipendente, stabile, a tempo
indeterminato fino alla pensione, andrà a poco a poco a estinguersi. Il mondo
nuovo che viene tratteggiato è dominato da forze anonime e individui singoli,
con una forza lavoro estremamente parcellizzata, dove anche i diritti sociali
sanciti nelle Costituzioni nate nell’immediato dopoguerra sono considerate
d’intralcio, da abolire o modificare significativamente, come nelle indicazioni
di importanti società di rating internazionale. La JP Morgan scrive infatti in
un documento molto citato del 28 maggio 2013 che le Costituzioni nate dopo la
fine delle dittature in Europa tutelano “troppo” i diritti dei lavoratori. The
Economist, auspica che auspica che i governi europei mettano in piedi un
sistema universalistico di sostegno al reddito che consenta la sussistenza del
lavoratore intermittente nei periodi di magra. Un modo per utilizzare lo Stato
come supplente anziché come soggetto regolatore.
LA SVALUTAZIONE COMPETITIVA.
La competitività di prezzo di un Paese è misurata dall’indice del
costo del lavoro per unità di prodotto.
Tale indice è il rapporto fra retribuzione nominale per occupato e la
produttività reale del lavoro. Quest’ultima
invece è data dal rapporto fra il valore aggiunto e il numero di occupati, od
ore di lavoro necessarie per raggiungere quel valore. In linea teorica, minore
è il costo del lavoro per unità di prodotto,
maggiore dovrebbe essere la competitività del sistema economico. Per
ottenere una riduzione significativa si può agire o sulla riduzione della
retribuzione nominale dell’occupato, oppure aumentando la produttività reale del lavoro.
Nel primo caso, il risultato è immediato. Ma tutto ciò provoca l’aumento di solo
nel breve periodo e solo a condizione che le imprese diminuiscano i prezzi
anziché aumentare il profitto o investire
sulla speculazione finanziaria il surplus ottenuto. La seconda strada,
ovvero il rafforzamento della produttività,
è di più difficile realizzazione, richiede investimenti in ricerca,
sviluppo per il miglioramento delle
qualità di processi e di prodotto. Le politiche adottate in Italia per ridurre
il costo del lavoro per unità di prodotto, si sono concentrate quasi
esclusivamente sulla moderazione salariale, una scelta che può produrre
vantaggi sulle esportazioni, ma genera un impatto negativo sulla domanda aggregata
interna attraverso la riduzione dei redditi da lavoro. In assenza di investimenti che aumentano la
produttività, e con la contemporanea compressione salariale, in condizioni macroeconomiche critiche
caratterizzate da deflazione e depressione persistente, si alimenta la spirale negativa tra perdita
di lavoro e bassa produttività.
Jobs Act
Il jobs act renziano, insieme gli altri letali provvedimenti quali i
contratti a tempo determinato a 36 mesi
senza causale, sono un inarrivabile paradigma, sia dell’esaltazione
dell’ideologia neo liberista, sia della svalutazione competitiva. E le
conseguenze non potranno che esser disastrose soprattutto per i lavoratori.
Vediamone alcuni aspetti: Tanto per essere chiari il Jobs Act, o contratto a
tutele crescenti, non è né un contratto né
prevede tutele crescenti per i lavoratori. Si tratta sic et simpliciter
di un’abolizione camuffata dell’art.18. Per la prima volta dal 1970 la tutela
contro il licenziamento illegittimo (consistente nella reintegrazione nel posto
di lavoro ingiustamente cessato e/o in un risarcimento del danno dignitoso) non
si applicherà più ai nuovi assunti a partire dal 7 marzo 2015. L’unico fattore
che cresce, dunque, sono i lavoratori privi della tutela dell’art.18. Ma la definizione tutele crescenti è corretta se
applicata al datore di lavoro. I casi in cui è prevista la reintegra
(licenziamento orale o discriminatorio) non ricorreranno mai, perché sarà impossibile darne prova in
giudizio. Per tutti gli altri casi si avrà diritto ad un indennizzo che non avrà
carattere risarcitorio perché non legato al danno subito dal lavoratore ma alla
sua anzianità di servizio: due mensilità dell’ultima retribuzione per ogni anno
di servizio, con un minimo di quattro ed un massimo di 24 mensilità. Se si
considera che oggi la buona uscita minima concordata è di 36 mensilità ben si
capisce come l’importo che l’azienda dovrà corrispondere ad un dipendente licenziato ingiustamente non
costituisce affatto deterrente. Per raggiungere il massimo delle 24 mensilità,
come stabilito nel jobs act, un
lavoratore dovrà aver raggiunto un’anzianità di servizio pari a 12 anni, un
fatto che contrasta notevolmente con la tendenza ad assumere per breve tempo.
Inoltra licenziare sarà veramente facile,
infatti basta imputare al lavoratore una qualsiasi manchevolezza, ad
esempio un ritardo nel raggiungere il posto di lavoro, anche non grave
per provocare il licenziamento. La
riforma infatti preclude al giudice l’indagine sulla proporzionalità dell’infrazione
commessa dal lavoratore e il licenziamento. Altra novità è il venir meno della reintegra
in caso di illegittimo licenziamento del lavoratore in malattia o infortunio.
Ciò senza che venga rispettato il tempo
di comporto. Per ogni tipo di mansione, a seguito di infortunio o malattia, il
lavoratore non può essere licenziato prima che sia trascorso il tempo necessario per rimettersi (tempo di
comporto), con il jobs act questa grave vessazione procurerà al lavoratore il semplice indennizzo delle due
mensilità per anno di servizio. A questo vanno aggiunti i devastanti effetti
del decreto Poletti (legge 34 del 2014) sui contratti a tempo determinato senza causale. Con la legge Fornero era
possibile ricorrere alle prestazioni di un dipendente a tempo determinato,
senza giustificarne l’impiego, una sola volta. Per un periodo di un anno. Il decreto Poletti, amplia
questa possibilità a tre anni e prevede che possa essere effettuato il rinnovo
per 5 volte, cioè ogni 6 mesi. Ciò significa tenere sotto scacco il dipendente che,
nella speranza della proroga o di un rinnovo, sarà disposto ad accettare ogni sopruso, anche una compressione
salariale. Ad una lavoratrice che si sposa o entra in gravidanza, sarà facile
non rinnovare il contratto. Ancora nel jobs act, si prevede la possibilità,
qualora le condizioni oggettive dell’impresa lo richiedano, di demansionare un
dipendente, senza il suo assenso, ad incarichi inferiori rispetto a quelli che
aveva al momento dell’assunzione. Con questa norma si va a modificare
l’art.2013 del codice civile che vieta i patti di demansionamento del
lavoratore. Ci sarebbe molto altro da
dire, per esempio sul mini jobs e i
buoni lavoro, ma concludo questa parte facendo notare come il vero obbiettivo
del jobs act sia perseguire l’ideologia liberista che mette l’intera vita del
lavoratore a disposizione dell’impresa e inasprire le modalità di compressione
salariale al fine di ottenere svalutazione competitiva. Le finalità dichiarate
dal Governo, inerenti la funzionalità del jobs act nella lotta alla disoccupazione
sono false. L’articolo 18 c’è dal 1970, e la disoccupazione è raddoppiata negli
ultimi 6 anni (dal 6% del 2008 al 13% del 2014). Dopo 10 anni dall’entrata in
vigore della legge Biagi, che ha introdotto la flessibilità in entrata a favore
dei giovani, la disoccupazione giovanile è arrivata al 43%. Sono 20 anni che in materia contrattuale si continua a
puntare sulla flessibilità in entrata (contratti a termine) e in uscita
(modifica dell’art.18 2012 e sua abrogazione 2014) eppure è del tutto evidente
come tutto ciò non abbia diminuito la disoccupazione ne aumentato
l’occupazione.
PROPOSTE
L’assunto principale che anima le proposte che seguono, sancisce
che non è possibile delegare al mercato le regolamentazioni del lavoro. E’
necessario che lo Stato si riappropri delle prerogative di regolazione dei
rapporti di produzione per riaffermare
che le politiche economiche devono dipendere dal lavoro e non viceversa.
Serve una politica pubblica per il
lavoro completamente diversa. E’ necessario:
a)Rafforzare anziché indebolire i
diritti e le tutele dei lavoratori dipendenti favorendo la loro effettiva
stabilizzazione.
b)Investire nella creazione
diretta di occupazione pubblica
c)Redistribuire il lavoro grazie
ad una riduzione sussidiata dell’orario di lavoro
d)Investire nella gestione
pubblica dei beni comuni
e)Investire nella gestione
pubblica del lavoro riproduttivo finalizzato alla erogazione di servizi
sociali.
Soprattutto in quest’ultimo settore le possibilità sono enormi. E
le grandi lobby già stanno investendo in questi comparti. Sanità, scuola,
assistenza agli anziani, messa a profitto dei beni comuni come l’acqua devono
prevedere il rilancio dell’azione pubblica nella loro gestione. E qui la nostra
città è maestra su cosa non si debba fare per creare posti di lavoro. I soldi della cassa depositi e prestiti
destinati allo stadio, potrebbero
essere indirizzati ad un fondo per i
piani di occupazione. Fondo implementato
da altre entrate, provenienti da altre linee di finanziamento , i
fondi sociali europei ad esempio. Mi pare che ci sia l’assessore preposto,
quando non dorme. Tale fondo potrebbe finanziare progetti finalizzati al
recupero e valorizzazione degli edifici già esistenti, (scuole, asili) la bonifica e la riqualificazione del
territorio, volta a prevenire il dissesto idrogeologico. Altra occupazione si
potrebbe ottenere finanziando progetti che impiegassero addetti nella
valorizzazione del patrimonio storico culturale ed archeologico. Insieme ai
piani per il lavoro, il Comune potrebbe reinternalizzare i servizi alla città, che ad oggi vengono affidate a privati
secondo una logica per altro economicamente svantaggiosa, ma che richiama i concetti di ideologizzazione
del lavoro in senso neoliberista già illustrati. Per allargare lo sguardo
bisognerebbe produrre buona occupazione nella gestione della sanità, della cura
agli anziani, un fattore importantissimo
in una società che tende ad invecchiare. Ripeto, non lascare che le attività di
riproduzione diventino business per le lobby assicurative, ma usarle per
generare buona occupazione attraverso il finanziamento pubblico. Per tornare
alle attività produttive, è necessario reindirizzare i piani industriali,
rivoluzionare cosa produrre e come produrlo. E’ necessario l’intervento dello
Stato per finanziare aziende orientate alla produzione di energie rinnovabili. Oppure
agevolare la filiera della conversione a freddo
e del riuso dei rifiuti. E’ necessario,
inoltre, che la pubblica amministrazione, oltre a
cofinanziare tali progetti ne segua i piani industriali, magari anche con il
coinvolgimento dei lavoratori, per verificare che soldi pubblici stiano
producendo buona economia e buona occupazione.
REDISTRIBUZIONE DEL LAVORO
Affianco alla definizione di nuovi modelli produttivi bisognerà porre mano ad una seria redistribuzione del lavoro. In una fase in cui gli straordinari sono
detassati, pur in un contesto di limitata offerta di lavoro, si produce l’incoerente fenomeno per cui pochi lavoratori operano
secondo orari di impossibili e molti
lavoratori rimangono a casa. La tassazione agevolata
degli straordinari produce disoccupazione per 500mila addetti l’anno. Inoltre
l’utilizzo del contratto par time spesso
viene imposto dall’azienda e subito dal lavoratore. “Lavorare meno lavorare
tutti” si diceva una volta. L’ideale sarebbe una riduzione dell’orario
lavorativo a parità di salario. Ma non credo che le imprese, a meno che non si
faccia una rivoluzione, siano disposte ad
accettarlo. Né sarebbe conveniente per i lavoratori subire la diminuzione
salariale in funzione di un tempo di lavoro ridotto. La soluzione è calibrare
il carico fiscale e contributivo sul
salario in base all’orario di lavoro, alleggerendolo per gli orari ridotti e
aggravandolo per quelli a lunga durata. Più specificatamente va prevista una fascia oraria e il reddito
monetario corrispondente esente da
tassazione, tanto per il lavoratore che per l’impresa. Per orari di lavoro più
lunghi gli oneri contributivi aumenteranno fino a corrispondere a quelli attuali per le
40 ore settimanali. Per orari superiori l’incidenza fiscale s’incrementerà per ogni ora di lavoro in più prestata. In
questo modo le aziende saranno indotte a
riorganizzare il loro processo produttivo in modo da distribuire i lavoratori per le diverse durate di lavoro per sfruttare, o il vantaggio fiscale degli
orari più brevi, o la migliore produttività dei lavoratori con orari più
lunghi. La struttura degli orari riacquista quella funzione necessaria per
rispondere flessibilmente alle necessità produttive. Per quanto riguarda i lavoratori. Il reddito
sarà in questo caso una combinazione fra salario privato (remunerazione dell’attività
lavorativa) e salario pubblico (
derivante dell’esenzione fiscale contributiva . Nel caso di un orario ridotto
la remunerazione privata sarà inferiore, ma aumenterà la remunerazione pubblica
in termini di esenzione fiscale, per
orari più lunghi aumenterà la remunerazione privata, e diminuirà quella
pubblica per l’effetto dell’aumentata imposizione fiscale. Per concludere
questa lunga trattazione, come ho dimostrato è possibile fermare il declino del
lavoro e del reddito, ma bisogna innanzitutto che il reddito derivi per la
maggior parte dal lavoro e non dal profitto come avviene oggi. “Più lavoro,
meno profitto questa" è la formula. Il lavoro come elemento di promozione
della dignità umana e non variabile del costo di produzione.
“Con il Lazio l’Europa
diventa più forte” era il titolo dell’evento organizzato dalla Regione
Lazio e tenutosi a Roma il 24 giugno scorso presso l’auditorium parco della
musica di Roma. Un’intera giornata di
lavori, in cui i dirigenti della Regione, dei dipartimenti nazionali, e
membri delle commissione Europea, hanno
presentato la programmazione unitaria dei fondi europei 2014-2020.
Il
programma prevedeva una seduta plenaria nella mattinata, a partire dalle 10,00
nel corso della quale si sarebbero succeduti interventi di responsabili
regionali della gestione dei fondi, fra i quali: Alessandra Sartore, assessore della programmazione
economica, nonché coordinatrice della cabina di regia unitaria per lo sviluppo, il presidente Nicola Zingaretti. Membri della Commissione Europea: Zoltàn
Kazatsay della direzione generale occupazione e inclusione sociale, Charlina Vitcheva, direttore del dipartimento per la crescita
intelligente e sostenibile per l’Europa del sud. Membri
delle istituzioni governative quali: Vincenzo Donato, capo dipartimento per
le politiche di coesione (presidenza del consiglio dei ministri), Maria
Ludovica Agrò , direttore agenzia coesione territoriale del Dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica,
Salvatore Pirrone, Direttore generale Politiche attive e passive del lavoro
presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, Giuseppe Blasi Capo
dipartimento Sviluppo rurale presso il
Ministero delle politiche agricole , alimentari e forestali.
Nel pomeriggio
avrebbero avuto luogo i tavoli tecnici relativi alla natura dei fondi: I POR
FESR, destinati a progetti inerenti lo sviluppo economico e alle attività
produttive, i POR FSE destinati a pianificazione di ordine sociale e sviluppo
culturale, i PSR FEASR, destinati alle politiche agricole.
La programmazione dei fondi europei, in
realtà è già partita da un anno con l’apertura di tavoli di partenariato a cui
avrebbero dovuto sedere, imprese, enti pubblici, organi intermedi, associazioni
e singoli cittadini secondo una selezione, così come determinata dalla
Commissione europea, il più possibile
condivisa e partecipata. Il tutto per evitare che ad usufruire della torta, che
sul Lazio incide per circa 4 miliardi,
fossero i soliti noti, fenomeno già avvenuto per il settennato appena concluso.
Possiamo testimoniare che su questo fronte
nulla è cambiato. Infatti, come Osservatorio Peppino Impastato, abbiamo
inoltrato regolare domanda di partecipazione al partenariato, possedendone i
requisiti, richiesta puntualmente
rigettata. Ad occupare le poltrone, anche questa volta, proprio di soliti noti a cominciare delle più
eminenti associazioni cattoliche.
Eppure
i dettami della Commissione sono altri.
I dirigenti della comunità europea, nel loro intervento sono stati
categorici, in particolar modo Charlina
Vitcheva, sulla qualità della progettazione, sulla sua replicabilità per tutto il territorio Europeo. Come già affermato in altre
occasioni, non è più il tempo di finanziare sagre della porchetta. Per il
pressapochismo delle progettazione e del controllo sulla realizzazione dei
progetti, nel settennato scorso l’Italia ha dovuto restituire diversi miliardi
di euro, tutto ciò a causa di partner poco attenti a questi aspetti, e molto più concentrati solo sulla riscossione dei soldi.
Attraverso l’Osservatorio
Peppino Impastato abbiamo intenzione, assieme ad altre associazioni, di
proporre progetti, nell’ambito dei bandi inseriti nelle 45 linee guida di prossima promulgazione, che gravitano nel campo dell’inclusione
sociale della diffusione della legalità.
Sarà difficile perché non abbiamo santi in Paradiso, ma tentar non nuoce. Confidiamo nella rinnovata rigidezza della commissione nel valutare progetti di
qualità.
Molto è stato svelato delle
criticità sui fondi del precedente settennato e della programmazione a venire,
in un intervento di protesta del sindacato
di base USB, riammesso ai tavoli di
partenariato dopo vibranti proteste per un iniziale ingiusta inclusione, e il
movimento “Carovana delle periferie”. All’inizio dell’assise, Guido Lutrario,
rappresentate dell’Usb, sI è impossessato del microfono, grazie anche alla
forzata disponibilità del presidente Zingaretti, e ha esposto un riassunto del
contenuto di 13 domande che le due associazioni avrebbero voluto porre allo
stesso Zingaretti e al vice presidente Smeriglio. Nel post che segue
pubblichiamo il documento dell’Usb e della Carovana delle periferie e un video girato, al volo col cellulare, dalla mia amica
Anita Mancini, che documenta lo
svolgersi della protesta.
Dopo il fallimento delle edificazioni dirette in zona “B” normate dall’ “art. 18 bis” della NTA del Prg, l’Amministrazione Ottaviani tenta la strada del “Permesso di Costruire Convenzionato ex art. 28 bis” – introdotto dalle recenti modifiche al TU per l’Edilizia – per consentire ai “soliti noti” di edificare 35 mila 3 di cemento armato per seppellire definitivamente le terme romane e i tesori archeologici rinvenuti su tutta l’area adiacente la Villa comunale, seppellendo con essa le speranze di tanti cittadini di rilancio della identità e della cultura di questo territorio.
Infatti al prossimo Consiglio Comunale, ancora una volta convocato in seconda convocazione, saranno portate all’approvazione una serie di “convenzioni urbanistiche” – relative a 5 interventi proposti da altrettanti operatori – tra cui quella dell’area tra Via De Matthaeis e Via Tommaso Landolfi, appunto, che fa capo alla Società “Nuova Immobiliare srl”, riconducibile al Gruppo Zeppieri Costruzioni. L’approvazione dello schema di convenzione costituisce un importantissimo tassello nella formazione del PdC e rappresenta un passaggio altrettanto cruciale sotto il profilo politico, perché è in questo atto che sono esplicitati i contenuti di “interesse pubblico” dell’intervento proposto.
Tralasciando i tanti aspetti “poco chiari” del procedimento messo in piedi per “tamponare” la situazione di stallo creatasi con l’annullamento dell’art. 18 bis NTA, criticato in più occasioni, ciò che oggi preme – anzi allarma fortemente – è la volontà di questa Amministrazione di consentire l’ennesimo scempio al patrimonio storico-culturale di questa città, già abbondantemente “martoriata” da un sistema di potere vigente da sempre, tanto arrogante quanto barbaro, di cui l’Anfiteatro di Viale Roma ne rappresentava il simbolo sino ad oggi.
L’attuale amministrazione, dopo aver “brillantemente” superato quelle precedenti con la questione Projet Casaleno-Matusa, si accinge a conseguire un altro storico risultato anche in materia di “cancellazione” delle memorie storiche della città, dopo il “fallito” tentativo di sottrarre risorse al Museo Archeologico. E si appresta a farlo calpestando la volontà dei cittadini e delle associazioni che da tempo si battono per latutela integrale di quell’area, che rappresenta l’unica strada percorribile a detta di più parti autorevoli, ivi compreso l’attuale Dirigente all’Urbanistica, che con una nota indirizzata alla Giunta Comunale (Prot. 20130026346 del 08/05/2013) sottolineava la necessità di estendere il vincolo di tutela dell’area anche alla luce degli ulteriori ritrovamenti degli anni 2011 e 2012. Così il Sindaco che ha dimenticato il proprio programma elettorale, che alla pag. 56 prometteva: “E’ ferma intenzione della nuova amministrazione valorizzare il patrimonio archeologico di Frosinone, restaurando i monumenti esistenti e dando, poi, vita al Parco dei Volsci, nel luogo di ritrovamento di alcune importanti tracce di insediamenti nei pressi della Villa Comunale considerato anche che nella zona insiste una necropoli di imponenti dimensioni” …..e ancora: “Frosinone deve diventare punto di riferimento per un turismo culturale incentrato sulla riscoperta di questo antico popolo”.
Ancora una volta ci troviamo dinanzi all’esatto contrario di quanto promesso ai propri elettori, i quali non comprendono come conciliare frasi come: “lo sviluppo della città non può prescindere dal rispetto dei VALORI CULTURALI, STORICI E NATURALI” con la “distruzione” di un immenso (e ancora non completamente esplorato) patrimonio storico-archeologico a favore delle solite logiche “speculative”.
I cittadini di Frosinone sono abbondantemente stufi! Essi chiedono ai Consiglieri Comunali, tutti, di bocciare la Delibera di Approvazione dello Schema di Convenzione tra il Comune di Frosinone e la Soc. Nuova Immobiliare srl, per non essere “complici”, anzi “artefici” di un atto che non può che essere definito VANDALICO.
Il cittadino volsco chiama alla mobilitazione e alla partecipazione:
a) invita i consiglieri e tutte le forze politiche interessate ad un incontro pubblico fissato per giovedì 25 giugno alle ore 17.30 presso la saletta Coop di via Monti Lepini (quartiere Cavoni) in Frosinone;
b) fa appello a tutte le associazioni ad aderire a questo appello sottoscritte dalle seguenti associazioni promotrici;
c)convoca i cittadini frusinati ad essere presenti alla seduta consiliare del prossimo 29 giugno dalle ore 18.30 per impedire, con la forza della protesta civile, la volontà di non essere derubati per l’ennesima volta di un BENE COMUNE.
Si è svolto sabato scorso, 20 giugno, l’incontro degli attivistidi Assopace Palestina, l’associazione guidata
da Luisa Morgantini, già vice presidente del Parlamento europeo, con l’incarico
delle politiche europee per l’Africae
per i dritti umani. L’appuntamento del 20 giugno, tenutosi a Supino, era parte di una convention di due
giorni, sabato 20 e domenica 21, in cui
gli attivisti di Assopace Palestina, si sarebbero dovuti confrontati, sul bilancio
delle attività svolte e sulla pianificazione dei programmi futuri.
Dalle ore
15,30 di sabato, presso la sala parrocchiale della chiesa di Santa Maria, Luisa
Morgantini, ha riferito sul suo ultimo viaggio a Gaza e a Hebron (a questo incontro è dedicato l’articolo). A
seguire, dopo la cena, sono stati proiettati dei corti sulla
Palestina compreso un film girato da Franca Marini, che ha partecipato alla proiezione
raccontando la sua esperienza. Domenica 21 dalle ore 9,30 sono proseguiti i
lavori di programmazione per le attività future, fino alle 13,00 orario della
chiusura dell’evento.
Durante l’incontro di sabato,
Luisa Morgantini ha riferito su quanto accaduto durante il suo ultimo viaggio. Ad
At-Twani il comitato popolare per la resistenza non
violenta e le donne delle colline a sud di Hebron - dove Israele continua il
piano di ampliamento delle colonie e l’evacuazione
dei palestinesi - il 13 giugno scorso,
hanno organizzato una giornata dedicata alla memoria di Rachel Corrie, Vittorio Arrigoni, Tom Hurndall
e Angelo Frammartino. Per la prima volta nella martoriata terra di Palestina,
non si sono commemorate vittime
palestinesi, ma attivisti internazionali.
Per ricordarli è stato costruito un memoriale in pietra e piantati alberi di ulivo. Frammartino è la vittima meno nota rispetto agli altri. Angelo era in Palestina
nel 2006 in un campo di lavoro organizzato dalla Cgil. Fu accoltellato da un
giovane Palestinese di Nablus, che lo
aveva scambiato per un colono israeliano. La giornata è stata bellissima
soprattutto per la presenza delle donne . In un paese molto conservatore come
At-Twani tale partecipazione non era
così scontata.
In Cisgiordania invece,30 membri dei comitati popolari si sono laureati . Questi giovani hanno intuito che
era necessario affiancare alla lotta lo studio. Aiutati dagli attivisti di Assopace Palestina i membri
del comitato , dopo aver frequentato le
scuole superiori, hanno seguito un master di due anni su i temi della legalità
internazionale e della lotta popolare. Sono arrivati finalmente alla laurea,
studiando sotto le bombe e gli attacchi israeliani. La volontà è stata tale che
sono riusciti nel loro intento, pur subendo arresti e angherie continue.
Dopo aver
raccontato queste due toccanti, ma belle
storie, Luisa si è soffermata sulla situazione politica attualmente in essere
in Palestina. Allo stato attuale lo scenario è drammatico. Mentre i droni
israeliani, continuano a martellare e si succedono continui
soprusi ai danni della popolazione di Gaza, la coalizione di unità nazionale
costituita da Hamas e Fatah nell'aprile del 2014 è in disfacimento. Tutto ciò a danno dei cittadini
palestinesi, i quali non si sentono più rappresentati da nessuno dei due
movimenti, e rimangono praticamente soli ed inermi innanzi alle angherie
israeliane.
Anche su questo bisognerà
ragionare nel pianificare nuovi viaggi e nuove azioni in difesa dei
palestinesi. Ma gli attivisti di Assopace Palestina lo sanno benissimo e siamo
certi che la loro opera a Gaza, a Hebron e in tutta la Cisgiordania, attraverso
il coinvolgimento dei comitati popolari da loro organizzati , riuscirà almeno ad alleviare li immani
sofferenze che quelle popolazioni sono costrette a subire.